Gli articoli che si soffermano troppo sulla nazionalità degli autori di reati incorrono nel grave rischio di ridurre intere comunità nazionali a etichette di criminali, ladri, rapinatori, stupratori e spacciatori, recando offesa a milioni di persone. Molti studi indicano che il fenomeno è stato così rilevante negli ultimi anni da creare una pericolosa classifica di gradimento delle nazionalità che ci piacciono di più e di quelle di cui diffidiamo sempre e comunque. La ricerca Minorities Stereotypes on Media (Mister Media) ha riscontrato l’uso massiccio della nazionalitàcome elemento identificativo dei soggetti coinvolti in casi di criminalità. I più citati nel 2011 sui mezzi di informazione sono stati nell’ordine: Tunisini, Marocchini, Libici, Ucraini, Romeni, Cinesi, Eritrei, Albanesi, Egiziani e Afgani. Questo dato dimostra che sono stati sovrarappresentanti i migranti provenienti dagli stati del Nord Africa rispetto agli europei dell’est, che invece sono maggiormente presenti in Italia. La ricerca spiega che ciò è avvenuto in concomitanza con gli avvenimenti della “primavera araba” e che ci troviamo davanti “a una sorta di valutazione sociale delle nazionalità”, un fenomeno di etichettamento e stereotipizzazione di una comunità.
Ovviamente a volte il dettaglio della nazionalità è essenziale, pertanto il dibattito sulla questione resta aperto. Il 24 novembre 2012 un quotidiano nazionale titola: Rossano, furgone travolto da un treno. Morti sei operai stagionali rumeni. Un’altra testata nazionale preferisce invece: Treno travolge ‘furgone’, sei morti in Calabria. Erano braccianti agricoli di rientro dai campi. È più corretto il primo titolo. Il fatto che si trattasse di lavoratori romeni sembra trascurabile nella notizia di un incidente stradale. Ma nella piana di Sibari, nel cosentino, dove si produce il 60% delle clementine italiane tra novembre e gennaio, lo sfruttamento della manodopera romena è intensivo. I furgoni carichi di lavoratori migranti sono la spia del lavoro nero, sono il mezzo di trasporto con cui i caporali prelevano sulle strade all’alba i lavoratori. Romeni e bulgari sono pagati un euro a cassetta e spesso assoggettati con minacce (“ti sparo”, “ti butto a mare”). Lavorano senza protezioni e non gli vengono versate le giornate lavorative all’Inps.
Ma in altri casi in cui i Romeni sono in cima alle cronache, l’insistenza sulla nazionalità è davvero discutibile. Un delitto commesso da un Romeno, da un Albanese o uno slavo, viene sempre descritto come efferato, quasi a indicare una sorta di propensione genetica e culturale alla ferocia. L’aggettivo deriva da “ex-fera” (belva), vuol dire “crudele, inumano”, letteralmente “oltre la bestialità”. Secondo alcuni autori, ci sono dei delitti che più facilmente di altri vengono definiti come “efferati”, quelli in cui ci sono vittime italiane di presunti assassini stranieri. Sono efferati l’omicidio di Giovanna Reggiani e quello di Vanessa Russo a Roma nella metropolitana, in cui Doina Matei, l’assassina con l’ombrello, giovane rom, è dipinta come un mostro. Al contrario quando a morire per futili motivi alla fermata della metro di Anagnina è una donna straniera, l’infermiera romena Maricica Hahaianu, uccisa da Alessio Burtone con un pugno, è diverso il trattamento riservato dai media all’assassino ( “L’italiano non aveva intenzione di uccidere”). Nel caso del senza tetto indiano Sing Navtebruciato a Nettuno da una banda di giovani balordi, non si parla di razzismo né di gesto efferato. La strage di Firenze degli ambulanti senegalesi da parte di un razzista di estrema destra non viene definita “efferata” (vedi Vu’ cumprà). Se poi un crimine efferato è commesso da italiani, come nella tragica storia di Sarah Scazzi, provoca sdegno. Ma se il colpevole è straniero, allora desta anche allarme sociale e l’interesse pubblico è massimo. Con l’effetto di estendere la colpa di uno a milioni di persone che con il reo condividono solo la nazionalità.
Questo meccanismo si chiama “etnicizzazione”. Si tratta di un “nuovo lessico razzista sotto mentite spoglie”, secondo gli studiosi Alberto Burgio e Gianluca Gabrielli che riprendono il sociologo francese Pierre André Taguieff. La parola razza è camuffata, si parla di etnia o cultura. Il neorazzismo teorizza l’incomunicabilità fra “culture” o “etnie” diverse (razzismo culturalista o differenzialista). La difesa della razza si trasforma nella difesa della singola cultura, che si ottiene con l'isolamento. Espressione del razzismo differenzialista è il rifiuto dell’immigrazione vista come invasione e come una minaccia per il benessere economico, la sicurezza e l’identità nazionale. Ne è un esempio il primo titolo L’invasione dei romeni.
Uno degli errori più frequenti è quello di confondere l’etniacon la nazionalità. Ad esempio: “Nella nave c’erano kurdi di etnia irachena”. Semmai bisognava dire “iracheni di etnia kurda”. Nel secondo esempio Un'etnia sempre in “cronaca nera” è da segnalare il grossolano errore presente nel titolo e nel sottotitolo, visto che i romeni non sono un’etnia, né tantomento esiste la razza romena o il dna romeno. Nel pezzo poi non c’è un solo dato o fatto concreto portato a sostegno del lungo elenco di crimini: rapine, truffe, prostituzione, clonazione di carte di credito, ecc. In entrambi gli articoli citati si confondono i rom (vedi) con i romeni.
Nella letteratura anglosassone il termine etnico si riferisce implicitamente anche alla maggioranza, (anche i «Wasp», i bianchi di origine anglosassone e di religione protestante, sono un gruppo etnico). Nella letteratura francese, italiana e spagnola, invece, il termine è spesso criticato, in quanto viziato dalla lente del pregiudizio, per la tendenza a giudicare gruppi diversi dal proprio, definiti come “etnie”, utilizzando i parametri della propria educazione. La parola etniae l’aggettivo etnico vanno adoperati con grande cautela e non con l’idea che ci sia una differenza “naturale” fra le persone. Le minoranze etniche non esistono di per sé, vengono definite così dai gruppi maggioritari e dominanti. Per questo etnia è ben diverso da “nazione”. Cucina etnica, ristorante etnico, gioielli etnici, abbigliamento etnico non li associamo mai a qualcosa di italiano o alla cultura maggioritaria, ma sempre a ciò che è “diverso”, “esotico”, con un significato simile a quello ottocentesco di “primitivo” e “barbaro”.
Le linee guida della Carta di Roma raccomandano al giornalista un uso della nazionalità più responsabile, soprattutto nella titolazione, e di evitare il sensazionalismo sulle nazionalità più o meno gradite.Non deve quindi stupire che l’articolo Business del sesso Le strade di Torino in mano a Tirana abbia suscitato le proteste dell’Associazione Carta di Roma per bocca della sua presidente Valentina Loiero, che ha scritto al direttore della testata. Come prima di lei aveva fatto un giornalista albanese, Benko Gjata.“A me sembra alquanto inopportuno etichettare con il nome della capitale del mio paese, – simbolo di identità per milioni di cittadini albanesi, di cui più di cinquecentomila residenti in Italia, – una o più bande di delinquenti, senz’altra patria che non quella della vergogna – ha scritto Gjata – Inopportuno, ad esempio, quanto lo sarebbe stato intitolare l’articolo dedicato allo scandalo ‘ndrangheta a Chivasso, – apparso lo stesso giorno – non ‘A Chivasso comandava la ‘ndrangheta’, ma ‘A Chivasso comandava la Calabria’, e nel testo dello stesso articolo, invece di ‘La ’ndrangheta tende i suoi tentacoli anche nel torinese”, proporre ai lettori ‘i Calabresi tendono i loro tentacoli…’, identificando così, erroneamente, il fenomeno mafioso con il territorio d’origine e i suoi abitanti”.
La tendenza riscontrata sui principali mezzi di informazione è quella di sottolineare la nazionalità solo quando gli stranieri commettono reati e non quando ne sono vittime. Come ad esempio, nell’edizione locale di un quotidiano nazionale, che il 16 giugno 2009 titola: Camorra, morte in diretta di una vittima innocente. Si chiamava Petru Birlandeanu ed era un romeno che sbarcava il lunario suonando la fisarmonica sui treni, l’uomo colpito alla stazione Cumana dai killer che hanno sparato all’impazzata sulla folla. Secondo un monitoraggio dell’Associazione Lunaria, in Italia dal 2007 al 2011 ci sono stati oltre 1.300 casi di razzismo e 16 morti a causa di azioni razziste. I moventi delle violenze o delle discriminazioni sono in gran parte le origini nazionali o etniche (817 casi), seguiti dai tratti somatici (226) e dall’appartenenza religiosa (173).
Il razzismo quindi non è scomparso e ritorna anche in espressioni frequenti nella cronaca come“forse romeni, avevano l’accento dell’Est, probabilmente albanesi, presumibilmente marocchino…”.Locuzioni di questo tipo indicano un’informazione non verificata o non verificabile, quindi inconsistente, e probabilmente infondata. Quindi non vanno usate. La storia giornalistica degli ultimi anni è piena di casi in cui delitti particolarmente riprovevoli sono stati addebitati a stranieri per poi scoprire che gli assassini erano italiani, ad esempio Novi Ligure e la strage di Erba.
In molti articoli di cronaca, i Romeni vengono ancora considerati erroneamente extracomunitari. Questo succede perché la parola non si riferisce più soltanto a una condizione giuridica (“che non fa parte dell’Unione Europea”) ma è una categoria di pensiero ormai lontana dal significato reale, che genera esclusione, con una forte connotazione negativa. Infatti non verrebbe mai definito extracomunitario uno svizzero o un americano, anche se tecnicamente lo sono. Nel 2011 il procuratore capo di Savona Francantonio Granero ha cancellato questa parola da tutti gli atti giudiziari con una circolare che chiedeva alla polizia giudiziaria la sostituzione di “extracomunitario” con altre espressioni non offensive nei confronti dei cittadini stranieri. “Termini come extracomunitario, il rumeno sarebbero espressioni di per sé neutre ma hanno assunto nel corso degli anni un significato discriminatorio – ha spiegato il magistrato – Per questo chiedo ai pubblici ministeri e agli agenti di utilizzare i termini persone migranti oppure cittadino di un determinato paese solo laddove questo risulti significativo per le indagini. Per il resto si utilizzino gli stessi termini che valgono per i cittadini italiani. Raramente del resto capita di leggere italiano investe un pedone o italiano sorpreso a spacciare stupefacenti in tale zona.”
Frasi fatte
“Probabilmente romeno, aveva l’accento dell’est…”
Il presunto romeno è un cliché dei giornali italiani, su cui è illuminante conoscere l’esperienza di Anca Mihai da corrispondente in Italia di un’agenzia di stampa romena. “Nei casi di cronaca dicono spesso ‘aveva l’accento dell’est’- dice - Si parte da qui e si arriva a ‘forse romeno’, ma in Romania leggono ‘un romeno ha ucciso…’ Mi chiedono di verificare se era romeno e quando non lo era la smentita non c’è mai. Non leggiamo mai: ‘abbiamo sbagliato non era romeno”. Queste congetture sull’origine nazionale rappresentano, per la Carta di Roma, ‘informazioni imprecise, sommarie e distorte’, quindi da evitare. Si tratta infatti nella maggiorparte dei casi di dispacci delle questure non verificabili e le locuzioni ‘presumibilmente’ e ‘forse’ accanto all’appartenenza nazionale non andrebbero mai usate.
“I romeni ci rubano il lavoro”.
Come ricorda Perrotta, “gli anni a cavallo dell’inizio del nuovo millennio hanno visto una robusta crescita della migrazione rumena in Italia, ma anche un fortissimo ciclo di espansione del settore edile, che ha attratto manodopera immigrata e che è stato da questa sostenuto nella sua crescita”[1].
Dunque, rispetto allo stereotipo, è vero esattamente il contrario: i romeni sono emigrati in massa in Italia perché il mercato del lavoro italiano richiedeva questo tipo di manodopera a basso costo. Perrotta è autore di una ricerca (Vite in cantiere )svolta sul campo, lavorando per alcuni mesi in un cantiere edile a Bologna con degli operai romeni. Nel suo libro, il ricercatore universitario esamina la condizione dei muratori romeni prima e dopo l’ingresso del loro Paese nell’Unione europea. Prima di essere cittadini neocomunitari, molti romeni sono stati sfruttati dalle ditte edili italiane a causa della mancanza del permesso di soggiorno. Questi lavoratori, sottolinea ancora Perrotta, trovavano occupazioni in nero, in condizioni peggiori rispetto agli altri muratori e “con il costante rischio di licenziamento senza giusta causa e di non vedersi corrisposta la paga pattuita”.[2]
“I romeni sono i peggiori, sono criminali”
Questo mito va sfatato innanzitutto con l’evidenza che “è chiaro che la migrazione dei rumeni è in primo luogo una migrazione di lavoratori – come afferma ancora Domenico Perrotta - Motivazioni legate all’impiego hanno portato in Italia i tre quarti dei rumeni presenti. I rapporti di lavoro regolari attivati nel 2007 da cittadini rumeni in Italia sono quasi 600.000. Si tratta per lo più di lavori faticosi e a basso status sociale: il 40% degli uomini lavora nell’edilizia, il 25% delle donne è impiegato nel lavoro domestico”[3]. Purtroppo questo stereotipo di grande diffidenza nei confronti dei rumeni è molto diffuso proprio a causa di un lavoro scorretto da parte dei giornalisti italiani, come testimonia la ricerca “Mister Media” (Minorities Stereotypes on Media) del 2011, secondo cui “l’uso diffuso della nazionalità come elemento identificativo dei soggetti coinvolti in casi di criminalità contribuisce alla costruzione di una classifica di gradimento delle varie nazionalità di cittadini stranieri presenti sul territorio italiano”[4].
A sostegno di un falso mito come questo vengono portati anche dati e statistiche. Il caso più celebre riguardante i romeni è una tabella del ministero dell’Interno diffusa nel 2007 sulle “prime tre nazionalità per numero di denunciati e arrestati per alcuni reati”, estrapolata dal Rapporto sulla criminalità in Italia pubblicato dal Viminale, che ben esemplifica il concetto della ‘graduatoria’ di nazionalità. Questa classifica è stata sbandierata da media e politici come la ‘prova’ della pericolosità sociale dei romeni. La tabella prende in considerazione 15 tipi di reato. I romeni sono sempre presenti fra le prime tre nazionalità e in molti casi sono al primo posto (ad esempio per omicidi volontari, violenze sessuali, furti di autovetture, rapine in casa, furto con destrezza). Con notizie di questo tipo, la responsabilità del giornalista nel favorire la coesione sociale lo deve spingere a una lettura molto attenta. In primo luogo, le cifre fornite dal Viminale non tengono in considerazione i denunciati italiani, ma solo gli stranieri. Secondo il giornalista Lorenzo Guadagnucci “questi dati –presentati così- sono quanto di più ovvio possa esservi: romeni, albanesi e marocchini sono i gruppi di immigrati più numerosi nel nostro Paese, e comparirebbero ai primi posti in qualsiasi tipo di rilevazione statistica: ad esempio sul numero degli stranieri occupati, o in possesso di un cellulare, o coniugati con prole…”[5].
In effetti, i romeni sono al primo posto anche tra i banchi di scuola. Nell’anno 2010/2011 si sono iscritti alle scuole italiane 711 mila alunni stranieri, pari al 7,9% della popolazione scolastica. La nazionalità più diffusa nelle classi è quella romena, con 126.452 alunni, seguita da quella albanese (99.205), dalla marocchina (92.542).[6]
Ma anche nel caso dell’imprenditoria straniera, queste tre comunità sono capofila. I quattro maggiori Paesi di provenienza dei titolari di impresa stranieri presenti in Italia sono nell’ordine Marocco (16,4% del totale), Romania(15,3%), Cina (14,7%) e Albania (10,4%)[7].
Altri dubbi sull’attendibilità della statistica del ministero dell’Interno sulla criminalità dei romeni emergono da alcuni dati ‘curiosi’ che non sono stati altrettanto esaltati dai media, ma che non sono sfuggiti all’occhio attento di Guadagnucci. “I primatisti nelle denunce per rapine in banca sono i tedeschi e per quelle negli uffici postali sono gli irlandesi – scrive il giornalista – Non sappiamo quale sia il significato di questa rilevazione, ma resta difficile pensare che in Germania vi sia una predisposizione particolare per i colpi in banca e che fra gli immigrati dall’Irlanda vi sia un’insana passione per quelli alle poste […] ma a nessuno verrebbe in mente di utilizzare queste rilevazioni statistiche per definire le caratteristiche degli stranieri arrivati in Italia dalla Germania o dall’Irlanda”.[8]
Per consultazione riportiamo qui di seguito la tabella in esame.
TAB III –Prime tre nazionalità per numero di denunciati e arrestati per alcuni reati 2007
[1] Perrotta Domenico, op. cit. pag. 9
[4] Mister Media, “L’immagine delle minoranze sulle reti televisive e radiofoniche nazionali italiane”, rapporto 2011, a cura del Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva e del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Sapienza Università di Roma
[5] Guadagnucci Lorenzo, Op. Cit. pag. 101
[6] Fonte: rapporto Ismu-Ministero dell’Istruzione "Alunni con cittadinanza non italiana 2010-2011, tratto dalla Guida all’informazione sociale
[7] A fine 2010 il numero totale dei titolari di impresa stranieri presenti in Italia è pari a 228.540, con un aumento di 19.712 unità rispetto all’anno precedente (+9,4%). Nel corso del periodo 2005-2010 il numero di imprenditori stranieri in Italia è quasi raddoppiato, con una crescita in termini assoluti di circa 20 mila all’anno . Fonte: 21° Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes, tratto dalla Guida all’informazione sociale.
[8] Guadagnucci Lorenzo, Op. Cit. pag. 101
Confrontiamo ora due brevi di cronaca che raccontano un fatto simile, ma nel primo caso il pirata della strada è un romeno e nel secondo un italiano. Vediamo il differente trattamento riservato sui giornali. Nel caso dell’italiano non si pone l’accento sulla nazionalità dell’autore del reato.
Nella breve che riguarda il romeno si sottolinea la ‘rabbia’ della gente nel paese delle vittime e si scava nel passato dei romeni per concludere che ‘non avevano precedenti penali’. Nella notizia sul giovane italiano senza patente (e forse ubriaco) che ha ucciso un carabiniere, invece, si legge che i genitori del pirata della strada erano “presenti in chiesa ai funerali del brigadiere dei carabinieri ucciso”.
Romeno senza patente distrugge famiglia
(quotidiano free press, edizione online, 7 febbraio 2010)
Si chiamava Roberto Palma e lavorava come muratore il padre di famiglia, di 41 anni, rimasto ucciso ieri sera in un incidente stradale causato da un romeno di 17 anni. Abitava ad Artena, paese a sud di Roma, con la moglie Laura, di 42 anni, e il figlio di 12 anni, entrambi rimasti gravemente feriti. Nel paese della vittima c'è rabbia e dolore per una famiglia distrutta, da tutti stimata. I due romeni, zio e nipote, senza precedenti penali, lavorano entrambi in un'impresa edile e abitano uno a Ladispoli, sul litorale romano e il secondo nel quartiere Bravetta, alla periferia di Roma. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri della stazione di Artena, la famiglia stava con tutta probabilità tornando a casa nel piccolo paese de Castelli Romani, a bordo della loro auto, quando il ragazzo ha fatto un sorpasso azzardato. Lo scontro frontale è stato violento e il furgone ha completamente distrutto l'auto nella parte anteriore. I ROMENI SONO FUGGITI Dopo lo scontro i due sono fuggiti a piedi ma sono stati rintracciati dai militari dell'Arma, uno alla stazione Termini e l'altro alla stazione ferroviaria di Labico. Entrambi sono stati arrestati per omicidio colposo, omissione di soccorso e il ragazzo anche per guida senza patente. Il diciassettenne ora si trova in un centro di prima accoglienza a Roma, mentre il suo connazionale è stato portato nel carcere di Velletri. […]
NUORO
Si è costituito il pirata della strada che aveva ucciso un carabiniere
Si tratta di Pietro Baragliu, 22 anni: guidava senza patente, non si è fermato al posto di blocco e ha investito il brigadiere paolo Corbeddu. E' accusato di omicidio preterintenzionale, resistenza e violenza a pubblico ufficiale
(edizione online di un quotidiano nazionale, 23 agosto 2012)
NUORO - Si è costituito il pirata della strada che nella notte tra lunedì e martedì ha travolto e ucciso il carabiniere 1Paolo Corbeddu a un posto di blocco vicino a Orune, in provincia di Nuoro. Pietro Baragliu, 22 anni, si è consegnato al capo della Squadra Mobile di Nuoro, Fabrizio Mustaro. Al giovane orunese, che guidava senza patente, è accusato di omicidio preterintenzionale, resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Baragliu era in compagnia dell'avvocato di fiducia della sua famiglia, Gianni Sannio, che sin dalle prime ore dopo la tragedia si era attivato con i genitori - presenti in chiesa ai funerali del brigadiere dei carabinieri ucciso - affinché si costituisse al più presto. Il giovane non si era fermato all'alt dei carabinieri investendo e uccidendo Corbeddu, 58 anni, sottuficiale di Oliena in servizio ad Orune. Guidava un'Audi A5 nera della sorella, ma non aveva la patente. Forse aveva bevuto e alla vista dei militari non si è fermato. Ora rischia una pesante condanna, anche per non essersi fermato a prestare soccorso con l'aggravante di non aver mai conseguito la patente.
Qui di seguito un articolo che ha fatto molto discutere e che ben rappresenta il clima di odio mediatico che si è scatenato contro i romeni quando la Romania stava per entrare nell’Ue. Oltre ad accusare la prima comunità di immigrati (quasi un milione) presenti in Italia di ogni tipo di nefandezze, non c’è un solo dato o fatto concreto portato a sostegno di questo elenco della vergogna. Non da ultimo, è da segnalare il grossolano errore presente nel titolo e nel sottotitolo, visto che i romeni non sono un’etnia, né tantomento una razza(vedi i termini corrispondenti), ma solo una nazionalità di cittadini europei.
Un'etnia sempre in «cronaca nera»
Hanno il monopolio criminale di clonazioni e prostituzione
È considerata la razza più violenta, pericolosa, prepotente, capace di uccidere per una manciata di spiccioli.
(quotidiano nazionale, 10 marzo 2006)
È capace di compiere truffe milionarie grazie all'alta conoscenza delle tecnologie. Non ha paura di nulla, disprezza anche la vita di donne e bambini che non raggiungono i dieci anni d'età. E si appresta addirittura a entrare nell'Unione europea. Sono i rumeni, sono i cittadini della Romania che da anni terrorizzano il nostro Paese. Persone che vendono sogni che poi si trasformano in schiavitù. Agiscono sempre in gruppi per riuscire a portare a termine le loro innumerevoli attività criminali: dalla prostituzione, alle rapine in villa, dalla clonazione di carte di credito all'immigrazione clandestina. E la loro capacità di compiere traffici illegali in Italia tanto redditizi ha fatto accendere le antenne ai «nostri» criminali, facendo nascere sul territorio nazionale veri e propri sodalizi italo-rumeni. La maggior parte dei rumeni che sono arrivati in Italia in maniera clandestina sono capaci di compiere sequestri di persona, rapine in villa, di vivere nell'ombra per gestire le prostitute connazionali fatte arrivare nelle più grandi metropoli con la promessa spesso e volentieri di fare la badante. È chiamato la «peste», e si pronuncia «pesce», il malvivente che sfrutta le ragazze dell'Est, le picchia, le violenta e le riduce in schiavitù. I rumeni sono anche degli ottimi acrobati, riescono a entrare nelle abitazioni arrampicandosi sulle pareti più difficili da scalare, con indosso spesso armi bianche: solo nei primi sette mesi di ques'anno sono stati infatti arrestati dalle forze dell'ordine 38 rumeni responsabili di rapine in villa. La mente criminale di questi banditi è però anche in grado di inventarsi sistemi tecnologici capaci di succhiare denaro dai conti correnti degli italiani. In diversi casi infatti, mediante una memoria installata nelle apparecchiature Pos di distributori di benzina e supermercati, servendosi della tecnologia Bluetooth, riescono a carpire i codici segreti di migliaia di carte di credito e bancomat che poi utilizzano per ritirare denaro in contanti, compiere acquisti oppure per realizzare false carte da distribuire in seguito ai connazionali clandestini nei diversi paesi europei. La donna rumena, quando invece riesce a non finire nelle mani dei «padroni», con la sua bellezza dell'Est riesce a incantare anziani ricchi e farsi sposare per ottenere la cittadinanza, e perché no, il conto in banca.
Ecco un altro esempio del fatto che ai romeni è stato attribuito qualunque crimine “di inaudita ferocia” capace di suscitare sdegno e riprovazione pubblica.
Abbandona un cucciolo con le zampe incastrate nelle scale mobili: romeno rischia il linciaggio
Prima il cane preso a bastonate e poi impiccato a via di Vigna Murata.Ora il bastardino abbandonato con le zampe incastrate nelle scale mobili dell’area commerciale della stazione Termini.
(quotidiano nazionale, edizione locale,18 giugno 2009)
Orrori dalla Romania che continuano a fare notizia per l’inaudita ferocia. Sono le 9 di ieri quando un pregiudicato romeno di 43 anni proveniente dal campo di Aprilia abbandona il suo cane con le zampe tra i gradini della scala e la piattaforma metallica per la discesa dei passeggeri. La povera bestiola ferita e dolorante tra le maglie metalliche e taglienti rischia di morire. Ma alcuni passanti contattano i carabinieri dello Scalo Termini che bloccano il romeno, intorno al quale, nel frattempo, si forma un capannello minaccioso di persone. Il cucciolo, soccorso dai militari e dagli addetti alla manutenzione interna di Termini viene visitato dai veterinari che riscontrano ferite e un copioso versamento ematico. Il meticcio viene affidato al personale del canile municipale. Il romeno viene denunciato per maltrattamento di animali.
Non si può dimenticare il caso dello stupro della Caffarella, noto con il nome del parco romano dove nel giorno di San Valentino del 2009 due stupratori abusano di una quattordicenne italiana che si trova insieme al fidanzatino. Per settimane vengono sbattuti in prima pagina i due romeni ritenuti subito colpevoli al di là di ogni dubbio: Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz, chiamati dai giornalisti ‘biondino’ e ‘faccia da puglie’. Il primo, un pastorello di 20 anni, arriva a confessare di averlo fatto “per dispetto” e chiama in causa Racz, 36enne, che scappa da Roma e si rifugia in un campo di rom a Livorno, dove viene arrestato. I due sono anche riconosciuti dalla vittima e condannati sui media ben prima di un qualunque processo. A scagionarli, dopo tre settimane, arriva la prova del Dna. Isztoika ritratta la confessione , denunciando “violenze e pressioni psicologiche” da parte delle forze dell’ordine. Infine si arriva a individuare i veri autori della violenza sulla giovane minorenne, altri due romeni Oltean Gavrila e Jean Jonut Alexandru. Le loro condanne sono ormai definitive: il primo sta scontando 11 anni e 4 mesi per la Caffarella e per un altro stupro compiuto il 18 luglio del 2008 a Villa Gordiani (periferia est di Roma); il secondo è stato condannato a 6 anni.
La logica doveva indurre i cronisti a chiedersi come mai Loyos abbia confessato un reato non commesso e abbia tirato in ballo un’altra persona. Tra i primi accusati e i veri autori del crimine non esisteva alcun rapporto. È stato un errore di polizia e giudiziario. In un articolo di Sara Menafra su Il Manifesto del 29 aprile 2009 parla Francesco Taurisano, il presidente del Riesame che li ha scagionati dopo la prova del dna.Quando la giornalista gli chiede com’è potuto succedere un errore del genere, questa è la risposta del magistrato: “Credo che sia stata la forte attenzione sociale a innescare la miccia. C’erano due vittime giovani, aggredite in un parco pubblico in pieno giorno. Poi, l’idea che i colpevoli fossero due rumeni ha completato il piatto servito all’opinione pubblica. Oggi credo che ciascuno nel proprio ambito debba fare una riflessione autocritica”.
Taurisano arriva a paragonare Isztoika e Racz a Sacco e Vanzetti, “considerando le differenze di epoca e di contesto, almeno dal punto di vista di una giustizia nata sulle pagine della stampa. Anche loro immigrati.
Sì, immigrati che fanno paura”. E c’è un altro passaggio importante di questa intervista su cui riflettere. Taurisano dice nel 2009 che “Questi due individui sono stati presentati alla memoria sociale del paese come i due del parco della Caffarella. Credo che qualcuno dovrà risarcirli del danno che hanno avuto”.
Ma se si cercano le parole “stupro Caffarella” su Google news, ancora nel 2012 le prime 7 notizie che compaiono sono quelle su Isztoika e Racz, solo l’ottava, a fine pagina, riporta le condanne dei veri responsabili.
Su questo caso sono state scritte pagine e pagine. Qui presentiamo un articolo in cui, anche davanti al test del dna che ha scagionato Isztoika e Racz, si tende a considerarli comunque colpevoli, non solo da parte degli inquirenti (“restano in carcere”), ma anche da parte dell’autore del pezzo (Non saranno stinchi di santo, visti i precedenti penali in Italia e in Romania). Nonostante l’errore giudiziario ormai evidente, il giornalista scrive l’articolo appiattendosi sul punto di vista della questura.
IL 20ENNE DEVE SPIEGARE PERCHÉ AVREBBE DECISO DI ADDOSSARSI LA COLPA
Il rebus dello stupro della Caffarella: dalla confessione al Dna che non torna
La procura crede ai dettagli raccontati dal più giovane, i test la smentiscono. E uno resta dentro senza elementi
(quotidiano nazionale, 5 marzo 2009)
ROMA — Da un lato ci sono i riconoscimenti fotografici e una confessione ritrattata, sebbene ricca di particolari. Dall'altro il test del Dna. «Questo è ciò che abbiamo raccolto e che sottoponiamo al giudice», dice il questore di Roma. D'accordo coi magistrati della procura. Nel frattempo i due romeni Alexandru Loyos Isztoika e Karol Racz, accusati dello «stupro della Caffarella» ma scagionati dagli esami di laboratorio, restano in carcere. Come se le prove raccolte con un'indagine «tradizionale e vecchia maniera», fin troppo celebrata all'indomani degli arresti, valessero più della prova scientifica. Definita «prova regina» dagli stessi investigatori, ma improvvisamente declassata. Nel dubbio, la procura non solo non libera gli indagati, ma sottoscrive un comunicato congiunto con la questura per dire che nulla cambia, giacché tutto s'è svolto secondo le regole. Cosa certamente vera, ma altrettanto certamente — secondo l'esame del Dna — Isztoika e Racz non sono gli autori della terribile violenza inflitta a una ragazzina di 15 anni. Non saranno stinchi di santo, visti i precedenti penali in Italia e in Romania, ma qui si parla dello stupro commesso al parco della Caffarella nel pomeriggio di San Valentino, non di altro. La posizione di Racz E se può forse trovare una giustificazione la perdurante galera per Isztoika «il biondino», in attesa di capire perché ha confessato qualcosa che non ha commesso con tanta dovizia di dettagli, per Racz sembra proprio di no. Anche lui è stato riconosciuto in foto dalla vittima della violenza e dal suo ragazzo, ma prima avevano indicato un'altra persona risultata estranea. L'elemento decisivo contro «faccia da pugile» è la «chiamata» (poi rinnegata) di Isztoika, che ha tirato fuori dal cilindro un nome al quale la polizia non pensava nemmeno lontanamente. Contro, ancora una volta, i risultati di laboratorio. Possono avere lo stesso peso due elementi così diversi, tanto inspiegabile il primo quanto inoppugnabile il secondo, e nel dubbio prevalere il primo sul secondo? […] Per quanto si sono aggrovigliate le cose, infatti, il mistero di un'indagine che sembrava chiusa e invece s'è improvvisamente riaperta è racchiuso proprio nel comportamento di Isztoika. La polizia nega le «violenze e pressioni psicologiche» denunciate dal «biondino» al momento della ritrattazione. E il giudice che ha firmato l'ordinanza di carcerazione le ha definite «del tutto inattendibili ». Quanto al periodo in cui, la sera del fermo, Isztoika è rimasto con gli agenti della polizia romena, ad osservare quello che dicevano e facevano c'è sempre stato anche un ispettore della questura. Il quale ha riferito che non c'è stato alcun maltrattamento. In assenza di altri sospetti, e con la videoregistrazione del successivo interrogatorio, sarà difficile dimostrare che la confessione è stata estorta. Il rebus della confessione La polizia difende il suo lavoro e continua a considerare genuina (anche se s'è dimostrata non veritiera) l'autoaccusa del «biondino». Perché l'ha fatta? E come faceva a conoscere dettagli che non si trovano nemmeno nei verbali raccolti fino a quel momento? Alla domanda su come avesse approcciato la ragazzina violentata, Isztoika ha risposto di averle detto: «Ciao, bella». Subito i poliziotti hanno chiamato la vittima a casa, e lei ha riferito di ricordare l'espressione «bella». È un particolare, ma come questo ce ne sarebbero altri. Che portano gli investigatori a ipotizzare addirittura la presenza del romeno al momento dello stupro commesso da altri; oppure che sappia cose riferitegli dai veri autori, che poi avrebbe coperto con la sua confessione. Di qui l'eventualità che l'accusa di violenza sessuale possa modificarsi in «concorso» in quel reato o in favoreggiamento, oltre alla calunnia e autocalunnia. Scartate le percosse, per sciogliere un rompicapo apparentemente irrisolvibile gli investigatori le stanno pensando tutte. E gli inquirenti hanno deciso di attendere il giudizio di altri magistrati. Lasciando in galera almeno una persona (romena, ma la circostanza dovrebbe essere irrilevante) che secondo la «prova regina» non ha commesso lo stupro di cui è accusata
Un ultimo esempio riassume tutta la questione dell’allarme romeni che alla stregua di un ‘mamma li turchi’ ha imperversato sui media italiani a ridosso dell’ingresso della Romania nell’Unione europea. Anche qui i romeni diventano erroneamente un’etnia, inoltre si confondono rom e romeni. A differenza dell’articolo dal titolo ‘Un’etnia sempre in cronaca nera’, qui si parte da alcune indagini giudiziarie reali ma l’esito è identico: montare il ‘caso’ dell’emergenza romeni. Viene richiamata la famosa tabella dei 15 reati del ministero dell’Interno, che abbiamo già smontato alla scheda “Frasi fatte” (leggi). Il punto di vista, anche in questo caso, è totalmente appiattito su quello del Viminale e risulta troppo sbilanciato nella tesi ‘antirumena’. Manca invece quasi del tutto (una sola riga senza dati) l’informazione dell’importante contributo dei romeni in alcuni settori fondamentali dello sviluppo economico italiano come l’edilizia. Non è citata la loro presenza in casa come assistenti familiari per gli anziani, né il grave e documentato sfruttamento al quale sono sottoposti dai datori di lavoro italiani nei cantieri e in agricoltura. Il pezzo è molto lungo. Ne riportiamo alcuni passaggi.
L'invasione dei romeni
In Italia sono un milione. Con un primato criminale che fa paura. Così l'ingresso di Bucarest in Europa è diventato un'emergenza
(settimanale nazionale, 20 luglio 2007)
Sì, conosco i rischi del mestiere, me li assumo. Meglio guadagnare 500-1.000 euro in cinque minuti, che alzarsi ogni mattina per andare a lavorare per mille euro... I soldi, tanti e subito, invece di sbattersi 30 maledetti giorni, per lo stipendio medio di un operaio Fiat alla catena di montaggio. La filosofia di vita del giovane Petrica è questa, esternata al telefono con un'amica. Lui, romeno di 26 anni, non sapeva di essere intercettato dalla polizia postale di Milano. Né tanto meno, martedì 11 luglio, se l'aspettava di essere arrestato, insieme ad altri nove connazionali, per l'indagine del pm di Cagliari Luca Forteleoni. Ma il gioco valeva la candela: con le carte di credito clonate ci si può permettere la bella vita, hotel, ristoranti e vestiti firmati Armani. Petrica era in Italia da tempo. E' solo la punta di lancia di un esercito di romeni giunti nella penisola, buoni o cattivi, volenterosi o sbandati, convinti di farcela o di darsi alla delinquenza. Tra regolari e irregolari oggi i romeni si aggirano tra gli 800 mila e il milione. Una massa di manovra che crea insicurezza, paura. Se, in base a recenti statistiche, il 42 per cento degli italiani percepisce un pericolo dagli immigrati l'etnia romena è in prima fila. E' un pericolo indotto dall'ingresso, dal primo gennaio 2007, di Bucarest nell'Unione europea. Aumentano le folle in cerca di un qualunque lavoro, quello che si trova, anche in nero. Aumentano gli sbarchi dei rom che a Roma e Milano sono ormai un problema quotidiano, vissuto sulla pelle di chi viene scippato perfino da ragazzini sotto i 14 anni, non imputabili. Certo, tutti gli immigrati, romeni compresi, sono una risorsa, danno un contributo alla crescita dell'economia. Ma a spaventare sono le fredde cifre della criminalità, rese note a fine giugno dal rapporto del ministero dell'Interno: 450 pagine di grafici e tabelle che condensano, mettendola a nudo, quella 'percezione di pericolo'. I romeni sono in testa in ben sette su quindici tipi di reati denunciati e commessi da stranieri nel periodo 2004-2006: dagli omicidi (15,4 per cento) alla violenze sessuali (16,2), dai furti d'auto (29,8) o 'con destrezza' (37) alle rapine nelle case (19,8) o nei negozi (26,9) fino alle estorsioni (15). Sono dati che fanno riflettere. Per tante ragioni. Marzio Barbagli, docente di Sociologia a Bologna, nonché coordinatore scientifico del dossier del ministro Giuliano Amato, dice a……: "Oggi i romeni sono la prima nazionalità per numero di presenze in Italia". Di più:costituiscono il 12 per cento degli stranieri regolari. Eppure nei sette casi appena citati battono tutti i record. Aggiunge il professor Barbagli: "Sa che cosa preoccupa di più? Il fatto che molti di quei delitti portino la sigla di chi irregolare non è, ha un permesso di soggiorno". Insomma, è un primato dopo l'altro. Stracciato anche quello degli espulsi tra il 1998 e il 2006: 60 mila, davanti ad Albania (50 mila) e Marocco (24 mila). Se si guarda anche ai romeni soltanto 'rintracciati', ma non necessariamente poi cacciati, si sfiora quota centomila nel triennio 2003-2006. Sono numeri inquietanti, che danno il senso della rivoluzione strisciante, da Nord a Sud. Così, si sa che al 13 luglio, secondo dati dell'amministrazione penitenziaria, sono 2.304 gli ospiti romeni nelle carceri italiane, su un totale di 15.848 stranieri, ovvero quasi il 15 per cento. Una soglia di guardia. E non è una coincidenza che proprio il giorno prima, giovedì 12, il presidente del Consiglio Romano Prodi abbia ricevuto il suo omologo di Bucarest Calin Popescu Tariceanu. Al centro dei colloqui l'emergenza sul fronte immigrati. Con un primo provvedimento concreto: nove poliziotti trasferiti a Roma, pronti a collaborare con i loro colleghi italiani. Sì, ormai siamo a una sorta di 'codice rosso', un livello che richiede interventi urgenti al Nord, ma anche al Centro, dove si concentra la maggior parte dei crimini. E dove le bande romene hanno soppiantato gli albanesi una volta padroni incontrastati delle piazze lombarde e piemontesi. […] Il documento del ministero dell'Interno dedica ampio spazio ai furti di rame nel 2006: centinaia di tonnellate rubate soprattutto nei magazzini delle ferrovie dello Stato. In aprile i carabinieri di Verbania hanno sgominato un gruppo di sei romeni, autori di incursioni nelle province di Torino, Alessandria e Novara. In un altro caso, in un campo nomadi vicino a Torino sono finiti in manette altri cinque romeni. Giovanotti ingegnosi che utilizzando macchine sofisticate erano riusciti a sguainare cavi elettrici per estrarne 15 preziose tonnellate di metallo. […] Preoccupazioni. Ansie. Rilanciate dalle nuove realtà metropolitane: i rom. […] Rom. Romeni. Criminalità in forte ascesa. Eppure Roma è lontana. […] La palla torna dunque al governo Prodi. Farà qualcosa? Oppure i Petrica continueranno a puntare sull'Italia, dove clonando un bancomat si guadagnano cinquecento-mille euro in cinque minuti?
A questo punto è interessante segnalare due casi di titoli che sono stati modificati perchè discriminatori dopo la segnalazione fatta alle redazioni da parte di Miruna Cajvaneanu, giornalista e attivista romena, sulla base della regola deontologica giornalistica contenuta nella Carta di Roma che dice di non fare riferimento alla nazionalità di una persona se quel dettaglio non è rilevante nell'ambito di quella notizia.
Questo era il primo titolo pubblicato:
Ladri romeni arrestati a Porto d'Ascoli
Avevano rubato parmigiano e scarpe in centro commerciale
(agenzia di stampa nazionale, 20 ottobre 2013)
Ecco come è stato modificato dopo la segnalazione:
Ladri arrestati a Porto d'Ascoli
Avevano rubato parmigiano e scarpe in centro commerciale
(agenzia di stampa nazionale, 20 ottobre 2013)
Di fatto l'agenzia di stampa ha riconosciuto la correttezza della segnalazione.
Un altro caso riguarda una testata locale. Scrive la giornalista romena: "dei cittadini romeni sono rimasti gravemente feriti in un incidente d'auto. Il titolo, completamente inadeguato e capace di alimentare pregiudizi, iniziava così: "Romeni ubriachi". Nel testo si parlava di una delle vittime "rigorosamente senza documenti", un altro facile e sbagliato pregiudizio. Nessuna fonte ufficiale che indicasse il tasso alcolemico. Ho scritto alla redazione, chiedendo la modifica del titolo e della parola "rigorosamente" fuori luogo".
Questo era il primo titolo pubblicato:
Romeni ubriachi in auto contro albero: motosega per liberarli
Erano in 3 dentro una Citroen Saxo: due sono usciti dalle lamiere strisciando, il terzo col femore spezzato è stato estratto dai vigili del fuoco e dagli operatori del «118» muniti di sega elettrica e tenaglie
(testata online locale, 3 novembre 2013)
Dopo la segnalazione, è stato modificato:
Ubriachi in auto contro albero: sono vivi