Lucciola
Dopo prostituta, lucciola è in Italia il termine popolare d’uso più frequente nel giornalismo di cronaca, sociale e di costume che tratta fenomeni connessi al mercato del sesso.
Lucciole sono le donne che esercitano la prostituzione sulle strade che, con i loro fuochi e i lumi che accendono nella notte nei luoghi in cui sostano, evocano la luce intermittente emessa in volo dall’animale notturno che porta lo stesso nome.
Famosa è la canzone degli anni ’20, "Lucciole vagabonde", che recita:
Quando più fitta l'oscurità/scende sulla città,/lucciole ansiose di libertà/noi lasciamo i bassifondi.
Senza una meta c'incamminiam/e sotto ad un lampion,/quando la ronda non incontriam,/cantiamo la canzon:
Noi siam come le lucciole,/brilliamo nelle tenebre,/schiave d'un mondo brutal/noi siamo i fiori del mal.
Se il nostro cuor vuol piangere,/noi pur dobbiam sorridere/danzando sui marciapiè/finchè la luna c'è.
Lontano dal valore dispregiativo di altri sinonimi popolari – puttana, battona, mignotta, zoccola, ma anche passeggiatrice, donna di strada, peripatetica… – il termine lucciola non è normalmente utilizzato a fini denigratori ma ha piuttosto un intento eufemistico, pittoresco o romantico.
“Lucciola” è anche il nome che si è data la rivista del Comitato per i diritti civili delle prostitute, scegliendo come logo l’animaletto luminoso.
“Abbiamo scelto lucciola”, spiega Pia Covre del Comitato, “perché era una parola meno stigmatizzata allora, c’era anche quella canzone, Noi siam come le lucciole… Però non volevamo nasconderci dietro la lucciolina, quindi quando si è trattato del nome dell’associazione abbiamo deciso di usare la parola prostituta per provocare, per dire cosa davvero eravamo. La gente si nasconde molto dietro la parolina lucciole per non pensare a ciò di cui davvero stiamo parlando”.
Proprio per questo, il termine può risultare adeguato o inadeguato,a seconda del contesto in cui ricorre. Se impiegato in un testo narrativo o descrittivo, di costume, non solleva problemi di correttezza comunicativa. Quel che si può rilevare è però una tendenza all’abuso della parola negli articoli di cronaca e nei reportage d’attualità sul mercato del sesso. È chiaro che il romantico lucciole produce un effetto stridente quando il discorso riguarda i circuiti di sfruttamento della prostituzione. Quando poi è utilizzato per parlare di lavoro sessuale, problematiche connesse al suo esercizio, rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso, finisce – anche nonostante le migliori intenzioni – per sminuire il valore dell’oggetto del discorso.
Lavoratrice e lavoratore del sesso, sex worker
Lucciole può risultare inadeguato in molti contesti, da sostituire quando possibile con le diciture lavoratrice/lavoratore del sesso e l’equivalente inglese sex worker, oppure con vittime di sfruttamento sessuale e vittime di tratta quando gli articoli e i reportage riguardano le forme di coercizione che colpiscono donne, uomini e persone transessuali costrette a prostituirsi.
Può un termine dal sapore romantico come lucciole trovarsi al suo posto in un’inchiesta sulla tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale e i guadagni che ne traggono le organizzazioni criminali? Eccone un esempio, il reportage pubblicato sul sito di un settimanale di informazione:
La fabbrica delle lucciole
Settantamila ragazze, una su due straniera e una su 5 minorenne, 9 milioni di clienti, un giro d'affari di 5,6 miliardi di euro all'anno. Sono i numeri dell'industria della prostituzione in Italia. Dietro c'è una costellazione di mafie internazionali che modificano continuamente flussi, piazze e sistema di alleanze.
(sito di settimanale, 16 febbraio 2012)
Fabbrica e lucciole si trovano unite in un accostamento che è quasi un ossimoro: da un lato la produzione massificata dello sfruttamento sessuale, dall’altro l’immagine delle lucciole sulle strade delle città italiane, un’immagine antica, precedente alla globalizzazione dei traffici e dei flussi. Veicolando un approccio allarmistico ed emozionale al mercato del sesso, puntando i riflettori sui fenomeni malavitosi che lo alimentano, il titolo dell’inchiesta avrebbe potuto impiegare, con maggiore coerenza, espressioni come sfruttamento sessuale, tratta, oppure – per esigenze di sintesi – fabbrica del sesso.
Il caso opposto, abbiamo detto, è quello in cui lucciola viene usato con l’intento di travestire la realtà – che si immagina troppo cruda – del lavoro sessuale:
Padova, le lucciole sfilano in corteo
Manifestazione di protesta contro l'ordinanza del sindaco che vuole multare i clienti automobilisti
(quotidiano nazionale, 17 maggio 2007)
Il termine compare qui nel titolo di un servizio dedicato alla rivendicazioni di diritti e alla manifestazioni di forza collettiva delle/i sex worker, con un effetto tanto stridente quanto quello notato nel primo caso.