Outing/Coming Out
Quando una persona omosessuale rivela la propria omosessualità a familiari, amici, colleghi di lavoro, si dice, utilizzando un verbo inglese, che fa coming out. Si tratta dell’abbreviazione della frase idiomatica coming out of the closet, letteralmente uscire dall’armadio, quindi uscire allo scoperto. In senso più allargato il coming out rappresenta il percorso che una persona compie per prendere coscienza della propria omosessualità, accettarla, iniziare a vivere delle relazioni sentimentali e dichiararsi all'esterno.
Diverso è l’outing, espressione che indica la rivelazione dell'omosessualità di qualcuno da parte di qualcun'altro, senza il consenso della persona interessata. Il movimento di liberazione omosessuale ha utilizzato a volte l'outing come pratica politica per rivelare l'omosessualità di esponenti pubblici (politici, rappresentanti delle Chiese, giornalisti) che sostengono posizioni omofobe.
Tra i due termini esiste nell’uso molta confusione. La stampa usa continuamente il termine outing per dire di una persona che ha detto di essere omosessuale ("Ha fatto outing"). Il termine corretto sarebbe invece coming out.
La questione del coming out è inoltre rappresentata negativamente da una parte dell’opinione pubblica, che propugna la filosofia del “Don’t ask, don’t tell” (non chiedere, non dire): negli Stati Uniti, è stata questa a lungo la politica in campo militare, il divieto per le persone omosessuali o bisessuali che prestavano servizio nell’esercito di dichiarare o rivelare in alcun modo le proprie inclinazioni[1]. Questa dottrina si estende però anche al di là dell’ambito militare: in Italia, risulta coerente con le posizioni della Chiesa cattolica e con altre opinioni conservatrici che dell’omosessualità stigmatizzano soprattutto la visibilità. È la cosiddetta “ostentazione”, il luogo comune del gay esibizionista, quella contro cui viene condotta la più importante battaglia.
“Frasi come: ‘i gay sarebbero più accettati se non esibissero la loro sessualità!’, ‘ognuno può fare quello che vuole a casa propria, ma perché parlarne, ostentarlo?’, o ancora ‘perché gli omosessuali hanno bisogno di provocare gli altri?’ sono ben diffuse nell’opinione pubblica e nel dibattito politico. Esprimono la convinzione che vi sia un diritto alla vita privata, del quale le persone omosessuali certamente godono. Ma che oltre tale ambito non si possa andare”[2].
[1] Questa disposizione è stata abrogata per legge nel 2010.
[2] M. Winkler e G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, il Saggiatore, Milano 2011, p. 89.
Sono circa 3 milioni gli italiani che si sono dichiarati omo- o bisessuali secondo l’indagine Istat La popolazione omosessuale nella società italiana (2012).
Con l’aumentare dell’età decresce la percentuale di gay, lesbiche e bisessuali dichiarati/e: sono il 3,2% nella fascia 18-34 anni, mentre diventano il 2% tra i 55 e i 64 esolo lo 0,7% tra gli anziani. Si tratta di un indicatore importante del cambiamento culturale in atto, che fa intravedere ai giovani e alle giovani maggiori possibilità di vivere consapevolmente e convintamente la sessualità in base a proprie inclinazioni e conformazioni del desiderio.
Chi fa coming out preferisce farlo con amici e colleghi di lavoro, piuttosto che in famiglia. Solo una minoranza parla del proprio orientamento sessuale con i genitori: nel 21,2% dei casi la madre, nel 24% dei casi il padre. Più elevato è invece il dato per i fratelli (45,9%), i colleghi (55,7%) e gli amici (77,4%).
Tipico esempio di confusione tra outing e coming out è il seguente:
Tiziano Ferro ha fatto outing. Ed è in buona compagnia
Da tempo nel mondo dello spettacolo circolava la voce di una presunta omosessualità di Tiziano Ferro. Il cantante di Latina ha deciso di fare coming out in un’autobiografia dal titolo Trent’anni e una chiacchierata con papà (e in una lettera al Corriere della Sera), dove racconta il suo difficile percorso di accettazione che lo ha portato a pensare di abbandonare la musica.
(sito di settimanale, 12 ottobre 2010)
Come si vede, il titolo usa erroneamente la formula "fare outing" mentre il corpo dell'articolo riporta correttamente l'espressione coming out.
Nel caso che segue sono invece contenute molte delle questioni che circondano questa dicotomia. La notizia è relativa al dibattito seguito alla morte di Lucio Dalla, che ha messo a tema la sua omosessualità e il dovere vs. l’inopportunità di rivelarla:
Lucio Dalla e il totalitarismo omofilo
L’outing post mortem imposto a un omosessuale che non era gay
(sito di quotidiano nazionale, 6 marzo 2012)
Ad essere definita “totalitarismo omofilo” è quella che più avanti nell’articolo è chiamata “ideologia pretestuosamente anticattolica ma più ancora irrispettosa della persona”. A questa ideologia si attribuisce la volontà di violazione della privacy di un uomo defunto, per imporre l’outing post-mortem. In realtà, il dibattito si è acceso intorno a quella che è stata letta da molti osservatori come una volontà esplicita, da parte dei mezzi di informazione, di celare l’omosessualità del protagonista in occasione del funerale di rito cattolico, date le posizioni della Chiesa sul tema.
Come si vede, quindi, i termini del confronto sono outing vs. coming out (è giusto fare outing quando la persona stessa non ha fatto coming out?) e outing vs. privacy (rivelare l’omosessualità di qualcuno ne viola il diritto alla riservatezza sulla propria vita privata?).
Nello stesso articolo si può notare anche un uso disinvolto di una contrapposizione raramente esplicitata nel linguaggio corrente, quella tra omosessuale e gay (omosessuale consapevole e militante), chiarissima nell’espressione “un omosessuale che non era gay”. Gay sta a omosessuale come coming out sta a privacy, nel gioco di associazioni di questo discorso.