I centri di accoglienza sono distinti dai Cara e dai Cie (vedi). Mentre nei Cara vengono trasferiti i richiedenti asilo e nei Cie vengono trattenuti i migranti irregolari in regime di detenzione amministrativa, i Cda “sono strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L’accoglienza nel centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l'identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l'allontanamento”[1]. I Cda servono ad accogliere per un periodo limitato i migranti il cui status giuridico non è ancora definito. L’associazione ‘A Buon Diritto’ sottolinea in un rapporto che “la normativa italiana non definisce con precisione il limite temporale oltre il quale gli stranieri non possono più permanere nei Cda, né circoscrive le modalità di trattenimento e i diritti delle persone ivi presenti”[2]. L’unica cosa che dice la legge è che gli stranieri devono rimanere nei Cda esclusivamente per il tempo necessario all’adozione dei provvedimenti questorili[3]. Secondo Luigi Mancone e Stefano Anastasia, “le carenze legislative indicate di fatto spesso si traducono in situazioni di limitazione della libertà personale senza che essa venga convalidata con un atto motivato dall’autorità giudiziaria”[4].
Durante la cosiddetta ‘emergenza Nord Africa’ nel 2011 sono sorte anche altre strutture temporanee chiamata ‘Cai’, cioè ‘Centro di accoglienza e di identificazione’. Era questa la denominazione, ad esempio, della tendopoli pugliese di Manduria, usata per trasferire sulla terraferma dall’isola di Lampedusa i profughi arrivati dopo la rivoluzione tunisina o in fuga dalla guerra in Libia. Ma il ‘Cai’ non esiste nella normativa italiana sui centri.
Quello di Lampedusa è invece un Cpsa, cioè centro di primo soccorso e accoglienza. Il Cpsa non è una struttura di trattenimento e i migranti devono essere trasferiti nel più breve tempo possibile perché il centro serve solo per le prime cure e per rifocillare i naufraghi. Ma questa e altre strutture hanno mutato la loro destinazione d’uso nel corso dell’emergenza del 2011. In alcuni casi il cambiamento è stato dichiarato. I tre centri di accoglienza – tendopoli (Cai) aperti tra la fine di marzo e i primi di aprile nei comuni di Santa Maria Capua Vetere (CE), di Palazzo San Gervasio (PZ) e di Trapani località Kinisia sono stati trasformati in centri di trattenimento, Cie temporanei (Ciet) in cui recludere i migranti in attesa di riuscire a rimpatriarli. Sono stati convertiti il 21 aprile 2011 con l’ordinanza 3925 della Presidenza del Consiglio dei ministri. “Il cambio di natura giuridica dei centri non hapermesso di chiarire cosa sia accaduto alle persone presenti nei centri che improvvisamente si sono trasformate da ospiti di una struttura di accoglienza in trattenuti – scrive l’Associazione A Buon Diritto nel rapporto Lampedusa non è un’isola - Vi sono però numerosi dubbi sulla legittimità delle procedure adottate per la convalida del trattenimento. Tutti i Centri presentano numerosi limiti di carattere strutturale, limiti che nei tre Centri di identificazione ed espulsione temporanei (CIET) si presentano ancora più aggravati. Basti citare l’esempio del CIET di Kinisia, una tendopoli costruita su una vecchia pista aeroportuale. Le condizioni assolutamente proibitive con il caldo estivo hanno portato alla chiusura anticipata di questa struttura a inizio luglio 2011”[5].
I CPSA sono strutture istituite nel 2006 al fine di garantire immediato soccorso e prima accoglienza agli stranieri appena giunti in Italia e prima di un loro trasferimento presso gli altri Centri presenti (CDA o CARA o CIE) in base alle caratteristiche giuridiche del singolo migrante. “In tali strutture gli stranieri dovrebbero essere trattenuti per un periodo non superiore a 48 ore, il tempo necessario per assolvere alle attività di soccorso. Nei fatti, tuttavia, non sempre questa tempistica viene rispettata- denuncia il rapporto di A buondiritto - Il Decreto Interministeriale che ha istituito i CPSA, infatti, non dà indicazioni precise riguardo ai tempi e alle modalità di trattenimento degli stranieri”[6].
Il centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa di contrada Imbriacola e l’ex base Loran nel quale erano trattenuti i minori arrivati sull’isola, durante l’emergenza Nord Africa sono diventati luoghi di trattenimento di medio periodo. Ma, a differenza degli altri centri, non c’è stato nessun atto ufficiale e legale a sancire questa prassi di ingiusta e grave limitazione della libertà personale. Questa situazione, come hanno più volte denunciato molte Ong, ha riguardato indistintamente uomini soli, minori soli, famiglie, donne e anche neonati.
L’avvocato Alessandra Ballerini, che è stata a Lampedusa con Terre des hommes nel corso del 2011, racconta in un diario la sua esperienza. “Nel Cpsa di Contrada Imbriacola come nel Cie dell'ex base Loran, da quando e' iniziata la cosiddetta “emergenza profughi” (ordinanze PCM del 5 e 7 aprile), le persone - e tra esse i minori - che approdano sull'isola di Lampedusa vengono private della loro libertà personale per settimane, senza che venga loro notificato alcun provvedimento ed in assenza di convalida giudiziaria. In entrambi i centri e' evidente l'inidoneità delle condizioni igienico sanitarie: e, in quello stato, le persone si trovano costrette a vivere per settimane e, talvolta mesi. Si pensi al caso del minore, rinchiuso nel Cpsa di Contrada Imbriacola per 64 giorni in condizioni di promiscuità: donne e uomini, adulti e bambini e neonati”.[7]
[1] Dal sito del ministero dell’Interno
[2] Manconi L., Anastasia S. (a cura di) Lampedusa non è un’isola. Profughi e migranti alle porte dell’Italia. Associazione a Buon Diritto Onlus. Roma, 2012, pag. 275
[3] art. 23 del DPR 349/99
[4] Manconi L. e Anastasia S. (a cura di), op. cit. pag. 275
[7] Ibidem, diario Ballerini, pag.82
Alla luce di quanto detto, esaminiamo il caso dell’incendio del centro di accoglienza di Lampedusa e la successiva rivolta dei migranti che erano trattenuti all’interno. Ecco cosa scrive a riguardo il rapporto di A Buon Diritto. “Il primo problema durante la cd. emergenza 2011 è stato il trattenimento prolungato presso il CPSA di Lampedusa. A differenza di quanto avvenuto nel 2008 (ultimo anno di arrivi consistenti sull’isola) i trasferimenti dal Centro di Contrada Imbriacola - i cui limiti anche di natura strutturale sono stati in più occasioni e da più osservatori, nazionali e internazionali, sottolineati – sono stati caratterizzati da grande lentezza. Anche dopo l’avvio del Piano Migranti della Protezione Civile, che pure ha rappresentato un notevole miglioramento dell’efficienza dei trasferimenti, i migranti sono stati trattenuti presso il CPSA molti giorni. In particolare si è trattato di cittadini tunisini, per i quali si è dato vita a un secondo binario diverso da quello che ha riguardato i migranti provenienti dalla Libia. Infatti, mentre i secondi venivano de plano trasferiti nei luoghi di accoglienza aperti sulla penisola, i tunisini non aventi diritto al permessodi protezione umanitaria perché arrivati dopo il 5 aprile, sono stati trattenuti a Lampedusa e successivamente respinti. Alcuni sono stati trasferiti nei CIE, ma lamaggior parte è rimasta a Lampedusa in attesa del ritorno forzato in Tunisia”[1]. Sostanzialmente il ministero dell’Interno ha cercato di trasformare Lampedusa in un’isola prigione da cui effettuare direttamente i rimpatri forzati. Una scelta discutibile, visto le piccole dimensioni dell’isola e la sua vocazione turistica, che ha reso la situazione molto calda. Tuttavia, nelle cronache nazionali nessuno ha chiesto conto delle responsabilità delle autorità su quanto stava succedendo, né sono state date spiegazioni all’opinione pubblica su cosa abbia causato l’incendio e la protesta dei migranti. Nessuno ha messo in discussione l’opportunità di effettuare i rimpatri verso Tunisi dall’aeroporto di Lampedusa, invece che da Palermo. Semplicemente, è stato messo in evidenza che il centro di ‘accoglienza’ era stato bruciato e che i tunisini sull’isola erano una ‘polveriera’ e- riportando le parole dell’allora sindaco De Rubeis- “1500 delinquenti”. Nessuno, sui media mainstream, ha spiegato come un’isola modello di accoglienza negli anni precedenti, sia potuta finire nel caos. La narrazione si è fermata agli effetti, lasciando quindi intendere all’opinione pubblica che il problema era proprio la nazionalità dei migranti ‘tunisini’ e quindi ‘delinquenti’. In questo, l’uso della definizione ‘centro di accoglienza’ è stata centrale.
Vediamo alcuni esempi a confronto
A fuoco il centro di accoglienza
In fuga 400 immigrati, è rivolta
A Contrada Imbriacola, dove erano ospitati oltre 1300 migranti tunisini. Incendio quasi spento e diversi intossicati. Chiuso l'aeroporto. Fuga di massa, poi tutti rintracciati e portati nel campo sportivo. Il sindaco: "Il fuoco ha distrutto tutto, il Cie non esiste più. E' guerra, i cittadini reagiranno. I delinquenti tunisini vanno trasferiti subito, anche con le navi militari". La procura di Agrigento apre un'inchiesta. Un centinaio di immigrati trasferiti con un volo militare da Lampedusa verso altri centri di accoglienza
(edizione online di un quotidiano nazionale, 20 settembre 2011)
Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato nel pomeriggio nel centro d'accoglienza di Contrada Imbriacola a Lampedusa, dove erano ospitati circa 1300 immigrati tunisini. Ed è allarme in tutta l'isola. Circa 800 gli immigrati erano riusciti a fare perdere le loro tracce ma 400 sono stati rintracciati dai carabinieri vicino al molo Favaloro, gli altri in vari luoghi dell'isola. La nube di fumo sollevatasi dal rogo ha investito anche il centro abitato, arrivando fin sopra l'aeroporto che è stato momentaneamente chiuso. Ci sono diversi intossicati.
Il rogo è stato appiccato da immigrati che da diverse settimane erano ospiti della struttura. Gli extracomunitari da giorni protestavano per chiedere il trasferimento sulla terra ferma. Non è la prima volta che il centro di accoglienza viene dato alle fiamme. Un episodio analogo, con danni consistenti alla struttura, si era registrato nel febbraio del 2009.
"Il Cie è interamente devastato, è tutto bruciato, non esiste più e non può più ospitare un solo immigrato" ha dichiarato l'allarmato sindaco di Lampedusa Bernardino de Rubeis. "Ora Lampedusa non ha più un posto. E' urgente che il governo intervenga dopo tanto immobilismo. Avevamo avvertito tutti su quello che poteva succedere ed è accaduto". E ancora: " Questo è uno scenario di guerra. C'è una popolazione che non sopporta più, vuole scendere in piazza con i manganelli e difendersi da sola, perchè chi doveva tutelarla non l'ha fatto". A fine giornata tutti i tunisini che si trovavano all'interno del Centro sono stati radunati al campo sportivo di Lampedusa, sotto la sorveglianza delle forze dell'ordine. I fuggiaschi sarebbero stati tutti rintracciati.
Oltre a non spiegare le ragioni dell’incendio (a parte il breve accenno al ‘voler essere trasferiti sulla terra ferma’ dei tunisini), qui viene riproposta l’idea degli ‘ospiti’ che ripagano l’accoglienza con l’incendio. Ma soprattutto si parla della stessa struttura, indifferentemente, come centro di accoglienza prima e poi come ‘Cie’ riportando le dichiarazioni del sindaco Bernardino De Rubeis. In altri articoli di altre testate nazionali si trova anche un improbabile ‘Cei’ (Conferenza episcopale italiana?) al posto di Cie.
Lampedusa, immigrati in rivolta incendiato il centro d'accoglienza
Già nel 2009 un altro incendio, sempre appiccato dai tunisini, aveva provocato numerosi danni
Palermo - Il centro di accoglienza dato alle fiamme per protesta da un gruppo di tunisini ospiti della struttura che non vogliono essere rimpatriati. Diversi intossicati, danni ingenti, due dei tre edifici sono inagibili.La Procura di Agrigento apre un'inchiesta. Il sindaco: ''Trasferire subito i delinquenti''. I Vigili del fuoco hanno spento il rogo ma si è sprigionato un denso fumo. Viminale: ''I rimpatri continueranno come previsto''
(agenzia di stampa nazionale, 20 settembre 2011)
Palermo, 20 set. Il centro di accoglienza di Lampedusa è stato incendiato da un gruppo di immigrati tunisini ospiti della struttura di Contrada Imbriacola. Il rogo sarebbe legato alla protesta degli immigrati che chiedono di essere trasferiti da Lampedusa ma di non essere rimpatriati come, invece, prevede l'accordo firmato di recente tra la Tunisia e l'Italia.
Il ministero dell'Interno ha però confermato il programma: "Il Viminale continuerà i rimpatri degli immigrati come previsto, ovvero con due voli al giorno per 50 persone". Intanto in serata un centinaio di immigrati tunisini verranno trasferiti con un volo militare da Lampedusa verso altri centri di accoglienza dopo l'incendio che ha parzialmente distrutto il Cta di Lampedusa.
L'incendio, di vaste proporzioni, ha gravemente danneggiato gli unici tre edifici del Centro d'accoglienza che ospitavano gli oltre 1.000 migranti. Due dei tre edifici sono inagibili. I Vigili del fuoco hanno spento le fiamme ma dal rogo si è sprigionato un denso fumo. I tunisini sono fuggiti dalla struttura ed hanno invaso le strade dell'isola. Oltre mille questa sera non sapranno dove dormire e si stanno cercando dei luoghi dove fare trascorrere loro la notte.
Numerose persone, tra immigrati tunisini, poliziotti e carabinieri, sono rimaste intossicate dal fumo. Gli intossicati, ma le loro condizioni non sono gravi, sono stati ricoverati al Poliambulatorio per un controllo. La Procura di Agrigento aprirà un'inchiesta. Lo ha confermato all'Adnkronos il procuratore capo Renato Di Natale. Già nel 2009 un altro incendio, sempre appiccato dai tunisini aveva provocato numerosi danni.
Save the Children ha espresso grande preoccupazione, in particolare per le sorti di una decina di minori presenti al momento nel centro e arrivati a Lampedusa nella notte di venerdì. E torna a chiedere l'immediato trasferimento dei minori in strutture adeguate. "La situazione di tensione nel centro è sfociata nell'incendio di oggi e in più di un'occasione avevamo espresso il nostro timore che episodi del genere si potessero verificare", ha detto Raffaela Milano, direttore Programma Italia-Europa di Save the Children.
''Basta, oggi con l'incendio del Centro d'accoglienza abbiamo superato la soglia della tolleranza - ha detto all'Adnkronos il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis - Siamo stanchi di questi tunisini delinquenti, vanno subito trasferiti entro le prossime 48 ore. Anche con le navi militari". "Questi delinquenti sono tutti usciti dal centro d'accoglienza dopo averlo dato alle fiamme - ha raccontato - e stanno entrando nelle nostre case. Adesso siamo stanchi. Non li vogliamo più. Non accettiamo più un solo tunisino sulla nostra isola".
"Inoltre - ha detto ancora De Rubeis visibilmente scosso - i nostri concittadini rischiano in questi momenti di finire in ospedale per un'intossicazione da fumo. E' da più di un mese che parlo di questo pericolo ma non sono stato ascoltato. Abbiamo mille tunisini che adesso hanno combinato un casino".
"Sto chiamando adesso il ministro Maroni, il premier Berlusconi e pure il presidente della Repubblica Napolitano - ha aggiunto il sindaco - vogliamo essere aiutati. E' bastato un attimo per fare crollare quello che abbiamo costruito con fatica da febbraio a oggi. Ora si è superato ogni limite di tollerabilità. Se ne devono andare subito dalla nostra isola"
Anche qui il centro di accoglienza viene chiamato con sigle improbabili (Cta?). Troviamo, caso raro, la voce di una delle associazioni che lavoravano nel centro, Save the children che rilascia una dichiarazione importante: l’incendio era prevedibile. Ma la cosa non viene spiegata meglio. Sarebbe stato opportuno approfondire sul perché c’era ‘tensione’ nella struttura.
Lampedusa, scontri violenti tra polizia, tunisini e lampedusani
(telegiornale nazionale, 21 settembre 2011)
È degenerata la protesta di alcune centinaia di tunisini che si stava svolgendo nei pressi di porto vecchio di Lampedusa a due passi da una pompa di benzina, secondo le prime frammentarie informazioni alcuni migranti si sono imposessati di tre bombole del gas all’interno del vicino ristorante, minacciando di farle esplodere. Vedete qui scene davvero terribili, gente che cade e il salto sarà almeno di tre metri. A questo punto le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno caricato i manifestanti . Gli scontri hanno coinvolto anche gli abitanti dell’isola che hanno dato vita a una fitta sassaiola nei confronti dei migranti, che hanno risposto lanciando a loro volta pietre e tutto quello che si trovavano ad avere in mano.
È un vero e proprio fuggi fuggi come vedete, la gente che cerca di scappare in qualsiasi modo buttandosi di sotto da questo muro di cinta del centro di accoglienza, ieri vi abbiamo raccontato delle fiamme che si sono levate da qui appiccate dagli stessi tunisini che in questo modo intendono manifestare contro i rimpatri forzati, quelli che il nostro governo ha deciso con il governo provvisorio tunisino tutti coloro che non sono riconosciuti come persone richiedenti asilo, come rifugiati, vengono rispediti immediatamente a casa. Sono veramente scene apocalittiche quelle che state vedendo perché testimoniano la disperazione di questi ragazzi che sono arrivati fino in Italia, a Lampedusa con questi barconi improvvisati rischiando la vita che si trovano poi rinchiusi in questi centri di accoglienza, dove si cerca di capire effettivamente se queste persone siano effettivamente dei rifugiati o se siano semplicemente dei clandestini e debbano essere rimandati a casa. Una situazione davvero esplosiva, ieri abbiamo anche raccontato della rabbia dei lampedusani che chiedevano che il governo intervenisse il più rapidamente possibile per mettere fine a una situazione che è diventata insostenibile. Segue poi un’intervista video al sindaco De Rubeis, che ribadisce le stesse dichiarazioni riportate negli articoli precedenti. Il suo messaggio viene sintetizzato in sovraimpressione. Lampedusa, De Rubeis :non sono profughi ma delinquenti.
Il giorno dopo l’incendio del centro, sull’isola si verifica una rivolta e ci sono scontri fra i migranti e i residenti e con le forze dell’ordine. Quella che esaminiamo qui è una cronaca live fatta dallo studio dai conduttori, mentre si vedono le immagini della carica della polizia con i manganelli al porto vecchio che spinge i tunisini a lanciarsi giù dal parapetto della pompa di benzina, con un salto di diversi metri. Non si tratta dunque di una fuga ‘dal muro del centro di accoglienza’, come dice erroneamente la conduttrice che essendo in studio non conosce l’isola ed evidentemente non sa bene a cosa si riferiscono le immagini. Anche qui troviamo un accenno alla ‘disperazione’ dei tunisini dopo essere stati ‘rinchiusi’ nel centro di accoglienza. Ma la spiegazione sulle cause della tensione non va oltre. Come si è arrivati a tutto ciò? L’unica spiegazione possibile, per come è costruito il racconto, resta quella del sindaco De Rubeis. E quindi alla fine l’equazione tunisini=clandestini=delinquenti. Con una pericolosa distinzione fra i migranti profughi (buoni) e questi clandestini e pericolosi (cattivi):
Ma cosa è successo realmente nel Cpsa di Lampedusa? Redattore Sociale ha chiesto ad alcune Ong e a operatori umanitari per fare luce sulle cause del rogo. Coloro che lavoravano all’interno del centro, in modo indipendente dall’ente gestore Lampedusa Accoglienza, erano gli unici a conoscere la situazione. I giornalisti non mettevano piede nella struttura da mesi, a causa del divieto di accesso imposto dalla ‘circolare Maroni’ (vedi). Per come era congegnata la ‘macchina degli sbarchi’ era impossibile entrare in contatto anche con un solo migrante. I centri di Contrada Imbriacola e dell’ex base Loran erano off limits per la stampa in base alla circolare 1305 del ministero dell’Interno, che impediva ai giornalisti di vedere e verificare in prima persona ciò che stava accadendo. La diretta conseguenza è che le uniche fonti a disposizione erano le associazioni umanitarie che operavano sul campo, al momento degli sbarchi e dentro i centri. Tuttavia, anche le dichiarazioni degli operatori dovevano essere autorizzate dagli uffici stampa delle loro organizzazioni e dalle sedi centrali di Roma e Milano. Non c’era modo di sfuggire al flusso di informazioni da ‘news management’, indirizzata dall’alto[2]. Le uniche informazioni disponibili erano quelle sull’orario, il numero e la provenienza degli arrivi e delle partenze dall’isola. Ed è questo che si è visto in televisione.
Lampedusa, alle origini dell’incendio la rabbia covata nel “gabbio”
Una sezione chiusa dalle sbarre e riservata ai tunisini che non è servita a mantenere l’ordine, al contrario ha favorito un atto di ribellione mettendo in pericolo la vita di migranti, operatori, forze dell’ordine e lampedusani.
LAMPEDUSA - Lo chiamavano “il gabbio”. Tutti coloro che in estate hanno avuto a che fare con il Cpsa di Contrada Imbriacola usano questa parola per indicare una zona off limits all’interno del centro. Un’area di detenzione rafforzata in cui sono stati rinchiusi nei mesi scorsi tutti i tunisini maschi sbarcati a Lampedusa. Il nome si riferisce all’inferriata che separava questi reclusi dai profughi arrivati dalla Libia, dalle famiglie e dalle donne. L’esistenza del “gabbio” è stata giustificata con la necessità di proteggere le categorie vulnerabili, separandole dai tunisini. Di fatto ha delimitato una zona di ulteriore segregazione per gente che è stata trattenuta non pochi giorni, ma per oltre un mese in condizioni proibitive. Proprio nel "gabbio" è covata la rabbia ed è montata l’esasperazione che ha portato all’incendio del centro, alla fuga di massa e agli scontri con i lampedusani. Non ci sono fotografie, video o descrizioni dell’interno del gabbio. In molti casi, anche agli operatori umanitari è stato vietato l’accesso all’area dei tunisini. […]Una conferma della situazione espolosiva all’interno del gabbio, arriva da una nota di Francesca Zuccaro, Capo Missione di Medici Senza Frontiere per i progetti sull' immigrazione in Italia. “L’incendio al CPSA di Lampedusa si é sviluppato nella zona chiusa del centro, dove i migranti, in prevalenza uomini di origine nordafricana,sono trattenuti da giorni - alcuni da settimane - e sperimentano restrizioni all’accesso di servizi di base quali l’assistenza sanitaria e legale – afferma Zuccaro - Spesso l’accesso a queste zone é limitato anche per gli operatori umanitari”. Il gabbio non è servito a mantenere l’ordine, al contrario ha favorito un atto di ribellione mettendo in pericolo la vita di migranti, operatori, forze dell’ordine e lampedusani.
Come documentato dall’inchiesta di Redattore Sociale a fine agosto, a Lampedusa si è cercato di "nascondere" la presenza di migliaia di profughi dalla vista dei turisti, con una macchina dei soccorsi che li rendeva quasi invisibili, dall’arrivo sul molo alla reclusione nei centri (anche dei minori) fino al trasferimento sulle navi della Grimaldi. La "copertura" è saltata velocemente e nel peggiore dei modi. Tuttavia, se era evidente che il centro di contrada Imbriacola era a rischio, non è altrettanto chiaro se vi fosse un piano d’evacuazione antincendio a norma di legge. Se c’era non ha funzionato. Quattro disabili che non potevano camminare sono stati portati via a braccia, mentre i cancelli sono stati aperti e tutti gli altri fuggivano alla rinfusa in ogni direzione con le fiamme alle spalle che divoravano velocemente tre edifici. ….
(Agenzia di stampa Redattore Sociale, 26 settembre 2011) [3]
Incendio a Lampedusa, l’intervento delle associazioni ha evitato una tragedia
Grazie alle insistenze delle Ong, poco prima erano stati trasferiti dal Cpsa minori e famiglie, mentre le notizie dei rimpatri aumentavano la tensione fra i tunisini reclusi da oltre un mese come in un Cie fuori dalla legge
LAMPEDUSA - Cinque persone sono state intossicate, di cui una più grave, a cui vanno aggiunti i feriti negli scontri del giorno seguente all’incendio (20 settembre). Ma il bilancio del disastro di Lampedusa avrebbe potuto essere tragico. Il peggio è stato evitato grazie alle pressioni insistenti delle associazioni umanitarie che da tempo chiedevano di trasferire i soggetti più vulnerabili, considerata l’insofferenza, gli atti di autolesionismo e le proteste all’interno del Cpsa di Contrada Imbriacola. Così, poco prima dell’incendio i minori tunisini erano stati finalmente portati nel secondo centro dell’isola, l’ex base Loran, riservata di solito alla detenzione dei minori non accompagnati arrivati dalla Libia. Le famiglie con bambini da alcuni giorni erano state trasferite in case nel centro abitato, ma la notizia è stata tenuta riservata per evitare rappresaglie anche su di loro.
Ad aumentare la tensione nel "gabbio" sono stati i tempi di reclusione molto lunghi. C’erano persone sbarcate il 13 agosto, quindi rinchiuse da cinque settimane in attesa del rimpatrio. Anche se per legge il Centro di primo soccorso e assistenza di Contrada Imbriacola non è un Cie (centro di identificazione e di espulsione), quello che solitamente si usa per i rimpatri, di fatto era utilizzato come tale. Un disabile paraplegico in carrozzella è stato salvato dalle fiamme, evacuandolo a braccia e portandolo al poliambulatorio dell’isola. Una persona ben riconoscibile per le particolari condizioni fisiche che lo costringono su una sedia a rotelle. Era stato soccorso in mare il 21 agosto durante il respingimento di un barcone con 111 migranti a bordo, di cui soltanto 7 bisognosi di assistenza sono arrivati al molo a bordo di un gommone della Guardia Costiera.
Lampedusa avrebbe dovuto essere un luogo sicuro in cui ospitare solo per pochi giorni le persone salvate in mare dai naufragi. Ma da un mese non arrivavano più barconi dalla Libia, soltanto tunisini. Per questi ultimi gli accordi tra Italia e governo temporaneo tunisino prevedono il rimpatrio coatto. Negli ultimi giorni però qualcosa si era inceppato nella macchina dei rimpatri. Cento persone erano state fatte salire sulla nave Grimaldi a Cala Pisana ma poi erano state fatte scendere e riportate nel Cpsa. Un aereo era decollato da Lampedusa diretto a Tunisi ma era rimasto bloccato sulla pista per ore prima di poter fare scendere i rimpatriati e un altro aveva fatto scalo a Palermo, dove avviene il riconoscimento da parte del console tunisino, ma non era più ripartito per la Tunisia. Così il Cpsa era sovraffollato al momento dell’incendio, con 500 persone oltre la capienza massima, mentre la tensione aumentava con le notizie dei rimpatri. Diverse fughe con proteste dei tunisini che chiedevano il trasferimento erano state le avvisaglie di quanto covava nel ‘gabbio’.
Al momento dello scoppio dell’incendio e dei disordini, a Lampedusa c’erano 135 minori stranieri non accompagnati. Nel caos e nei trasferimenti di massa, i ragazzi sono stati dislocati nelle cosidette ‘strutture ponte’ aperte velocemente in Calabria, Sicilia e a Napoli. Spesso sono strutture isolate e impreparate a gestire l’accoglienza ai minori, i quali tendono a scappare. Intanto sulla maggiore delle isole Pelagie, dopo lo svuotamento dei centri dai migranti, le fiamme sono state appiccate di nuovo. Questa volta è stata bruciata da ignoti la macchina di Cono Galipò, un’intimidazione rivolta all’amministratore delegato di Lampedusa Accoglienza, il consorzio che gestiva i Cpsa.
(Redattore Sociale, 26 settembre 2011)
[1] Ibidem pag. 266
[2] Cosentino R., Lampedusa, l’isola fortezza tra censura e propaganda, Redattore Sociale, 29 agosto 2011
[3] In questo caso inseriamo la fonte della notizia perché sono informazioni esclusive non riportate su altri organi di informazione