Coppia di fatto
Si chiamano coppie “di fatto”, in Italia, le convivenze non riconosciute giuridicamente. In quanto diverse dalle unioni “di diritto”, cioè matrimoniali, non prevedono i diritti e i doveri reciproci che riguardano i coniugi: alla coabitazione, all’assistenza materiale e morale, alla fedeltà.
Questo tipo di convivenze quando coinvolgono persone di sesso diverso sono chiamate anche convivenze more uxorio, cioè vissute come se si trattasse di un rapporto tra coniugi ma in assenza di matrimonio. E se ci riferiamo alle coppie omosessuali?
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010, ha definito l’unione omosessuale “come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.”
Le unioni di persone dello stesso sesso in Italia si qualificano come coppie di fatto perché non esiste alcun altro statuto giuridico che disciplini obblighi reciproci e diritti.
Le unioni di persone dello stesso sesso in Italia si qualificano come coppie di fatto perché non esiste per loro alcun altro statuto giuridico che disciplini obblighi reciproci e diritti. Non potendo sposarsi, per le coppie gay e lesbiche la convivenza non è una scelta o un’alternativa, ma un percorso obbligato. L’Italia è infatti l’unico paese in Europa, insieme alla Grecia, che non prevede alcuna tutela per le coppie omosessuali: né una disciplina delle unioni civili (o unioni domestiche, partnership domestiche, partnership registrate, unioni di vita, Pacs…)[1], né l’istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Il diritto delle persone omosessuali ad avere una famiglia e alla non discriminazione sulla base del proprio orientamento sessuale è sancito a livello europeo dalla Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo, dalla Carta di Nizza, nonché da diverse Risoluzioni del Parlamento Europeo. Con una sentenza del 15 marzo 2012, inoltre, anche la Cassazione italiana ha stabilito che le unioni omosessuali devono poter godere di un trattamento omogeneo a quello assicurato ai coniugati.
[1] M. Winkler e G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, Milano 2011, Il Saggiatore.
Coppia di fatto è un’espressione che rimanda quindi a situazioni diverse, potendo indicare tanto la scelta della convivenza senza matrimonio (tra persone di sesso diverso) quanto la costrizione alla convivenza in assenza di tutele e diritti (tra persone dello stesso sesso). Per questo, nel linguaggio giornalistico e politico, è una dicitura che tende ad alimentare i rischi di confusione e a favorire fenomeni di occultamento della condizione delle coppie omosessuali in Italia.
Lo stesso può dirsi della dicitura "unione civile", che rimanda nel panorama europeo a istituti molto diversi tra loro. Si va dal modello scandinavo, dove le leggi definiscono e tutelano le parnership tra persone omosessuali in forme del tutto simili al matrimonio (cambia solo il nome), ai Pacs francesi basati su un contratto tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso, alle unioni registrate tedesche riservate alle coppie omosessuali, simili ma diverse dal matrimonio sotto il profilo dei diritti e dei doveri.
Molto diversa è la disciplina dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Nei paesi in cui è riconosciuto a gay e lesbiche il diritto a sposarsi, il principale istituto di regolazione della vita familiare viene esteso alla componente omosessuale e le coppie sono non solo equiparate nei diritti e nei doveri, ma riconosciute uguali davanti alla legge sotto ogni rispetto (incluse per esempio le adozioni).
Quando in Italia il tema viene in discussione, per effetto di proposte di legge a livello nazionale e locale o di iniziative di rivendicazione da parte del movimento Lgbt, il linguaggio giornalistico spesso non aiuta a fare chiarezza nella materia. Sotto la veste di proposte che riguardano tutti – coppie eterosessuali e omosessuali – rischiano di scomparire i diritti negati a gay e lesbiche. Oppure, al contrario, il tema sotteso e politicamente ancor più controverso del matrimonio tra persone dello stesso sesso, temuto o auspicato come passo direttamente conseguente alla regolamentazione delle unioni civili, tende a sfocare i contorni sia sociali sia giuridici del problema.
Il discorso sulla tutela delle convivenze fuori dal matrimonio, se inserito sotto il cappello, tanto ampio quanto generico, dell’attribuzione di diritti alle coppie di fatto, può produrre quindi due effetti contraddittori: da un lato, trasformare velatamente lo scontro di opinioni in un pronunciamento pro o contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso, rimuovendo il fatto che, nelle proposte di legge discusse in Italia negli anni duemila, i diritti e i doveri connessi alle convivenze registrate hanno riguardato tanto le coppie gay quanto quelle etero; dall’altro lato, occultare o sbiadire, attraverso l’uso di una dicitura “neutra”, le diseguaglianze in fatto di diritti che intercorrono tra conviventi eterosessuali che scelgono di non sposarsi e conviventi omosessuali a cui ogni altra scelta è preclusa.
Questa distinzione è invece essenziale sotto il rispetto delle discriminazioni e dei diritti negati.
È importante quindi specificare nel discorso l’esistenza di unioni di fatto tra persone sia dello stesso sesso sia di sesso diverso e avere cura di distinguere le questioni di diritto che riguardano i due tipi di coppie. Lo stesso vale per l’esigenza di distinguere coppie di fatto, unioni civili (che ne rappresentano il riconoscimento giuridico) e matrimoni.
In assenza di un registro nazionale per le unioni civili, non è disponibile un dato ufficiale sulle coppie omosessuali stabilmente conviventi. L’Istat fornisce invece i dati relativi alle persone (senza distinzione di orientamento sessuale) che hanno sperimentato la convivenza fuori dal matrimonio[1]. Si tratta di quasi 6 milioni di italiani, oltre l’11% della popolazione d’età superiore ai 15 anni. I numeri maggiori sono rilevati nel Nord-est (16,7%), Nel Nord-ovest e nel Centro (13%). Minori sono le percentuali che riguardano il Sud (4,4%) e le Isole (8,5%). L’insieme di coloro che hanno vissuto una “libera unione” è costituito, nel 53,2% dei casi, da coppie che sono poi approdate al matrimonio, nel 30,3% da chi sta ancora convivendo e nel 25,2% da coppie che hanno convissuto senza sposarsi e hanno interrotto il rapporto.
Per quanto riguarda le coppie di persone dello stesso sesso, contro un luogo comune che le vorrebbe più precarie e meno orientate al futuro rispetto a quelle eterosessuali, una ricerca rivela che la grandissima maggioranza delle persone omosessuali desidera un rapporto stabile e che il 40-49% dei gay e il 58-70% delle lesbiche ha una relazione fissa, dove il valore massimo e il valore minimo corrispondono rispettivamente alla classe d’età più giovane (18-24) e meno giovane (35-39) del campione indagato[2]. Le convivenze sono più frequenti tra le lesbiche che tra i gay, nelle regioni settentrionali che in quelle meridionali, nelle grandi città che nei piccoli comuni, nelle classi più abbienti che in quelle meno abbienti, tra i praticanti che tra i non praticanti.
Secondo un’indagine Istat del 2012[3], la maggioranza della popolazione italiana (62,8%) è d'accordo con il riconoscimento alle coppie omosessuali di diritti pari a quelli delle coppie eterosessuali sposate. Il 43,9% l'approva l’introduzione del matrimonio omosessuale. Maggiore è invece la contrarietà nei confronti dell'adozione dei figli: solo circa il 20% è molto o abbastanza d'accordo con la possibilità che copie dello stesso sesso adottino un bambino
[1] Istat, Come cambiano le forme familiari, 2009.
[2] M. Barbagli e Asher Colombo, Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, il Mulino, Bologna 2007.
[3] Istat, La popolazione omosessuale nella società italiana, 2012.
Prendiamo il caso di un articolo con cui un quotidiano nazionale riporta la notizia dell’approvazione a Milano di un registro comunale delle unioni civili. Si tratta di un’iniziativa rivolta a conviventi sia dello stesso sesso che di sesso diverso, la cui portata è però destinata a misurarsi soprattutto sotto il rispetto della tutela delle coppie omosessuali. Nell’articolo, però, l’aspetto più dirompente del provvedimento resta inespresso, fino all’ultimo capoverso, quando emerge, attraverso le dichiarazioni politiche, il vero oggetto del contendere tra schieramenti opposti: i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Unioni civili, il sì dopo 11 ore «Ora ci sono maggiori diritti»
Il rispetto «Abbiamo fatto ciò che potevamo: è un passo avanti per una città che ha più rispetto per tutti» Approvato dal consiglio il registro delle coppie di fatto
[...] Per il ciellino Masseroli, capogruppo Pdl, «è un provvedimento ambiguo, perché non si capisce se vuole o no equiparare le unioni gay ai matrimoni eterosessuali, unico grande tema sotteso al dibattito». […]E se Cormio, uno dei cattolici nelle file dei democratici, liquida le divergenze nella coalizione arancione a «difformità nei confronti del programma elettorale che credo ci possano stare», è l' assessore alla Cultura Boeri a rilanciare. «Questo percorso sull' eguaglianza di genere va proseguito e accelerato, fino ad arrivare a una legge nazionale che riconosca libertà di matrimonio anche alle coppie gay».
(quotidiano nazionale, 28 luglio 2012)
Non mancano, all’inverso, i casi in cui, in tema di unioni e matrimonio, il discorso sulla rivendicazione di diritti e la non-discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale è stravolto attraverso il linguaggio e trasformato nella difesa di interessi di parte. Riportiamo un titolo che esprime con chiarezza questa posizione con la locuzione lobby gay, in cui lobby richiama l’esistenza di gruppi di pressione capaci di influenzare sotterraneamente il processo legislativo:
La lobby gay vince in Europa. Via libera a nozze omo
Il Parlamento di Strasburgo chiede il rinoconoscimento dei matrimoni omosessuali in tutti i Paesi. Attacco alla società tradizionale
(sito di quotidiano nazionale, 14 marzo 2012)
Molto evidenti in questo anche i termini del conflitto ideologico: nozze omo (che suona dispregiativo a causa di quell’abbreviazione) contro (attacco) società tradizionale, ovvero modello "tradizionale" di famiglia.
Ancora più esplicita la contrapposizione di modelli e di interessi nel titolo che segue, in cui si fa riferimento al basso numero di coppie omosessuali che si sono iscritte ai registri delle unioni civili:
I gay vogliono i matrimoni ma non usano le unioni civili
Le famiglie tradizionali tartassate dalla crisi
(sito di quotidiano nazionale, 8 giugno 2012)
Anche qui, ciò che viene suggerito è che l’intervento a favore di una minoranza sessuale rappresenti uno sforzo non solo inutile (perché gay e lesbiche non usufruiscono della possibilità che hanno ottenuto di regolarizzare il loro status di coppia), ma anche dannoso (perché distoglie l’attenzione rispetto ai bisogni delle famiglie tradizionali).