Matto è una parola che ormai non viene quasi più usata per diverse ragioni. È troppo generica e imprecisa perché non tiene conto di quale tipo di disturbo mentale si sta parlando; tende a identificare la persona con la sua malattia ed è quindi svilente; implica un connotato di pericolosità sociale. “Non mi piace la parola matto e neppure pazzo o psicolabile. Sono parole larghe, sconfinanti, parole che si mangiano tutto. Inglobano la vita delle persone e non dicono nulla della sofferenza che dovrebbero rappresentare – dice Massimo Cirri, psicologo e giornalista conduttore di Caterpillar su Radio 2 – si può avere una sofferenza mentale, anche grave, e si resta persone, cittadini, soggetti. Invece quelle parole, matto, pazzo, psicolabile, sono imbevute di un alone di pericolo. E lo espandono, togliendo a chi sta male spazio sociale e speranza di guarigione. Parole come muri, condanna senza appello, residuo di quei luoghi chiusi, gli ospedali psichiatrici, dove finiva chi aveva un disturbo mentale”.
Giorgio Pisano, “il cronista del manicomio”, come egli stesso si definisce, ha seguito per la prima volta negli anni Settanta le vicende dell’ospedale psichiatrico Villa Clara a Cagliari. La sua testimonianza è preziosa per comprendere come è stata usata la parola “matto” negli ultimi quarant’anni. “Un matto era uno che non contava più niente, che aveva perso il suo ruolo sociale con l'aggravante di poter essere pericoloso – dice - La gente generalizzava: depresso o schizofrenico potenzialmente aggressivo non faceva differenza. Era solo un matto e come tale doveva stare rinchiuso, messo nelle condizioni di non nuocere”.
Alda Merini ha raccontato nelle sue poesie la condizione dei “matti”, le torture e gli orrori che lei stessa ha subito negli ospedali psichiatrici:
Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita.
“Siamo in una fase di transizione, in cui è ancora presto per dire come loro stessi vogliono essere chiamati – spiega Cirri – tra poco ci sarà una voce collettiva, auto-organizzata. In Gran Bretagna ci sono gruppi che si chiamano “sopravvissuti alla psichiatria”. Molti matti dicono che va bene anche matti perché è una parola del linguaggio comune”. Questo perchè dopo la legge Basaglia ha perso parte del connotato negativo che aveva prima. “Il discrimine è usare parole che non portino con sè il pregiudizio dell’incurabilità. Anche matto e pazzo ce l’hanno. E’ una questione difficile, però matto ha meno cattiveria di pazzo”.
La pensa così anche Luigi Attenasio, direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Asl Roma C, presidente nazionale di Psichiatria Democratica e autore di libri come “Cronaca di una liberazione. Da Matti a Cittadini d’Europa” (con Mariella Ciani e Angelo Di Gennaro). “Dico matto perché lo sento più affettuoso e meno cattivo di pazzo – dice lo psichiatra - Il vocabolario della psichiatria è un vocabolario di epiteti. Le parole che si usano con queste persone sempre sottendono un danno che gli facciamo. Dobbiamo considerare che ci sono persone che possono sentirsi offese da questa parola se, a causa di questo loro essere un po’ matti hanno perduto affetti, casa e lavoro, hanno pagato un dazio”. L’ultimo esempio che riportiamo si rifà proprio a questo uso “affettuoso” del termine, usato in modo goliardico proprio dalle persone che hanno organizzato l’iniziativa del “treno dei matti”, partito da Mestre e diretto in Cina con a bordo 208 tra pazienti psichiatrici, operatori della salute mentale, familiari e volontari.
Parole fortemente negative e da evitare sono squilibrato, psicolabile, folle. Si tende ad associarle a episodi che vengono sempre collegati all’idea dell’essere socialmente pericolosi. Come in questo titolo di un telegiornale nazionale del 27 aprile 2012 che si riferisce a una persona definita “mentalmente instabile”: Londra, prende in ostaggio 4 persone: lo squilibrato arrestato della polizia. Si era barricato in un palazzo e minacciava di farsi saltare in aria.
“Il raptus è sempre di follia, mai di sanità – dice Cirri - L’insano gesto si usa molto. Il rischio del gesto di follia è che tutta la questione viene risolta in una patologizzazione. È un gesto crudele, cattivo, è proprio necessario ricondurlo alla dimensione di una sofferenza? Ci sono altri sofferenti che non includono questo nella loro sfera di comportamenti. Perché dici che è un depresso che ha ucciso la famiglia e non che è un medico, un ragioniere, un cinquantenne…Non si deve andare per automatismi che riproducono stereotipi, seppur nella necessità della concisione, dei titoli”. La quasi totalità delle persone con disturbo mentale non ha mai ucciso nessuno, né ha pensato di farlo. Al contrario molti dei delitti vengono compiuti dai c.d. sani di mente, basti pensare al femminicidio (o violenza sulle donne).
Spesso ricondurre un episodio gravissimo e inquietante a un “gesto di follia” risponde a una de-responsabilizzazione, come nel caso della strage di Firenze (vedi anche vu cumprà). “Non chiedetemi di entrare nella mente dell’assassino. Ci penseranno i criminologi da strapazzo a sbizzarrirsi negli show televisivi. Parleranno di follia, di impulso criminale, analizzeranno la triste storia personale del sicario suicida - scriveva lo scrittore Gianni Biondillo sull’Unità il giorno dopo (14 dicembre 2011) l’uccisione dei senegalesi da parte di un estremista di Destra - Della tragedia di Firenze sono le parole usate per raccontarla che mi interessano. Le parole, in fondo, sono il mio mestiere. Le notizie lette sul web in tempo reale, parlavano di un “folle” che aveva sparato e ucciso due “vu’ cumprà”. “Folle”…C’è molto poco di folle nel selezionare chi uccidere e chi no. Basta un semplice manuale di criminologia forense per saperlo: lo squilibrato spara a casaccio, nella folla, indistintamente. Qui Casseri ha scelto su base etnica le sue vittime. Sapeva esattamente cosa voleva dire al mondo”. Patologizzare serve a dire “a noi non può succedere”, o in questo caso “Firenze non è razzista”. “Perché patologizzare l’esistenza di Caino? – dice il conduttore di Caterpillar - Caino esiste, il male c’è, quando il male sembra tracimare, essere al di sopra di una sempre mutante percezione sociale, è come se avesse bisogno di essere interpretato e spiegato: ma allora questo è folle. Può darsi, come il mondo dei sani è pieno di persone cattive, può essere che uno sia folle e cattivo, ma non si può generalizzare. Questo è lo stereotipo, il meccanismo comunicativo più brutto (matto = pericoloso)”. Sulla strage di Utoya, si è a lungo discusso della supposta “pazzia” di Anders Breivik, dichiarato poi “sano di mente” dal tribunale che l’ha condannato. Si è trattato anche in quel caso di un atto motivato da un’ideologia ben precisa, di estrema destra e il massacro di tanti adolescenti è stato un attacco terroristico a tutti gli effetti. Il problema è che un terrorista bianco, biondo e fondamentalista cristiano che rivolge la violenza verso altri giovani norvegesi come lui, rompe tutti gli schemi e i clichè del terrorista islamico a cui il pubblico occidentale è abituato. Da qui deriva quasi la necessità di spiegare la natura demoniaca della normalità, collocando l’autore della strage dentro un altro schema più rassicurante, quello della follia. Questo risponde all’esigenza della società maggioritaria di trovare una spiegazione plausibile e nota, ma allo stesso tempo impone e rafforza lo stigma sulle persone con disturbo mentale, viste come “mostri pericolosi”.
Prendiamo un altro esempio, Uccide moglie e figlia disabile dopo il raptus. Ma l’uomo, un pensionato, aveva pensato a tutto prima di uccidere: ha lasciato i soldi per il funerale chiusi in una busta. Le ha colpite mentre dormivano con un martello, poi le ha accoltellate per essere certo della loro morte e infine si è costituito dicendo di averle massacrate per aver pensato: “Quando io sarò morto, cosa ne sarà di mia figlia e di mia moglie?”. Il duplice delitto è stato quindi pianificato a lungo e non ha nulla a che vedere con un impulso improvviso come un raptus. “L'ennesimo delitto familiare, punta di un iceberg di quella violenza quotidiana che ormai troppo spesso raccontiamo- scrive Roberta Serdoz sul sito del Tg3 - I numeri dello scorso anno parlano di una strage che non si riesce a fermare. 120 le donne uccise nel 2012”.
Chiusi i manicomi, sopravvive la manicomialità. “Questa è una parola che suggerisco – dice Attenasio – chiamo così un modo di approcciarsi alle persone con questo tipo di problemi che non tiene conto che sono persone. C’è un problema culturale perché sopravvive il pregiudizio, lo stigma, lo stereotipo”. Dobbiamo affrontare tutte le cose che creano la manicomialità. “Una di queste è l’informazione – spiega Attenasio - come ad esempio il titolo sparato: preso da raptus, uccide la madre”. Secondo il presidente di Psichiatria Democratica è di particolare importanza cambiare l’attitudine a usare questo tipo di parole. “Perché è una dimostrazione di come il giornalista pensa che sia la persona matta, cioè come uno che c’ha il fulmine che gli arriva in testa e sulla base di questo compie un gesto, in maniera del tutto astorica che non tiene conto della storia di quella persona- dice lo psichiatra - L’ha fatto perché matto, perché con il cervello con i buchi. Il raptus è questo, non andiamo ad analizzare quali vicende hanno portato quella persona a fare quello che ha fatto. I giornali dovrebbero usare parole leggere, non pesanti. È un po’ la differenza che ci può essere fra la tv di oggi e quella di Biagi e di Barbato, cioè dove si cerca di capire il senso di un fenomeno, non di spararla grossa e gridarlo”. La notizia è per definizione un fatto che è fuori dal normale. Sui temi della salute mentale, però, l’effetto di questo tipo di comunicazione può essere devastante. “Queste cose sono l’eccezione non la regola – dice Attenasio - Invece sui media si fa una categorizzazione delle persone. Se uno preso da raptus ha ucciso la mamma, allora tutti i matti possono uccidere la mamma. Non è che tutti i matti sono presi da raptus omicidi. Questo è invece il modo solito in cui il manicomio ce li ha fatti vedere: sono violenti, pericolosi, non guariscono, regrediscono e via dicendo. Si fa un gravissimo danno, perché fai una cattiva informazione, sbatti il mostro in prima pagina”. L’informazione risulta mistificata e fuorviante, il rischio di errore è molto alto, soprattutto perché le tante tragedie degli ultimi anni hanno in realtà squarciato il velo sulla “normalità fino al momento prima”, come dice il presidente di Psichiatria Democratica. “Olindo e Rosa, Breivik, il ragazzo della strage nella scuola del Connecticut. Quali sono le coordinate della normalità? Avere le armi in casa negli Stati Uniti non è una normalità pericolosa? Oppure sono i matti o, poveri cristi, che sono folli?”.
Un esempio eclatante è il titolo sul massacro dei bambini nella scuola di Newton: il killer era autistico. Sparato a tutta pagina dai principali siti di informazione, rimbalzato in Italia dalle tv americane. È il secondo grave errore nell’immediatezza degli eventi, dopo aver indicato la persona sbagliata come autore del massacro, vale a dire il fratello del vero killer, il quale aveva ucciso anche la madre, un’insegnante di quella stessa scuola. In questo caso, la notizia, già forte e drammatica di per sé, aveva anche un titolo migliore facilmente individuabile e più aderente ai fatti: Ha sparato con le armi della madre. Nelle prime ore, invece che sulla spiegazione sociale di un fenomeno che negli Usa si ripete continuamente per la facilità di reperire pistole e per la potenza delle lobby delle armi, ci si è concentrati sulle motivazioni personali del pluriassassino, identificato subito come un disturbato e un autistico. Poi come un ammalato di sindrome di Asperger. “Un po' di rispetto. Che senso ha sottolineare ossessivamente che il killer era autistico. Vogliamo creare un'altra categoria di mostri? Chi è autistico e le loro famiglie hanno già tanti problemi. Non creiamone loro altri, per favore” ha scritto su Facebook il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino. “Ah beh, allora tutto bene. Se era autistico si capisce perchè lo ha fatto. Tutti gli autistici notoriamente uccidono la madre e poi fanno stragi nelle scuole elementari...Ridatemi un giornalismo serio!” ha detto fra ironia e amarezza sul social network Giuliano Gallo, ex inviato di guerra del Corriere della Sera. Gianluca Nicoletti è un giornalista che ha un figlio autistico. “Il giovane killer di Newtown era autistico? E' un' approssimazione che non può e non deve passare – ha scritto - Vorrei chiedere a tutti i colleghi che hanno scritto o sottoscritto questi titoli, probabilmente fidandosi di quello che avevano letto in un’agenzia di stampa, ma voi avete una minima idea di chi sia un autistico? L’autistico è’ una persona incapace di autonomia, che non saprebbe uscire di casa per andare a scuola se non accompagnato, che difficilmente riuscirebbe a usare razionalmente un’ arma da fuoco in maniera così reiterata, ma soprattutto è una persona che si tura le orecchie atterrito se solo sente battere le mani o entra in una stanza con la musica ad alto volume. Certo che è facile associare al termine “autistico” quello di “asociale” e quindi condividere conclusioni assolutamente infondate, l’autismo evidentemente è una patologia di cui la categoria a cui appartengo ha una profonda ignoranza, eppure è la prima causa d’ handicap, ci sono più autistici in giro di ciechi, sordi e down messi assieme (non lo dico io lo dice il Censis). In Italia sono come minimo 360.000 le famiglie che devono gestire un problema del genere, e vi assicuro nella più totale solitudine e mancanza di adeguate strutture”. Diverse associazioni hanno dovuto prendere posizione. “E’ indispensabile che, mentre piangiamo le vittime di questa tragedia orribile che i commentatori e i media evitino di tracciare collegamenti inadeguati e infondati tra autismo o altre disabilità e violenza – ha dichiarato la statunitense Autistic Self Advocacy Network (ASAN) - Gli americani autistici e soggetti con altre disabilità non sono più inclini a commettere atti violenti rispetto ai non disabili. In realtà, le persone con disabilità di ogni tipo, tra cui l’autismo, hanno di gran lunga maggiori probabilità di essere delle vittime di crimini piuttosto che essere colpevoli di violenze”. Il gruppo Asperger italiano, dicendosi “indignato”, ha diffuso sul suo sito una nota, poi ripresa dall’Ordine dei giornalisti, in cui afferma: “Pur comprendendo le esigenze della cronaca, è giusto richiamare l'attenzione dei giornalisti sull'uso attento delle parole "Autismo" e "Sindrome di Asperger" nei resoconti giornalistici e nei titoli degli articoli. E' sbagliato stabilire un rapporto di causalità tra l'autismo e una qualsiasi propensione all'omicidio. Sbagliato dal punto di vista scientifico e non solo da quello. In pochi giorni una cronaca disattenta può danneggiare enormemente la condizione di tutte le persone con Autismo e sindrome di Asperger che tutti i giorni con enormi sacrifici e molta forza di volontà cercano di condurre una vita dignitosa. Del resto, se il giovane omicida fosse stato gay o nero o claudicante o biondo o obeso non sarebbe stato indicato nei titoli. Così come non è indicata la condizione non autistica quando si riportano gli innumerevoli atti criminali delle persone normali”.
“Dire che il killer era autistico tranquillizza tutti – commenta Attenasio - l’ha fatto perché era autistico, ha una malattia, noi siamo sani. Bisognerebbe vedere perché ha una mamma che tiene le armi in casa e va a sparare al poligono. Perché è andato in quella scuola dove insegnava la madre, perché era geloso di questi ragazzetti? O a volte si ammazzano le persone per salvarle. Molto spesso si ammazzano i figli perché così li preservi dal mondo. Un atto d’amore tragico, estremo ed esagerato. L’uso delle parole indirizza anche le spiegazioni”. Raptus. Gesto di follia. Esplosione improvvisa e incontrollabile. Sono spiegazioni pronte e false, perché la follia è parte di noi, della nostra vita, come diceva Franco Basaglia. “E’ una produzione della normalità, sono degenerazioni di meccanismi normali – conclude Attenasio - Questa è la cosa difficile da accettare perché la paura del diverso, dell’altro che è in tutti noi, diventa qualcosa da mettere fuori da noi. Possiamo esorcizzare il male se lo allontaniamo. Non possiamo farle nostre queste cose. Non è un caso se i manicomi erano fuori dalle città, lontani”.
Massimo Cirri lancia una provocazione distinguendo fra il matto professionista e il matto dilettante. "Bisogna che alla sofferenza, anche quando la sofferenza è grande e non dà tregua, non si aggiunga l’esclusione - dice il giornalista - Se si è fuori di testa è una cosa, ma se si è anche fuori da un circuito di comunicazione, di affetti, di senso, si diventa 'matti' professionisti. Non si è più persone ma solo malattia. Il manicomio – quando c’erano i manicomi – questo faceva: toglieva umanità, diritti, futuro alle persone che non erano più cittadini ma internati. Crocifissi dalla malattia. Malati per sempre. Invece la sofferenza va e viene, viene ma anche se ne va. Così bisogna restare sempre “matti dilettanti”. In Italia abbiamo la legge più civile, rispettosa e moderna del mondo. La legge 180 dice che se si ha un problema di salute mentale si deve essere curati ma si resta cittadini. Non si perdono i diritti civili. "Prima, se si aveva un problema di salute mentale, non si poteva più andare a votare - conclude Cirri - Adesso ci vuole un coraggio da matti per andare a votare. Ma ci andiamo. Ci mancherebbe".
Il mondo piange i bambini di Newtown. Killer ex alunno autistico
(agenzia di stampa nazionale, 15 dicembre 2012)
Usa-choc: strage di bimbi a scuola Adam, killer autistico e disagiato Massacrate 26 persone: 20 erano alunni Il profilo dell'omicida
(testata quotidiana nazionale, 15 dicembre 2012)
Il tema del giorno: Breivik, pazzo o fanatico? A Oslo il processo all'uomo che ha ucciso 77 persone e rischia, se ritenuto sano di mente, una pena massima di 22 anni.
(webtv di un quotidiano nazionale, 17 aprile 2012)
Toccafondi: «La strage dei senegalesi opera di un folle. Firenze non è razzista»
Per il deputato fiorentino del Pdl Gianluca Casseri ha compiuto un gesto criminale e folle, ma «di razzismo si può parlare quando c’è un clima che monta e cresce e si evolve. Questo è stato un fulmine a ciel sereno da condannare, da non sottovalutare ma che esula da una società fiorentina che non vive il razzismo».
(sito internet, 15 dicembre 2011)
Uccide moglie e figlia disabile dopo il raptus si consegna ai carabinieri
I vicini sconvolti: adorava quella figlia
L'uomo è in cura per depressione: ha ucciso le due donne a martellate e coltellate.
Era in ansia per il futuro della figlia
(edizione online di un quotidiano nazionale, 15 gennaio 2013)
Psicoradio, una testata radiofonica realizzata dal Dipartimento di Salute mentale di Bologna con l'associazione Arte e Salute onlus, i cui redattori e redattrici sono persone in cura presso il dipartimento, ha realizzato una ricerca su 234 titoli con termini riguardanti la salute mentale pubblicati da 8 quotidiani nazionali in 8 mesi compresi fra novembre 2007 e ottobre 2008. La ricerca ha evidenziato come l'uso della parola "matto" nei titoli di giornale sia frequente negli articoli che hanno a che fare con cultura e spettacolo. La parola, secondo l'indagine, "sembra essere impiegata con un'accezione più sfumata e positiva rispetto ai termini "pazzo" e "folle", utilizzati nelle sezioni di cronaca (vedi anche la parola folle). Insomma matto è un termine che probabilmente non soddisfa affatto chi viene da altri definito in questo modo (non piace ai redattori di Psicoradio!) ma nei titoli esaminati non evoca mai fatti o contesti violenti, e sembra venire usato quando chi scrive simpatizza in qualche modo con i protagonisti". [1] Come possiamo vedere anche dall'esempio qui di seguito:
"Fratelli d'Italia" tra emozione e stanchezza i matti sbarcano alla stazione di Pechino
(quotidiano nazionale, 24 agosto 2007)
Qui di seguito un tragico fatto accidentale viene collegato a un disturbo mentale, per iunta identificato non con una diagnosi psichiatrica ma con un termine vago come 'psicolabile':
Cade e muore, spinta dal figlio psicolabile
(sito internet locale, 7 aprile 2012)
Un uomo di 47 anni con problemi psichici, P.S., intorno alle 22 di ieri a Linguaglossa in provincia di Catania, durante una lite con un volontario che l'aveva accompagnato a fare la dialisi nel tentativo di divincolarsi da quest'ultimo ha urtato la madre di 86 anni, Orazia Lamari', che cadendo a terra ha battuto la testa ed e' morta sul colpo. L'uomo e' stato arrestato dai carabinieri con l'accusa di omicidio preterintenzionale. La lite tra il 47enne e il volontario, un 62enne, e' avvenuta davanti l'abitazione della donna. in via Randazzo. Il corpo della donna e' stato trasportato nell'obitorio dell'ospedale Garibaldi centro. L'autopsia e' in programma domani pomeriggio.
Violenza su una psicolabile
Chiesto il rinvio a giudizio per sette
(sito internet locale, 10 ottobre 2011)
E' stata fissata al 2 novembre prossimo, davanti al gup di Agrigento Valerio d'Andria, l'udienza preliminare a carico di sette persone accusate di violenza sessuale su una minorenne con problemi psichici. Il pm Gemma Miliani aveva chiesto il rinvio a giudizio per otto persone, ma una è morta. La vicenda risale a dicembre 2008, quando una psicolabile della provincia di Trapani, ospite di una casa-famiglia, sarebbe stata costretta, sotto l'effetto di droghe e alcool, ad avere rapporti sessuali con gli imputati che hanno età comprese tra i 26 e i 50 anni. Ma la ragazza, tornata a casa per le feste natalizie, avrebbe raccontato tutto ai genitori che hanno sporto denuncia.
Monsignor Gemma: “L’indemoniato come un down e psicolabile”
(video su testata quotidiana online, 2 luglio 2012)
“Mi sono imbattuto in un adolescente posseduto dal demonio. Era simile a un down, quindi non capiva e faceva gesti inconsulti“. Sono le agghiaccianti parole pronunciate da monsignor Andrea Gemma, vescovo emerito di Isernia e noto esorcista, durante la trasmissione “Vade Retro”, in onda su Tv..., il canale televisivo ufficiale della Conferenza episcopale italiana. Con grande enfasi retorica, il religioso polemizza con chi, nel mondo della ‘pseudo-scienza’, come sottolinea il conduttore David Murgia, non crede all’esistenza del demonio. La miccia che innesca l’invettiva dell’esorcista è data dalle parole del divulgatore scientifico canadese James Randi, bollato dal minsignor Gemma come ignorante. “Queste persone sono completamente nell’ignoranza!”, declama il vescovo. “Voi conoscete quei bambini che chiamiamo ‘psicolabili’ o ‘disabili’, no?” – continua – “Quando il ragazzo è stato ridotto dal demonio in quello stato, è diventato un altro. E’ diventato un boxeur, un mostro che addentava e graffiava”.
[1] Follia scritta, I quaderni di Psicoradio