In ambito europeo è stata seguita una risoluzione del Consiglio d’Europa (n.1509 del 2006- Human Rights of Irregular Migrants) che dice di non usare l’aggettivo “illegale”, ritenuto poco consono a indicare una persona. Il glossario “Migrazione e Asilo” di European Migration Nerwork non contempla la voce ‘clandestino’, perché il termine più corretto è migrante irregolare. Emn spiega che la Commissione Europea utilizza solitamente nel contesto giuridico la locuzione: “cittadino di un paese terzo presente o soggiornante irregolarmente”. Nei documenti ufficiali, la Commissione utilizza il termine ‘irregular migrant’ in modo preferenziale rispetto ai sinonimi che si basano sull’aggettivo ‘illegal’. In lingua inglese, ‘illegal’ è usato quando ci si riferisce a uno status o a una procedura, mentre ‘irregular’ è riferito alle persone.
Oltre oceano questa è anche la battaglia civile portata avanti da Jose Antonio Vargas, giornalista statunitense di origine filippina che a giugno del 2011, in un articolo uscito sul New York Times Magazine e poi pubblicato da Internazionale, confessò di essere un immigrato irregolare e di aver falsificato i suoi documenti. Vargas ha lanciato una campagna contro l’uso della locuzione immigrato illegale. “È una definizione che disumanizza ed emargina le persone”, ha spiegato durante una conferenza sull’informazione online a San Francisco. La notizia è stata riportata ancora una volta dal settimanale Internazionale. “Vargas propone di sostituirla con undocumented worker, lavoratore senza documenti. Il New York Times e l’agenzia di stampa Associated Press, i due bersagli dichiarati della campagna di Vargas, hanno risposto che l’espressione illegal immigrant è corretta e neutra: si limita a rispecchiare una condizione giuridica di fatto- scrive Giulia Zoli - Ma si può dire che una persona è fuorilegge per il semplice fatto di essere entrata in un paese senza documenti? Potrebbe essere un rifugiato, o una vittima della tratta, o avere i requisiti per fare richiesta di asilo. Per questo a Internazionale ci sforziamo di evitare l'espressione “clandestino”, che ormai purtroppo è diventato quasi sinonimo di immigrato, e “illegale”. Preferiamo parlare di immigrati irregolari. Come ha detto Vargas, “illegali sono le azioni, non le persone, mai”.[1]
Quanto ha scritto Internazionale è corretto. Chi entra nel territorio sottraendosi ai controlli di frontiera commette la violazione di ingresso irregolare sul territorio dello Stato ma chi fa richiesta d'asilo non è perseguibile per questo. E’ una violazione dell'art. 10 bis del Testo Unico Immigrazione. Ma lo stesso articolo al comma 6 stabilisce che nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.
Immigrato irregolare, richiedente asilo, rifugiato non possono essere considerati sinonimi perché si tratta di condizioni giuridiche (status) diverse. “Tanto meno le persone che arrivano nel nostro paese irregolarmente possono essere accomunate sotto la definizione comune di ‘clandestini’, termine non solo fortemente connotato negativamente ma anche inesistente giuridicamente” è scritto nelle linee guida per l’applicazione della Carta di Roma. D’altro canto, però, nella cronaca informazioni come lo status giuridico andrebbero inserite solo se sono essenziali alla comprensione della notizia. Un richiedente asilo, in termini giuridici, non può mai essere considerato clandestino, anche se viaggia su un barcone senza documenti. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità o in maniera irregolare, attraverso i cosiddetti ‘flussi migratori misti’, composti cioè sia da migranti irregolari che da potenziali rifugiati.
“Essere sedentari – ha sottolineato il Relatore Speciale dell’Onu per i diritti umani dei migranti – è un’eccezione nella storia umana, confinata agli ultimi secoli. La migrazione è un’attività umana normale. Chi migra oggi non cerca visibilità, cerca anzi di nascondersi, di lavorare e mandare soldi a casa, dunque non rappresenta nessun rischio per la sicurezza”. Eppure gli stati, che hanno il compito di tutelare i diritti di tutti, anche in alto mare, “promuovono spesso una criminalizzazione dell’immigrazione irregolare, ovvero della più vulnerabile, e un eccezionalismo, che conducono a politiche irresponsabili e non supervisionate. Solo l’azione di tutela di magistrati e tribunali è riuscita a ridurre l’impatto di queste politiche”[2].
La normativa sui migranti irregolari attualmente in vigore si fonda sul “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (Decreto legislativo n.286/1998) così come è stato modificato dalla legge Bossi-Fini del 2002 e dai vari ‘pacchetti sicurezza’. Il contrasto all’immigrazione irregolare risale alla legge Turco –Napolitano (legge 40 del 1998) che introduce il “respingimento per ordine del questore” e la creazione dei Centri di permanenza temporanea (Cpt) in cui rinchiudere gli irregolari per 30 giorni. Un primo inasprimento delle misure contro i migranti irregolari c’è appena 4 anni dopo con la Bossi Fini (tra cui: rafforzamento delle espulsioni, prolungamento dei tempi di trattenimento nei cosiddetti Cpt, restrizioni numeriche nei flussi dei lavoratori stranieri per quei cittadini provenienti dagli Stati che non collaborano nel contrasto all’immigrazione irregolare). Questa legge ha istituito ad hoc la “Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere” per coordinare l’attività di frontiera nel contrasto all’immigrazione irregolare. Infine la Bossi-Fini esclude dallo strumento del “ritorno volontario assistito” proprio i migranti irregolari. Numerosi studi in diversi Paesi europei hanno evidenziato “che sono proprio i migranti irregolari espulsi a essere potenzialmente i più propensi a ripetere il tentativo di emigrare poiché il ritorno forzato viene percepito dal migrante e dalla comunità di origine come un fallimento che aziona il desiderio di tentare una nuova emigrazione nel Paese con cui si è già venuti a contatto”.[3]
La diretta conseguenza di un provvedimento di espulsione è il “ritorno forzato”. (vedi le voci rimpatrio e allontanamento). Mentre il “ritorno forzato” nel Paese d’origine rappresenta lo strumento per allontanare dal territorio nazionale l’immigrato irregolare e impedirgli il ritorno per un periodo di tempo (da 3 ai 5 anni), il respingimento si attua alla frontiera. (vedi)
Fino al 2009 la presenza dello straniero irregolare nel territorio italiano integrava una violazione punibile ai sensi della normativa amministrativa, mentre costituiva reato il favoreggiamento all’immigrazione “clandestina”. Il “pacchetto sicurezza” (legge 94/2009) per la prima volta introduce nell’ordinamento il reato penale di immigrazione illegale, che costituisce reato punibile con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da 5.000 a 10.000 euro. Inoltre lo status di irregolare costituisce un aggravante per altri reati. Il pacchetto aumenta la reclusione nei Cie (nuova denominazione dei Cpt) fino a sei mesi. Viene anche ridotto dal quarto al secondo grado di parentela il vincolo familiare con un cittadino italiano che impedisce l’espulsione dello straniero.
Quindi, in ambito di ‘sicurezza pubblica’ si introducono norme estremamente restrittive contro i migranti irregolari. Ecco un elenco[4] di quelle più significative introdotte della legge 94/2009:
- Introduzione del reato di ingresso e soggiorno non autorizzato che viene chiamato dalla stampa “reato di clandestinità”.
- Tutti i pubblici ufficiali ( a eccezione di operatori sanitari e insegnanti) con cui il migrante irregolare entra in contatto hanno l’obbligo di denunciarlo (ad esempio: postini, controllori dei mezzi pubblici, ecc..)
- Obbligo di dimostrare di avere il permesso di soggiorno valido per registrare la nascita di un figlio o per sposarsi.
- Obbligo ai fini del ricongiungimento familiare di certificazione da parte del comune dell’idoneità dell’alloggio, di cui però sono sprovvisti molti appartamenti del mercato privato.
- Pagamento da 80 a 200 euro per avere il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno.
- Legalizzazione delle ronde dei cittadini per la sicurezza.
- Prolungamento del tempo massimo di reclusione nei Cie fino a sei mesi. (Si arriverà a un anno e mezzo nel 2011, con la legge n.89)
- La reclusione da sei mesi a tre anni per l’affitto di un immobile a uno straniero privo di permesso di soggiorno
- Obbligo per i gestori di ‘money transfer’ di fotocopiare ( e conservare per 10 anni) il permesso di soggiorno dei loro clienti e segnalare alla polizia (entro 12 ore) i clienti sprovvisti di permesso.
- Espulsione immediata degli immigrati irregolari considerati pericolosi per ragioni di ordine pubblico, per la sicurezza nazionale o per il rischio di fuga.
- Allontanamento forzato anche per i cittadini comunitari che costituiscono un pericolo per la sicurezza pubblica.
Il quarto rapporto EMN Italia, curato anche dal Ministero dell’Interno, chiama in causa ancora una volta il ruolo dei giornalisti in questa stretta di vite sui diritti dei migranti irregolari. “Alcuni episodi di cronaca, che avevano visto il coinvolgimento diretto di cittadini stranieri, hanno contribuito a fare crescere nell’opinione pubblica un diffuso sentimento di ostilità nei confronti dell’immigrazione irregolare, facendo scaturire una serie di provvedimenti normativi di chiara impronta securitaria”, si legge nel rapporto.[5]
Le due norme più gravi introdotte dal pacchetto sicurezza del 2009 sono state cassate dai giudici: il reato penale di immigrazione irregolare e la norma che impediva agli irregolari di sposarsi.
Il primo è stato bocciato nell’aprile 2011 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza el Dridi) perché in contrasto con la “direttiva rimpatri” (direttiva 2008/115/CE) che prevede che l’espulsione di norma deve essere disposta con misure non coercitive e attraverso la partenza volontaria del cittadino straniero entro un periodo compreso fra i 7 e i 30 giorni, prorogabile. Il diritto europeo esclude che si possa sanzionare con la detenzione l’inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio nazionale nel termine prescritto. [6]
Invece la norma che voleva impedire i “matrimoni di comodo” con cittadini italiani per gli irregolari è decaduta per effetto di una sentenza della Corte Costituzionale (n.245 del 20 luglio 2011) che l’ha ritenuta incostituzionale perché precludeva il diritto al matrimonio, che è un diritto fondamentale della persona, a chi non è cittadino italiano. La Corte ha precisato che i diritti inviolabili sanciti dall’articolo 2 della Costituzione spettano “ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quando esseri umani”.
[1] Zoli G., L’immigrato copy editor, Internazionale n. 968, 28 settembre 2012
[3] EMN - Rete europea migrazioni, Quarto Rapporto EMN Italia, pag. 131
Le stime più accreditate risalenti alla fine del 2010 parlano di circa 443mila stranieri irregolarmente soggiornanti in Italia, meno di uno ogni dieci regolari. In Italia gli immigrati sono infatti 5 milioni e 11 mila[1]. E’ la stima del Dossier Caritas/Migrantes 2012. Sono oltre 3 milioni e 600 mila gli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia al 1° gennaio 2012 su un totale di 5 milioni di immigrati residenti. In questa categoria sono compresi tutti gli stranieri non appartenenti all'Unione europea in possesso di valido documento di soggiorno (permesso di soggiorno o carta di lungo periodo) e i minori iscritti sul permesso di un adulto.
A proposito di stereotipi, uno molto forte è quello di credere diffusamente che i migranti africani siano in gran parte irregolari. Alcuni dati del 21° Dossier Statistico Immigrazione curato dalla Fondazione Migrantes e la Caritas italiana aiutano a smentire questo pregiudizio. Pochi sanno che ad esempio la migrazione di giovani dal Camerun avviene prevalentemente per motivi di studio e in modo regolare. Nel 2011, si contavano 10.324 camerunensi in Italia, tra cui 4.865 femmine e 5.459 maschi. Circa il 70% dei camerunensi in Italia è studente o è arrivato per motivo di studio. Con una percentuale del 3,9% sul totale degli studenti stranieri in Italia, il Camerun si colloca alla quinta posizione dei paesi demograficamente più importanti dietro all’Albania, la Cina, la Romania e la Grecia.
Dal 2003 al 2009, come rileva il Dossier Statistico Immigrazione 2011, il numero dei laureati camerunensi in Italia si aggirava intorno a 1.250 unità. E nel 2009, 4,7% dei laureati stranieri erano di origine camerunense. Le principali università italiane frequentate dai camerunensi erano rispettivamente:
■ Politecnico di Torino (219 iscritti, con una percentuale di 6,7% sul totale);
■ Università di Parma (213 iscritti, con una percentuale di 15,3% sul totale);
■ Università di Bologna (205 iscritti, con una percentuale di 4,3% sul totale);
■ Università di Modena-Reggio Emilia (171 iscritti, con una percentuale di 18% sul totale);
■ Università di Torino (162 iscritti, con una percentuale di 5,1% sul totale).
Dall’anno accademico 2003-2004 all’anno accademico 2010-2011, gli ambiti di studio che hanno interessato i camerunensi erano rispettivamente[2]:
● Medicina (604 studenti);
● Scienze economiche e bancarie (516);
● Ingegneria dell’informazione (458);
● Scienze infermieristiche (380);
● Scienze farmaceutiche (186);
● Ingegneria industriale (177).
[1] Questo dato è tratto dalla Guida all’Informazione Sociale di Redattore Sociale
[2] http://www.africanouvelles.com/africains-de-la-diaspora/communautes-africaines/1750-limmigrazione-camerunense-in-italia-una-ricerca-analitica-di-raymond-siebetcheu.html