Quando parliamo di rifugiati e richiedenti asilo, l’accoglienza è un obbligo di legge sancito dall’art. 10 della Costituzione italiana, dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che fa rifermento al diritto di asilo. Anche se non esiste in Italia una legge organica sull’ asilo, il Paese ha firmato accordi internazionali e ha degli obblighi precisi. (Per questo consulta le voci rifugiato e asilo politico).
Ecco alcuni stereotipi [1] da contrastare sui rifugiati:
Mito: I rifugiati sono un peso, hanno bisogno di casa e cibo.
Realtà: Riconoscere a una persona lo status di rifugiato significa riconoscere che il suo governo lo perseguita. I rifugiati sono persone che sono riuscite a salvarsi dalla morte e dalla tortura. (Viene in mente la distinzione di Primo Levi fra I sommersi e i salvati). Si diventa rifugiati perché non c’è altra scelta, infatti si parla di "migranti forzati".
I centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati solitamente offrono posti di lavoro per operatori umanitari italiani. Ci sono molte realtà nel Sud Italia, dove l’accoglienza ai rifugiati costituisce una risposta alla disoccupazione degli italiani. In altri casi, l’accoglienza ha ridato vita e portato risorse economiche in luoghi depressi e in via di spopolamento, come a Riace, in Calabria.
Mito: Se il nostro paese si mostra troppo generoso con i rifugiati, il paese verrà invaso da milioni di altre persone che ci chiederanno asilo.
Questa è una convinzione molto diffusa. (Per il timore dell’invasione, soprattutto dall’Africa consulta anche le voci: invasione ed esodo biblico). Ma basta dare un’occhiata ai dati per capire che è altamente improbabile che l’Italia venga invasa.
Mito: Se lasciamo entrare nel nostro Paese troppi rifugiati, si scateneranno proteste e manifestazioni razziste
Realtà: I rifugiati sono vittime del razzismo, non ne sono la causa.
Passiamo ora ai migranti economici.
Mito: L’Italia è anche troppo generosa nell’accogliere tanti poveri disperati che muoiono di fame nella loro terra. C’è la crisi economica e quindi dobbiamo pensare prima gli italiani senza lavoro.
Realtà: E’ vero esattamente il contrario: è l’Italia ad avere un "disperato" bisogno di immigrati per mandare avanti l’economia. Le cifre ci dicono che gli immigrati reggono interi settori dell’economia italiana: agricoltura ed edilizia, ad esempio, subirebbero un tracollo senza gli stranieri. Gli immigrati semplificano la vita degli italiani che lavorano perché costituiscono un apporto insostituibile alle famiglie con i lavori domestici e di cura (vedi voci colf e badanti). Gli immigrati versano i contributi all’Inps e permettono la sopravvivenza dell’istituto pensionistico perché danno più di quanto ricevono. Giuseppe Faso invita a non negare la dignità dell’immigrato “che non è certo un ospite: è venuto qui per lavorare, non è stato invitato, né accolto”. Continua Faso: “si tenta di degradarlo a estraneo che farebbe bene ad adeguarsi alla nostra lingua e alle nostre regole”[2]
[1] Le frasi- stereotipo sui rifugiati sono state prese dalla pubblicazione del centro Astalli “Nei panni dei rifugiati”, disponibile su internet. Le schede dati sono di nostra elaborazione, incrociando varie fonti, via via citate.
[2] Faso G., Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono, DeriveApprodi, Roma 2010, pag. 102
Dati sull'accoglienza:
I posti dell'accoglienza in Italia sono in aumento. Nel 2013 erano circa 14mila, divisi tra i 5747 dei C.a.r.a. (vedi) e il resto nella rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (leggi Sprar). Lo Sprar fa accoglienza nei comuni insieme agli enti locali usando il fondo nazionale per l'asilo del ministero dell'Interno. I posti Sprar erano 3000 fino al 2013. Nel corso del 2013 sono stati ampliati da gennaio a ottobre fino a 8400 e nel 2014 arriveranno a 20mila. Quindi nel 2014 nel complesso il sistema di accoglienza ufficiale in Italia dovrebbe attestarsi su quasi 26mila posti.
Dati sui rifugiati
In realtà, sono i paesi in via di sviluppo ad avere sul proprio territorio il maggior numero di rifugiati. Secondo il rapporto statistico annuale dell’Unhcr (Global Trends) relativo al 2010, “i 4/5 dei rifugiati del mondo sono accolti dai paesi in via di sviluppo e questo avviene in un periodo caratterizzato da crescenti sentimenti di ostilità nei confronti dei rifugiati in molti paesi industrializzati”[1]. Nel 2011, invece, la crisi migratoria dovuta alla guerra in Libia è stata una delle più grandi della storia moderna. Dalla fine del febbraio 2011, per circa un anno, 790.000 lavoratori migranti sono fuggiti dal conflitto. Prima della guerra, in Libia vivevano circa 1,8 milioni di lavoratori migranti, su cui si basava la maggior parte del fabbisogno di manodopera. Di questo ‘esodo’, appena il 3,9% ha interressato le coste di Malta e dell’Italia. In totale 27.465 persone, di cui 25.935 arrivate a Lampedusa e 1.530 a Malta. L’impatto maggiore lo hanno avuto Egitto e Tunisia, che hanno accolto centinaia di migliaia di persone. In particolare in Tunisia, nonostante le difficoltà della rivoluzione che il paese attraversava, è stato accolto il 43% del totale dei rifugiati dalla Libia.
Ancora, è opportuno ricordare che secondo il Global Trends nel 2011 la cifra mondiale che comprende anche sfollati e richiedenti asilo è stata di quasi 43 milioni di persone. Ma la situazione si è aggravata nel 2012 (ultimo dato disponibile al momento in cui scriviamo), con il numero di rifugiati e sfollati interni che ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 18 anni. Mentre alla fine del 2011 – si legge nel rapporto – le persone coinvolte in tali situazioni nel mondo erano 42,5 milioni, un anno dopo erano ben 45,1 milioni. Di queste 15,4 milioni erano i rifugiati, 937mila i richiedenti asilo e 28,8 milioni gli sfollati, persone cioè costrette ad abbandonare le proprie abitazioni ma che sono rimaste all'interno del proprio paese.
Durante il 2012, 7,6 milioni di persone sono state costrette alla fuga, delle quali 1,1 milioni hanno cercato rifugio all'estero e 6,5 milioni sono rimaste sfollate all'interno del proprio paese. Ciò consente di affermare che ogni 4,1 secondi una persona nel mondo diventa rifugiato o sfollato. Le guerre restano la principale causa alla base della fuga. Il 55% di tutti i rifugiati presi in esame dal rapporto proviene infatti da appena 5 paesi colpiti da conflitti: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria e Sudan.
Emerge poi come il gap tra i paesi più ricchi e quelli più poveri si faccia più ampio quando si tratta di accogliere rifugiati. Complessivamente i paesi in via di sviluppo ospitano l'81% dei rifugiati di tutto il mondo, un netto aumento rispetto al 70% di un decennio fa. Nel 2012 – si legge ancora nel rapporto - il cambiamento rispetto all'anno precedente nella graduatoria dei paesi che accolgono il più alto numero di rifugiati è stato invece lieve: il Pakistan si è confermato al primo posto con 1,6 milioni, seguito da Iran (868.200) e Germania (589.700).
I minori – bambini e adolescenti con meno di 18 anni – costituiscono il 46% di tutti i rifugiati. Lo scorso anno poi la cifra record di 21.300 domande d'asilo è stata presentata da minori non accompagnati o separati dai loro genitori, si tratta del numero più alto mai registrato dall'UNHCR.
L'Afghanistan si è confermato in testa alla classifica dei paesi d'origine del maggior numero di rifugiati, un triste primato che detiene da ben 32 anni: in media nel mondo un rifugiato su 4 è afghano e il 95% di loro si trova in Pakistan o in Iran.
L’Unione europea ha ricevuto in totale 365.600 domande d’asilo nel 2011 e ha accolto soltanto 84.100 richieste, respingendone 281.500 [2]. Nel 2011 il Regno Unito è il primo Paese per accoglienza, con 14.400 persone, seguito da Germania (13.000), Francia (10.700), Svezia (10.600), Paesi Bassi (8.400) e Italia (7.500).
Sono gli afgani (13.300) i principali beneficiari dell'accoglienza europea, seguiti da iracheni (9.000) e somali (8.900). In totale sulle 84.100 persone che hanno avuto protezione nell'Ue nel 2011, 42.700 sono state quelle ad ottenere lo status di rifugiato, 29.400 una protezione sussidiaria e 12.000 l'autorizzazione a rimanere nel paese per motivi umanitari.
Un’altra idea diffusa è che l’Italia riceva più profughi degli altri Paesi europei, in realtà, le richieste d’asilo nel 2011, anno del record, sono state circa 36mila. Nel 1992 la Germania accolse circa 440mila richiedenti asilo, come effetto dell’esodo per lo smembramento dell’ex Jugoslavia, dove la ‘pulizia etnica’ divenne l’obiettivo del conflitto, per allontanare milioni di residenti dal proprio territorio [3].
In Italia nel 2012 sono state presentante 17,352 domande d’asilo, circa la metà dell’anno precedente. Questo calo significativo, determinato prevalentemente dalla fine della fase più drammatica delle violenze in Nord Africa, riporta il numero di domande in media con il dato degli ultimi dieci anni. I rifugiati in Italia alla fine del 2012 erano 64.779, questa cifra colloca l’Italia al 6° posto tra i Paesi europei, dopo Germania (589,737), Francia (217,865), Regno Unito (149,765), Svezia (92,872), e Olanda (74,598).
Dati sui migranti economici
All'ingente versamento di contributi previdenziali da parte degli immigrati (circa 7,5 miliardi di euro nel 2008), corrisponde una loro scarsa presenza tra i beneficiari di prestazioni pensionistiche: all'inizio del 2010 sono stimabili in appena 110mila i pensionati stranieri e quelli entrati in età pensionabile nel corso dell'anno incidono appena per il 2,2% sul totale dei residenti. Considerata l'età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), questo andamento è destinato a durare per diversi anni[4].
Gli immigrati creano posti di lavoro. Le imprese con titolari stranieri erano 228.540 nel 2010, quasi il doppio rispetto al 2005, quando se ne contavano 116.694.[5]
Gli immigrati sono una componente strutturale del mercato del lavoro, soprattutto al centro nord e sono indispensabili a compensare il calo della natalità [6]. Secondo le stime di Italia Lavoro, gli stranieri compensano solo fino al 2020 la flessione della popolazione italiana in età lavorativa. Dal 2012 al 2065 la popolazione residente diminuisce di 6,3 milioni di persone grazie alla diminuzione di 11 milioni di italiani e alla crescita di 5 milioni di stranieri. Ma se al Nord e al Centro gli stranieri compensano quasi completamente la flessione della popolazione in età lavorativa (rispettivamente -300mila e -400mila unità), al sud i residenti in età lavorativa diminuiscono di 5 milioni.
Solo in Italia, rispetto agli altri Paesi europei, il tasso di occupazione degli stranieri è superiore a quello degli italiani nonostante la crisi. Il numero di occupati stranieri aumenta di oltre un milione, quello degli italiani diminuisce di 700mila. Questo perché gli immigrati reggono alcuni settori come l’agricoltura e i servizi alla persona che non si possono ‘delocalizzare’.
La quota della popolazione straniera attiva è molto superiore a quella italiana:
84% degli uomini stranieri, 72% degli uomini italiani
Il tasso di occupazione femminile è complessivamente più alto di quello delle donne italiane. Ma è differenziato in relazione alla cittadinanza: si passa dall’87% delle ucraine al 9,5% di Bangladesh e al 2,1% del Pakistan. Questo dato mette in evidenza possibili fenomeni di segregazione femminile.
Dati sui costi dell'accoglienza
L'intero ammontare delle risorse pubbliche destinate alle politiche di accoglienza ed inclusione sociale dei cittadini stranieri negli anni 2005-2012 è pari a 2 miliardi e 313mila euro, ma per la sola gestione dell'emergenza Nord-Africa sono stati disposti stanziamenti pari a 1 miliardo e 521mila euro. Se si detraggono questi stanziamenti "straordinari", l'ammontare degli stanziamenti "ordinari" destinati alle politiche di accoglienza e inclusione sociale scende a 791 milioni e 708 mila euro con una media annuale pari a 123 milioni e 871 mila euro. E' quanto emerge da un'indagine di Lunaria dal titolo “I diritti non sono un costo!”, su quanto e come i migranti costano allo stato italiano, realizzato con il sostegno di Open Society Foundations.
Si tratta di una media molto inferiore rispetto a quella degli stanziamenti pubblici monitorati nel primo dossier "Costi disumani" che analizzava le politiche del "rifiuto", cui viene destinata una cifra pari a oltre 247 milioni di euro. L'incidenza sulla spesa pubblica è molto scarsa: i fondi medi annuali per le politiche di contrasto incidono per lo 0,034%, quelli per le politiche di accoglienza e inclusione sociale per lo 0,017%: l'insieme degli stanziamenti medi annuali pesa per lo 0,052%.
Le stime che Lunaria ha elaborato sulle erogazioni complessive destinate agli stranieri per l'anno fiscale 2011 si aggirano su poco meno di 15 miliardi di euro. Di questi, però, solo una piccola parte, pari a 184 milioni, è riferibile ai servizi e agli interventi dei Comuni rivolti specificamente ai migranti. Complessivamente, i cittadini stranieri incidono per il 2,07% sulla spesa pubblica complessiva del 2011, a fronte di una loro presenza numerica che è più del triplo: il 7,54%.
In sostanza, le conclusioni a cui arriva il rapporto sono che l'immigrazione non costituisce un rischio per la sostenibilità del nostro sistema economico, che i provvedimenti discriminatori per limitare l'accesso di stranieri sul territorio italiano sono costosi e fallimentari, e che le politiche attuate finora sul tema immigrazione a livello sia italiano che europeo non solo non sono giuste, ma nemmeno le più economiche.
[2] Dati diffusi da Eurostat il 19 giugno 2012
[3] Boldrini L., Balcani, 450mila persone ancora fuori casa, post del 5 aprile 2012 dal suo blog ‘Popoli in fuga’
[4] Polchi V., Gli immigrati danno più di quanto ricevono. Ecco i dati Inps raccolti e diffusi dalla Caritas, Repubblica.it, 9 giugno 2011
[5] Lai -momo e Idos, Comunicare l’immigrazione, guida pratica per gli operatori dell’informazione, Roma 2012
[6] Lo ha spiegato Roberto Cicciomessere, consulente di Italia Lavoro, in occasione del convegno dei Radicali “Immigrazione una sfida una necessità” che si è tenuto al Senato il 14 giugno 2012