La pedofilia è definita dal vocabolario Treccani come una “perversione sessuale, caratterizzata da attrazione erotica verso i bambini, indipendentemente dal loro sesso”. Il DSM IV, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders redatto dall’American Psychiatric Association, la annovera tra le parafilie, che il linguaggio comune chiama perversioni, e che nel lessico della psichiatria sono considerate patologie (vedi Pervertito).
Non ha quindi niente a che fare con l’orientamento sessuale né con l’identità di genere.
A rigore la pedofilia come disturbo del desiderio dovrebbe essere distinta anche dalla pedofilia come reato, che implica la messa in atto di violenze sui bambini attraverso la sessualità, così come dalla pedopornografia, che è il materiale che ritrae o rappresenta visivamente un minore implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita. In Italia è reato sia la sua produzione sia la sua fruizione o possesso.
Nonostante non abbiano niente in comune, pedofilia e omosessualità si trovano spesso associate nel discorso pubblico. Pensiamo ad affermazioni come “Un conto è rispettare le scelte personali, un altro ritenere moralmente opportuno consentire di fare l’insegnante a chi è omosessuale dichiarato o a un pedofilo, dato che c’è chi arriva a ritenere la pedofilia una forma d’amore”[1]. Nonostante l’argomentazione le distingua, il fatto di giustapporle significa offrire dell’omosessualità una rappresentazione vicina alla pedofilia e al rischio di reato.
Considerato sinonimo di pedofilo è anche pederasta. La parola ha una qualche parentela (pensiamo alla comune radice paidós, genitivo del greco pais, fanciullo), dal momento che la pederastia è definita come “Tendenza e pratica erotica costituita dal rapporto sessuale di un adulto con un adolescente”. L’oggetto del desiderio è diverso perché per pedofilia si intende, più propriamente, l’attrazione per i minori in età pre-puberale. Più ancora, tuttavia, si distinguono i due termini se si considera il significato di pederastia che è andato affermandosi nel tempo, quello di omosessualità maschile.
Barbagli e Colombo distinguono, nelle relazioni omoerotiche, il “modello pederastico classico”, entrato in crisi nel Novecento, dalle relazioni basate su un principio di uguaglianza tra i partner che sono andate affermandosi come modello dominante a partite dagli anni ’60[2]. Il rapporto pederastico classico è caratterizzato da una forte differenza d’età e sociale tra i due partner, “la relazione che si forma tra loro è quella gerarchica tra persone assai diverse per potere e prestigio: tra un superiore e un inferiore, un dominatore e un dominato, un vincitore e un vinto. […] Nella relazione tra i due vi è una distribuzione diseguale del desiderio erotico, della capacità di attrarre e della possibilità di provare piacere. È esclusivamente (o prevalentemente) il partner più anziano, quello attivo, che sente il desiderio. È sempre lui che ha il privilegio di poter raggiungere il piacere. È invece il partner giovane, passivo, a dover essere attraente”[3]. Questo modello è esistito anche in una versione modificata, in cui il partner attivo è quello giovane e socialmente/economicamente subalterno.
Le relazioni tra “omosessuali moderni”, invece, “non sono più strutturate su una polarizzazione di identità di ruoli: adulto-ragazzo, attivo-passivo, maschile-femminile. Non sono più caratterizzate da un’asimmetria né sociale né sessuale”[4].
[1] Dichiarazione di Gianfranco Fini riportata in G.A. Stella, Negri, froci, giudei & Co. L’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli, Milano 2009, p. 275.
[2] M. Barbagli e A. Colombo, Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, il Mulino, Bologna 2007.
Quando il desiderio erotico rivolto a un minore si esprime in atti di natura sessuale che lo coinvolgono, si configura il reato di pedofilia. In Italia, secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2010 sono stati 574 i casi di abusi sessuali su minori denunciati. E probabile tuttavia che il "sommerso", le situazioni di abuso che non arrivano alla denuncia, sia molto più ampio del numero di casi segnalati.
Telefono Azzurro ricorda infatti che quasi il 60% degli abusi su minori (0-14 anni) avviene in famiglia[1], ad opera quindi di persone già note alla vittima, parente o amico.
Per quanto riguarda la pedopornografia, Telefono Arcobaleno diffonde annualmente il Rapporto sulla pedofilia online con dati riguardanti l'attività di monitoraggio internet svolta dall’Osservatorio Internazionale. Dal 1996 al 2011 sarebbero oltre 385 mila le segnalazioni di materiale pedopornografico online inviate dall'organizzazione in diciassette paesi nel mondo. Nell’anno 2011 l’organizzazione ha inviato agli Internet Service Provider coinvolti quasi 72 mila segnalazioni relative alla presenza di materiale pedopornografico sul web (circa 10 mila in più rispetto al 2010).
[1] Indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, 2011.