Marocchino
L’accezione a cui ci riferiamo qui non è quella della nazionalità (vedi), ma quella di un termine inferiorizzante per designare tutti gli immigrati, con un uso molto simile a quello di vu cumprà (vedi). La parola marocchino è usata in Italia per chiamare in modo generico gli immigrati e, in modo specifico, i neri, gli arabi, gli asiatici e i sudamericani, coloro che provengono da paesi poveri. Il termine, che è più un epiteto a volte scherzoso, usato per definire molti immigrati non comunitari, non ha di per sé un’accezione geografica e quindi non fa riferimento ai cittadini del Marocco. Ma il suo uso è discriminatorio, proprio per questo. Il termine marocchino ha così assunto nel tempo una connotazione negativa, anche se molte persone non lo usano per offendere. Quando l’italiano usa la parola marocchino indica una persona privata della sua individualità […]Essere camerunense, cinese, cingalese, algerino o marocchino non ha nessun senso […]i marocchini sono visti come una categoria sociale e culturale omogenea[1].
[1] Elamé E., Non chiamatemi uomo di colore, Emi, Bologna 2007
Con questo significato, cioè non solo riferito ai cittadini con passaporto marocchino, il suo uso è raro nei mezzi d’informazione ma si registrano dei casi, ad esempio quando vengono riportate le voci della strada, della ‘gente comune’. Ci sono molte attestazioni dell’uso razzista di questa parola. La Suprema Corte, nella sentenza 20.05.2005 n° 19378, ha condannato l’uso del termine marocchino “con evidente atteggiamento di scherno e dileggio”, come discriminazione razziale ai sensi dell’articolo 594 del codice penale. In un articolo sul Manifesto del 10 gennaio 2010, Celeste Costantino riporta che “A Rosarno esiste un gioco chiamato andare per marocchini, altri lo chiamano “il gioco della Nazionale”. Per partecipare bisogna andare in gruppo sugli scooter con i bastoni – appunto lungo la via Nazionale – sfrecciare accanto ai migranti che la percorrono a piedi di ritorno da lavoro, prendere la mira e picchiarli, proprio come i giocatori di polo con la palla.C’è anche una variabile: c’è chi sale sui cavalcavia armato di sassi e fa il tiro a bersaglio”. [1]
[1] Costantino C., A caccia di neri, Il Manifesto, 10 gennaio 2010
In un articolo del 15 febbraio 2011, l’inviato di un quotidiano nazionale scrive:
Ora Lampedusa minaccia la rivolta "Siamo assediati"
(quotidiano nazionale, 15 febbraio 2011)
Uno dei titolari del Bar del Porto, Massimo Tuccio, sbraita in siciliano e la traduzione di quel che dice è più o meno questa: «È una vergogna, e solo a noi poteva capitare. I cittadini del Nord mai sarebbero stati lasciati soli, come ci hanno lasciato a noi. Questi marocchini si sono presi tutta l’isola, fanno i padroni e noi abbiamo paura per le donne e i bambini. Sopra via Roma fanno i belli e corteggiano le nostre ragazze. Finisce pure che ne ingravidano qualcuna. Io ho tre figli piccoli e da domani a scuola non li mando più, che ho paura prendano qualche malattia. È troppo pericoloso, polizia non ce ne è e quei turchi possono fare tutto quel che vogliono».
Visto che sull’isola erano sbarcati solo tunisini e neanche un cittadino del Marocco fino a quel momento, è evidente l’uso del termine non per indicare l’effettiva nazionalità ma in senso dispregiativo. Come peraltro confermato e rafforzato dall’appellativo “turchi” che qui ha la stessa accezione di ‘minaccia’ ed ‘essere spregevole’.