Secondo l'enciclopedia Treccani, il termine untóre proviene dal latino unctor -oris. Significa “chi unge, ungitore”. In particolare, si chiamarono untori coloro che durante la peste di Milano del 1630 furono sospettati di diffondere il contagio ungendo persone e cose (per esempio le porte delle case, le panche delle chiese) con unguenti malefici. Contro di essi si scatenò l’ira popolare e si dette corso a persecuzioni giudiziarie.
Dopo che in anni passati l'Hiv fu definito “la peste del XX secolo”, ancora oggi le persone con Hiv vengono dipinte come possibili “untori”. Tuttavia il termine, utilizzato nei titoli dei quotidiani italiani o durante alcune trasmissioni televisive, non ha alcuna utilità sul piano della prevenzione, e neppure dell’informazione: di fatto accresce solamente la discriminazione e lo stigma per le persone con Hiv.
Oggi, in Italia, la maggior parte dei contagi avviene da parte di persone non consapevoli di aver contratto l'Hiv che, nel periodo che intercorre tra l'infezione e il manifestarsi dei sintomi che le obbligano a fare il test, hanno modo e tempo di trasmettere il virus a molte altre. Secondo uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità, la stima delle persone inconsapevoli dell'infezione in Italia può variare dal 13 al 40 per cento in più delle 94.146 accertate[1].
Una persona consapevole della propria positività all’Hiv è con altissima probabilità in terapia e questa abbatte la carica virale riducendo la possibilità di trasmettere il virus di almeno il 96 per cento. L'efficacia della TasP (Terapia come Prevenzione - Treatment as Prevention), ovvero l'uso dei farmaci antiretrovirali come strumento per ridurre il rischio di trasmissione dell'Hiv è stata ufficializzata dalla comunità scientifica[2].
[2] Nel 2008 con il “Swiss statement” pubblicato nel 2011 sul New England Journal of Medicine, è stato dimostrato scientificamente che i farmaci antiretrovirali sono in grado di ridurre di oltre il 96 per cento la possibilità di contagio attraverso rapporti sessuali.
Episodi di persone che trasmettono consapevolmente il virus ad altri sono rari, tuttavia per raccontare storie eccezionali di questo tipo, non è corretto richiamarsi alla peste manzoniana, usando il termine "untori". Si può parlare di una persona con Hiv che ha trasmesso volontariamente il virus.
Aids nei vicoli, caccia all’untore di prostitute
Forze dell’ordine e prostitute nei vicoli sulle tracce di un giovane sospettato di essere sieropositivo
Quotidiano nazionale, edizione locale 24 aprile 2012
Genova - Trent’anni, biondino, magro. Troppo magro, al punto da sembrare malaticcio. E a ben guardare malato lo è davvero: sieropositivo, raccontano le comari del centro storico. E nei vicoli da mesi è caccia all’untore e la paura si diffonde a gran velocità, ancor più oggi che il governo ha tagliato i fondi per le associazioni di volontariato e assistenza alle schiave del sesso. Ne parlano tutti, da settimane. Ne discutono i clienti abituali delle prostitute che vivono e lavorano nei bassi della città vecchia. Ne tratteggiano l’identikit le “lucciole” che hanno ricevuto proposte indecenti dal trentenne contagiato dal virus dell’Hiv: «Pago qualsiasi cifra pur di fare sesso senza protezioni». Se ne interessano perfino le forze dell’ordine, i carabinieri la polizia e i vigili urbani, che vorrebbero rintracciare il “biondo” in questione e consigliargli un immediato ricovero. Sempre meglio che una denuncia o un arresto per epidemia. Già perché il rischio è proprio quello di un diffuso contagio in una zona più o meno vasta, quella del centro storico genovese, ma pure del resto della città, considerato il gran numero di habitué dei Caruggi. Un pericolo che semina «paure», «incubi» tra le squillo assiepate sui portoni della città vecchia.
Le Iene shock: il video su chi si vuole contagiare con l’HIV
Ragazzi alla ricerca di untori. Sui social si scatena il panico #FolliaHIV
Sito nazionale, 28 novembre 2014
Ieri sera Le iene hanno mandato in onda un servizio dedicato al bugchasing, la pratica di avere un rapporto sessuale con una persona sierodivergente allo scopo di infettare o essere infettato dal virus dell’HIV. Il servizio, a cura di Nadia Toffa, ha scatenato numerose polemiche in rete sotto l’hashtag #folliaHIV. Sul tema, la comunità Lgbt si è invece divisa: sono in tanti a pensare che l’approfondimento delle iene offra un’idea distorta del mondo omosessuale: il bugchasing è una pratica quasi inesistente e, di certo, non esclusiva del mondo gay.
Nel primo articolo si parla in modo generico di una persona con Hiv intenzionata a contagiare le prostitute di Genova. Si evidenzia che, come si afferma nel testo, non vi sia alcun dato concreto che mostri che la persona in questione abbia l'Hiv, se non il fatto che sia “magrolino” e che sia oggetto di racconti “delle comari”. L'articolo in questione porta ad associare l'idea di una persona con Hiv a quella di qualcuno che vuole fare male ad altri, senza fornire alcuna prova o indizio che la trasmissione del virus sia in effetti avvenuta.
Nel secondo articolo il termine "untore" è associato al fenomeno del "bugchasing". Secondo wikipedia, il bugchasing è “un termine gergale che indica una presunta pratica sessuale in base alla quale alcuni individui praticherebbero sesso non protetto con individui sieropositivi, con l'intento deliberato di contrarre il virus dell'Hiv”. I bugchasers dichiarano diverse motivazioni relative alla loro scelta, che vanno dall’eccitazione di compiere un atto estremo al desiderio di sentirsi libere fare sesso senza il preservativo. In Italia avere un rapporto sessuale con l'intenzione deliberata di contagiare il o la partner espone a una possibile denuncia per lesioni personali, indipendentemente dal fatto che la persona contagiata fosse consenziente o meno al momento del rapporto.
Pur nella condanna di un fenomeno grave come il bugchasing, la paura dell’infezione da Hiv non va utilizzata, nei titoli o nei testi, a fini sensazionalistici. Dipingere le persone con Hiv come potenziali “untori”, infatti, non ha alcuna utilità sul piano della prevenzione: accresce solamente la discriminazione e lo stigma per le persone con Hiv. Trattare l'Hiv usando parole che rimandano alla peste manzoniana, oltre a non essere appropriato, rischia di alimentare il virus: è noto infatti che molte persone che hanno avuto rapporti sessuali a rischio evitano di fare il test perché terrorizzate dalla solitudine e dalla discriminazione sociale che seguirebbe un eventuale esito positivo.