Omofobia
Omofobia (dal greco homos, “stesso, medesimo”, e phobos, “paura”) per il vocabolario Treccani è l'“avversione ossessiva per gli omosessuali e l’omosessualità”. Secondo il Parlamento Europeo, questa avversione è “irrazionale”, “basata sul pregiudizio”, ed è quindi “analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo”; come tale, si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali “discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza”[1].
[1] Risoluzione del Parlamento Europeo sull'omofobia in Europa
Non manca chi, all'interno del mondo scientifico, promuove un'interpretazione del termine a partire dalla categoria diagnostica di fobia, descrivendo l'omofobia comepatologia psichiatrica. Quest'uso resta oggetto di discussione ma ad oggi il DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali IV) non l’ha mai registrato. Nel linguaggio delle istituzioni per il contrasto delle discriminazioni, della politica in generale, dell'accademia e del giornalismo, all'omofobia vengono invece ricondotti tutti gli atteggiamenti e i comportamenti discriminatori sulla base dell'orientamento sessuale, che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali: discriminazioni sul posto di lavoro e nelle istituzioni, rappresentazioni culturali stereotipate ed offensive, violenza fisica e psicologica.
In questo significato, che è quello più largamente condiviso, l'omofobia espressa da individui e gruppi sociali è strettamente collegata al modo in cui la cultura, in diversi contesti storici, interpreta, rappresenta e vive l’omosessualità[1]. Di questa cultura fa parte anche il diritto. Il “crimine di sodomia”, l’omosessualità come reato, è stato in vigore in diversi Stati degli USA fino agli anni ‘80 Novecento. L’Europa sotto questo rispetto ha anticipato i cugini d’oltreoceano. Celebre è rimasta la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (l’organo giudiziario che ha il compito di vigilare sull’applicazione della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, CEDU) che nel 1981 si è espressa contro le norme penali sui rapporti omosessuali allora in vigore nel Regno Unito (caso Dudgeon)[2]. Tali norme, secondo la Corte, violavano l’articolo 8 della CEDU, secondo cui “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata”, e la sentenza, che data 1981, ha investito da allora tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa, che oggi sono 47.
A quella data, tuttavia, molti paesi avevano già abrogato le disposizioni del codice penale che reprimevano i rapporti omosessuali tra adulti: la Germania, per esempio, nel 1969. In Italia il reato scomparve addirittura nel 1890, con l’entrata in vigore del primo codice penale dell’Italia unita, il codice Zanardelli. La depenalizzazione, che sembrerebbe collocare il nostro paese all’avanguardia nel riconoscimento di libertà a gay e lesbiche di vivere la propria sessualità, in realtà nasceva non dall’“esigenza di garantire maggiori libertà”, ma da “una più subdola repressione”[3]. L’approccio delle politiche italiane all’omosessualità risulta improntato da allora a quella che viene chiamata “tolleranza repressiva”: i poteri pubblici non si esprimono sulla questione, rendendola appannaggio di un altro potere, quello spirituale della chiesa e rimuovendola dall’orizzonte del discorso pubblico. “Il fatto che si ‘tolleri’ qualcuno”, scriveva Pasolini, “è lo stesso che si ‘condanni’. La tolleranza è anzi una forma di condanna più raffinata”[4].
Alla parola omofobia, il lessico antidiscriminatorio dei movimenti della società civile e delle istituzioni affianca i termini lesbofobia, transfobia, che denotano forme di avversione più specifiche basate su orientamento sessuale e identità di genere, ovvero verso le donne omosessuali e le persone transessuali.
Sulla lesbofobia si esprime Cristina Gramolini di Arcilesbica: “è una parola poco usata ma necessaria per far riferimento all'avversione specifica per l'amore tra donne, connessa all'ostilità per l'autonomia femminile in genere. Non è equivalente a omofobia”.
La transfobia è invece definita come il pregiudizio, la paura e l'ostilità nei confronti delle persone transessuali e transgender (e di quelle viste come trasgressive rispetto ai ruoli di genere) e le azioni che da questo pregiudizio derivano. La transfobia può portare ad atti di violenza nei confronti delle persone transessuali e transgender. Il 20 novembre è riconosciuto a livello internazionale come il Transgender Day of Remembrance (T-DOR) per commemorare le vittime della violenza transfobica, in ricordo di Rita Hester, il cui assassinio nel 1998 diede avvio al progetto Remembering Our Dead.
Tutti questi termini, che sono ormai parte di un linguaggio istituzionale convalidato, sono tuttavia contestati da una parte dell’opinione pubblica. Lo ricorda Gian Antonio Stella in Negri, froci, giudei & co., in cui richiama una lettera pubblicata da “L’Avvenire” (20 dicembre 2007): omofobia, scrive l’autore, “ha un suono simile a una malattia (claustrofobia, aracnofobia,…), ma è una malattia inesistente, inventata dall’ideologia gay per i suoi scopi. […] La finta malattia detta “omofobia” serve solo a zittire coloro che contestano l’ideologia gay (si dà dell’omofobo un po’ come un tempo si dava del fascista)”. E ancora, il Lexicon Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche della Santa Sede, così definisce la voce Omofobia: “L’omofobia è un argomento di malafede e un prodotto dell’ansietà psicologica omosessuale”, per “colpevolizzare gli eterosessuali”[5]. Come si vede, dalla messa in discussione del termine discende la negazione del fenomeno.
[1] G. Lo Presti e P. Pedote, Omofobia. Il pregiudizio anti-omosessuale dalla Bibbia ai giorni nostri, Stampa Alternativa, Viterbo 2003.
[2] Cfr. M. Winkler e G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, il Saggiatore, Milano 2011.
[4] P.P. Pasolini, Lettere luterane, in Paragrafo terzo: ancora sul tuo pedagogo, Garzanti, Milano 2010, p. 35.
[5] In G.A. Stella, Negri, froci, giudei & Co. L’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli, Milano 2009, p. 282.
Nonostante i cambiamenti dell’ultimo secolo, sono numerosi nel modo gli ordinamenti che prevedono sanzioni anche gravi nei confronti delle persone omosessuali: in Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Nigeria, Mauritania, Pakistan, Sadan e Yemen i rapporti omosessuali sono puniti con la pena di morte; in molti altri sono reato. E sono simili condizioni a generare le richieste d’asilo presentate in Europa da persone Lgbt: circa 10 mila ogni anno, presentate da persone provenienti da almeno 104 paesi, secondo il rapporto Fleeing homophobia: domande di protezione internazionale per orientamento sessuale ed identità di genere in Europa[1].
Secondo il Consiglio d'Europa, “le vite di milioni di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e persone intersessuali sono ancora gravate da diffusi pregiudizi, stigmatizzazione, in alcuni casi anche violenza. Molti di loro sono trattati come esseri umani di seconda classe”[2]. L'Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (FRA) dedica rapporti periodici all’omofobia, la transfobia e le discriminazione delle persone LGBT ed effettua la raccolta dei dati per i diversi paesi membri dell’Europa a 27[3]. Pur segnalando situazioni diverse nei diversi stati, corrispondenti a maggiori o minori interventi di tutela da parte dei governi e delle amministrazioni, questi dati segnalano come “esistano tre principali problemi a cui fanno fronte le persone LGBT nell’Unione Europea: sono costretti a vivere in silenzio e nell’invisibilità, sono oggetto di attacchi violenti e non sono trattati in condizioni paritarie, per esempio sul lavoro, da parte dei padroni di casa o quando si muovono all’interno dell’UE”.
In Italia, secondo l’indagine Istat La popolazione omosessuale nella società italiana (2011), scuola e lavoro sono i luoghi dove i gay subiscono maggiormente discriminazioni. Il 40,3% degli omosessuali/bisessuali ha dichiarato di essere stato discriminato nel corso della vita mentre era a scuola/università, mentre cercava lavoro o mentre lavorava, a fronte di una percentuale del 27,9% rilevata tra gli eterosessuali. La percentuale sale al 53,7% se si aggiungono le discriminazioni subite (riconducibili al proprio orientamento omo- o bisessuale) nella ricerca di una casa (10,2%), nei rapporti con i vicini (14,3%), nell’accesso ai servizi sanitari (10,2%) oppure in locali, uffici pubblici o mezzi di trasporto (12,4%). Il 13% degli omosessuali si è dovuto trasferire in un'altra zona o in un altro comune per poter vivere più tranquillamente la propria omosessualità/bisessualità.
La maggioranza dei cittadini (61,3%) ritiene che gli omosessuali siano "molto o abbastanza discriminati". La percentuale sale all'80,3% quando si parla di transessuali. Il 47,4% degli intervistati, inoltre, riferisce di aver sentito spesso conoscenti e amici utilizzare appellativi offensivi nei confronti degli omosessuali.
Per quanto riguarda gli atteggiamenti verso l’omosessualità, il quadro risulta più ambivalente: generale è la condanna quando si discute di comportamenti discriminatori: il 73% degli italiani è contrario alla mancata assunzione di qualcuno sul lavoro o al diniego di un affitto in ragione dell'omosessualità della persona coinvolta. Il 74,8% della popolazione non considera l'omosessualità una malattia, per il 73% non è immorale, per il 74,8% non è una minaccia per la famiglia. E il 65,8% pensa che si possa amare chiunque, l'importante è volersi bene. Ma quando si tratta di avere a che fare in prima persona con un omosessuale l’orientamento delle risposte cambia. Per il 41,4% non è accettabile che un insegnante di scuola elementare possa essere omosessuale, per il 28,1% che lo sia un medico, per il 24,8% che lo sia un politico. Il 17,2% degli italiani non vorrebbe un omosessuale come vicino di casa, oltre il 22% ritiene poco o per niente accettabile avere amici con questo tipo di orientamento sessuale. Il 55,9% degli italiani consiglia maggiore discrezione agli omosessuali perché così sarebbero accettati di più. Mentre il 29,7% li invita al silenzio: meglio non rivelarsi. Le più aperte su questo tema risultano le donne, insieme ai giovani e ai residenti del centro Italia.
[1] Progetto di Coc Paesi Bassi e Vu università di Amsterdam, in cooperazione con Hungarian Helsinki committee, Avvocatura per i diritti Lgbti/Rete Lenford ed European council on refugees and exiles, 2011.
[2] Dichiarazione del Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa alla conferenza annuale dell'ILGA “Advancing LGBTI equality in challenging economic times”, Dublino 17 ottobre 2012.