Prostituzione è la parola più comunemente impiegata per indicare il lavoro sessuale di donne, uomini e persone transessuali, il commercio sessuale in tutte le sue forme.
Secondo l’Enciclopedia delle Scienze Sociali, «La prostituzione può essere definita come una prestazione sessuale a scopo di lucro». Una definizione che mette in evidenza due caratteristiche universali del fenomeno: «la componente economica, per cui la prostituzione si configura come una transazione commerciale, e la natura relativamente indiscriminata di tali transazioni, che coinvolgono estranei anziché il coniuge o persone amiche».
Si dovrebbero aggiungere però altre due componenti per circoscrivere ciò di cui parliamo quando parliamo di prostituzione. La prima è il contesto sociale e culturale: la prostituzione si inserisce in un contesto di relazioni tra i generi che è imperniato su diseguaglianze persistenti tra uomini e donne e si caratterizza quindi come uno scambio asimmetrico. A questa asimmetria si deve poi sommare lo stigma. Secondo l’antropologa Paola Tabet, in tutte le culture la prostituzione sottrae la sessualità femminile allo scambio matrimoniale ed è per questo una pratica soggetta a un forte stigma sociale[1].
Con queste caratteristiche il termine e il concetto di prostituzione sono impiegati nel linguaggio giornalistico, oltre che nella produzione culturale e scientifica e nelle formulazioni giuridiche. La legge che in Italia stabilisce modalità e limiti nell’esercizio del commercio sessuale, la Legge Merlin del 1958, ha per titolo: Abolizione della regolamentazione della prostituzione [ovvero del sistema delle case chiuse] e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui.
[1] P. Tabet, La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico, Rubbettino, Cosenza 1994.
Il termine prostituzione, oltre ad essere di uso comune, contiene quindi il riferimento alla normativa italiana sul tema e può essere utilizzato per descrivere in generale i fenomeni connessi alla vendita e all’acquisto di servizi sessuali.
La prostituzione è spesso chiamata, anche dai media, il mestiere più antico del mondo, in base alla rappresentazione per cui è sempre esistita, presso tutte le società e le culture del mondo. Ma si tratta davvero di una pratica che ha attraversato immutata i secoli?
“In tempi remoti la sessualità femminile era libera e non connotata negativamente”, scrivono due studiosi – Jole Baldaro Verde e Roberto Todella: “Veniva infatti considerata espressione del ‘sacro’, in quanto l’unione del maschio con la donna rappresentava simbolicamente l’unione con la dea madre” [1]. Presso le civiltà antiche orientali e mediorientali, le vergini del tempio si offrivano in nome della dea in cambio di doni e denaro: erano quindi “prostitute sacre”, dove il termine prostituta indica la presenza di una contropartita economica al rapporto sessuale ma è privo della connotazione negativa che gli viene oggi attribuita.
La prostituzione intesa come prestazione sessuale retribuita esercitata per mestiere nasce invece in un tempo successivo, con il consolidarsi del “patriarcato”, cioè del sistema di potere maschile[2]. La tendenza crescente a controllare la sessualità femminile, indotto in Occidente in particolare dal Cristianesimo, approfondisce la distanza della “donna per bene” dalla “donna di piacere”, producendo lo stigma sociale che accompagnerà la prostituzione fino ai nostri.
L’espressione mestiere più antico del mondo tende quindi ad occultare la condizionatezza, il carattere sociale e culturale del mercato del sesso, facendone qualcosa di “naturale” e in quanto tale immutabile. Viene rimosso così anche il fatto che lo scambio sesso-denaro sia radicato in strutture specifiche di relazioni tra i generi, caratterizzate dalla diseguaglianza materiale e simbolica tra uomini e donne, e dalla subordinazione delle seconde ai primi.
Si tende così anche a giustificarne l’esistenza, sulla base di un presunto ordine naturale della sessualità umana: se così è sempre stato, così sarà per sempre. Pia Covre, del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, attribuisce però l’uso di questa perifrasi da parte dei giornalisti soprattutto a una certa superficialità: “è un’espressione che viene usata senza porsi il problema, senza pensare se corrisponde a verità, se abbia un senso”.
Attualmente, in Italia, quello della prostituzione è un mondo molto differenziato al proprio interno per tipo di servizi offerti, tariffe, tempi e luoghi d’esercizio (strada, appartamenti, night club, sale massaggi, Spa, hotel…). Il mercato del sesso coinvolge donne, uomini e persone transgender, di nazionalità italiana e di numerose altre nazionalità, che assumono in alcuni settori nomi specifici, per esempio escort, girl e boy nei siti web dedicati all’incontro tra domanda e offerta.
Il numero delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso italiani è andato diminuendo negli ultimi decenni del Novecento, in parallelo con l’aumento delle presenze straniere. Negli anni '80, quando hanno fatto la loro comparsa, provenivano dall'America Latina (donne e transgender) e dai Balcani. Poi sono arrivate le donne albanesi e nigeriane, i due gruppi più numerosi negli anni '90, affiancate all'inizio del nuovo millennio dai gruppi dell'Est Europa, romene e moldave in testa. Nell’ultimo decennio è venuta alla luce anche l’esistenza di un sistema di prostituzione che coinvolge le donne cinesi, sia in strada sia in appartamenti e sale massaggi.
Le lavoratrici e lavoratori del sesso stranieri, in poco più di un trentennio, hanno mutato la fisionomia del mercato del sesso italiano, immettendovi una varietà etnica e linguistica senza precedenti, insieme a una pluralità di percorsi e progetti migratori, volontari e coatti.
Francesco Carchedi, studioso di lungo corso del fenomeno, distingue tre forme di esercizio della prostituzione da parte delle donne straniere: “prostituzione volontaria”, esercitata senza costrizioni; “prostituzione negoziata”, che si basa sulla convenienza reciproca tra chi esercita la prostituzione e chi la controlla, dove agli sfruttatori è ceduta una parte dei guadagni in cambio di alcuni servizi come l’uso di infrastrutture e forme di “protezione”; “prostituzione coatta o para-schiavistica”, da cui è assente ogni forma di negoziazione e consenso e in cui quindi le persone coinvolte sono vittime di sfruttamento sessuale (e spesso vittime di tratta).
[1] J. Baldaro Verde e R. Todella, Prostituzione: vecchi e nuovi significati, in «Pagine. Il sociale da fare e pensare», n. 2, 2007, pp. 11-12.
[2] P. Tabet, La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico, Rubbettino, Cosenza 1994.
Secondo le stime della ricerca del 2010 di Parsec e Unicri, l’universo della prostituzione straniera in strada conta tra le 19.700 le 24.000 persone coinvolte. Il quadro delle nazionalità presenta una situazione sostanzialmente binaria: da una parte le donne di origine nigeriana (41,2%), dall’altra quelle di origine romena (25%). Tra le altre numerose nazionalità spicca la componente albanese (5,1)[1]. Per quanto riguarda il lavoro sessuale al chiuso, secondo un’altra indagine svolta da Parsec[2],il numero delle persone coinvolte si aggirerebbe tra 13.400 e 16.350, il 68% di quella di strada. Il dato complessivo si aggirerebbe quindi intorno a 36-37.000 persone[3].
A queste si possono aggiungere quelle di origine italiana: 15.000 secondo le stime dell’International Centre for Migration Policy Development[4].
Le native (e i nativi) lavorano perlopiù al chiuso, in case/appartamenti o strutture come night club, sale massaggi, Spa, hotel e resort; le straniere (e gli stranieri) in tutte le situazioni, all’aperto e al chiuso, spesso con forme di alternanza (nei diversi orari del giorno, oppure nei diversi periodi dell’anno…) tra spazi invisibili, al chiuso, e spazi visibili, pubblici.
Le tecniche di contatto ormai sono multiple: vengono usati tutti i nuovi media (siti web, blog, social network, chat…) in aggiunta a quelli tradizionali, ossia gli annunci sui quotidiani e la presenza fisica negli spazi pubblici.
[1] Parsec e Unicri, Trafficking of Nigerian Girls in Italy, Torino 2010.
[2] F. Carchedi e V. Tola (a cura di), All’aperto e al chiuso. Prostituzione e tratta: i nuovi dati del fenomeno, i servizi sociali, le normative di riferimento, Ediesse, Roma 2008.
[3] Il fatto che la strada sia ancora il ruolo principale in cui si esercita il commercio sessuale dipende dalla normativa in vigore in Italia, la Legge Merlin (legge n.75 del 1958), che vieta le "case di prostituzione".
[4] Icmdp, Study on the assessement of the extent of different types of trafficking in human being in EU countries, Icmdp, april 2010.