Lesbica
Il termine lesbica (e lesbismo) proviene dall’isola di Lesbo, dove era anticamente molto diffusa l'omosessualità femminile, testimoniata dai versi della poetessa greca Saffo vissuta tra il VII e il VI secolo a.C. (da cui anche le parole saffica e saffismo).
Come aggettivo, lesbica ha una storia più antica nelle lingue europee, se ne trovano testimonianze già in età moderna, mentre come sostantivo si diffonde nel Novecento. A partire dagli anni '70, mentre nasce e cresce il movimento gay, le donne omosessuali cercano anche nel linguaggio l'affermazione della propria identità.
In Italia, il lesbismo come istanza politica si lega fin dal principio al femminismo, criticando la società patriarcale che nega ogni forma di sessualità altra rispetto a quella eterosessuale e riproduttiva. La critica si estende anche alla misoginia di molte espressioni del movimento omosessuale maschile.
Come ricorda Cristina Gramolini, vicepresidente di Arcilesbica, “i soggetti maschili che hanno abbracciato l’attivismo per la liberazione sessuale hanno adottato il termine gay, appropriandosi in chiave ironica e orgogliosa dello stereotipo della donnina allegra che stigmatizzava le travestite. Senza una radicalizzazione dei soggetti oppressi, l’autorappresentazione si arena sul già pensato dai soggetti dominanti. È accaduto anche per le lesbiche, che si sono dette omosessuali e poi gay, o donne gay, fintanto che non hanno prodotto un senso si sé autonomo”.
Mentre nel mondo anglofono è diffuso anche l'uso di gay per le donne, in Italia molte donne omosessuali rifiutano quindi questo termine restringendolo agli uomini: si parla così di "gay e lesbiche". Interessante a questo proposito è proprio la variazione avvenuta nella denominazione di Arcigay, una delle maggiori organizzazioni per i diritti degli omosessuali, fondata nel 1985, che dopo qualche anno riconobbe ad una sua parte il nome di Arcigay-donna, passò quindi ad Arcigay-Arcilesbica fino alla scissione in Arcigay e Arcilesbica.
Come afferma Cristina Gramolini, “il linguaggio ostile al lesbismo consiste soprattutto nella presunzione di eterosessualità che viene proiettata su tutte le donne, pensate come necessariamente accessibili da parte maschile. […] Colei che si sottrae a ciò che serve agli uomini perde la loro ammirazione, il loro interesse e scompare dai loro discorsi, compresi quelli trasgressivi”.
Come accade più in generale alle donne (vedi Genere femminile), le donne omosessuali faticano a veder riconosciuta nel linguaggio la loro differenza. Nei discorsi sull'omosessualità, l'identità lesbica resta spesso occultata dietro i termini gay o omosessuale, maschili ma usati come universali neutri.
“Trasgredire alla norma eterosessuale accade sia dal versante maschile che da quello femminile, ma ciò non può sensatamente essere considerato simmetrico, perché simmetriche non sono le posizioni di uomini e donne all’interno della struttura sessista”, dice ancora Cristina Gramolini. “Un nome neutro come omosessuale è opaco e non permette di cogliere le conseguenze della trasgressione agita dai due versanti della gerarchia; lo stesso vale per gay quando usato per una donna”.
Esiste poi un linguaggio apertamente ostile al lesbismo, che utilizza – anche in politica – la parola lesbica come insulto. Nel giornalismo questo normalmente non accade, ma la lesbofobia può emergere dalla rappresentazione di aspetti negativi collegati all'omosessualità femminile, attraverso associazioni improprie o, come nel caso dei gay, attraverso l'accento posto sulla sessualità anche quando non ha alcuna attinenza con la notizia (che per esempio è di cronaca nera).
Un esempio di invisibilità nel linguaggio è il caso che segue, tratto dalla prima pagina di un quotidiano nazionale:
«Io, discriminata perché gay» Impiegata denuncia l' Umberto I
«Non ho potuto donare il sangue perché sono lesbica. Quando il medico dell' Umberto I ha saputo che vivo con una donna mi ha mandato via». È la denuncia di un' impiegata quarantenne. Ma all'ospedale ribattono: «La relazione della signora va avanti da soli 4 mesi, pochi per escludere rischi. C' è l' effetto finestra, ma vale anche per gli eterosessuali. Non possiamo correre rischi, c' è di mezzo la vita dei malati».
(quotidiano nazionale, 31 ottobre 2011)
Come si vede, il titolo “strilla” la parola gay, mentre nel sommario la donna si definisce lesbica.
Esistono poi articoli che non avrebbero alcun nesso con l’omosessualità, ma che per pregiudizio voyerismo o superficialità vengono infarciti di luoghi comuni, ingenerando nell’opinione pubblica l’idea che le donne lesbiche, così come i gay e i/le transessuali, siano portate a un certo tipo di azioni delittuose. Infine, ci sono i casi in cui dall’uso di lesbica trapela l’aperta volontà di diminuzione sociale delle donne omosessuali, come di seguito, in un articolo tratto dal sito di un quotidiano nazionale:
Fornero vetero-femminista preferisce le lesbiche a Belen
Il ministro critica il Festival: "Offesa per come è trattata la donna". Poi va a firmare l'accordo con le associazioni lesbo-gay-bisex o trans
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha spiegato di non guardare la televisione da tre mesi, ma di sentirsi "offesa per come è trattata la donna in tv. In quel caso la cosa migliore è cambiare canale o spegnere del tutto". Spenta la televisione, la Fornero ieri, giovedì 16 febbraio, si è dedicata all’accordo promosso dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali per l’adesione dell’Italia al Programma del Consiglio d’Europa in materia di “Contrasto della discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” con l’alto patrocinio delle associazioni lesbo-gay-bisex e trans. Ecco un buon modello di donna per la tv. A quando una lesbica a Sanremo al posto di Belen?
(sito di quotidiano nazionale, 17 febbraio 2012)
Già nel titolo, il giornalista associa due fatti che hanno ben poche relazioni: le critiche mosse dalla Ministra delle Pari Opportunità (qui impropriamente richiamata solo nell’altra sua funzione, di Ministra del Lavoro) alla rappresentazione delle donne nella tv pubblica e la sua partecipazione a un’iniziativa istituzionale che impegna l’Italia contro la discriminazione delle persone Lgbt. Le ultime righe rivelano il senso nascosto in questa associazione impropria: la Ministra (qui: “il Ministro”, per il femminile dei titoli vedi Genere femminile) è accusata di voler sovvertire i modelli femminili, facendo prevalere quello omosessuale: “a quando una lesbica a Sanremo al posto di Belen?”.