Si è affermato a partire dagli anni Duemila l’uso mediatico e politico della parola “emergenza” collegata alle più grandi questioni sociali: emergenza immigrazione, emergenza nomadi, emergenza carceri, emergenza Nord Africa. In tutti questi casi, alla parola è collegato uno ‘stato di emergenza’ dichiarato tramite decreti del presidente del Consiglio che hanno portato all’adozione di misure specialio di ‘piani’ di intervento. L’emergenza immigrazione è stata dichiarata per la prima volta nel 2002 e da allora prorogata di anno in anno da tutti i governi che si sono susseguiti. A livello pratico, questo consente alle prefetture di fare le gare per gli appalti dei centri di accoglienza e di trattenimento per i migranti (vedi le voci Cie e Cara) parzialmente in deroga alla normativa sugli appalti. E’ scontata la considerazione che se l’immigrazione è ormai un fenomeno strutturale, non può essere un’emergenza decennale. Ma in questa stessa cornice di riferimento si colloca l’emergenza Nord Africa, dichiarata il primo aprile del 2011 dal governo Berlusconi per l’arrivo sulle coste di profughi in fuga dalla guerra in Libia e dalle rivoluzioni contro i dittatori del Maghreb. La dichiarazione dell’emergenza ha consentito di creare un sistema di accoglienza straordinario gestito attraverso la protezione civile, al di fuori del sistema nazionale di asilo, che è invece basato sui centri Cara e Sprar (vedi). L’arrivo in totale di 60mila profughi è stato annunciato come una catastrofe, uno tsunami umano, un esodo biblico (vedi voci corrispondenti), quando in realtà i migranti che sono approdati in Italia costituiscono meno del 4% di tutti quelli che sono fuggiti dalla Libia. In centinaia di migliaia si sono riversati sui Paesi limitrofi, Egitto e Tunisia.
Per fronteggiare “il massiccio afflusso di profughi provenienti dal Nord Africa” sono stati disposti interventi speciali e una rete di accoglienza sparsa su tutto il territorio nazionale. Alberghi in disuso, strutture ricettive varie, sono state trasformate in luoghi di accoglienza a un costo per lo Stato di 46 euro al giorno per ogni migrante ma senza uniformità e adeguati controlli sugli standard di accoglienza. Il risultato è una spesa pari a circa il doppio del sistema d’asilo nazionale, lo Sprar dove il budget a persona è di circa 24 euro (consulta la scheda dati). Ma anche una mancata integrazione dei richiedenti asilo, dovuta in parte alla carenza di servizi come i corsi per l’apprendimento della lingua italiana e in parte all’ambiguità giuridica in cui sono finiti. La maggiorparte hanno ricevuto il diniego dalle commissioni territoriali (vedi anche Diniegato) e non un permesso di soggiorno per motivi umanitari, come chiesto ripetutamente da numerose associazioni umanitarie. Fino all’ultima decisione governativa arrivata a fine ottobre 2012 di fare riesaminare i dinieghi per concedere la protezione umanitaria. Inoltre, gli arrivi dei boat-people in fuga dalla guerra ci sono stati nel 2011. Ma l’emergenza è stata estesa anche a tutto il 2012 per prorogare di un altro anno lo stanziamento dei fondi per i progetti di accoglienza, nonostante non fosse giustificata dal numero degli arrivi (poche migliaia di persone).
C’è un’altra emergenza “inventata”. L’ennesima dichiarata per trarre profitto elettorale ed economico dalle paure degli italiani. E’ “l’emergenza nomadi”, decisa per decreto dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il 21 maggio 2008 nelle regioni Lombardia, Lazioe Campania e reiterata ogni anno fino al 2011. I “nomadi” sono in realtà i rom e sinti, una minoranza storica che costituisce lo 0,23% della popolazione. Di cui appena un quarto vive nei campi. La sproporzione fra l’emergenza dichiarata e i dati reali è tale che il Consiglio di Stato ha giudicato illegittimo il decreto e gli atti amministrativi collegati, “per difetto dei presupposti di fatto”. Con la sentenza del 16 novembre 2011, i giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che non c’è effettivo “allarme sociale” o un eccezionale “pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” quando in un territorio ci sono insediamenti nomadi. L’emergenza, scrivono i giudici, non è supportata da dati, che ad esempio dimostrino l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza dei rom.
Eppure per fronteggiare i “nomadi”, sono state dettate disposizioni urgenti, con la nomina di altrettanti Commissari Straordinari delegati. Da questo sono discesi interventi massicci come il Piano Nomadi dell’amministrazione Alemanno a Roma, consistito in 450 sgomberi e allargamento dei campi esistenti fino a ospitare più di mille persone per ogni struttura. A una minoranza etnica sono state applicate le leggi speciali che si usano con le calamità e i disastri come i terremoti, quando i mezzi ordinari non bastano. La dichiarazione dello stato di emergenza ha segnato il passaggio dalla diffidenza diffusa verso la comunità rom a politiche nazionali a sfondo etnico, come il foto-segnalamento dei rom, che hanno destato allarme nella comunità internazionale.
Di “costruzione di false emergenze” parla anche l’antropologa Annamaria Rivera, che sottolinea “la tendenza a subordinare il dibattito pubblico, anche politico, ai fatti di cronaca – selezionati, gerarchizzati, drammatizzati – e a costruire artificiosamente delle emergenze per conquistare il consenso popolare”[1]. Emerge quindi una concreta responsabilità dei giornalisti e delle redazioni per le conseguenze sociali del modo in cui vengono date le notizie. Non si tratta solo di un’opinione, il Consiglio di Stato dice la stessa cosa a proposito dell’emergenza nomadi. “Il riferimento a “gravi episodi che mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica” non risulta supportato da una seria e puntuale analisi dell’incidenza sui territori del fenomeno considerato – scrivono i giudici - ma soltanto dal richiamo di specifici e isolati episodi i quali, per quanto eclatanti e all’epoca non privi di risonanza sociale e mediatica, non possono dirsi ex se idonei adimostrare l’asserita eccezionalità e straordinarietà della situazione.In particolare, sono richiamati alcuni devastanti incendi verificatisi all’internodi campi nomadi, alcuni gravi episodi delittuosi assurti agli onori dellecronache e anche la vicenda di una sorta di “rivolta” verificatasi a Napoli(peraltro in un quartiere notoriamente connotato da estremo degrado edisagio sociale anche nella popolazione locale) contro alcuni nomadisospettati di aver rapito una bambina”. Riguardo a questi episodi, nella sentenza del Consiglio di Stato che sconfessa l’emergenza, è scritto che questi episodi “pur nella loro gravità – restano connotati da carattere occasionale ed eccezionale, non valendo pertanto a legittimare l’affermazione dell’esistenza di una “situazione” estesa all’intero territorio delle Regioni interessate e tale da legittimare l’attivazione dei poteri derogatori ed emergenziali di cui all’art. 5 della legge nr. 225 del 1992”.
Dal terremoto in Abruzzo ai profughi a Lampedusa, la strategia è sfruttare una grande paura per mettere in piedi un sistema che trasferisce risorse pubbliche ai privati attraverso gli appalti e le gestioni di campi e centri. La dichiarazione dello stato di emergenza permette di assegnare lavori per affidamento diretto da parte del commissario straordinario del governo, senza gara d’appalto.
“Come spesso in Italia, attorno alle emergenze, vere o presunte, si determina un terreno fertile per l’economia. O, meglio, per la shock economy” scrivono Luigi Manconi e Stefano Anastasia nel rapporto “Lampedusa non è un’isola” dell’associazione A Buon Diritto[2], un rapporto centrato proprio sulla gestione dell’immigrazione che in Italia è tutta basata su un sistema emergenziale. Naomi Klein racconta così l’ascesa del capitalismo dei disastri: “La verità sembra assurda: sto scrivendo un libro sullo shock. Su come i Paesi sono scioccati –dalle guerrre, dagli attacchi terroristici dai colpi di Stato e dai disastri naturali. E poi su come vengono scioccati un’altra volta – dalle grandi aziende e dai politici che sfruttano la paura e il disorientamento di quel primo shock per imporre la shockterapia economica. E poi su come le persone che osano opporre resistenza a questa strategia dello shock vengono, se necessario, scioccate per la terza volta- dalla polizia, dai soldati e dagli interrogatori in prigione.”[3]
Non c’è solo il risvolto economico. L’uso del termine ‘emergenza’ collegato a questioni a rischio discriminazione come le minoranze o gli arrivi di profughi dal mare, colloca di per sé le notizie in un approccio allarmistico (vedi anche la parola Lampedusa). “Il Piano di emergenza di Maroni, attorno al quale il governo tenta – senza molto successo – di coagulare il consenso di Regioni, Provincie e Comuni, è quello che prevede la distribuzione in tutto il Paese di 50.000 profughi – cifra sulla quale continua a insistere il Viminale, nonostante dall’inizio dell’anno al 21 marzo (2011,ndr.) i migranti arrivati siano stati solo 14.918” si legge ancora nel rapporto di A Buon Diritto.
Inoltre l’approccio emergenziale richiama subito quello della sicurezza. Se c’è un’emergenza, bisogna rispondere prendendo provvedimenti di ordine pubblico. Su “libertà ed emergenze” si sono soffermati Manconi e Anastasia. “Significative limitazioni ai diritti fondamentali degli stranieri sono state introdotte anche con lo strumento delle ordinanze di protezione civile, che potendo derogare anche a norme di legge, rappresentano spesso lo strumento attraverso il quale privare gli immigrati di garanzie essenziali – scrivono- Si pensi alle ordinanze 30 maggio 2008, nn. 3676, 3677 e 3678, con le quali il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dettato disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi in alcuni territori. Tali ordinanze - dichiarate peraltro illegittime nella parte in cui attribuivano all’autorità amministrativa significativi poteri idonei a incidere anche su diritti e libertà fondamentali: si pensi all’obbligo di identificazione e fotosegnalamento anche dei minori presenti nei campi, in violazione della disciplina sulla privacy – sottendevano una sorta di diffidenza verso gli stranieri, intesi e rappresentati come estranei, titolari di diritti ‘affievolibili’ anche con atti di natura amministrativa”. Concludiamo, ricordando la privazione della libertà personale fino a 18 mesi per i migranti irregolari disposta con lo strumento della detenzione amministrativa (vedi Cie).
[1] Rivera A., Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Edizioni Dedalo, Bari 2009 pag.20
[2] Manconi L., Anastasia S., Lampedusa non è un’isola, giugno 2012, pag. 27
[3] Klein N., Shock Economy, Rizzoli, Milano 2007 pag. 33
L’immigrazione in Italia è stata sempre affrontata come un’emergenza, che però va avanti da decenni. Il risultato di questo modo di vedere il fenomeno è che il sistema nazionale di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo, lo Sprar (vedi) ha solo 3000 posti disponibili in tutta Italia[1]. Una capienza insufficiente che, secondo l’Ong Medici per i diritti umani, produce ‘nuovi homeless’, perché molti rifugiati sono costretti a dormire in alloggi fatiscenti o per strada. Nello Sprar, costituito dalla rete degli enti locali che accedono per i progetti di accoglienza al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, si ospitano i rifugiati con meno di 30 euro al giorno a persona. Nei primi 9 mesi del 2011, lo Sprar ha accolto a rotazione solo 4.856 persone, nell’anno dell’ emergenza Nord Africa, quando sono arrivati via mare 60.656 profughi. Un numero che in realtà non è da ‘emergenza’. Per fare un confronto, si può citare il caso noto della Germania che nel solo 1992 ricevette 438mila domande di asilo[2]. Nel 2011, 790.000 lavoratori migranti hanno attraversato il confine libico verso i paesi limitrofi per fuggire al conflitto nato dalla rivoluzione contro il regime del colonnello Muammar Gheddafi. Di questo ‘esodo’, appena il 3,9% ha interressato le coste di Malta e dell’Italia. In totale 27.465 persone, di cui 25.935 arrivate a Lampedusa e 1.530 a Malta. Il picco degli sbarchi a Lampedusa si è avuto tra metà febbraio e marzo, e ha riguardato soprattutto migranti provenienti dalla Tunisia: 23mila persone che indussero il ministero degli Interni a emanare il decreto in cui si riconosceva una forma di protezione, temporanea, che non permette l’espatrio, alle persone arrivate. Si era posto subito il problema dell’accoglienza, ma 23.000 è in realtà un numero esiguo[3].
Alla fine, sono stati circa 28mila i profughi dell’emergenza Nord Africa ospitati dalle regioni con i fondi gestiti dalla protezione civile. A luglio 2012 erano ancora 21mila in accoglienza. Ognuno di loro è “costato” 46 euro al giorno, in totale circa un milione di euro ogni 24 ore. In totale, si stima che sia stato speso per l’emergenza nord Africa in due anni oltre un miliardo di euro. L’ultimo stanziamento di mezzo miliardo, fino al 31 dicembre 2012 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 6 luglio 2012.[4]
Secondo Lunaria che ha stilato il rapporto "I Diritti non sono un costo!" per la sola gestione dell'emergenza Nord-Africa sono stati disposti stanziamenti pari a 1 miliardo e 521mila euro.
Con l’ottica dell’emergenza e dell’approccio legato alla sicurezza che ne deriva, sono stati spesi molti soldi anche per i centri di identificazione e di espulsione per immigrati irregolari.
L’affare dei Centri di trattenimento per immigrati[5]
Dal 1999 al 2011 l’Italia speso quasi un miliardo di euro per gli ex Cpt, oggi Cie.
Il rapporto “Lampedusa non è un’isola” di A Buon Diritto, ha infatti calcolato un importo complessivo di 985,4 milioni di euro. Secondo il rapporto ciascun immigrato rinchiuso nei CIE costa allo Stato italiano circa 45 euro al giorno e, considerata la permanenza media di ciascuno nei Centri, dal fermo fino all’uscita dal centro il costo pro capite è quantificabile in 10.000 euro.
“Importante la spesa al riguardo da parte del governo Berlusconi” si legge nel dossier:
- Gli stanziamenti previsti dal decreto legge 151/2008 (101 milioni e 45 mila euro per gli anni 2008-2011) e dalla legge 94/2009 (139 milioni e 50 mila euro per gli anni 2009-2011) hanno destinato ai CIE un totale di 239 milioni e 250 mila euro. Quest’ultima legge ha stanziato complessivamente per la lotta all’immigrazione illegale (introduzione del reato di ingresso soggiorno illegale, CIE e esecuzione delle espulsioni) 287 milioni e 618 mila euro.
- Gli allegati alla Finanziaria 2011 evidenziano uno stanziamento di 111 milioni di euro per il 2011, di 169 milioni per il 2012 e di 211 milioni di euro per il 2013.
- Alle risorse sinora considerate vanno aggiunte quelle necessarie per garantire la vigilanza nei centri. Nel 2004 la Corte dei conti ha calcolato che per il mantenimento di 800 agenti delle forze dell’ordine sono stati spesi 26,3 milioni di euro (32.875 euro l’anno per operatore). Il costo è sicuramente salito negli anni successivi: nel 2009 gli operatori assegnati a questa funzione sono stati 1.000».
[1] Dato aggiornato al 2011
[2] Il dato sulla Germania è tratto da Colombo A., Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia, Il Mulino, Bologna 2012
[3] Sensi G., L'affare è l'emergenza in Nord Africa. Un nuovo stanziamento di mezzo miliardo, fino a dicembre 2012, per gestire le strutture che ospitano i richiedenti asilo, 21 agosto 2012 su www.altraeconomia.it
[5] Paragrafo tratto da L. Manconi, S. Anastasia, Op. Cit. pag. 66
Riportiamo qui di seguito due ottimi esempi di inchieste sull’emergenza Nord Africa pubblicate nel corso del 2012. Nel primo esempio, a volte il linguaggio usato non è corretto quando si parla di ‘disperati’ e di un ‘suk’, termine usato in senso dispregiativo quando in realtà in arabo vuol dire solo ‘mercato’ o quando viene richiamata alla mente del lettore, ancora una volta l’immagine dell’esodo e della catastrofe, dell’ondata umana, come lo tsunami (si sta parlando di profughi). Ma l’informazione dell’articolo nel complesso risulta corretta, accurata e rispondente al vero. Il secondo articolo, anticipava la notizia già sei mesi prima e risulta corretto anche nei termini usati, sebbene pubblicato su una testata meno conosciuta.
Chi specula sui profughi
Un miliardo e 300 milioni: è quello che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da Libia e Tunisia. Un fiume di denaro senza controllo. Che si è trasformato in business per albergatori, coop spregiudicate e truffatori
(settimanale nazionale su carta, 15 ottobre 2012)
Erano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga dalla rivoluzione in Tunisia e dalla guerra in Libia: fra marzo e settembre dello scorso anno l'esodo ha portato sulle nostre coste 60 mila persone. Profughi, accolti come tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto d'Europa: solo 21 mila sono rimasti a carico della Protezione civile. Ma l'assistenza a questo popolo senza patria è stata gestita nel caos, dando vita a una serie di raggiri e truffe. Con un costo complessivo impressionante: la spesa totale entro la fine dell'anno sarà di un miliardo e 300 milioni di euro. In pratica: 20 mila euro a testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel nostro Paese. Ma i soldi non sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha alimentato un suk, arricchendo affaristi d'ogni risma, albergatori spregiudicati, cooperative senza scrupoli. Per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno, senza verificare le condizioni in cui viene ospitato: in un appartamento di 35 metri quadrati nell'estrema periferia romana ne sono stati accatastati dieci, garantendo un reddito di oltre 12 mila euro al mese.
IN NOME DELL'EMERGENZA. Ancora una volta emergenza è diventata la parola magica per scavalcare procedure e controlli. Gli enti locali hanno latitato, tutto si è svolto per trattative privata: un mercato a chi si accaparrava più profughi. E il peggio deve ancora arrivare. I fondi finiranno a gennaio: se il governo non troverà una soluzione, i rifugiati si ritroveranno in mezzo alla strada. […]A coordinare tutto è la Protezione civile, che da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state regole per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere trattati. Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie fatiscenti.
IL MERCATO DEI RIFUGIATI. Dalle Alpi a Gioia Tauro, gli imprenditori del turismo hanno puntato sui rifugiati. A spese dello Stato. Le convenzioni non sono mai un problema: vengono firmate direttamente con i privati, nella più assoluta opacità. Grazie a questo piano, ad esempio, 116 profughi sono stati spediti, in pantaloncini e ciabatte, dalla Sicilia alla Val Camonica, a 1.800 metri di altezza. I proprietari del residence Le Baite di Montecampione non sono stati i soli a fiutare l'affare. Anche nella vicina Val Palot un politico locale dell'Idv, Antonio Colosimo, ne ha ospitati 14 nella sua casa-vacanze, immersa in un bosco: completamente isolati per mesi, non potevano far altro che cercare funghi. I più furbi hanno trattato anche sul prezzo. La direttiva ufficiale, che stabilisce un rimborso di 40 euro al giorno per il vitto e l'alloggio (gli altri 6 euro dovrebbero essere destinati all'assistenza), è arrivata solo a maggio. Nel frattempo, la maggior parte dei privati aveva già ottenuto di più.
Gli albergatori napoletani sono riusciti a strappare una diaria di 43 euro a testa. Non male, se si considera che in 22 alberghi sono ospitate, ancora oggi, più di mille persone. «La domanda turistica al momento degli sbarchi era piuttosto bassa», ammette Salvatore Naldi, presidente della Federalberghi locale. La Protezione civile prometteva che sarebbero state strutture temporanee. Non è andata così: solo all'Hotel Cavour, in piazza Garibaldi, di fronte alla Stazione centrale, dormono tutt'ora 88 nordafricani. Le stanze, tanto, erano vuote: i viaggiatori si tengono alla larga, a causa dell'enorme cantiere che occupa tutta la piazza. Ma grazie ai rifugiati i proprietari sono riusciti lo stesso a chiudere la stagione: hanno incassato quasi 2 milioni di euro. […]
I miracoli di “Santa Emergenza”, 500 milioni a pioggia per la guerra dell’anno scorso
Da febbraio 2011 (e almeno fino a dicembre di quest`anno) l`Italia è in stato di emergenza per 20mila profughi della guerra in Libia transitati da Lampedusa. La Protezione civile ha creato un sistema parallelo di accoglienza, affidandolo – senza gare – a strutture private. Mancano i controlli e nel Lazio arrivano i primi scandali. Un viaggio tra ruberie e strutture fatiscenti, migranti che spalano la neve, procedure lentissime, rivolte e sassaiole. Le operatrici denunciano: “Siamo mamme, amiche, guardiane”. E precarie.
(sito internet, 23 aprile 2012)
ROMA – Cinqueceventomilioni di euro. E` costata tanto a tutti gli italiani la cosiddetta 'emergenza Nord Africa`. Almeno finora. Funziona così: la Protezione Civile nomina per ogni regione un 'Soggetto Attuatore`: quasi sempre un funzionario della stessa Protezione Civile (dunque una sovrapposizione di compiti), a volte uno della Prefettura. In Toscana ci sono dieci 'attuatori`. In Campania uno, ma è l`assessore ai Lavori Pubblici.
Il 'Soggetto Attuatore`, a sua volta, sceglie il 'Soggetto Gestore`. 'Ci siamo candidati perché c`era una procedura d`urgenza`, spiega Claudio Bolla, dirigente del consorzio 'Eriches` che gestisce alcuni centri nel Lazio. 'Alle strutture è stata richiesta una disponibilità di posti. Noi che eravamo già conosciuti abbiamo presentato la nostra offerta. La parte del leone la fanno le strutture cattoliche, noi siamo di area PD. Abbiamo una storia, siamo conosciuti sul territorio, rinomati. E` stato naturale chiederci se avevamo strutture da mettere a disposizione`.
Ogni migrante costa 42 euro al giorno, 80 se minore. Agli africani vengono distribuiti beni di prima necessità e un pocket money di 2.50 euro al giorno. Spesso si tratta di un voucher che può essere speso solo negli esercizi commerciali con cui il gestore ha concluso delle convenzioni. L`emergenza dovrebbe essere una sospensione di procedure, controlli e garanzie finalizzata alla risoluzione rapida di un problema. In Italia non è mai così. Con il sistema emergenziale tutti – tranne i migranti – hanno oggettivamente interesse a prolungare l`ospitalità. 'Le giornate passano tra la noia e la tensione per l`incertezza sul proprio futuro`, ci racconta un operatore del Lazio. 'Non mancano i comportamenti aggressivi tra loro e con noi, alternati con gli infantilismi tipici di chi si abitua all`assistenza`.
Dieci mesi. I migranti attendono il responso delle 'Commissioni` sulla loro domanda d`asilo. Oltre la metà ha già ricevuto un diniego. Si stanno creando migliaia di irregolari senza possibilità di riemersione. Nonostante questo, da qualche giorno il governo ha presentato il nuovo decreto flussi stagionali: porte aperte per 35mila nuovi ingressi. […]
Intanto le OPCM (Ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri) si susseguono. La prima fu firmata da Berlusconi (12 febbraio 2011), l`ultima da Monti il 30 dicembre 2011. Ognuna ha aggiunto una manciata di milioni alle casse della Protezione civile ma anche al finanziamento di misteriosi accordi tra Italia e Tunisia, al ministero della Difesa per costi di sicurezza e trasferte dei militari. Persino alle navi che hanno pattugliato il braccio di mare nei pressi di Lampedusa. Lo stato di emergenza è stato prorogato al 31 dicembre di quest`anno anche se la guerra in Libia è finita da un pezzo e non si registrano più arrivi di massa. […]