Napoli, ucciso nomade a posto di blocco. Decine di rom accorrono all'ospedale. Questa notizia è apparsa su un telegiornale nazionale l’8 novembre 2012. Dal testo del servizio scopriamo che la vittima è un “nomade rom” di 21 anni, nato ad Aversa, padre di tre figli, che risiedeva in un campo di Giugliano. È un esempio classico dell’uso del termine “nomade”, che ha perso il significato originario per assumerne un altro. La parola infatti è usata per connotare negativamente solo le persone di etnia Rom. In questo caso è evidente che la vittima è nata ed è sempre vissuta nei dintorni di Napoli, quindi non è mai stata nomade nel senso letterale del termine. Similimente a quanto avviene per il termine zingaro, ai “nomadi” è associata l’idea di degrado e pericolo per la sicurezza e il vivere civile. Come vediamo anche dal titolo di un comunicato stampa del comune di Firenze risalente al 21 aprile 2010 e riguardante un intervento del "nucleo antidegrado" dei vigili urbani e dell'assessore al decoro: Controlli dell'assessore Mattei per la presenza di nomadi molesti, in cui si comunica che “la Polizia Municipale allontana cinque rumeni che stazionavano lungo la ferrovia”. L’accostamento fra la parola nomadi e l’aggettivo molesti ha suscitato le proteste del gruppo Giornalisti contro il razzismo e del Cospe che in una lettera al comune hanno affermato: un aggettivo di questo tipo sarebbe stato impensabile nei confronti di cittadini di altre nazionalità o di altra condizione sociale.
L’idea che i rom amano vivere nei campi perché sono nomadi per cultura e indole è priva di fondamento. Oltre il 90% di quelli che vivono in Italia ha abbandonato da decenni la vita nomade ed è ormai stabile. Su 150 mila Rom e Sinti, solo 40 mila vivono nei campi (indagine della Commissione Diritti umani del Senato). La maggioranza abita in case. Ad esempio, in Abruzzo le famiglie Rom vivono in normali appartamenti e conservano la cultura, la lingua e le tradizioni Rom. Perfino il Papa ha ricevuto nel 2011 i rappresentanti dei Rom da tutta Europa in Vaticano e li ha accolti dicendo: “siete un’amata porzione del popolo di Dio pellegrinante”.
Da “pellegrini” a “vagabondi” fino a “nomadi”, la storia di questa parola rappresenta gli stereotipi sui Rom da secoli. Se all’insulto razziale “negro” abbiamo paragonato “zingaro” (v. capitolo Immigrazione), possiamo in un certo senso equiparare “nomadi” alla locuzione “di colore” per i neri. Nomade spesso è usato al posto di zingaro. Ma, secondo Carlo Stasolla presidente dell’Associazione 21 Luglio, “la parola nomade è molto più pericolosa” perché giustifica la segregazione delle persone Rom in campi speciali isolati dalla città. La parola nomadi inizia a essere utilizzata nel contesto italiano per parlare delle popolazioni Rom e Sinti alla fine dell’Ottocento, in corrispondenza con l’unificazione nazionale. È dopo la seconda guerra mondiale, spiega Nando Sigona, del Centro Studi sui Rifugiati dell'Università di Oxford che “l’utilizzo del termine nomadi serve per giustificare la costruzione dei c.d. campi nomadi, per permettere a questi gruppi che si assume siano viaggianti di continuare a muoversi”. Così, anche se i Rom non si riconoscono e non si identificano nei termini zingaro e nomade, l’esito finale dell’entrata di queste due parole nel lessico delle istituzioni, secondo Ulderico Daniele dell’università Roma Tre, è stato “la perimetrazione di uno spazio fisico e sociale esclusivo per i Rom”. Ribadito in epoca recente con le leggi regionali della metà degli anni Ottanta, fatte da 11 giunte di centro sinistra, in teoria per “proteggere la cultura nomade”. Ma il presupposto è falso: i Rom italiani non hanno uno stile di vita nomade e quelli immigrati dalla Romania e dall’ex Jugoslava vivevano nelle case nei Paesi d’origine.
“La parola nomadi continua a essere usata negli anni 90 – spiega Nando Sigona – Ai profughi di guerra dell’ex Jugoslavia viene negato lo status di rifugiati perché si assume che sono nomadi e lo status si assegna a chi ha lasciato la propria casa. In pratica non si riconosceva ai Rom di poter essere vittime di persecuzione all’interno di una guerra etnica. Non essendoci in Italia una legge sull’asilo, i campi nomadi si trasformano in campi profughi”. L’effetto è che molti Rom vivono per generazioni senza permesso di soggiorno o nell’illegalità perché il campo nomadi diventa il posto in cui possono sopravvivere senza documenti di residenza. Ma nel momento in cui provano a uscirne, non ci sono vie per l’accesso al lavoro regolare. Perdono quel minimo di rete di protezione che il campo provvedeva loro.
Secondo Stasolla “nomadi” è una parola del razzismo istituzionale, visto l’uso che se n’è fatto nel contesto della “emergenza nomadi”, decisa per decreto dal governo Berlusconi il 21 maggio 2008 per Lombardia, Lazioe Campania e reiterata fino al 2011. Il 16 novembre del 2011 però il Consiglio di Stato ha giudicato illegittimo il decreto e gli atti amministrativi collegati, “per difetto dei presupposti di fatto”, per la sproporzione fra l’emergenza dichiarata e i dati reali. Non esiste cioè effettivo “allarme sociale” o un eccezionale “pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” quando in un territorio ci sono insediamenti nomadi. L’emergenza non è supportata da statistiche che dimostrino l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza dei Rom. Eppure per fronteggiare i “nomadi”, sono state dettate disposizioni urgenti, con la nomina di altrettanti Commissari Straordinari delegati. A una minoranza etnica, pari allo 0,23% della popolazione, sono state applicate le leggi speciali che si usano con le calamità e i disastri come i terremoti, quando i mezzi ordinari non bastano. Eppure non esiste l’invasione dei Rom, che in Italia sono un piccolo numero sia in termini assoluti che relativi. Il Paese dove sono più numerosi è la Romania, con un milione e 800mila rom. In Spagna sono 800mila e in Francia 400mila.
Il governo Monti ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza del Consiglio di Stato e al momento in cui scriviamo si è in attesa della decisione finale, mentre l’emergenza resta in vigore solo per gli appalti già in corso. Come quelli del Piano nomadi di Roma, duramente criticato a livello internazionale, costato ufficialmente in tre anni 32,5 milioni di euro.
La pratica del concentramento delle persone Rom nei campi è stata delle istituzioni, attraverso gli sgomberi forzati, che sono “violazioni dei diritti umani” come spiega Amnesty International. Non tutti gli sgomberi eseguiti con la forza costituiscono sgomberi forzati. Uno sgombero forzato o illegale è il trasferimento di persone contro la loro volontà dagli alloggi o dal terreno che occupano, senza forme di protezione legale, quali una consultazione effettiva con gli interessati, un preavviso (con la possibilità di fare ricorso), la possibilità di mettere in salvo le proprie cose e l’offerta di un alloggio alternativo. In presenza delle appropriate salvaguardie procedurali, uno sgombero legale portato avanti con l’uso della forza non viola il divieto di sgomberi forzati.
Nei casi di cronaca in cui si parla di sgomberi, l’Associazione 21 Luglio invita a usare la parola “abitazione” al posto di “baracca”, in quanto è giuridicamente riconosciuta come domicilio. Per la legge anagrafica,il domicilio è un concetto molto elastico, è la sede prevalente dei propri affari e interessi, appartiene alla sfera della discrezionalità personale e della scelta individuale di ogni persona. Quindi può essere considerato domicilio anche la panchina o il marciapiede su cui si dorme. Secondo Stasolla, anche i c.d. “villaggi attrezzati” sono illegali, perché violano i diritti umani, segregando le persone su base etnica.
Parole come “villaggio attrezzato” o “villaggio della solidarietà” sono eufemismi. Spesso i Rom che vivono nei campi usano la parola “nomadi”per definirsi, ma solo quando stanno parlando con un gagé in riferimento ai rapporti con le istituzioni. Ferid Sejdic, portavoce del campo Rom di Tor de Cenci (Rm), ha detto: “I campi portano male al nostro futuro, ai nostri figli. Siamo alla terza generazione che nasce nomade nel campo. I miei figli non hanno mai dormito in una casa, io dormivo in una casa (nella ex Jugoslavia, ndr.), mio padre lavorava e io andavo a scuola. Se dal campo ci mandano in una casa non c’è da discutere. Se vado in un campo dove vivono altre mille persone in cui nessuno lavora, non c’è nessun futuro ”. Ad affermazioni di questo tipo, in genere si risponde con il luogo comune che “i nomadi devono tornare a casa loro”. In realtà,le popolazioni Romanì sono presenti in Italia da oltre 6 secoli. Secondo il ministero del Lavoro, nel 2010, il 50-60% dei rom presenti erano cittadini italiani. Degli altri, una grossa fetta è costituita da comunità giunte in Italia da profughi negli anni ‘90, dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia e devono essere considerati apolidi di fatto. Ormai anche loro sono stanziali e i loro figli spesso sono nati in Italia. I restanti sono romeni e bulgari, quindi comunitari.
Frasi Fatte
I rom sono nomadi e amano vivere nei campi
Oltre il 90% di quelli che vivono in Italia ha abbandonato da decenni la vita nomade ed è ormai stabile. Su 150mila, solo 40mila vivono nei campi (secondo un’indagine della Commissione Diritti umani del Senato). La maggioranza abita in case.
Devono tornare a casa loro
Le popolazioni romanì sono presenti in Italia da oltre 6 secoli. Secondo il ministero del Lavoro, nel 2010, il 50-60% dei rom presenti erano cittadini italiani. Degli altri, una grossa fetta è costituita da comunità giunte in Italia negli anni ‘90, dopo la dissoluzione dell’ exJugoslavia. Sono profughi delle guerre balcaniche che non possono dimostrare la loro identità, perché privi di documenti validi e devono essere considerati, per lo più, apolidi di fatto. Ormai anche loro sono stanziali e i loro figli spesso sono nati in Italia. I restanti sono romeni e bulgari, quindi comunitari immigrati regolari.