Gay
Gay è un aggettivo inglese che significa propriamente “gaio, allegro”, ed è usato in italiano sia come sostantivo sia come aggettivo per indicare gli uomini (più raramente le donne) omosessuali.
A differenza di omosessuale, che è un termine appartenente al linguaggio medico-scientifico, gay si è affermato nel linguaggio a partire dall’attivismo dei movimenti per i diritti. In questo senso, è l’aggettivo più adeguato a definire identità sociali ed espressioni culturali: letteratura gay, cinema gay, locale gay, manifestazione gay ecc.
È da notare però che in Italia il movimento delle donne omosessuali ha preferito storicamente la parola "lesbica" a gay, in quanto presunto universale che nasconde in realtà una declinazione al maschile e rimuove così l’esistenza delle donne (vedi Lesbica). In molti casi, dunque, è più adeguato parlare, sia negli usi sostantivati sia aggettivali, di gay e lesbiche, o di Lgbt.
Secondo un classico processo culturale noto come “rovesciamento dello stigma”, gay si è diffuso originariamente con un significato peggiorativo e dispregiativo, per essere poi assunto e dotato di un nuovo significato dal gruppo stesso colpito dal biasimo e dalla discriminazione sociale.
In inglese, nel Settecento il termine designava il libertino, mentre nell’Ottocento assunse una carica dispregiativa, divenendo sinonimo di “lussurioso”, “depravato”. In questo significato era riferito anche alle donne: gay women erano le prostitute (donnine allegre). Tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, si diffuse negli Stati Uniti con il significato di “omosessuale”. Significato che ha mantenuto fino ad oggi, ma con un cambiamento di segno nell’uso. Mentre prima degli anni ’60 era utilizzato nei discorsi eterosessisti per stigmatizzare una minoranza, dopo il 1969, il movimento di liberazione omosessuale preferisce gay ad altri termini, in apparenza meno carichi di negatività (come lo stesso omosessuale), per autodefinirsi. Nasce allora negli Stati Uniti il Gay Liberation Front.
Anche in Italia, moltissime organizzazioni e associazioni che operano in difesa dei diritti delle persone omosessuali contengono la parola gay nel nome. L’acquisizione di questa denominazione ha rappresentato il superamento di un lessico dispregiativo ed omofobo, come suggerisce il titolo del libro di Andrea Pini Quando eravamo froci[1], che racconta la vita degli omosessuali nell’Italia repubblicana prima degli anni ’70 e della nascita del movimento gay.
[1] Andrea Pini, Quando eravamo froci, Il Saggiatore, Milano 2011.
Rispetto al significato originario, che indicava l’omosessuale consapevole e militante, gay oggi in italiano è passato a indicare semplicemente la persona omosessuale in quanto tale, indipendentemente dalle sue idee politiche. Soprattutto in funzione di aggettivo è molto diffuso.
Nel discorso comune e in quello dei media, alla rappresentazione dei gay (intesi come uomini omosessuali) si accompagnano numerosi stereotipi, positivi e negativi. Si tratta di un’“immagine ambivalente”, dice Aurelio Mancuso di Equality Italia: “vittime o dandy. Sono vittime, deboli, collegati a professioni parafemminili – parrucchieri, camerieri, artisti, arti deboli nel senso di arti della bellezza, stilisti… – Oppure sono gli effemminati, i personaggi televisivi… Il logotipo è sempre il vizietto. In mezzo ci sono milioni di gay che non sono nessuna delle due cose, sono normalissimi e noiosi”.
Tra i pregiudizi positivi, c’è quello che i gay sono più sensibili, curati, attenti nel vestire… “talvolta si sente dire che possiede una sensibilità ‘simile a quella di una donna’, come se la sensibilità fosse una prerogativa femminile piuttosto che una caratteristica della singola persona: uomo o donna, etero oppure omosessuale”[1].
Quanto all’immagine del dandy, spesso si sposa con il luogo comune: i gay sono artisti. Naturalmente, le persone omosessuali non sono invece solo stilisti, musicisti, ballerini, ma anche medici, ingegneri, insegnanti ecc. In generale, la rappresentazione dell’omosessuale come uomo effeminato “non corrisponde alla realtà: i gay esprimono in modi molto differenti la propria identità omosessuale”[2]. Esiste anche il fenomeno dell’effeminofobia tra i gay: nel mondo anglosassone si parla di very straight gay men, uomini che mostrano una forte aderenza all’identità maschile e ai ruoli di genere tradizionali.
“Un altro dei pregiudizi”, dice Mancuso, “è che i gay stiano aumentando: la percezione è naturalmente legata alla maggiore visibilità, che crea dei problemi nuovi alla società eterosessuale. Le ragioni dell’omofobia, della paura, nascono anche da questo: il fatto che siamo oggi molto più visibili è chiaro che fa scaturire delle reazioni, da parte politica e da parte dell’opinione pubblica…”.
Una delle occasioni di maggiore protagonismo pubblico della comunità Lbgt è quello che comunemente si chiama Gay Pride, ma che gli attivisti chiamano sempre più di frequente Lgbt Pride. Si tratta della manifestazione e delle iniziative congiunte che si svolgono ogni anno in occasione della Giornata mondiale dell'orgoglio LGBT, nei giorni precedenti o successivi alla data del 28 giugno, che commemora la rivolta di Stonewall del 1969. I cosiddetti “moti di Stonewall”, che videro molte persone omosessuali e transgender scontrarsi aspramente con le forze dell’ordine, cominciarono con l’irruzione della polizia la sera del 27 giugno nel locale chiamato Stonewall Inn, un bar gay del Greenwich Village a New York. "Stonewall" è generalmente considerato il momento di nascita del movimento di liberazione Lgbt, ed è celebrato ogni anno con grandi e variopinte parate dell’orgoglio in tutto il mondo.
La parola orgoglio corrisponde qui al bisogno e al desiderio di affermare e rivendicare il proprio diritto di esistere un quanto omosessuale, bisessuale e trans, rivelando un buon rapporto con la propria ‘diversità’ e assumendo un significato di liberazione ed emancipazione. Ma, proprio in quanto segnala la volontà di uscire dall’invisibilità e dal silenzio, la festa dell’orgoglio gay solleva annualmente polemiche da parte di una parte dell’opinione pubblica, che ne evidenzia i tratti di ostentazione (alimentando il pregiudizio: i gay sono degli esibizionisti).
Il disagio mostrato da alcuni osservatori discende da una rappresentazione degli omosessuali come dotati di una sessualità sfrenata, anche al di là degli aspetti performativi delle manifestazioni pubbliche. I gay sono identificati interamente con la propria vita sessuale. “Un certo giornalismo e l’opinione pubblica attirata da questo giornalismo vedono l’omosessualità legata al sesso che fanno queste persone, non alla persona che sono”, afferma Mancuso. “In Italia non sempre si capisce che una persona omosessuale non è impegnata a fare sesso dalla mattina alla sera, la sua occupazione non è quella di avere rapporti sessuali: è una persona come gli eterosessuali che ha una sessualità differente”. Da questo discende anche la morbosità che alcuni articoli di cronaca mostrano nei confronti degli ambienti gay, rappresentati come torbidi ed equivoci.
Vediamo un caso di totale sovrapposizione tra l’esistenza e la personalità di un individuo “notoriamente gay” e la sua vita sessuale, dalla cronaca locale di un quotidiano:
Gioco erotico tra gay finisce male, un morto
[...] Dai primi riscontri medico legali la morte risalirebbe a tre giorni fa: sul corpo non sembrano esserci segni di violenza, ma il volto è coperto da una maschera di sangue. [...] Secondo i primi accertamenti era noto che la vittima era omosessuale e aveva l'abitudine di ricevere in casa uomini con i quali intratteneva rapporti sessuali. Non lavorava, viveva di rendita, in quanto di famiglia molto ricca. A dare l'allarme è stato un conoscente della vittima che doveva trascorrere con lui il fine settimana.
(quotidiano online, 6 agosto 2011)
L’articolo riporta i primi indizi relativi a una morte di cui ancora non si conoscono i dettagli, nemmeno se è naturale, non naturale o accidentale. Tutto ciò che si sa del deceduto è che “è noto che era omosessuale e aveva l’abitudine di ricevere in casa uomini con i quali intratteneva rapporti sessuali”. Da cui l’ipotesi che si sia trattato di un “gioco erotico tra gay”. E’ ovvio che la stessa inferenza non avrebbe avuto luogo nel caso di un individuo “notoriamente eterosessuale”, del cui stile di vita (es. l’abitudine di ricevere donne in casa) non si sarebbe probabilmente fatta parola.
Un caso di tipo diverso, ma che permette di evidenziare alcuni dei pregiudizi e dei luoghi comuni ricorrenti nell’opinione pubblica, è questo:
Napoli sommersa dall'immondizia e De Magistris fa festa al Gay Pride
Stamattina le dichiarazioni sulla gravità degli incendi dei rifiuti, a suo parere opera della camorra. Poche ore dopo, però, il sindaco apre il corteo degli omosessuali sul lungomare di Napoli e balla "Ymca" fra la folla
(sito di un quotidiano nazionale, 25 giugno 2011)
Titolo e sommario organizzano il discorso in due aree semantiche: quella in cui orbitano i problemi seri, “gravi” dell’amministrazione partenopea, e quella della “festa”, con balli ed esibizioni corporee, a cui è ricondotto il significato ultimo del Gay Pride. La contrapposizione è quindi tra una manifestazione per i diritti di una minoranza, che viene ridotta a folklore, e gli interessi più generali e impellenti della totalità dei cittadini. L’attenzione alle condizioni materiali di vita della città e la rivendicazione dei diritti civili vengono giocate l’una contro l’altra, e la disponibilità del primo cittadino a sostenere la seconda è rappresentata come una leggerezza, così come nient’altro che giocoso, ludico, nella visione del giornalista, è il variopinto corteo Lgbt.
In sintonia con questo stile argomentativo si trova quest’altro caso:
Il mondo dei privilegi è gay I discriminati sono gli etero
Comuni e Regioni fanno a gara per arruffianarsi gli omosessuali
(sito di quotidiano nazionale, 18 maggio 2012)
Qui, il linguaggio è espressamente quello dei privilegi e della discriminazione, in un ribaltamento dell’ordine del discorso che vede la maggioranza (gli etero) trascurata e “discriminata” a causa dell’attenzione delle amministrazioni verso una minoranza “privilegiata”. Il fatto poi che esista una “gara per arruffianarsi gli omosessuali” rimanda all’idea della grande influenza che la comunità Lgbt è in grado di esercitare, ovvero all’esistenza di quella che viene talvolta chiamata lobby gay.