L’attuale legge sulla cittadinanza, la n.91 del 1992 ha sostituito la legge regia del 1912, rimasta in vigore per 80 anni (il cui testo originale prevedeva ad esempio disposizioni sessiste come il fatto che solo il padre potesse trasmettere la cittadinanza). Secondo Clelia Bartoli, docente di Diritti Umani della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, la nuova legge “adotta una concezione della cittadinanza che si potrebbe dire nepotistica: hanno il diritto di diventare italiani solo figli, nipoti o coniugi di italiani. Mentre i bambini nati in Italia, figli di stranieri, sono stranieri, poiché vige ancora lo ius sanguinis”[1]. Inoltre un nodo fondamentale del sistema normativo italiano è che la cittadinanza per residenza non è un diritto ma una concessione. Quando si parla di cittadinanza bisogna tenere conto che la situazione più difficile è quella dei tanti figli di immigrati che hanno studiato in Italia e non hanno diritto di accedere alle professioni per le quali si sono formati o di partecipare alla maggioranza dei concorsi pubblici, perché sono interdetti agli stranieri. “I ragazzi di seconda generazione patiscono la discrepanza tra ciò che sentono di essere e come la legge li racconta, tra le parole a disposizione per definirsi e un’identità che in quelle parole, è proprio il caso di dirlo, non trova dirittto di cittadinanza- scrive ancora Bartoli - Ci vuole una nuova legge che faccia divenire la parola immigrato sinonimo di cittadino, anziché di straniero”[2].
In condizioni ancora peggiori si trovano i minori che arrivano in Italia piccoli o piccolissimi con i genitori o per i ricongiungimenti familiari: vivono e crescono in Italia, frequentano le scuole italiane, ma per diventare cittadini italiani dovranno seguire, a partire dai 18 anni, lo stesso percorso burocratico degli immigrati stranieri adulti.
Tra le tante voci che si sono levate affinchè la cittadinanza sia un diritto e non una concessone e recuperi il senso di legame civico e non di sangue, bisogna segnalare gli appelli del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in favore dei minori stranieri nati in Italia e, soprattutto, la campagna “L’Italia sono anch’io”.
Promossa da numerose associazioni[3], la campagna ha raccolto 200.000 firme (superando le 50mila necessarie) e ha presentato alla Camera il 6 marzo 2012 due proposte di legge di iniziativa popolare: una per la riforma della cittadinanza in favore dei nati in Italia da genitori stranieri (aggiornando i concetti di nazione e nazionalità sulla base di percorsi di studio, di lavoro e di vita) e una proposta di legge che riconosca ai migranti il diritto di voto nelle consultazioni elettorali locali, per i residenti regolari da oltre cinque anni. In passato non sono mancate le proposte di legge per riformare la cittadinanza, ma non sono mai passate (Né quella dei deputati Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Fli) nel 2009, né quella del senatore del Pd Ignazio Marino nel 2011).
La proposta di legge della campagna L’ITALIA SONO ANCH’IO propone sostanziali differenze sia per chi nasce in Italia da genitori stranieri, che per i minori nati altrove e arrivati al seguito dei genitori. Infine si prevedono importanti novità anche per chi intende diventare italiano da adulto, ossia per chi chiede la cosiddetta naturalizzazione[4]. Viene proposta la competenza dei sindaci nella procedura di attribuzione della cittadinanza, “avvicinando in tal modo le decisioni alle persone e alle comunità coinvolte”. La proposta introduce lo ius soli e prevede che chi nasce in Italia da almeno un genitore legalmente presente da un anno è Italiano. In secondo luogo prevede che siano Italiani i nati da genitori nati in Italia, a prescindere dalla condizione giuridica di quest’ultimi: un principio che va a risolvere situazioni paradossali di bambini che nascono da adulti nati in Italia e non italiani e riproducono una condizione di limbo ingiustificata. La proposta è che i bambini e le bambine, nati in Italia da genitori privi di titolo di soggiorno, o entrati in Italia entro il 10° anno di età, che vi abbiano soggiornato legalmente, possono diventare italiani con la maggiore età se ne fanno richiesta entro due anni. Un percorso che dà una certezza ai bambini e alle bambine di poter diventare cittadini una volta maggiorenni.
Castles e Miller sottolineano come “la storia della cittadinanza è sempre stata contraddistinta dallo scontro su quali siano i suoi veri contenuti, dal punto di vista dei diritti civili , politici e sociali. Tuttavia, la prima preoccupazione degli immigrati non è l’esatto significato della cittadinanza, ma come ottenerla , in modo da raggiungere uno status giuridico uguale, sulla carta, a quello degli altri residenti”[5]. I due studiosi distinguono 5 modelli di cittadinanza:
- Modello imperiale in cui tutti gli appartenenti alle diverse comunità sono sudditi di uno stesso potere.
- Modello tradizionale o etnico in cui la cittadinanza si basa sull’etnia (discendenza, lingua e cultura comuni) con l’esclusione delle minoranze.
- Modello repubblicano in cui prevale la comunità politica basata sulla Costituzione, con la possibilità di ammettere i nuovi arrivati a condizione che siano disposti ad adottare la cultura nazionale (assimilazione).
- Modello multiculturale. Come il precedente, la cittadinanza si basa sulla comunità politica e la Costituzione, ma se ne differenzia perché è possibile mantenere la propria cultura a condizione di adeguarsi alle leggi nazionali. È il sistema adottato negli anni Settanta e Ottanta in Svezia, Canada e Australia. Nei decenni seguenti c’è stato un allontanamento dal multiculturalismo.
- Modello transnazionale in cui le appartenenze vanno oltre i confini nazionali. È frutto della globalizzazione ma il rischio del transnazionalismo è che una grande fetta di potere politico ed economico finisca nelle mani di agenzie transnazionali che non sono soggette al controllo democratico.
Infine, i due studiosi angloamericani sottolineano “l’emergere di situazioni di quasi-cittadinanza” in cui l’immigrato è qualcosa di più che uno straniero e qualcosa di meno di un cittadino. È la condizione che si applica ai cittadini stranieri che sono residenti permanenti di un altro Stato. “La domanda a lungo termine è capire se gli stati democratici siano in grado di operare con successo quando la popolazione è diversificata in cittadini a pieni diritti, quasi-cittadini e stranieri– scrivono – Un importante fulcro di riforma è l’introduzione di misure che integrino le seconde generazioni nella comunità politica attraverso la cittadinanza per diritto di nascita o una più semplice naturalizzazione”[6]. Questo potrebbe dare vita, con il passare del tempo, a forme di cittadinanza transnazionale.
[1] Bartoli C., Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Editori Laterza 2012, pagg. 62-63
[2] Bartoli C., Op. Cit. pag. 68
[3] Comitato promotore: ARCI, ACLI, ASGI – ASSOCIAZIONE PER GLI STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE, CARITAS ITALIANA, CENTRO ASTALLI, CGIL, CNCA - COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ D’ACCOGLIENZA, COMITATO 1° MARZO, EMMAUS ITALIA, FCEI - FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA, FONDAZIONE MIGRANTES, LIBERA, LUNARIA, IL RAZZISMO È UNA BRUTTA STORIA, RETE G2 – SECONDE GENERAZIONI, TAVOLA DELLA PACE E COORDINAMENTO NAZIONALE DEGLI ENTI PER LA PACE E I DIRITTI UMANI, TERRA DEL FUOCO, UGL SEI, CARLO FELTRINELLI editore, GRAZIANO DELRIO sindaco Reggio Emilia (presidente)
Prime adesioni: REGIONE EMILIA ROMAGNA, REGIONE LIGURIA, REGIONE PUGLIA, REGIONE TOSCANA
[4] Testo tratto dai documenti contenuti nel sito www.litaliasonoanchio.it
[5] Castles S., Miller M. J. Op. Cit. pagg. 68-69
[6] Castles S., Miller M. J., Op. Cit., pag. 71
Cittadinanza, sono 40.223 i 'nuovi italiani' nel solo 2010 [1]
Sono 40.223 i procedimenti di concessione della cittadinanza italiana che, secondo i dati forniti dalla Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze del ministero dell’Interno si sono conclusi positivamente nel corso del 2010. Il numero delle concessioni è in linea con gli anni scorsi, facendo registrare rispetto al 2009 un +0,34% mentre i procedimenti che si sono conclusi negativamente sono in deciso aumento, essendo passati da 859 a 1.634 (+90,22%).
Analizzando i dati dal punto di vista del paese di provenienza dei 'nuovi italiani', il Marocco con 6.952 guida la graduatoria seguito da Albania (5.628) e Romania (2.929). Le istanze in itinere al 31/12/2010 risultavano essere 146.281.
I casi di cittadinanza sono passati dai 4mila l’anno degli anni Novanta ai 10mila dell’inizio degli anni 2000, agli oltre 40mila del 2010. Si legge su “Comunicare l’Immigrazione” che “il tasso di acquisizione della cittadinanza in Italia è tre volte più ridotto rispetto alla media europea e questo ha sollecitato l’esigenza di rivedere la normativa che nel 1992 portò da 5 a 10 anni il periodo di residenza richiesta per ottenere la naturalizzazione”.[2]
Nel 2011 sono state registrate 56.148 acquisizioni di cittadinanza [3] (nove su dieci relative a immigrati non comunitari). La più gran parte di esse (25.079) è stata ottenuta per lunga residenza e un’altra quota importante (14.744) per matrimonio. Per il resto, le acquisizioni hanno riguardato anzitutto i minori diventati italiani perché i genitori hanno trasmesso loro il diritto di cittadinanza, oppure persone nate nel nostro paese che, in possesso dei requisiti necessari, ne hanno fatto richiesta al raggiungimento della maggiore età. Tali categorie hanno ottenuto 10.013 riconoscimenti di cittadinanza, i minori circa 8.000 acquisizioni
Per quanto riguarda i matrimoni misti, nel 2011 sono stati 18.005, l’8,8 per cento di tutte le unioni celebrate nell’anno, quelli con entrambi gli sposi stranieri 8.612 (4,2 per cento)
La presenza dei minori e dei giovani stranieri in Italia indicatori di stabilità e radicamento:
La presenza di minori con cittadinanza straniera regolarmente residenti in Italia ha raggiunto nel 2011 un numero complessivo vicino al milione (993.238) con un incremento dal 2000 ad oggi pari al 332%.
Sono circa 80 mila (79.894) i bambini stranieri nati in Italia nel 2012 (il 14,9 per cento di tutte le nascite), cui si affiancano i 26.714 figli di coppie miste (il 5 per cento del totale). Nell’insieme, tra nati in Italia e ricongiunti, i minori stranieri nel paese sono oltre un milione: non comunitari sono 908.539 (il 24,1 per cento dei soggiornanti) e si può stimare che almeno 250 mila siano i comunitari. Lo sottolinea il dossier statistico immigrazione 2013 realizzato dal Centro studi e ricerche Idos per Unar.
Il rapporto sottolinea che nell’insieme i minori rappresentano oltre un quinto della popolazione straniera residente (il 22 per cento alla fine del 2010, di cui il 14 per cento con meno di 14 anni), a fronte di una quota che si attesta intorno a un sesto se si considera la popolazione complessiva (16,9% alla stessa data). Se si considerano poi i soli cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti all’inizio del 2013 (quasi 3,8 milioni), tra essi i minori sono invece poco meno di un quarto (24,1 per cento , pari a 909mila persone) e risultano lievemente in crescita rispetto all’anno precedente (23,9 per cento 868mila). “La loro presenza - sottolinea il dossier – è senza dubbio vantaggiosa per gli andamenti demografici italiani, e attesta i percorsi di radicamento familiare intrapresi dai migranti e, parallelamente, racconta di ragazzi e ragazze cresciuti (o che crescono) in Italia al fianco dei coetanei italiani, non sempre riuscendo ad acquisire un analogo status di cittadinanza”.
Da minori stranieri a «seconde generazioni»
Tuttavia, a partire da una situazione di sostanziale equilibrio tra i due gruppi all’inizio del decennio, la proporzione dei minori nati in Italia è straordinariamente cresciuta rispetto a quella dei minori e giovani immigrati dall’estero, ed essi costituiscono ormai il 71% del totale dei minori stranieri residenti[4].
Nel corso della XVI legislatura sono stati complessivamente presentati 19 progetti di legge alla Camera dei Deputati (14 dei quali sono stati unificati in un unico testo), e 9 al Senato della Repubblica, diretti a modificare la disciplina sulla cittadinanza prevista dalla legge 5 febbraio 1992, n.91.
Proiezioni future a livello nazionale:
tra il 2012 e il 2029 la popolazione italiana si avvicinerà a 64 mln di abitanti e i minori saranno quasi 10 milioni: di questi un minore ogni 5 sarà di origine straniera. Rispetto al totale dei minori residenti in Italia, la quota di minori stranieri passerà da un 9,7% attuale ad un 20,7.
Gli ostacoli quotidiani per un bambino non cittadino che vive in Italia:
- Per l’anagrafe è uno ‘straniero’.
- La scoperta di non essere italiano, pur essendo nati e vissuti in Italia, è molto dolorosa e traumatica durante il percorso di crescita
- Il minore è titolare di un permesso Di soggiorno temporaneo che viene rinnovato dalla famiglia, che lo fa percepire come temporaneo e ‘precario’ rispetto ai coetanei italiani.
- I lunghi tempi burocratici per il rinnovo del permesso causano problemi di inserimento scolastico. Se il permesso è in fase di rinnovo, il minore non può partecipare alle gite scolastiche all’estero con la sua classe.
- Il bambino può essere mandato via dall’Italia e sradicato dagli affetti in qualunque momento per perdita del lavoro dei genitori o risoluzione del contratto di affitto, in base alle leggi attuali. Nonostante la teorica ‘inespellibilità’ del minore, se è figlio di immigrati irregolari, qualora i genitori dovessero essere espulsi, il bambino non ha alcuna garanzia di poter restare in Italia, che considera il suo Paese.
[1] Fonte: il sito del ministero dell’Interno
[2] Lai- momo e Idos, Comunicare l’immigrazione. Guida Pratica per gli operatori dell’informazione, 2012
[3] Dossier Statistico Immigrazione 2013
[4] Fonte: il sito internet della campagna L’Italia sono anch’io
“I nati in Italia siano cittadini”
La stragrande maggioranza degli italiani, secondo l'Istat, la pensa così. Ma il 65 per cento ritiene che gli immigrati siano troppi.
(blog su un quotidiano nazionale 14 ottobre 2012)
Sette italiani su dieci dicono sì alla cittadinanza italiana per i figli degli immigrati nati in Italia, da riconoscere addirittura al momento della nascita. A voler spaccare il capello, è il 72,1 per cento che si dichiara favorevole a questo “ius soli” totale. A sostenerlo non è un sondaggino da quattro soldi, ma una complessa indagine svolta nel 2011 e diffusa ora dall’Istat, l’Istituto centrale di statistica, che ha analizzato un campione di 7.725 mila famiglie distribuite in 660 comuni del paese. Per ciascuna famiglia è stato intervistato un solo componente, estratto casualmente tra chi aveva un’età compresa tra i 18 e i 74 anni.
L’indagine, intitolata “I migranti visti dai cittadini”, ha peraltro messo in luce aspetti alquanto controversi della percezione italiana degli stranieri. Il 65,2 per cento degli intervistati, ad esempio, ritiene che gli immigrati siano troppi. E ancora: la maggioranza assoluta (55,3 per cento) pensa che “nell’attribuzione degli alloggi popolari, a parità di requisiti, gli immigrati dovrebbero essere inseriti nelle graduatorie dopo gli italiani”, mentre quasi la metà degli intervistati (48,7 per cento) condivide l’affermazione secondo cui “in condizioni di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli italiani” rispetto agli stranieri. […]
Ma se la società italiana è pronta ad accogliere come cittadini i nati nel nostro paese, la politica non lo è altrettanto. Il problema doveva essere all’ordine del giorno dell’aula della Camera da almeno due settimane, e invece langue in Commissione. […] Quanto a chi scrive, gli affezionati lettori di questo blog sanno bene come la penso. Sì alla cittadinanza alla nascita, a condizione però che almeno uno dei genitori sia da cinque anni in Italia in condizione regolare: un nuovo italiano deve nascere da una famiglia opportunamente integrata. O diventare italiano quando questi cinque anni di integrazione maturano, o quando lui stesso ha concluso un ciclo di studi (le scuole elementari, le medie) nel nostro paese. Ma lasciare la “generazione Balotelli” in balia dell’attuale legge 91 del 1992, che pretende che si trascorrano 18 anni senza interruzione nel nostro paese, prima di poter aspirare a diventare italiani, anche se si tifa Italia, si parla addirittura il dialetto, si conosce una sola bandiera, è qualcosa che somiglia molto da vicino all’incoscienza e alla perversione.
Riportiamo questo esempio come un buon articolo che, al di là del condividere o meno le opinioni personali dell’editorialista sullo ius soli e sul concetto di ‘integrazione’, spiega la complessità della questione e giustamente evidenzia questo aspetto come il dato più rilevante del sondaggio Istat ‘I migranti visti dai cittadini’.
Qui di seguito un altro articolo spiega la grande discrezionalità sulla concessione della cittadinanza, spesso non accordata per piccoli problemi e gli effetti devastanti sulla vita di chi si trova in questo limbo. Un terzo pezzo riporta alcuni commenti e reazioni alla storia.
Fadi, cittadinanza negata per una multa di sei anni fa
Un rifugiato palestinese, pizzaiolo a Ravenna e interprete di arabo per il Tribunale, si vede rigettare la richiesta in nome del pacchetto sicurezza. Per il Viminale “non ha raggiunto un grado sufficiente di integrazione”
(agenzia di stampa online nazionale, 22/09/2011)
RAVENNA – Il pacchetto sicurezza è entrato in vigore nel 2009 ma il Viminale lo applica in modo retroattivo nei confronti di un giovane rifugiato della Striscia di Gaza a cui ha mandato un preavviso di diniego per la richiesta di cittadinanza. Fadi Karajeh, 33 anni di cui 12 passati a Ravenna, “non ha raggiunto un grado sufficiente di integrazione che si dimostra anche attraverso il rispetto delle regole di civile convivenza” scrive un funzionario del Ministero dell’Interno. La sua colpa è una contravvenzione di sei anni fa, quando fu trovato oltre i limiti all’alcol test. Multa pagata, reato estinto e patente rinnovata per 10 anni. “Recenti disposizioni di legge e, in particolare la legge n.94/2009 mirano a rendere più efficace e incisiva l’azione di prevenzione della criminalità e di tutela della sicurezza pubblica, proprio con riferimento a reati del genere che destano allarme sociale e mettono a rischio l’incolumità dei cittadini”, si legge nella lettera arrivata al giovane palestinese ai primi di luglio. Karajeh resta in Italia perché gli è stato riconosciuto l’asilo politico, in che modo concedergli la cittadinanza minerebbe la sicurezza pubblica resta un mistero.
“Se non fossi ben integrato non farei l’interprete arabo per il Tribunale – dice Fadi - mi sento ingiustamente privato del diritto ad avere una cittadinanza. La condizione di incertezza mi logora. Convivo dal 2002 con una ragazza italiana che non posso sposare perché non risulta da nessuna anagrafe che sono celibe, se muoio non c’è un posto in cui rimpatriare il mio cadavere. Il mio babbo è morto e non sono potuto andare al suo funerale a Gaza, né ho potuto prendere la piccola eredità che mi ha lasciato”. In precedenza gli era stata rifiutata anche l’apolidia perché ha la nazionalità palestinese in linea di discendenza paterna, anche se l’Italia non riconosce giuridicamente l’esistenza di uno Stato in Palestina.
Fadi ha scritto al presidente Napolitano, all’Onu e al Consiglio d’Europa per protestare e ha chiesto al Viminale una nuova valutazione della sua richiesta. Non avere una cittadinanza vuol dire essere condannati a una vita di serie B. “Ho bisogno della tutela e dell’aiuto che con la Convenzione di Ginevra gli Stati aderenti intendevano garantire a chi per razza, come me, è costretto a vivere privato di diritti fondamentali e a sopravvivere in attesa di una svolta”, dice nel suo appello. Secondo il ragazzo palestinese, quello del Ministero dell’Interno è un abuso, “un eccesso di potere”, vista la sua condizione di rifugiato che integra il secondo principio che ispira la normativa italiana per la concessione della cittadinanza, ovvero le ragioni della solidarietà umana.
Cittadinanza, Beni (Arci): “Non si può equiparare il terrorismo all’alcol test”
Le reazioni alla storia della cittadinanza negata a un rifugiato palestinese, raccontata da…. Sarubbi: “Molti casi come questo”. Padre La Manna: “Un rifugiato non sceglie di venire in Italia, scappa”
(agenzia di stampa online nazionale, 22/09/2011)
ROMA - Al banchetto di firme per la campagna “L’Italia sono anch’io” sono tante le reazioni alla storia di Fadi, il palestinese che ricevuto un diniego per una multa, a causa del pacchetto sicurezza. “Non si può mettere il terrorismo alla pari di una multa per l’alcol test - afferma Paolo Beni, presidente Arci – cambiando la legge proponiamo di dare dei requisiti certi e togliamo la discrezionalità in mano al Ministero dell’Interno. La legge attuale è discriminante perché frappone quantità di ostacoli temporali e procedurali e di conseguenza discrimina sui diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione fra cittadini formali e cittadini sostanziali”. Il deputato Pd Andrea Sarubbi, firmatario di una proposta di modifiche alla legge bipartisan ma ferma da due anni in parlamento, parte dal caso di Fadi per farne una vicenda emblematica di tante altre storie sconosciute. “Nella mia esperienza ho sentito molte situazioni come questa e mi sembra che l’atteggiamento del Ministero dell’Interno sia quello di mettere ostacoli ai limiti del cavilloso – dice il parlamentare – sono molte le pratiche dimenticate nei cassetti. Al problema delle legge che fa acqua, si aggiunge la burocrazia. Ci sono mille motivi per non concedere la cittadinanza e se ne trova sempre uno nuovo, per una persona che fa richiesta tutto questo è scoraggiante”. […]