I due termini fanno riferimento a due concetti diversi, che però nel contesto globalizzato è ormai difficile distinguere. In linea di massima, con la parola “immigrazione” si fa riferimento a un fenomeno controllato politicamente, a volte anche programmato, accettato oppure limitato da parte dei Paesi di arrivo. Ad esempio come gli italiani o gli irlandesi in America. Le “migrazioni” sono fenomeni molto più ampi in cui i migranti cambiano la cultura del territorio in cui hanno migrato. In questo senso c’è stata la migrazione transatlantica, quella europea verso il continente americano, in cui i bianchi provenienti dall’Europa non hanno assunto i costumi e la cultura dei nativi, ma sono stati gli indios sopravvissuti a doversi adattare alla nuova società creata con la forza dai migranti bianchi.
Fra ‘immigrato’ e ‘migrante’ c’è anche la differenza determinata dai diversi tempi verbali. Il participio passato fa riferimento a un evento ormai concluso, in cui la persona vive ormai stabilmente in un Paese diverso da quello di origine. Il participio presente indica un percorso migratorio ancora in atto, in cui la persona non ha ancora raggiunto la destinazione finale del viaggio.
Tuttavia, recentemente si è affermato un uso diverso della parola migrante rispetto a immigrato fortemente determinato dal dibattito pubblico, politico e mediatico, del ventennio che va dai primi anni Novanta al 2012, connotato dalla violenza del linguaggio di propaganda anti-immigrazione (ad esempio leghista). “Non è semplice cambiare una parola- dice il regista Andrea Segre - alcune nascono come fortemente stigmatizzanti, altre possono assumere un significato stigmatizzante con l’uso. E’ questo il caso della parola immigrato, che è assolutamente corretta. Non c’è nulla di strano in questo termine. Però perché stiamo cercando sempre di più di cambiarla con migrante che spesso a volte è anche sbagliata? Magari una persona non è migrante, ha fatto un viaggio, si vuole fermare in un paese, quindi è immigrato a tutti gli effetti. Ma abbiamo provato a sostituirla con migrante per un suono diverso, non perché fosse più corretta. Abbiamo iniziato a preferire migrante perché la parola immigrato ha assunto un peso di discriminazione. Ed è successo per la costante associazione immigrato-criminale , che ha fatto rientrare il tema immigrazione nel tema sicurezza, è il meccanismo che crea questa confusione e che vogliamo provare a scardinare”.[1]
Migranti si sta quindi affermando anche come il termine più ampio e inclusivo per descrivere cittadini di Paesi terzi che entrino o risiedano in Italia. Le migrazioni sono un fenomeno globale. Molti Paesi sono in una fase di transizione migratoria, sono aree sia di emigrazione sia di immigrazione. L’Italia è uno di questi. “Essendo una forma di azione collettiva e una forza di trasformazione sociale, la migrazione è un movimento che lungi dal coinvolgere soltanto gli individui che migrano, agisce sulla società nel suo complesso, crea nuovi spazi sociali e culturali, ostacola attraverso il brain drain lo sviluppo dei Paesi di provenienza dei migranti oppure lo facilita attraverso le rimesse, modifica la composizione del lavoro nei Paesi di insediamento rendendo possibile l’affinamento di nuovi dispositivi di sfruttamento ma anche dando nuova linfa ai movimenti di rivolta contro di essi…”[2] scrive Sandro Mezzadra, docente dell’università di Bologna nella prefazione al volume internazionale “L’era delle migrazioni”. Queste le considerazioni degli autori dello stesso libro, Stephen Castles e Mark J. Miller: “La migrazione internazionale sta diventando protagonista dei più rilevanti eventi mondiali. […] Con ciò non vogliamo affermare che la migrazione sia un fenomeno recente: al contrario, l’uomo si è sempre mosso alla ricerca di nuove opportunità, oppure per sfuggire all’indigenza, alle guerre o al degrado ambientale. […]come lo sviluppo di nuove tecnologie nel campo dei trasporti e della comunicazione hanno agevolato di molto la mobilità, a sua volta, la migrazione internazionale si è trasformata nella vera e propria forza motrice della globalizzazione”[3]. E ancora: “La migrazione non è da intendersi solo come reazione alle difficili condizioni del paese d’origine: non bisogna tralasciare che una delle motivazioni potrebbe essere la ricerca di miglioramento della propria condizione. Infatti non sono solo i poveri a spostarsi, ma sono in aumento anche i movimenti fra le nazioni ricche […] Sebbene alcuni migranti siano vittime di abusi o sfruttamento , la maggiorparte trae vantaggio dalla mobilità migliorando la propria vita e, benchè i migranti affrontino condizioni difficili, ciò è spesso preferibile alla povertà, all’insicurezza e alla mancanza di opportunità: altrimenti, la migrazione non continuerebbe”.[4] Gli autori non dimenticano però di dire che “molti di coloro che si spostano sono di fatto migranti forzati: persone che sono state costrette a fuggire dalle loro case e a cercare rifugio altrove”. Infine, è opportuno uno sguardo agli effetti delle migrazioni internazionali, che, per dirla con Castles e Miller, “hanno cambiato il volto alle società di tutto il mondo”[5], con le giovani generazioni dei Paesi di immigrazione che sono molto diverse da quelle più anziane.
Questa trasformazione ha coinvolto anche l’Italia che rapidamente è passata da tradizionale paese di emigrazione verso l’America e l’Europa settentrionale a essere meta di flussi provenienti dall’Europa orientale, dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina, spinti spesso dal mito della ‘società del benessere’ diffuso dalle televisioni italiane. Altri elementi che hanno favorito l’immigrazione sono l’economia sommersa che costituisce una grossa fetta di mercato italiano e la disponibilità di mansioni a bassa qualificazione e di scarso prestigio sociale, che difficilmente sono espletate da manodopera locale. Il numero di stranieri residenti in Italia è ancora notevolmente inferiore a quello registrato nei maggiori Paesi europei, in termini sia assoluti sia percentuali sul resto della popolazione, ma è cresciuto molto velocemente in pochi anni. Questo ha comportato ritardi legislativi e culturali.
Dal punto di vista giuridico sono tre le leggi di riferimento, confluite in un Testo Unico. La prima è la n. 39/1990 (nota come legge Martelli) che ha rappresentato una prima risposta in termini emergenziali, come spesso avviene nel nostro Paese. Una regolazione più articolata è stata introdotta dalla legge 40/1998 (legge Turco-Napolitano), nota per avere anche introdotto i Cpt, oggi Cie (vedi). In seguito, in attuazione della delega prevista dalla legge, le diverse disposizioni vigenti in materia di stranieri sono state riunite e coordinate tra loro nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione , approvato con il d. legisl. 286/1998. È rimasto fuori dal testo unico il diritto di asilo (vedi) che dovrebbe essere oggetto di una legge a parte, che ancora non esiste. La legge Turco – Napolitano disciplina l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel paese (nel rispetto degli impegni assunti con la partecipazione dell’Italia all’accordo di Schengen sulla libera circolazione e sull’abolizione delle frontiere nazionali). L’ultima in ordine di tempo è la legge Bossi- Fini, la 189/2002 che ha vincolato il permesso di soggiorno all’esistenza di un contratto di lavoro (con l’obbligo di lasciare il paese sei mesi dopo il mancato rinnovo del contratto) e ha introdotto l’espulsione immediata degli stranieri privi del permesso di soggiorno. Vedi anche clandestino e migrante irregolare.
Dal punto di vista culturale, si è assistito a un processo di sostanziale chiusura della società italiana nei confronti degli immigrati, causata in parte dalla naturale diffidenza verso lo ‘straniero’, in parte da una massiccia propaganda che si è basata sull’appiattimento della parola immigrato con extracomunitario, clandestino (vedi entrambe le voci) e infine con “criminale”. Ma, ancora una volta, non solo la politica è chiamata in causa, anche i giornalisti vengono accusati di avere responsabilità gravi nell’avere diffuso un’immagine distorta dell’immigrazione. “Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione” è il titolo di un libro sul tema scritto dal giornalista Giulio Di Luzio che scrive: “L’informazione foraggia il sospetto. E l’idea che questa o quella categoria di “estranei” possa minacciare la nostra vita, diventa un’emergenza”[6] (vedi parola corrispondente). E ancora: “Il tema dell’immigrazione è diventato una delle più potenti macchine di formazione del consenso, addirittura paragonabile a quello dei conflitti”.[7] Anche il saggista Antonello Mangano e la giornalista Laura Galesi affermano “Tutto quello che dice la tv è falso” e spiegano: “il senso comune sugli immigrati è stato costruito in maniera scientifica e strumentale per favorire l’ascesa politica di gruppi xenofobi, poi diventati partiti di governo. I media hanno assecondato questo processo, imponendo luoghi comuni tanto diffusi quanto falsi. La realtà è completamente diversa”.[8] Per l’analisi dei pregiudizi e degli stereotipi più frequenti sul tema rimandiamo alla scheda seguente.
La vera emergenza è invece quella dei diritti (confronta anche la voce Cittadinanza). Tanto che dagli anni Novanta in poi l’Onu, l’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) e altre realtà internazionali hanno lavorato alla stesura di convenzioni per un’evoluzione di diritti umani uniformi per i cittadini e i non-cittadini. Significa avere una vasta gamma di diritti sociali legalmente riconosciuti nei Paesi che adottano queste norme internazionali. “Tuttavia – scrivono ancora Castles e Miller – la protezione legale fornita dalle convenzioni internazionali può essere inadeguata quando gli stati non ratificano o incorporano le norme nel proprio diritto nazionale; questo è spesso il caso di misure internazionali per la protezione dei diritti dei migranti”.[9] Esiste una Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu il 18 dicembre 1990 ed entrata in vigore l’ 1 luglio 2003. Gli Stati che ne erano parte al primo luglio 2011 erano 46, la maggioranza sono Paesi di provenienza dei flussi migratori e Paesi di transito. Mentre i principali Paesi di destinazione (UE, USA, Canada e altri Stati occidentali) non hanno firmato né ratificato la Convenzione.
L’Italia non ha ancora firmato la Convenzione dell’Onu[10], il cui scopo è di tutelare in tutto il mondo i diritti umani e la dignità dei lavoratori che emigrano per motivi economici o di lavoro e delle loro famiglie, sulla base del principio di parità di trattamento. L’altro principio fondamentale su cui si basa la Convenzione è che tutti i migranti devono avere accesso a un livello minimo di protezione, in termini di diritti civili, economici, politici, sociali e professionali. A seconda delle due situazioni, regolare o irregolare, in cui si trovano i lavoratori migranti, la Convenzione per i primi stabilisce un elenco più ampio di diritti mentre per coloro che sono in situazione irregolare riconosce comunque alcuni diritti fondamentali. La Convenzione definisce con il termine lavoratore migrante “una persona che sarà occupata, è occupata o è stata occupata in un'attività remunerata in uno Stato del quale non è cittadino”.
In seno al Consiglio diritti umani opera un Relatore Speciale sui diritti umani dei migranti, il cui mandato è stato istituito nel 1999. Nel 2012 lo Special Rapporteur sui diritti dei migranti, François Crépeau, ha visitato l’Italia. Al termine della missione, ha raccomandato[11] al nostro Paese di “mettere i diritti umani al centro della politica di controllo dei confini” e nel trattare l’immigrazione irregolare di “non lasciare che le preoccupazioni per la sicurezza prevalgano sui diritti umani”. In questo senso, le sei raccomandazioni chiave di Crépeau all’Italia partono dai timori di respingimenti a causa di rinnovati accordi con la Libia, che non devono essere attuati dalle autorità dei due Paesi. Crépeau chiede anche all’Italia “di proibire formalmente la pratica di respingimenti automatici e informali verso la Grecia” a causa “dell’estrema violenza xenofoba contro i migranti”; di “garantire il pieno accesso alle organizzazioni internazionali, incluse Unhcr e Oim, alle organizzazioni della società civile e agli avvocati a tutte le aree in cui i migranti sono trattenuti o reclusi”. Crépeau, che ha visitato diversi Cie italiani (vedi) nota che “manca un’autorità generale con poteri investigativi per monitorare le attività di tutti i centri di detenzione dove sono trattenuti i migranti”. Raccomanda, tra l’altro, di “sviluppare un sistema di identificazione più veloce, in modo che la detenzione dei migranti irregolari duri per il più breve tempo possibile e al massimo sei mesi”. (E’ stata portata a 18 mesi nel 2011, ndr.). “Ho incontrato numerosi migrant irregolari – ha scritto il relatore speciale in una nota- che sono sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli, i quali, al momento, sembrano godere di totale impunità”. E in conclusione ha osservato che “l’Italia manca di dati sull’immigrazione che siano aggiornati, accurati, dettagliati, disaggregati, pubblici e accessibili”.
Frasi fatte
Il 65% degli italiani ritiene che in Italia vi sono più stranieri irregolari che regolari, il 56% che gli stranieri regolari contribuiscono ad aumentare la criminalità e il 57% lo pensa degli irregolari. Sono alcuni dati riportati in un’indagine del 2010 “Transatlantic Trends: Immigration” che affronta la questione della percezione del fenomeno migratorio da parte dell’opinione pubblica nordamericana ed europea.
Mito:gli immigrati sono criminali
Realtà: Non esiste una corrispondenza tra aumento degli immigrati e aumento della criminalità in Italia. A evidenziarlo è la ricerca del 2009 “La criminalità degli immigrati: dati, interpretazioni e pregiudizi” promossa dall’Agenzia Redattore Sociale e realizzata dall’équipe del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes, per la quale rimandiamo alla scheda dati. C’è da sottolineare che dal 2005 al 2010 su 650 omicidi di donne da parte di uomini, per il 79% dei casi l’autore del reato è stato un italiano. I dati del Ministero dell’Interno, riportati nel libro di Faloppa, dicono che gli immigrati che delinquono sono circa il 4% del totale (compresi gli irregolari accusati del reato di immigrazione clandestina), ma la quota degli stranieri denunciati sul totale degli stranieri regolari in Italia è meno del 2%. Dal 2001 al 2006 le condanne a carico di stranieri sono rimaste stabili, mentre fra il 1990 a il 2003 il numero dei permessi di soggiorno è aumentato di cinque volte. Quindi- conclude Faloppa – la criminalità straniera è diminuita.[12] Un’altra statistica riporta che tra il 2005 e il 2008 la popolazione immigrata nel nostro paese è aumentata del 45%. Se l’equazione tra immigrazione e criminalità fosse vera, la criminalità crescerebbe in misura direttamente proporzionale all’aumento degli immigrati. I dati smentiscono, però, questa equazione: nello stesso triennio 2005-2008 le denunce contro stranieri sono aumentate del 19,9%, ovvero di quasi 26 punti percentuali in meno rispetto alle loro presenze nel Paese[13]. “Terroristi, stupratori. Tanti politici (e ministri) che hanno fatto carriera ripetendo frasi fatte e tacendo tutte le volte in cui gli stranieri sono stati bersagli degli italiani (vittime di rapine, violenze, sfruttamento)” scrivono Mangano e Galesi, che ricordano gli esempi di testimonianze scomode degli immigrati a Rosarno e a Castel Volturno. “Nessuna delle tre inchieste di Rosarno sullo sfruttamento si sarebbe fatta senza l’essenziale collaborazione degli stranieri – raccontano – La testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage di Castel Volturno ha permesso di sgominare l’ala stragista dei casalesi, e dunque di salvare molte vite italiane. […]Tutto questo non è mai stato riconosciuto pubblicamente. Anzi, c’è ancora chi offende le vittime e le indica come soggetti poco limpidi nonostante le conclusioni in senso opporto delle indagini”[14]. Tra le diverse comunità di stranieri, una delle più invise negli anni passati all’opinione pubblica è stata quella romena, probabilmente anche perché è la più numerosa, contando quasi un milione di persone. (vedi voce Romeno). I romeni sono stati criminalizzati e sono noti gli episodi di cronaca che li hanno visti nel ruolo di autori di reati (omicidio Reggiani, stupro di Guidonia, stupro della Caffarella). Sconosciute invece le tante vicende in cui dei lavoratori romeni hanno perso la vita in Italia. In un articolo, lo scrittore Antonello Mangano ne ricorda tre[15]. Ovidiu Candea, 23 anni, ucciso mentre si trovava in un campo di broccoli con il datore di lavoro calabrese. Il romeno è rimasto vittima innocente di un agguato mafioso diretto a uccidere l’italiano. Era il 6 gennaio 2007. Cornelia Doana aveva solo 17 anni, è stata uccisa la notte di capodanno del 2007 con una calibro 7,65 con la matricola abrasa. E’ morta per una vendetta: aveva osato lasciare un uomo di Rosarno (Rc) violento e inaffidabile. Damoc Emaoil, 34 anni, rumeno, è morto fulminato dai cavi elettrici a 15 mila volt per un incidente sul lavoro a febbraio 2008. Era solo in cima ad una gru mobile. Ha lasciato la moglie e una figlia nel veronese, dove viveva. Lavorava per una ditta edile veneta.
Kwame Antwi Julius Francis, Affun Yeboa Eric, Christopher Adams del Ghana, El Hadji Ababa e Samuel Kwako del Togo; Jeemes Alex della Liberia sono i sei immigrati africani, vittime innocenti della strage di San Gennaro, avvenuta il 18 settembre 2008 a Castel Volturno a opera di un commando del clan dei casalesi. Dalle indagini è emerso che nessuno degli immigrati (tutti giovanissimi, il più "anziano" aveva poco più di trent'anni) era coinvolto in attività di tipo criminale con bande italiane o straniere. Ayiva Saibou togolese, Dabre Moussa del Burkina Faso, Oumar Sibisidibi e Manden Musa Traorè della Guinea Conakry sono 4 dei quasi 40 migranti feriti a fucilate o a sprangate dagli italiani a Rosarno durante la caccia ai neri del gennaio 2010. Ayiva è stato il primo ad essere colpito mentre semplicemente camminava per la strada. Gli hanno sparato all’altezza dei genitali sulla statale 18 il 7 gennaio 2010. Da questo atto di violenza razzista è nata la rivolta dei migranti. Gli altri sono stati colpiti alle gambe da pallini da caccia, con le cartucce che si usano per gli uccelli ed esplodono dentro la pelle come piccole bombe a grappolo. Si terranno per sempre nelle gambe questo ricordo di piombo. I pallini non si potevano estrarre, solo curarne le ferite[16].
Mito:portano malattie
Realtà: I migranti non sono portatori di malattie ‘esotiche’ come vuole un pregiudizio molto diffuso. I rapporti sanitari (ad esempio di Medici senza Frontiere) smentiscono questa credenza. Soprattutto dai Paesi più poveri è documentato a livello statistico che a partire sono i più sani e i più giovani e forti. Si tratta di una specie di selezione naturale ‘a monte’ perché chi parte deve resistere alle fatiche del viaggio e dell’adattamento nel nuovo contesto di arrivo, con la missione di trovare lavoro in Occidente per mandare i soldi a casa[17]. I migranti arrivano sani e poi si ammalano in Italia per le spaventose condizioni che trovano, come lo sfruttamento paraschiavistico nel lavoro agricolo e per gli alloggi fatiscenti e di fortuna in cui spesso, ad esempio i braccianti, si trovano a vivere[18]. Anche gli infortuni sul lavoro colpiscono molto gli stranieri. Nel 2010 gli infortuni ai danni di lavoratori stranieri nei cantieri edili sono stati 120.135 con un incremento dello 0,8% , in controtendenza con la diminuzione nazionale dell’1,9%. Il tasso infortunistico degli stranieri è di 43,1 ogni 1000 addetti del settore, contro 34,3 degli italiani. Sono dati della Fillea Cgil.
E’ statisticamente dimostrato che gli immigrati appena giunti in Italia godono di migliori condizioni di salute rispetto a quelli presenti da oltre un anno. Ci sono i dati provenienti dall’archivio delle schede di dimissione ospedaliere (SDO) e relativi ai ricoveri effettuati in Italia da cittadini stranieri presso strutture pubbliche e private, tanto in regime ordinario (con pernottamento) quanto in day-hospital (ricovero diurno), nel 2008. Negli uomini, la causa più frequente di ricovero in regime ordinario è rappresentata dai traumatismi (22%), dovuti al contesto lavorativo di cui abbiamo parlato, privo di condizioni di sicurezza per loro.Al secondo posto troviamo le malattie dell’apparato digerente (14%), come le appendiciti. Seguono le malattie del sistema circolatorio (11%) e dell’apparato respiratorio (9%, tra cui le forme asmatiche e le broncopneumopatie croniche). Nelle donne, la causa più frequente di ricovero ordinario è rappresentata dal parto (58%), che è la prima causa di ricovero anche tra le italiane. In day-hospital, invece, circa la metà degli accessi (52%) è determinato dall’interruzione volontaria di gravidanza[19].
Mito: la maggioranza sono “clandestini”
Realtà: Gli immigrati regolari in Italia sono oltre 5 milioni[20]. La stima sugli irregolari è di una presenza di circa 500mila persone[21], quindi i regolari sono dieci volte di più degli irregolari.
Mito: i clandestini sono criminali, quelli cattivi e i regolari quelli buoni
Si stima che un terzo degli immigrati regolari presenti oggi in Italia ha un passato da irregolare e sia stato ‘sanato’. Dal 1986 è passato da questa trafila oltre un milione e mezzo di persone, di cui 700mila nel 2002 e 300mila nel 2009. Cifre che fanno comprendere come la distinzione fra regolari e clandestini (vedi) non può essere netta. Spesso si tratta della “doppia faccia della stessa medaglia”[22]. Vedi anche la voce Sanatoria.
“Abbiamo da troppo tempo una legge sull`immigrazione nella twilight zone, ai confini della realtà, che vive nella finzione che gli immigrati possano venire selezionati e assunti prima ancora di entrare nel nostro paese, come se potessimo far funzionare in Burkina Faso quel servizio di collocamento pubblico che non riesce a trovare un lavoro a chi lo cerca neanche in Italia”, dice l`economista Tito Boeri. La regolarità, quando serve, si produce dunque con le sanatorie[23].
Mito: rubano il lavoro.
Realtà: Senza gli immigrati, nel 2010 si sarebbero costruite 30mila case in meno, cioè il 30% del patrimonio edificato, ma sono loro i più colpiti dai fenomeni devianti che inquinano l’edilizia, come falsi part-time, false partite Iva, paghe più basse e lavoro nero[24]. I migranti reggono interi settori dell’economia italiana, che senza la manodopera straniera non potrebbero fare fronte alla crisi. Sono fondamentali in settori in cui gli italiani non lavorano più: la cura della persona (vedi badante), l’edilizia, l’agricoltura. Nell’industria lavorano il 29,6% degli stranieri, e l'8,5% in agricoltura, il 57% è occupato nei servizi e il 4,9% non è attribuito ad alcun settore. Per le famiglie italiane, dove le donne lavorano, e per i numerosi residenti in condizioni di non autosufficienza, è molto utile l’apporto delle assistenti familiari. le quali però risultano coperte dalla contribuzione previdenziale in meno della metà dei casi. Non ci sono dati ufficiali attendibili sul numero esatto, a causa di un mercato nero che copre il 70% del fenomeno.[25] Gli stranieri sono stati gli unici in tempi recenti a ribellarsi in difesa dei diritti del lavoro. (vedi la voce Caporale). Creano posti di lavoro perché migliaia sono titolari d’impresa (vedi scheda dati a seguire). Sono pagati meno degli italiani. La retribuzione media mensile netta nel 2010 dei lavoratori immigrati è stata inferiore di circa 300 euro (-24%) a quella degli italiani (rispettivamente 973 e 1.286 euro), divario che aumenta fino al 30% per le donne (788 per le straniere e 1.131 euro per le lavoratrici italiane)[26].
Mito: siamo invasi dall’Islam
Realtà: è falso, la maggioranza degli immigrati in Italia è di religione cristiana. Secondo il Dossier statistico Caritas/migrantes 2011 sono 2 milioni 702 mila gli immigrati cristiani (Italia dati al 31/12/2011)e1 milione 651 mila gli immigrati musulmani.
Infine riportiamo qui di seguito stralci di un articolo sui pregiudizi verso gli immigrati scritto dal giornalista Vladimiro Polchi per il quotidiano la Repubblica.
'Troppi fannulloni e irregolari ecco i falsi miti sugli immigrati '
[…]Se l' immigrazione fosse una materia d' esame, gli italiani verrebbero bocciati in massa. Cosa sappiamo infatti dei lavoratori stranieri che vivono nel nostro Paese? Poco o niente. PERCHÉ siamo frastornati da informazioni distorte e luoghi comuni. Cinese, clandestino, bracciante agricolo, poco utile al benessere nazionale: eccolo l' identikit deforme dell' immigrato-tipo tracciato dagli italiani. A stilare la deludente pagella è uno studio della Fondazione Leone Moressa, chea fine luglio ha "interrogato" 600 italiani. […]Sovrastimiamo la clandestinità: gli irregolari sarebbero oltre un quarto degli stranieri (il 26,7%), mentre non superano il 10,7% (Fondazione Ismu). Vediamo cinesi ovunque: stando alle risposte degli italiani sarebbero loro la prima comunità, mentre sono solo la quarta (dopo romeni, albanesi e marocchini). Anche rispetto al lavoro mostriamo un po' di confusione: l' agricoltura viene indicata come primo settore di occupazione degli stranieri, a seguire il lavoro domestico e le costruzioni. Nella realtà invece gli immigrati sono maggiormente occupati nel settore dei servizi alla persona (tra cui lavoro domestico), nell' industria e nelle costruzioni. […]Veniamo bocciati pure alla domanda sulla percentuale di ricchezza (Pil) che producono gli immigrati: il 38,2% indica una quota tra il 2% e il 5%, quando si tratta invece del 12,1% (Unioncamere). Non solo: l' 88% sbaglia quando, interrogato su chi abbia maggiormente subito un aumento della disoccupazione a causa della crisi, indica gli italiani, mentre si tratta degli stranieri. Infine, più della metà (63,6%) pensa erroneamente che un bambino nato in Italia da genitori stranieri acquisti la cittadinanza italiana. Da noi, invece, lo ius soli è ancora un miraggio, la nostra legge resta invece inchiodata al vecchio ius sanguinis (il bambino acquista solo la cittadinanza dei genitori stranieri). […]Insomma, in "immigrazione" i voti degli italiani restano ben al di sotto della sufficienza. La colpa? Dei media. Il 75% degli intervistati punta infatti il dito contro un' informazione giudicata incompleta e fuorviante. Insomma, la brutta pagella non sarebbe da imputare agli "studenti" che non si applicano, ma ai "cattivi" testi sui quali studiano[27].
[1] Intervista ad Andrea Segre aprile 2012
[2] Mezzadra S., presentazione al volume di Castles S. , Miller M. J., L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo, Odoya Bologna 2012
[3] Castles S., Miller M. J. Op. Cit. pagg. 24- 25
[4] Castles S., Miller M. J., Op. Cit. pagg. 29
[6] Di Luzio G., Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione, Ediesse, 2012, pag. 10
[8] Galesi L., Mangano A., Voi li chiamate Clandestini, Manifestolibri 2010
[9] Castles S., Miller M. J., Op. Cit, pag. 70
[11] Comunicato stampa, Roma 8 ottobre 2012 http://www.ohchr.org/en/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=12642&LangID=E
[12] Faloppa F., Razzisti a parole (per tacere dei fatti), Laterza 2011, pagg. 127-128
[13] A cura del Centro Studi e Ricerche Idos, su www.integrazionemigranti.gov.it
[14] Mangano A., Galesi L., Op. Cit., Pag. 116
[15] Mangano A., Ovidiu, Cornelia, Damoc. Tre storie di rumeni vittime, terrelibere.org, 08 febbraio 2008, http://www.terrelibere.org/ovidiu-cornelia-damoc-tre-storie-di-rumeni-vittime
[16] Cosentino R., La caccia al nero con i fucili a pallini, Il manifesto, 12 gennaio 2010
[17] Questa voce è stata realizzata consultando anche la scheda Immigrati e integrazione A cura del Centro Studi e Ricerche Idos dal sito www.integrazionemigranti.gov.it.
[18] Cfr. Mangano A. e Galesi L., Op. Cit., Pag. 116 e Mangano A. Gli africani salveranno l’Italia, Rizzoli 2010, 20 pagg. 121 e seguenti.
[19] www.integrazionedeimigranti.gov.it
[20] Fonte: Dossier Caritas/Migrantes 2012
[21] Fonte: Dossier Caritas/Migrantes 2011
[22] Comunicare l’Immigrazione – guida pratica per gli operatori dell’informazione, cfr. Glossario
[24] Dati della Fillea Cgil
[25] Fonte: Guida all’informazione sociale
[26] Dossier Statistico Caritas/Migrantes 2011
[27] Polchi V. su La Repubblica, 3 settembre 2012
Sono 15 milioni gli italiani emigrati in soli quarant’anni (dal 1876 al 1920). Di questi circa la metà (6,8 milioni) si diresse verso altri Paesi europei, come Francia, Svizzera e Germania. Il resto emigrò oltre oceano[1]. Nel primo decennio del 1900 la media degli espatri fu di 600.000 persone l’anno. Nel 1913 si registrò il picco massimo della storia dell’emigrazione italiana con quasi 900.000 persone che emigrarono su una popolazione totale di 35 milioni di abitanti[2]. Secondo le stime dei Padri Scalabriniani, la cifra totale di tutti gli oriundi italiani (discendenti degli emigrati) nel mondo è vicina agli 80 milioni di persone. I primi tre Stati in cui sono presenti, sono nell’ordine il Brasile (25 milioni), l’Argentina (20 milioni, cioè il 50% di tutti i residenti argenitini è di discendenza italiana) e gli Stati Uniti ( 18 milioni)[3]. Secondo i dati dell’Anagrafe degli italiani all’estero (Aire), l’Italia continua a essere un paese d’emigrazione, mentre è diventato da tempo meta di immigrazione. All’8 aprile 2010 i cittadini italiani residenti all’estero erano 4.028.370. Nel 2006 erano 3.106.251. Sono aumentati di circa un milione in 4 anni. Un’emigrazione silenziosa che coinvolge soprattutto giovani istruiti.[4]
Si stima che i migranti nel mondo siano 200 milioni, pari al 3% della popolazione mondiale di 6,5 miliardi di persone. Non c’è nessuna invasione (vedi). La stragrande maggioranza degli esseri umani rimane nel Paese d’origine. La migrazione è l’eccezione, non la regola.[5]
In Europa. “Nonostante la retorica ufficiale dia priorità alla migrazione economica. La più grande categoria migratoria singola nella stragrande maggioranza degli stati europei rimane il ricongiungimento familiare (vedi)”scrivono Castles e Miller. Nel 2004 questa forma migratoria costituiva oltre il 60% degli arrivi regolari in Francia, Italia e Svezia e circa la metà per Olanda e Germania. Gli ingressi per asilo politico o umanitarie erano al di sotto del 10% nella maggioranza dei Paesi.[6]
In Italia gli immigrati sono 5 milioni e 11 mila[7]. E’ la stima del Dossier Caritas/Migrantes 2012. Erano 4 milioni e 919 mila all'inizio del 2010 e 4.968.000 all'inizio del 2011. Si tratta di una crescita che ha molto rallentato il passo, a causa della crisi economica. Per un confronto, tra il 2005 e il 2008 la popolazione straniera residente è aumentata, in Italia, di 1.220.779 persone, passando da 2.670.514 residenti del primo anno considerato a 3.891.293 dell’ultimo. Si tratta di un incremento di ben il 45,7% nell’arco di un triennio.
Nel frattempo, però, centinaia di migliaia di persone hanno perso l'autorizzazione a rimanere in Italia, costringendo gli interessati al rimpatrio o al rifugio nel lavoro nero e sollevando la necessità di disposizioni in grado di temperare questa enorme rotazione. Nel 2011 sono scaduti, senza più essere rinnovati, 262.688 permessi di soggiorno. Sul fronte del lavoro nel 2010 si è fatta sentire la crisi: gli immigrati sono arrivati a incidere per un quinto sui disoccupati. E per la prima volta è diminuito il volume delle rimesse inviate nei paesi d'origine: -2,6%. Ma dall'altra non si è fermata la loro capacità imprenditoriale: 20 mila aziende in più nel 2010, il totale è 228.540[8].
Le donne costituiscono il 49,5% della popolazione immigrata. I minori figli di stranieri sono oltre 1 milione. (Tra il 1996 e il 2009 sono stati 257.762 i matrimoni misti (21.357 nell’ultimo anno, 1 ogni 10 celebrati).
Ripartizione territoriale. Il 35,8% degli immigrati è nel nord-ovest, il 27,6% nel nord-est; il 23,8% al centro; il 12,8% al sud e nelle Isole. I romeni si confermano prima collettività con 997 mila presenze (erano 968.576 nel 2010); seguono gli albanesi (491.495), i marocchini (506.369), i cinesi (277.570) e gli ucraini (223.782). .
Immigrati contribuiscono per il 12,1% del Pil.
L'imprenditoria immigrata fa dell'Italia uno dei paesi che piu' beneficia del contributo degli stranieri. Secondo una stima di fine 2010, negli ultimi 5 anni l'imprenditoria straniera e' cresciuta del 40%, con un totale di 435 mila imprenditori stranieri. I settori economici sono le costruzioni, il commercio e il manifatturiero.
Il notevole aiuto all'Italia. La popolazione immigrata è più giovane (32 anni, 12 in meno degli italiani), incide positivamente sull'equilibrio demografico con le nuove nascite (circa un sesto del totale) e sulle nuove forze lavorative, è lontana dal pensionamento e versa annualmente oltre 7 miliardi di contributi previdenziali, assicura una maggiore flessibilità territoriale e anche la disponibilità a inserirsi in tutti i settori lavorativi, si occupa dell'assistenza delle famiglie, degli anziani e dei malati. Secondo il Dossier Caritas/Migrantes 2011 i lavoratori immigrati al 1° gennaio 2011 sono 2 milioni 89 mila (dato Istat). Costituiscono un decimo della forza lavoro, sono determinanti in diversi comparti produttivi e rinforzano il mercato occupazionale per via di un tasso di attività più elevato, della disponibilità a ricoprire anche mansioni meno qualificate e della bassa competizione (almeno sul piano generale) con gli italiani.
Dati aggiornati al 2013:
Nonostante la crisi aumentano gli stranieri nel nostro paese, ma si tratta di una crescita contenuta che risente della crisi economica. Diminuiscono infatti gli ingressi per lavoro e aumentano i flussi di ritorno, per necessità più che per scelta. In totale nel 2012 gli immigrati regolari in Italia sono 5,186 milioni (175mila in più rispetto all’anno precedente). I dati sono contenuti nel “Dossier statistico immigrazione 2013” realizzato da Idos per Unar e presentato oggi a Roma. Il rapporto per la prima volta dopo 22 anni esce dall'area di Caritas italiana, che con Fondazione Migrantes presenterà il suo rapporto sull'immigrazione il 30 gennaio gennaio 2014.
Nello specifico, il dossier sottolinea che “l'Italia si è affermata come rilevante area di flussi soprattutto negli anni Duemila, ma anche nell'attuale periodo di crisi si continua a registrare un aumento dell'area straniera”; da poco più di tre milioni di residenti stranieri nel 2007 si è passati a 4.387.721 nel 2012 (dato Istat sui cittadini stranieri iscritti all'anagrafe e già censiti), pari al 7,4 per cento della popolazione complessiva. Nello stesso periodo i soggiornanti non comunitari sono passati da 2,06 milioni a 3.764.236 e, secondo la stima del Dossier la presenza regolare complessiva è passata da 3.987.000 a 5.186.000 (stima che rispetto al dato Istat prende in considerazione anche gli stranieri non ancora iscritti all'anagrafe), non solo per l'ingresso di nuovi lavoratori ma anche per via dei nuovi nati direttamente in Italia e dei ricongiungimenti familiari. Il dossier parla di un aumento “particolarmente contenuto” nel 2012: +8,2 per cento tra i residenti e di 3,5 per cento tra i soggiornanti non comunitari.
Per quanto riguarda la provenienza, prevale l'Europa al 50,3 per cento (nel 27,4 per cento dei casi si tratta di cittadini comunitari) seguita dall’Africa (22,2 per cento), dall’Asia (19,4 per cento),
dall’America (8 per cento) e dall’Oceania (0,1 per cento). Tra i non comunitari al primo posto ci sono gli immigrati provenienti dal Marocco (513mila soggiornanti), seguiti da Albania (498mila), Cina (305mila), Ucraina (225mila), Filippine (158mila), India (150mila) e Moldova (149mila). Tra i comunitari, invece, la prima collettività è quella romena (circa 1 milione).
Tra le aree di residenza continuano a prevalere le regioni del Nord (61,8 per cento) e del Centro (24,2 per cento), mentre le province di Milano e Roma, da sole, detengono un sesto dei residenti (16,9 per cento).
Secondo il dossier all’origine del calo dei flussi in entrata c’è la crisi economica
Immigrazione e criminalità
Non esiste una corrispondenza tra l’aumento degli immigrati regolari e l’aumento dei reati in Italia. A evidenziarlo è la ricerca del 2009 “La criminalità degli immigrati: dati, interpretazioni e pregiudizi” promossa dall’Agenzia Redattore Sociale e realizzata dall’équipe del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes, prendendo in esame dati dal 2001 al 2005 lo studio rileva che le denunce nei confronti degli stranieri sono aumentate del 46%, mentre gli stranieri sono cresciuti di più del 100%. Il tasso di criminalità degli immigrati regolari in Italia è leggermente più alto di quello degli italiani (tra l’1,2% e l’1,4%, contro lo 0,75%) ma, se si tiene conto della differenza di età, risulta uguale a quello degli italiani e addirittura inferiore tra le persone oltre i 40 anni, gli adulti italiani di 45-64 anni hanno una rilevanza penale ben più ampia rispetto ai coetanei stranieri (22,3% rispetto al 5,3%). Il coinvolgimento degli immigrati in attività criminose è fortemente legato alla condizione: il 70-80% dei denunciati – spiega la ricerca - è irregolare e un quarto dei reati riguarda la condizione stessa dell’immigrato.
I tassi di criminalità degli italiani e degli stranieri vengono effettuati sui dati delle denunce per cui l’autore è noto, delle persone in carcere o delle condanne definitive. È importante sottolineare che le denunce contro cittadini stranieri si riferiscono sia ai regolari (numero noto: residenti e possessori di permesso di soggiorno) che agli irregolari (numero ignoto). A questi vanno aggiunti gli stranieri di passaggio nel nostro paese, per motivi di turismo, di lavoro ecc. Non è possibile quantificarne il numero con precisione ma per il 2010 si parla di circa 72 milioni di persone (inclusi coloro che si trattengono un solo giorno senza pernottare, circa un sesto). Dal 2007 al 2010 (Dossier Caritas/Migrantes 2011) a fronte di un forte aumento dei residenti la percentuale delle denunce è scesa dal 35,2% a 31,6%.
Stranieri e carcere
Secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) riferiti al 29 febbraio 2012, sono 66.310 i detenuti reclusi nei 206 istituti di pena italiani, poco meno di un terzo, ossia 24.123 (di cui 1.168 donne) sono i detenuti non italiani.
Nel corso del 2011 sono stati 76.982 gli ingressi complessivi nelle carceri italiane, la maggioranza è costituita da uomini di nazionalità italiana, 43.677 contro 33.305 stranieri (43% del totale), nel 2008 gli ingressi dalla libertà di stranieri hanno rappresentato il 46% del totale. Nel 2011 si sono tolti la vita 21 stranieri detenuti (il 46,6% del totale dei suicidi in carcere).
In generale il reato più diffuso in carcere è quello contro il patrimonio, lo ha violato il 24,1% del totale dei detenuti (dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al 31 dicembre 2011), per gli stranieri prevalgono i reati connessi alla violazione della legge sulle droghe, oltre 12 mila reati nel 2011, i reati contro il patrimonio (oltre 9 mila), i reati contro la persona (7.455) e i reati la pubblica amministrazione (3.158). Inoltre più di 2 mila stranieri sono reclusi per violazione delle leggi sull'immigrazione e 859 per reti connessi alla prostituzione.
[1] Castles S. e Miller M. J., Op. Cit. pag. 114
[2] Centro studi e ricerche Idos (a cura di) 1951-2011 Le migrazioni in Italia fra passato e futuro, Edizioni Idos, Roma, gennaio 2012
[3] Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2010, Edizioni Idos, pagg. 23 e 24
[5] Castles S., Miller M. J., Op. Cit, pagg. 29 e 30. I Dati sono del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Unpd) riferiti al 2007
[6] Ibidem pagg. 137 e 138