C’è sfruttamento, nel lavoro sessuale, quando i proventi dell’attività vanno a vantaggio non di chi la esercita ma di altri soggetti: il cosiddetto protettore (lo sfruttatore o la sfruttatrice), l’organizzazione che controlla la prostituzione, la rete criminale che gestisce la tratta di persone…
Il comportamento di chi trae un guadagno diretto dalla prostituzione altrui è chiamato anche lenocinio o prossenetismo, termini antiquati ma che compaiono nei testi di legge e sono ancora impiegati, in qualche caso, nell’informazione e nelle comunicazione.
Lo sfruttamento sessuale è vietato in Italia dalla Legge Merlin del 1958, che punisce “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”. Il favoreggiamento comprende tutti i comportamenti che agevolano, in qualche modo, l’attività di commercio sessuale di altre persone: non importa che sia fatto a scopo di lucro, perché sia reato è sufficiente che ci sia una generica consapevolezza di agevolare questa attività. È invece sfruttamento quando c’è la consapevolezza e la volontà di trarre un guadagno indebito dalla prostituzione altrui, anche quando la persona sfruttata è consenziente e quando i guadagni vengono consegnati a terzi, per esempio ai piani più alti di un’organizzazione criminale.
Quando si tratta di prostituzione minorile, poi, viene perseguito non solo chi la sfrutta e la favorisce, ma anche chi vi ricorre, cioè il cliente che paga per i servizi sessuali di bambine/i e ragazze/i, fino ai 18 anni di età (legge n.269 del 1998).
Secondo un rapporto del 2012 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil)[1], su 21 milioni di vittime di grave sfruttamento lavorativo nel mondo, 4,5 milioni sono vittime di sfruttamento sessuale.
In Italia, i dati ufficiali sulle vittime provengono dal Dipartimento per le Pari Opportunità, che li acquisisce attraverso i progetti territoriali dei programmi di protezione (ex art. 18, T.U. 286/98 ed ex art. 13, legge 266/2003). Le vittime prese in carico tra il 2010 e il 2011 sono state 1.785.
Tra le nazionalità delle persone che entrate in programmi di protezione ex art. 18, il gruppo più numeroso (48%) è quello delle donne provenienti dalla Nigeria, il 10% viene dalla Romania, il 6% dal Marocco e poi a seguire Albania, Moldavia, Russia e Ucraina. La componente nigeriana si colloca quindi al primo posto.
Esiste una correlazione tra provenienza nazionale delle donne coinvolte nella prostituzione coatta e sistema di sfruttamento[2]. Le ragazze provenienti dall’Albania (un gruppo che è andato restringendosi in parallelo con la diminuzione dell’immigrazione dal paese delle aquile) sono state sottoposte tra gli anni ’90 e il nuovo millennio al sistema più violento di assoggettamento, fino alla riduzione in schiavitù: reclutate da presunti fidanzati, costrette alla prostituzione attraverso percosse, torture e stupri, e private della quasi totalità dei proventi dell’attività.
Le giovani nigeriane di Benin City arrivano invece in Italia attraverso una catena di intermediari che rispondono alle maman in Italia, le quali “comprano” una ragazza attraverso il debito che lei contrae per emigrare e si fanno restituire questo debito (fino a 100mila euro) con il lavoro sessuale. C’è poi il gruppo numeroso di rumene e moldave che, come quello albanese, è gestito da figure maschili (pseudo-fidanzati), ma che a differenza delle albanesi, non è sottoposto a meccanismi di assoggettamento para-schiavistici; nel tempo, anche grazie all’ingresso del loro paese nell’Unione Europea, le ragazze rumene hanno aumentato la propria capacità e possibilità di negoziare condizioni e compensi dell’attività prostituzionale con l’organizzazione.
Di più recente costituzione è il sistema di esercizio della prostituzione cinese, che funziona attraverso il meccanismo del debito da ripagare ed è andato diversificandosi in diverse modalità: bordelli “tradizionali”, case/appartamenti e lavoro in strada.
Si possono ricordare anche le condizioni di sfruttamento in cui operano le persone transessuali che svolgono lavoro sessuale (vedi Prostituzione transessuale). Le sex worker transessuali brasiliane sono assoggettate a meccanismi simili a quelli che operano nel sistema nigeriano: la sfruttatrice – chiamata cafetina – è una transessuale più anziana, quasi sempre ex o attuale lavoratrice sessuale, coadiuvata da uomini italiani o stranieri con cui ha talvolta un legame sentimentale, che mantiene le giovani sotto il proprio controllo attraverso il meccanismo del debito.
[1] ILO 2012 Global Estimate of Forced Labour http://www.ilo.org/sapfl/Informationresources/Factsheetsandbrochures/WCMS_181921/lang--it/index.htm
[2] Sui sistemi di sfruttamento della prostituzione, cfr. F. Carchedi e V. Tola (a cura di), All’aperto e al chiuso. Prostituzione e tratta: i nuovi dati del fenomeno, i servizi sociali, le normative di riferimento, Ediesse, Roma 2008.