La sigla Aids sta per Aquired Immunodeficiency Syndrome (Sindrome da Immunodeficienza Acquisita). L'Aids è una sindrome – ovvero un insieme di patologie e infezioni - che può manifestarsi nelle persone che hanno contratto il virus dell’Hiv anche dopo diversi anni dal momento del contagio. Il termine si riferisce alla condizione di una persona con il sistema immunitario gravemente compromesso dal virus dell’Hiv e perciò maggiormente soggetta a patologie opportunistiche.
Oggi l’evoluzione verso l’Aids in una persona con Hiv viene bloccata con l'assunzione delle terapie
Le infezioni tipiche di questa sindrome sono una ventina distinte in:
- Infezioni da batteri e protozoi, tra cui sono frequenti: Pneumocistosi, una polmonite causata da un protozoo di nome Pneumocistis Carinii; Toxoplasmosi, causata dal Toxoplasma Gondii, un protozoo che colpisce il cervello, l'occhio e raramente il polmone; La Tubercolosi, causata dal bacillo di Koch.
- Infezioni da virus tra cui Herpes, infezione da CitoMegaloVirus e HHV-8.
- Tumori: Linfomi, tumori delle ghiandole linfatiche; Sarcoma di Kaposi.
- Infezioni micotiche tra cui è frequente l'infezione da Candida, un fungo che nelle persone immunodepresse si può sviluppare in bocca, nell'esofago e in altre parti del corpo.
Nel linguaggio comune il termine Aids – che indica la sindrome - viene spesso confuso e usato in modo intercambiabile con la sigla Hiv, che si riferisce al virus che la provoca. Tuttavia, una persona che ha contratto il virus dell’Hiv non ha necessariamente una diagnosi di Aids. Come evidenziato dalla breve guida ai media della Lila (Lega Italiana per la Lotta all’Aids)[1] l’Hiv può essere trasmesso, ma l’Aids no. Allo stesso modo, si può fare il test dell’Hiv, non esiste il test dell’Aids. Inoltre l’Aids viene spesso definito come malattia, mentre è una sindrome di cui si può essere affetti, non malati.
Tra le definizioni utilizzate nel tempo dai media per indicare l’Aids, vi sono il “cancro dei gay”, la “peste dei gay” oppure “la peste del 2000”. L’uso del termine “peste” - che nella memoria storica e letteraria è collegato a situazioni di terrore e di epidemie da cui non c’era un modo sicuro di proteggersi – provoca stigma e costituisce cattiva informazione. Perché l’Hiv si trasmette solo in tre modi (con sangue, sperma, secrezioni vaginali e latte materno) e utilizzando precauzioni è possibile proteggersi con sicurezza. Anche legare l’Aids ai gay non è corretto perché appartenere a un gruppo sociale non costituisce, di per sé, un rischio. Il rischio è nei comportamenti adottati. Non esistono “categorie a rischio” ma solo “comportamenti a rischio” e “popolazioni vulnerabili”.
Dagli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità emerge che dal 1982, data d’inizio dell’epidemia da Hiv[1] , sino a oggi sono stati segnalati oltre 65.000 casi di Aids, di cui circa 42.000 segnalati come deceduti.
Nel 2013, sono stati diagnosticati 1.016 nuovi casi di Aids: l’incidenza – ovvero i nuovi casi di Aids segnalati ogni anno - è di 1,9 nuovi casi per 100.000 residenti.L’incidenza di Aids è stabile negli ultimi tre anni. Con l’avvento delle terapie antiretrovirali combinate Art (Antiretroviral Therapy), i decessi sono drasticamente diminuititi. Secondo uno studio dell’Iss sono stati stimati 1.500 nel 2012 in Italia.
Nel 2013, poco meno di un quarto delle persone diagnosticate con Aids ha eseguito una terapia antiretrovirale prima della diagnosi. Il fattore principale che determina la probabilità di avere effettuato una terapia antiretrovirale prima della diagnosi di Aids è la consapevolezza della propria positività all’HIV: tra il 2006 e il 2013 è aumentata la proporzione delle persone che arrivano allo stadio di Aids conclamato ignorando di aver contratto l’HIV, passando dal 20,5% al 68,2%.
[1] Aggiornamento delle nuove diagnosi da Hiv e dei nuovi casi di Aids in Italia al 31 dicembre 2013 ” redatto dal Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Scaricabile dal link: http://www.iss.it/binary/ccoa/cont/Dicembre_2014_rev.pdf
Aids, rifiuto del sangue donato dai gay. La Corte Ue dà ragione alla Francia
La Corte di giustizia Ue ha stabilito che è giustificata la legge francese che vieta agli uomini che abbiano avuto rapporti omosessuali di donare il sangue
La Corte di giustizia Ue di Lussemburgo ha stabilito oggi che è giustificata la legge francese che vieta agli uomini che abbiano avuto rapporti omosessuali di donare il loro sangue, in quanto a rischio di trasmissione di Aids.
La Corte ha pero' ammesso che questa disposizione puo' violare il diritto alla non discriminazione per ragioni di orientamento sessuale, e ha quindi sottolineato che e' necessario dimostrare che il rischio di trasmissione di Aids o di altre malattie gravi e' effettivamente maggiore per gli uomini omosessuali. Solo in questo caso infatti si puo' derogare dal diritto di non discriminazione.
Secondo i dati a disposizione delle autorita' francesi, aggiornati al 2008, gli uomini omosessuali sono di gran lunga la categoria più colpita dall'Aids in Francia a causa di rapporti sessuali non protetti, si legge in un comunicato stampa della Corte Ue. L'incidenza della malattia tra gli uomini omosessuali e' 200 volte superiore al tasso registrato nel resto della popolazione francese.
In virtu' di questi dati, le autorita' francesi impongono un divieto permanente di donare il sangue agli uomini che abbiano rapporti omosessuali. Tale divieto, alla luce di questi dati, e' considerato "giustificato" dai giudici Ue. La Corte ha comunque chiesto al giudice francese di verificare i dati piu' recenti sull'incidenza dell'Aids in Francia, e di appurare se siano a disposizione tecniche piu' avanzate di individuazione della malattia che possano garantire in pieno la salute di coloro che ricevono trasfusioni di sangue, evitando possibili discriminazioni a scapito dei donatori.
Notiziario online, 29 aprile 2015
Ha l’Aids ma tace con la compagna Rinviato a giudizio
Lei ha scoperto di averlo contratto solo dopo un ricovero dell’uomo allo Spallanzani L’accusa del Gip: «Sarà processato per lesioni gravi»
Ripeteva continuamente, in maniera ossessiva, di amarla. Eppure l’ha condannata a un amaro destino. Stefano Sidoti, 57 anni, non ha però mai trovato il coraggio di confessare alla compagna C. R. di essere infetto da Hiv in stato avanzato e, così, l’ha costretta a cominciare una lunga e dolorosa battaglia contro l'Aids.
A spingere l’uomo - rinviato a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare con l’accusa di lesioni gravi - a tenere nascosto lo stato di salute è stata la paura di perderla. E lei è venuta a sapere solo per caso di essere stata segnata da chi diceva di amarla. La scusa accampata da Sidoti per giustificare il silenzio durato sei anni è raccolta in una frase pronunciata durante una conversazione telefonica registrata dagli investigatori e depositata agli atti del procedimento: «Non volevo perderti». Un’affermazione che, di certo, non sarà servita a giustificare il comportamento dell’imputato agli occhi della donna, ormai segnata per sempre.
A provocare un’ulteriore senso di turbamento in questa vicenda è un’altra circostanza. La famiglia di Sidoti sarebbe stata a conoscenza della malattia ma nessuno avrebbe trovato il coraggio per metterla in allarme, come sostiene la vittima di questa vicenda. L’inizio del dramma è del settembre 2001, quando l’uomo contrae la malattia. L’incontro con C.R, avviene un anno dopo ma lui non le dice nulla, nè tantomeno lei si insospettisce per qualche motivo. La relazione corre su binari tranquilli e nel 2003 comincia la convivenza. Nonostante un passaggio cosi importante nell’esistenza di entrambi, Sidoti , tuttavia, non confessa il suo segreto. I loro rapporti intimi avvengono senza protezioni, una cautela che sarebbe indispensabile per evitare il contagio.
Nel 2008 Sidoti deve ricoverarsi allo Spallanzani. È cosi che, leggendo la cartella clinica, la donna viene a sapere la verità. Lei si sottopone così alle analisi e scopre di essere anche diventata siero-positiva. Gli chiede spiegazioni e lui, in primo momento, nega. Poi, però, è costretto a confessare.
Quotidiano locale, 8 febbraio 2015
Nei due articoli si utilizza il termine Aids in modo improprio, riferendosi all'Hiv.
Nel primo articolo il termine viene usato a sproposito diverse volte parlando di “trasmissione di Aids”, e indicando gli uomini omosessuali come “categoria più colpita dall’Aids”. Riguardo a questa definizione - così come per le locuzioni “peste dei gay” e “cancro dei gay” - è utile notare che l'espressione “categorie a rischio”, riferita alle persone omosessuali, è obsoleta e può indurre alla stigmatizzazione di questo gruppo sociale: il rischio non sta nell’appartenere a determinati gruppi, ma nei comportamenti adottati.
Il termine Aids - che indica la condizione grave compromissione delle difese immunitarie e di soggezione a patologie e infezioni – sembra essere utilizzato nei due articoli per attrarre l'attenzione rendendo più drammatica la vicenda. Questo tipo di azione ha l'effetto di scatenare paura ed emozioni negative nei confronti delle persone con Hiv, aumentando lo stigma nei loro confronti.