Una posizione che ricorre periodicamente nel discorso pubblico – e che, ad ogni comparsa, provoca accesi dibattiti tra chi la sostiene e le comunità LGBT – è quella che definisce l’omosessualità una malattia.
Negli esperimenti totalitari che hanno scatenato persecuzioni di massa contro gay e lesbiche (basti pensare alla Germania nazista, all’URSS, alla Cina maoista, ma i casi sono molto più numerosi), l’omosessualità era considerata come “una specie di virus in grando di passare dall’uno all’altro infettando come la varicella […] e che questi infetti potessero essere guariti attraverso i più feroci e strampalati esperimenti ‘scientifici’”[1].
L’omosessualità non è invece classificata come malattia nei testi riconosciuti dalla comunità scientifica. È stata invece inserita dal primo DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) dell’American Psychiatric Association (A.P.A.), nel 1952, all’interno dei"disturbi sociopatici di personalità". Nel DSM II (1968) è spostata tra le “deviazioni sessuali” come pedofilia, necrofilia, feticismo, voyeurismo, travestitismo e transessualismo. Nel DSM III (1980) è rimossa anche dall’elenco delle parafilie e riclassificata solo come “omosessualità ego-distonica”: l’omosessualità della persona che non si accetta come tale, che dunque provoca conflitti interiori e sofferenze (diversamente da quella “egosintonica”). Nel DSM III-R (1987) viene derubricata anche l'omosessualità egodistonica come disturbo a sé stante[2]. Nell’ultima versione del manuale, quella attualmente in uso (DSM IV), l’omosessualità non occupa più alcuna casella diagnostica.
L’omosessualità come malattia è dunque nient’altro che un artificio retorico.
[1] Gian Antonio Stella, Negri, Froci, Giudei: l’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli, Milano 2009.
[2] Tuttavia, come è emerso ad aprile 2012, suscitando un caso sulla stampa e nel dibattito politico, nell’elenco ufficiale delle malattie e dei traumi del Ministero della Salute italiano (Icd9-cm), a causa di ritardi nell’adeguamento ai testi internazionali, si trova ancora la classificazione del “lesbismo egodistonico”. Con l’adozione dell’Icd10 è prevista la sua cancellazione.
Come tale, l’argomento è utilizzato dalla stampa, dalla politica e dall’opinione pubblica ostile al riconoscimento di pari diritti alle persone omosessuali, con intenti di diminuzione sociale e di rafforzamento della diversità come diseguaglianza giuridica. I casi di dichiarazioni-scandalo provenienti dal mondo politico sono numerose. Bastino alcuni titoli: “ll sindaco e i gay: ‘Aberrazione genetica’”; “Gay: Bozza (Lega), sono malati non devono farsi vedere in pubblico”; “Romano La Russa: ‘I gay? Vanno curati’”.
Alla rappresentazione patologica dell’omosessualità concorre anche la definizione degli omosessuali come "categorie a rischio" di Hiv e malattie sessualmente trasmissibili. Per quanto riguarda l’Hiv, la percezione del rischio è oggi ancora carica di pregiudizi: omosessuali, tossicodipendenti e prostitute sono considerate le categorie più a rischio di infezione. In realtà, si tratta soprattutto di stereotipi culturali[1]. Non vi sono "categorie a rischio" ma solo "comportamenti a rischio". Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, la prima causa di infezione sono oggi i rapporti eterosessuali non protetti[2].
Il rischio di contrarre l'Hiv è a sua volta associato alla rappresentazione di una sessualità sfrenata, torbida, sporca, spersonalizzata.
Si può considerare un caso che sintetizza tutte le diverse sfumature che assume l’associazione omosessualità-malattia. Si tratta dell’intervista pubblicata da un quotidiano nazionale a Luca Di Tolve, ex attivista per i diritti degli omosessuali che si definisce “ex gay” e racconta di essersi sottoposto a una “terapia riparativa”. Il titolo recita:
«Ero gay, ora ho una moglie»
(quoridiano nazionale, 24 luglio 2011)
Fin dalle prime righe l’attenzione è portata sulla promiscuità sessuale indotta dalla passata condizione omosessuale:
Se gli chiedi il numero dei partner che ha cambiato in quel periodo, ti risponde, abbassando gli occhi, «almeno due a settimana», cioè poco meno di 1.900, il che lo pone una spanna al di sopra del cantautore Franco Califano, recordman dell’acchiappo, che ha cominciato anche lui a 13 anni e che mi ha confessato d’aver avuto nella sua vita 1.500 donne.
Subito dopo arriva la malattia vera e propria:
Luca, milanese di 39 anni, adesso sta con Teresa, bergamasca di 35, detta Terry, operatrice sanitaria in una casa di riposo, che si è licenziata per stargli vicino - è sieropositivo, ha avuto un’epatite, ogni giorno deve ingollare 12 pastiglie.
Poi, il dibattito intorno all’uso della parola malattia, riferita da una parte dall’omosessualità, dall’altra all’omofobia. Si tratta chiaramente di due significati differenti, il primo letterale, il secondo figurato. Né il giornalista né l’intervistato, tuttavia, hanno cura di marcare questa differenza:
Luca era gay e adesso dice «sono guarito», e questo manda in bestia i gruppi omosessuali, Arcigay in testa. […] Lei dice: «Sono guarito», dando implicitamente dei malati agli omosessuali. […] «Guarito in senso etimologico: mettere al riparo. Una guarigione spirituale. Potrei usare un altro verbo. Uso questo perché ci vogliono rubare anche le parole. Mai pensato che l’omosessualità sia una malattia». E l’omofobia è una malattia? «Secondo il Dsm, il manuale dei disordini mentali, perché si possa diagnosticare una fobia devono presentarsi almeno quattro dei seguenti sintomi: palpitazioni, tachicardia, sudorazione, tremori, dispnea, dolore al petto, nausea, disturbi addominali, sbandamento o svenimento, depersonalizzazione, paura d’impazzire o di morire, parestesie. Chi viene dipinto come omofobo prova quattro di questi sintomi mentre parla dei gay? Ma andiamo!». Appena sarà approvata la legge sull’omofobia, la arresteranno.
Segue la descrizione dettagliata di club trasgressivi, dark room, pratiche orgiastiche.
Queste ed altre dichiarazioni, rilasciate a varie testate già a partire dal 2007, hanno attirato le critiche degli attivisti per i diritti degli omosessuali, che in diversi organi di informazione online scrivono:
Luca Di Tolve è il tipico esempio di persona che non ha mai capito che essere omosessuali non vuol dire relazionarsi tramite il sesso smodato e la superficialità dei rapporti. L'omofobia interiorizzata si manifesta anche trasformando stereotipi negativi in stili di vita («i gay pensano solo al sesso, io sono gay e quindi io posso pensare solo al sesso»).
(sito di informazione LGBT, 13 dicembre 2007)
Un giornalista non dovrebbe pubblicare un'intervista così piena di inesattezze e senza accertare i fatti. […] Innanzitutto leggiamo un resoconto dell'ambiente gay devastante ma nessuno dice, e anzi i due protagonisti, giornalista e intervistato, si vedono bene dal farlo, che ciò che descrive Di Tolve è solo un aspetto del mondo GLBT. È vero ci sono i locali, c'è la prostituzione, ci sono le dark e le saune. Allo stesso modo in cui ci sono i cruising per eterosessuali, le dark per eterosessuali, i locali e i luoghi di scambio di coppia per eterosessuali. A nessuno verrebbe mai in mente di sostenere che siccome un eterosessuale ha vissuto esperienze estreme tutti gli eterosessuali sono dei maniaci sessuali con una sessualità decadente.
(sito di informazione LGBT, 29 luglio 2011)
Quanto alla “guarigione” e alle “terapie riparative”, si può ricordare, come fanno gli attivisti delle associazioni LGBT, che l’Ordine degli Psicologi italiano ha redatto a luglio del 2011 un documento intitolato L'omosessualità non è una malattia da curare, firmato da oltre 2000 professionisti[1].