Si tratta di un termine generico e vago per indicare i migranti forzati, cioè chi è costretto ad abbandonare il proprio paese a causa di guerre, persecuzioni o catastrofi naturali. Non corrisponde a uno status giuridico definito. Spesso i profughi sono migranti irregolari, oppure lo sono stati per un breve periodo. Tuttavia si tratta una parola abbastanza neutra e non stigmatizzante, quindi utilizzabile al posto di clandestino, quando non si è certi dello status giuridico. “Il termine clandestino è sicuramente abusato sui giornali. È usato spesso a sproposito quando si parla di profughi e di rifugiati. Noi utilizziamo spesso la parola profugo – dice Alberto Barbieri, coordinatore di Medici per i Diritti Umani, una Onlus che si è occupata di afgani- Seppure è molto generica dal punto di vista giuridico, dal punto di vista della lingua italiana ha un senso. Noi la usiamo per indicare sia le persone che sono già richiedenti asilo in Italia o hanno la protezione internazionale, e quindi rientrano nel grande gruppo dei rifugiati, sia per riferirci a quelle persone in transito, che passano dall’Italia per un periodo di tempo limitato (da pochi giorni a qualche mese, ndr.) e sono diretti verso il Nord Europa in paesi in cui faranno richiesta d’asilo e la cui richiesta sarà accettata, soprattutto per gli afgani. Però nel momento in cui transitano in Italia sono in uno stato di invisibilità e di irregolarità perché non sono turisti e nemmeno ancora richiedenti asilo. Profughi sono tutti, sia quelli che hanno fatto richiesta d’asilo, sia quelli in transito. Dal punto di vista delle sofferenze che hanno patito sono nella stessa condizione umana”. [1]
Medu ha chiesto più volte alle istituzioni “un centro di accoglienza per profughi in transito”. Un fenomeno visibile alla stazione Ostiense di Roma, dove l’Onlus ha allestito una tendopoli accanto a un binario dello scalo ferroviario per dare assistenza sanitaria agli afgani. [2]
Da aprile a settembre 2011, sono stati ospiti della tendopoli 687 profughi, la maggior parte migranti forzati in transito. Il 70% non ha i documenti perché si dirige verso il nord Europa. Il 95% proviene dall’Afghanistan. L’88% dei quali ha un’età inferiore ai 30 anni. Il 99% sono uomini. Solo il 4% proviene da Pakistan, Iran o Iraq e solo l’1% degli homeless visitati alla stazione è italiano. Le statistiche dell’Ong dicono che nel 2010 e 2011 sono aumentate le persone in transito. È la storia di una crisi umanitaria in condizioni igienico sanitarie disastrose a poca distanza dal centro della capitale. L’air terminal della stazione Ostiense, dove nel 2012 ha aperto i battenti ‘Eataly’ per i cibi di alta qualità, è noto da anni per le migliaia di profughi afgani in transito verso il nord Europa. Un fenomeno iniziato nel 2004 e per il quale si sono moltiplicati appelli, proteste, azioni della società civile, senza che le istituzioni siano riuscite a trovare una soluzione. Il dramma degli afgani è stato la cartina di tornasole delle carenze del sistema di accoglienza capitolino e italiano. Bambini che nascondevano gli effetti personali nei tombini per metterli al riparo. Cavalcavia usati come rifugi al di sotto di via Cristoforo Colombo. Tende, cartoni, binari morti occupati da potenziali rifugiati senza dimora.
La vicenda più grave è quella della ‘buca’, un accampamento fatto di stracci e plastica in cui hanno vissuto centinaia di persone a partire dal 2009. Per l’alta presenza di minori in fuga dalla guerra in Afghanistan, nella buca c’erano molti bambini di 12 e 13 anni. Fra tentativi di sgombero delle forze dell’ordine, denunce anche video dei Medici per i diritti umani, scuole d’italiano improvvisate fra le tende, nel 2010 arriva per loro il trasferimento al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto. Poi da qui vengono di nuovo spostati in un edificio dell’ospedale Forlanini e il 31 marzo 2010 buttati fuori alla fine dell’emergenza freddo.
Da questa decisione delle istituzioni nasce un’occupazione e dopo aver verificato le condizioni invivibili, ancora una volta si arriva alla costituzione di un centro d’accoglienza per un breve periodo in un altro edificio del Forlanini. Smantellato anche quello, i nuovi arrivati dormono all’addiaccio sui binari della stazione Ostiense. Qui, ad aprile del 2011, Medu ha portato circa 15 tende per rendere ‘visibile’ il fenomeno ignorato da tutti. Immediato lo sgombero della polizia. Le ferrovie hanno concesso di usare una piazzola adiacente alla stazione.
Ma alla fine del 2011 devono partire i lavori per il nuovo megastore e le tende sono un problema. Dopo mesi di trattative, a fine febbraio la tendopoli viene chiusa e i suoi abitanti trasferiti in una tensostruttura a Tor Marancia, dove saranno accolti fra le polemiche sollevate da alcuni cittadini che si oppongono al tendone perché, dicono, è troppo vicino a un asilo nido. Tutto questo senza dimenticare che a febbraio, mentre gli afgani erano ancora sotto le tende, a Roma c’è stata un’abbondante nevicata. Oltre cento afgani sono stati abbandonati con l’ondata di freddo, a un’ accoglienza sotto zero.
Eppure i campi per profughi in transito non sono un fenomeno nuovo. Nel 1944, ebrei provenienti soprattutto da paesi mitteleuropei o balcanici, scampati allo sterminio nazista, furono ospitati in campi di transito in Puglia gestiti dall'UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), in cooperazione con le Forze Alleate. Furono allestiti a Bari, Barletta e nelle località salentine di Santa Maria al Bagno, Santa Maria di Leuca, Santa Cesarea e Tricase Porto. I campi furono luoghi di recupero fisico e psicologico soprattutto per quanti erano scampati alla Shoah.[3]
Da qui, gli ebrei emigrarono verso la Palestina, alcuni tornarono nei Paesi d’origine, altri andarono nelle Americhe, in Australia o in Sudafrica. Risulta che all’inizio del 1946 c’erano 2300 profughi nell’area di Santa Maria al Bagno. “Ricominciammo a vivere di nuovo, era come essere resuscitati”, fu la testimonianza di Lisa Schotten, sopravvissuta ai campi di concentramento con la famiglia.
Per l’accoglienza data ai profughi ebrei in transito, il comune di Nardò ha ricevuto la medaglia d’oro al Merito Civile dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il 27 gennaio 2005, Giorno della Memoria, con la seguente motivazione: "Negli anni tra il 1943 ed il 1947, il Comune di Nardò, al fine di fornire la necessaria assistenza in favore degli ebrei liberati dai campi di sterminio, in viaggio verso il nascente Stato di Israele, dava vita, nel proprio territorio, ad un centro di esemplare efficienza. La popolazione tutta, nel solco della tolleranza religiosa e culturale, collaborava a questa generosa azione posta in essere per alleviare le sofferenze degli esuli, e, nell'offrire strutture per consentire loro di professare liberamente la propria religione, dava prova dei più elevati sentimenti di solidarietà umana e di elette virtù civiche.”
Quel passato di accoglienza è sembrato lontanissimo in alcune occasioni più recenti. Nardò è ormai nota come ‘anguria city’. Anche qui i braccianti agricoli stagionali che dagli anni Novanta raccolgono le angurie tra giugno e agosto, sono stati costretti a vivere in masserie abbandonate o addirittura direttamente sotto gli ulivi. Centinaia di persone, in gran parte tunisini e marocchini, ma anche africani. Tanto che per non avere problemi, alcuni proprietari hanno preferito radere al suolo i loro ruderi, mentre la vecchia masseria in cui si rifugiavano era stata soprannominata “Guantanamo”. Anche in Salento, nel pieno della stagione turistica, ad agosto si vede la faccia amara dello sfruttamento e degli sgomberi per gli stagionali. La manodopera lavora per un euro ad anguria e sotto il ricatto del caporale (vedi). Una breve parentesi di accoglienza è stata quella data dalla Masseria Boncuri, gestita dai volontari dell’associazione Finis Terrae e dalle Brigate di Solidarietà attiva. Ha dato ospitalità con letti a castello e tende per due anni: nel 2010 e nel 2011. Era stata ristrutturata con fondi per l’emersione del lavoro nero. Il comune ha speso 300 mila euro per i lavori strutturali dell’edificio e per il campo annesso, rifacendo il piazzale con la ghiaia, con l’impianto elettrico e i bagni chimici.
Sono molti i profughi che per sopravvivere finiscono sfruttati nei campi, con status giuridici diversi: rifugiati, richiedenti asilo e diniegati. Lavorano per molte ore al giorno e percepiscono paghe misere in nero. L’esatto contrario della credenza molto diffusa che i profughi non vogliano lavorare e quindi siano, quasi per indole, dei “fannulloni”. Sembra proprio ispirarsi a questo stereotipo la proposta di Romano La Russa, assessore alla Protezione Civile in Regione Lombardia, battuta dalle agenzie di stampa il 3 febbraio 2012 alle ore 18.50, in piena morsa del gelo sull’Italia (la cosiddetta “emergenza neve”). La Russa ha proposto di utilizzare i profughi della guerra in Libia accolti in Lombardia per pulire le strade dalla neve e dal ghiaccio. "Come ha già giustamente sperimentato il Comune di Como -spiega La Russa - invito gli amministratori locali a valutare concretamente la possibilità di utilizzare, per le operazioni di pulizia delle strade, rimozione del ghiaccio e spargimento del sale, gli oltre 3 mila profughi che, in attesa di sapere se la loro domanda di asilo politico sarà accolta, sono ospitati in hotel e strutture ricettive lombarde senza essere impegnati in alcuna attività professionale".
[1] Intervista realizzata a marzo 2012
[2] “Un Camper per i diritti dei rifugiati a Roma” era il nome del progetto della durata di un anno finanziato dalla Regione Lazio
[3] Fonte: http://www.profughiebreinpuglia.it
Profughi via da Jesolo.
I veri rifugiati sono solo 5.
Gli extracomunitari sono stati tenuti costantemente sotto controllo anche durante le manifestazioni di protesta.
(quotidiano locale, 26 febbraio 2012)
Riportiamo qui degli esempi di informazione scorretta e fuorviante. In alto un titolo approssimativo che lascia intendere una qualche 'truffa' operata dai 'profughi', visto che i 'veri rifugiati' sarebbero solo cinque persone. Anche la frase che riportiamo dall'articolo inquadra la questione in una cornice di controllo contro il pericolo di disordini sociali.
In basso troviamo i due articoli, uno di cronaca politica e l’altro di commento, di un quotidiano locale veneto durante la fase di ‘smistamento’ dei profughi arrivati dalla Libia nelle regioni italiane. Il primo articolo tace gli aspetti giuridici e umanitari della questione, per soffermarsi solo sulle dichiarazioni politiche dei sindaci e degli altri amministratori locali, amplificando soprattutto i messaggi che esprimono chiusura totale nei confronti dei profughi. Nello stralcio che riportiamo, abbiamo sottolineato alcune affermazioni significative. Nel secondo articolo, si fa commentare l’arrivo dei profughi a un poeta intervistato in merito, che parla di possibili contrasti con la popolazione locale, di ‘una sensazione di occupazione’ e poi accenna alla cultura araba e musulmana, erroneamente definita come islamica (vedi), in termini negativi, allarmistici e inferiorizzanti (Medioevo, fanatismo, è regredita). Nel complesso, da tutta la pagina risulta una comunicazione improntata all’odio verso le persone da accogliere, in una cornice allarmistica con richiami al ‘fanatismo islamico’ e all’invasione che sono del tutto falsi, fuoriluogo e irresponsabili in un grave momento di tensione sociale come quello che si stava vivendo nel 2011 nella fase di arrivo di migliaia di profughi di una guerra contro il dittatore Gheddafi in cui l’Italia era direttamente impegnata.
I PROFUGHI IN VENETO
Poteri straordinari a Lamorgese
«Faremo rispettare la legge»
Gelo tra Zaia e i sindaci leghisti
Un fronte del rifiuto che parte dal Trevigiano, dove il segretario del Carroccio e sindaco di Vittorio Veneto, Gian Antonio Da Re, è lapidario: «Profughi qui? Mai e poi mai. Del Governo non ci fidiamo e lo diremo a Maroni»; dove ancora echeggia il «vade retro» elettorale delpresidente della Provincia Leonardo Muraro e il «blocco navale e terrestre ai confini» invocato dall'ottuagenario sceriffo Gentilini. Che si estende al Padovano, con i proclami bellicosi del sindaco-deputato di Cittadella Massimo Bitonci. Che culmina nel Vicentino con il leghista Attilio Schneck, al timone dell'amministrazione provinciale, lesto a soffiare sulla protesta dell'Altopiano di Asiago, destinatario di 250 libici: «Condivido la rabbia dei sindaci, fosse per me non ne accoglierei neanche uno». […]
La riflessione del poeta di Pieve di Soligo Zanzotto: «Giusto ospitarli ma attenzione ai conflitti»
(quotidiano locale, 20 maggio 2011)
PIEVE DI SOLIGO. «Se 200 persone vengono distribuite in una provincia come Treviso, due per Comune, il pericolo vero è che se fra essi c'è qualcuno che esprime un certo prestigio può formarsi una rete in contrasto con gli indigeni». L'ha detto il poeta trevigiano Andrea Zanzotto, rispondendo ad una domanda sull'arrivo dei profughi dalla Libia. «Si può avere la sensazione di una occupazione», ha commentato «anche se non c'è pericolo che la nostra cultura venga contaminata. Insomma, l'aiuto dobbiamo darlo ma è chiaro che lo facciamo con spirito di dovere e non con entusiasmo». Se spalmare i profughi nei Comuni può generare un sistema antagonista alla popolazione locale, tuttavia, per Zanzotto «concentrarli tutti in un solo luogo è peggio perchè si ottiene l'effetto di un ghetto». «Non saprei proprio come impostare una risposta », ha aggiunto il grande poeta trevigiano «perchè nella Storia se ne sono viste di tutte i colori ma una situazione simile è del tutto inedita. Certo, il rischio che qualche cialtrone si infili nei barconi che arrivano a Lampedusa è reale». In merito agli altri temi posti dall'immigrazione, come la disponibilità di luoghi di culto, Zanzotto ritiene che «le moschee si possono fare». «Un cristiano ha il dovere di entrare in un clima di discussione aperta con i musulmani, con l'accortezza di tenersi lontano da quel fanatismo che i musulmani spesso esprimono. Nel mondo islamico siamo al medioevo. Se si pensa a ciò che la cultura araba ha prodotto nei secoli scorsi», ha concluso «adesso occorre riconoscere che è regredita di molto”.
Sui profughi arrivati dalla guerra in Libia è interessante mettere a confronto il modo opposto di vedere le implicazioni economiche dell'accoglienza. Qui in basso riportiamo due casi.
Emergenza profughi
Si infiamma lo scontro politico.
L’accoglienza costa ogni giorno 100 mila euro
LO STUDIO. La Fondazione Leone Moressa ha stimato i conti in Veneto Nel Vicentino è prevista una spesa quotidiana di oltre 17 mila euro per vitto, alloggio e assistenza Nel capoluogo 2.300 euro, ad Arzignano 516 euro
(quotidiano locale, 20 maggio 2011)
Gruppi di profughi sono sistemati, altri rifugiati sono in arrivo, è tempo di fare i conti. Qual è il costo dell’accoglienza dei 433 profughi che potrebbe- ro arrivare in totale nella pro- vincia di Vicenza? Premessa: il numero di 433 è quello calco- lato sui dati previsti dalla Re- gione, anche se di fatto l’ipote- si di immigrati da assegnare ai nostri Comuni diramata dalla Prefettura di Vicenza è di 366. Fatto salvo il dato regionale sul quale si basa questa indagi- ne, il costo dell’accoglienza in terra berica è di oltre 17 mila euro al giorno, per la precisio- ne 17.328, interamente a quan- to pare a carico dello Stato. Cifra che moltiplicata per un mese di permanenza dei profu- ghi fa mezzo milione di euro, poco più. Ammonterebbe invece a qua- si centomila euro al giorno il costo dell’accoglienza dei 2.500 profughi africani che po- trebbero complessivamente giungere in Veneto che, molti- plicato per un mese di perma- nenza, fa 3 milioni tondi. LO STUDIO. A dirlo è la Fonda- zione Leone Moressa, l’Istituto di studi e ri- cerche per lo stu- dio e la valorizza- zione dell’artigia- nato e la piccola impresa, nato nel 2002 su ini- ziativa della Cgia di Mestre e dal 2008 con una par- ticolare specializ- zazione nell’appro- fondimento dei fe- nomeni migrato- ri.
IL PUNTO DI PARTENZA. Questo studio appena sfornato riguar- dante la questione profughi ha seguito il criterio da cui è partita la Regione Veneto nel calcolare l'arrivo degli africa- ni. Niente ghetti, ma piuttosto l’idea di un profugo in linea te- orica ogni duemila abitanti che si traduce in un afflusso di quasi 2.500 stranieri nel terri- torio regionale. Per i ricercato- ri della Fondazione (il diretto- re scientifico è Stefano Scola- ri, docente di Economia politi- ca all’Università di Padova) al costo dei centomila euro quoti- diani assicurati dal Governo, si arriva con una semplice mol- tiplicazione. Moltiplicando cioè il numero di 2.500 per i 40 euro al giorno di vitto, alloggio e assistenza sanitaria per cia- scun straniero accolto, tale la cifra stimata dalla Protezione civile nazionale.
PROVINCE. Questa l’analisi rea- lizzata dalla Fondazione Leo- ne Moressa (www.fondazione- leonemoressa.org) che ha sti- mato per ciascun comune l’im- patto demografico e l’esborso moneta- rio nel territorio veneto. Secondo i cri- teri stabiliti, le cinque maggio- ri provincie venete Padova, Ve- rona, Treviso, Vicenza e Vene- zia accoglieranno ciascuna ol- tre 400 profughi con un costo che oscillerà tra i 17.178 euro al giorno di Venezia e i 18.555 eu- ro al giorno di Padova. Vicen- za in particolare si colloche- rebbe al quarto posto, dopo Pa- dova, Verona, Treviso con una spesa per l’assistenza giorna- liera di 17.328 euro. Rovigo e Belluno, considerato il basso numero di residenti, potrebbe- ro accogliere, rispettivamen- te, 124 e 107 stranieri con una spesa di mantenimento infe- riore ai 5mila euro al giorno.
COMUNI. A livello comunale, Venezia, Verona e Padova so- no le due aree in cui verranno accolti il maggior numero di profughi: 135, 132 e 106 rispet- tivamente. Questo significa che a Venezia il costo giornalie- ro si attesterebbe a circa 5.400 euro al giorno, nel capoluogo scaligero si tratterebbe di 5.300 euro e a Padova di 4.260 euro. Per il Comune di Vicen- za il costo previsto sarebbe di 2311 euro al giorno. Tra i primi 50 comuni per numero di acco- glienze, Arzignano, Lonigo, Montecchio Maggiore e la ve- ronese San Bonifacio che mostrano peraltro la maggiore incidenza di residenti stranieri sul totale dei residen- ti (20,6%, 20,3%, 18,3%, 17,3%). In tali territori la spesa di man- tenimento dei profughi che verrebbero accol- ti sarà, rispettiva- mente, di 516 euro, 321 euro, 477 euro e 405 euro al giorno.
INCHIESTA
Chi specula sui profughi
Un miliardo e 300 milioni: è quello che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da Libia e Tunisia. Un fiume di denaro senza controllo. Che si è trasformato in business per albergatori, coop spregiudicate e truffatori
(settimanale nazionale,15 ottobre 2012)
Erano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga dalla rivoluzione in Tunisia e dalla guerra in Libia: fra marzo e settembre dello scorso anno l'esodo ha portato sulle nostre coste 60 mila persone. Profughi, accolti come tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto d'Europa: solo 21 mila sono rimasti a carico della Protezione civile. Ma l'assistenza a questo popolo senza patria è stata gestita nel caos, dando vita a una serie di raggiri e truffe. Con un costo complessivo impressionante: la spesa totale entro la fine dell'anno sarà di un miliardo e 300 milioni di euro. In pratica: 20 mila euro a testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel nostro Paese. Ma i soldi non sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha alimentato un suk, arricchendo affaristi d'ogni risma, albergatori spregiudicati, cooperative senza scrupoli. Per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno, senza verificare le condizioni in cui viene ospitato: in un appartamento di 35 metri quadrati nell'estrema periferia romana ne sono stati accatastati dieci, garantendo un reddito di oltre 12 mila euro al mese.
IN NOME DELL'EMERGENZA. Ancora una volta emergenza è diventata la parola magica per scavalcare procedure e controlli. Gli enti locali hanno latitato, tutto si è svolto per trattative privata: un mercato a chi si accaparrava più profughi. E il peggio deve ancora arrivare. I fondi finiranno a gennaio: se il governo non troverà una soluzione, i rifugiati si ritroveranno in mezzo alla strada. In Italia sono rimaste famiglie africane e asiatiche che lavoravano in Libia sotto il regime di Gheddafi. La prima ondata, composta soprattutto da giovani tunisini, ha preso la strada della Francia grazie al permesso umanitario voluto dall'allora ministro Roberto Maroni. Ma quando Parigi ha chiuso le frontiere, lo stesso Maroni ha varato una strategia federalista: ogni regione ha dovuto accogliere un numero di profughi proporzionale ai suoi abitanti (vedi grafico a pag. 39). A coordinare tutto è la Protezione civile, che da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state regole per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere trattati. Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie fatiscenti.
IL MERCATO DEI RIFUGIATI. Dalle Alpi a Gioia Tauro, gli imprenditori del turismo hanno puntato sui rifugiati. A spese dello Stato. Le convenzioni non sono mai un problema: vengono firmate direttamente con i privati, nella più assoluta opacità. Grazie a questo piano, ad esempio, 116 profughi sono stati spediti, in pantaloncini e ciabatte, dalla Sicilia alla Val Camonica, a 1.800 metri di altezza. I proprietari del residence Le Baite di Montecampione non sono stati i soli a fiutare l'affare. Anche nella vicina Val Palot un politico locale dell'Idv, Antonio Colosimo, ne ha ospitati 14 nella sua casa-vacanze, immersa in un bosco: completamente isolati per mesi, non potevano far altro che cercare funghi. I più furbi hanno trattato anche sul prezzo. La direttiva ufficiale, che stabilisce un rimborso di 40 euro al giorno per il vitto e l'alloggio (gli altri 6 euro dovrebbero essere destinati all'assistenza), è arrivata solo a maggio. Nel frattempo, la maggior parte dei privati aveva già ottenuto di più. Gli albergatori napoletani sono riusciti a strappare una diaria di 43 euro a testa. Non male, se si considera che in 22 alberghi sono ospitate, ancora oggi, più di mille persone. «La domanda turistica al momento degli sbarchi era piuttosto bassa», ammette Salvatore Naldi, presidente della Federalberghi locale. La Protezione civile prometteva che sarebbero state strutture temporanee. Non è andata così: solo all'Hotel Cavour, in piazza Garibaldi, di fronte alla Stazione centrale, dormono tutt'ora 88 nordafricani. Le stanze, tanto, erano vuote: i viaggiatori si tengono alla larga, a causa dell'enorme cantiere che occupa tutta la piazza. Ma grazie ai rifugiati i proprietari sono riusciti lo stesso a chiudere la stagione: hanno incassato quasi 2 milioni di euro. I richiedenti asilo però non sono turisti, ma persone che hanno bisogno di integrarsi. La legge prevede che ci siano servizi di mediazione culturale, che sono rimasti spesso un miraggio o sono stati appaltati a casaccio:«A Napoli sono spuntate in pochi mesi decine di associazioni mai sentite nominare», denuncia Jamal Qadorrah, responsabile immigrazione della Cgil Campania: «Ogni albergatore poteva affidare i servizi a chi voleva, nonostante ci sia un albo regionale degli enti competenti. Tutti, puntualmente, ignorati». Non solo. «A luglio di quest'anno abbiamo organizzato un incontro fra il Comune e gli albergatori», racconta Mohamed Saady, sindacalista della Cisl: «Diverse strutture non avevano ancora un mediatore». Ed era passato più di un anno dall'inizio dell'emergenza......