[antisemitismo, antiebraismo, pogrom, shoah, soluzione finale, scontro di civiltà, neorazzismo, razzismo differenzialista, razzismo istituzionale, razzismo federale, razzismo dei piccoli bianchi, xenofobia, incitamento all’odio, gay bashing]
Definizione
Con il termine razza viene indicata una serie omogenea di individui contraddistinti da comuni caratteri esteriori ed ereditari; etnia identifica ogni raggruppamento umano basato sulla comunità di caratteri razziali, culturali, linguistici.[1] Considerate queste definizioni, il concetto di etnia (vedi) assume una valenza più ampia del concetto di razza, includendo la comunanza, oltre che degli aspetti esteriori, ereditari e somatici, anche di quelli legati a fattori culturali e linguistici. Per il vocabolario Treccani, la razza è “un raggruppamento di individui che presentano un insieme di caratteri fisici ereditari comuni. Nel caso dell’uomo, tali caratteri si riferiscono a caratteristiche somatiche (colore della pelle, tipo di capelli, forma del viso, del naso, degli occhi ecc.), indipendentemente da nazionalità, lingua, costumi, ma il concetto di razza umana è considerato destituito di validità scientifica, l’antropologia fisica e l’evoluzionismo hanno dimostrato che non esistono gruppi razziali fissi o discontinui. Al contrario, i gruppi umani mutano e interagiscono continuamente, tanto che la moderna genetica di popolazioni si focalizza su modelli di distribuzione di geni specifici anziché su categorie razziali create artificialmente”.
I termini razza e razzismo non nascono insieme. Il concetto di razza in senso moderno per indicare le divisioni tra gruppi umani fu usato per la prima volta nel 1684 dal medico e viaggiatore francese F. Bernier. Nel 1735 C. Linneo utilizzò per la prima volta come criterio distintivo delle razze il colore della pelle, dividendo i gruppi umani in bianchi, rossi, gialli e neri. Il termine deriva probabilmente dal latino generatio (generazione) e dal francese antico haraz (allevamento di cavalli)[2].
Il termine razzismo invece compare negli anni Venti del Novecento e si riferisce a teorie politiche fondate sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre. Il razzismo è anche alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la «purezza» e il predominio della «razza superiore». Il testo che diede un impulso decisivo alla diffusione delle idee razziste fu l’Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55) di J.-A. de Gobineau, che sostenne la superiorità biologica e spirituale della razza ariana germanica. Per H.S. Chamberlain (Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts, 1899) la storia era un’eterna lotta tra ariani, razza spiritualmente nobile, ed Ebrei, ignobili e meschini. L’antiebraismo religioso si era trasformato in antisemitismo razzista, diffuso in gran parte d’Europa. L'antigiudaismo, come ostilità e persecuzione di matrice teologica messe in atto dal cristianesimo nei confronti degli ebrei, era presente nella storia europea molto prima dell'affermarsi delle tesi razziali. Gli ebrei venivano accusati di deicidio, responsabili del mancato riconoscimento della divinità del Cristo. L’atteggiamento della Chiesa Cattolica mirava sempre alla loro conversione. Nel tempo si erano diffuse metafore ‘deumanizzanti’ sugli ebrei, paragonati a ‘parassiti, ratti, insetti’[3]. Erano discriminati, segregati in ghetti, e furono anche costretti a intraprendere il mestiere di prestatore di denaro a interesse, proibito ai cristiani in quanto considerato peccaminoso. Questo fece nascere lo stereotipo dell’ebreo usuraio. Agli ebrei venivano imputati omicidi rituali di bambini (accusa del sangue). Ai primi del Novecento la polizia segreta dello zar di Russia, paese nel quale erano frequenti i pogrom (erano violente sommosse popolari antiebraiche, il termine significa devastazione), preparò I Protocolli dei Savi anziani di Sion, un documento falsamente attribuito agli ebrei per diffondere il mito del complotto ebraico teso a dominare il mondo. La congiunzione tra razzismo e antisemitismo generò la tragedia dell’Olocausto, poiché attraverso le tesi razziali l'antisemitismo poté ammantarsi di verità scientifica, trovando il suo culmine nel tentativo nazista di genocidio del popolo ebreo (shoah, soluzione finale) per realizzare la supremazia della razza ariana. Anche l’Italia fascista adottò leggi razziali (1938) e contribuì alla deportazione nei Lager degli Ebrei italiani. Nel dopoguerra, la decolonizzazione non impedì l’affermazione di regimi segregazionisti, come l’apartheid in Sudafrica, abolito solo nel 1990. Negli USA, nonostante l’abolizione della schiavitù (1865), solo nel 1964 fu vietata ogni legge discriminatoria.
In Europa e in Italia il razzismo si è ripresentato con l’immigrazione dai paesi più poveri e con la ripresa, negli anni 1990, di pratiche di pulizia etnica, che ha coinvolto Serbi, Croati e Albanesi del Kosovo.
L’ONU condannò il razzismo con la Dichiarazione sulla razza dell’UNESCO (1950) e con una Convenzione del 1965 che definì discriminazione razziale ogni differenza, esclusione e restrizione dalla parità dei diritti in base a razza, colore della pelle e origini nazionali ed etniche. Nel 2000, il 21 marzo è stato proclamato giornata mondiale contro il razzismo.
Conseguentemente la discriminazione per razza ed origine etnica si sostanzia in un trattamento differenziato di un individuo o di un gruppo di individui a causa dei suoi/loro tratti somatici, dell’appartenenza culturale e di quella linguistica. A causa della parziale sovrapposizione dei significati, generalmente le discriminazioni basate sulla razza e sull’etnia vengono considerate congiuntamente.
[2] Brugio A., Gabrielli G., Il razzismo, Ediesse Roma 2012
Dopo gli orrori dello sterminio degli ebrei avvenuto nel corso della Seconda Guerra Mondiale, negli anni Cinquanta la parola razza viene quasi ‘bandita’ e sostituta da termini come ‘gruppo etnico’. Questo accade ufficialmente con il documento dell’Unesco “The Question of the Race” (1950), sottoscritto da scienziati e antropologi di fama mondiale per rinunciare ai discorsi sulle ‘razze umane’, dove si legge: “Scientists are generally agreed that all men living today belong to a single species, Homo sapiens”.
La Commissione Europea adotta nel 2000 due direttive, di cui una, la 2000/43/CE, recepita a livello nazionale attraverso il d.lgs. n. 215/2003, è esplicitamente dedicata all’attuazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. Nella direttiva si specifica che “L’Unione europea respinge le teorie che tentano di dimostrare l’esistenza di razze umane distinte. L’uso del termine “razza” nella presente direttiva non implica l’accettazione di siffatte teorie”.[1]
Ritroviamo la parola ‘razza’ anche nella denominazione dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, istituito appunto con il decreto legislativo n. 215/2003. Si tratta non di un’autorità indipendente ma di un ufficio governativo che opera nell'ambito del Dipartimento per le Pari Opportunità. L’ Unar ha la funzione di “garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e di contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e l'origine etnica”[2]. Fornisce assistenza alle vittime di comportamenti discriminatori nei procedimenti intrapresi da queste ultime sia in sede amministrativa che giurisdizionale, attraverso l'azione dedicata di un apposito Contact center; formula raccomandazioni e pareri sulle questioni connesse alla discriminazione per razza ed origine etnica; redige due relazioni annuali, rispettivamente per il Parlamento e per il Presidente del Consiglio dei Ministri; promuove comunicazione, studi, ricerche e corsi di formazione.
Quindi nei documenti ufficiali e nelle leggi internazionali si continua a parlare di discriminazioni “per razza”. Ma tra gli scienziati il termine è ormai caduto in disuso e nell’opinione pubblica è oggetto di profondo discredito in conseguenza dell’Olocausto e di altri terribili genocidi del Novecento come quello in Rwanda. Secondo gli studiosi Burgio e Gabrielli “il fatto che le razze umane non esistano (in quanto realtà di fatto) non impedisce loro di esistere (in quanto creazioni simboliche)”. Oggi invece di razze si parla di etnie o culture, ma anche queste sono categorie razziste che continuano a operare nella nostra società. “Nell’opinione pubblica e nei mass media persiste la propensione a ragionare e giudicare in termini razzisti”, sottolineano i due autori[3]. Nella società globalizzata “il razzismo offre una preziosa via di uscita al disagio e alla paura, opera come uno straordinario fattore di rassicurazione - scrivono Burgio e Gabrielli - Chi oggi è dentro (cittadino, parte della comunità, titolare di diritti, percettore di reddito) è (può illudersi di essere) incluso per sempre; e può al tempo stesso considerare che chi è invece escluso e discriminato (straniero, non riconosciuto, privo di diritti e soggetto a sanzioni e minacce legittime) resterà sempre “fuori”….Lo straniero, il diverso, l’intruso non è soltanto escluso a buon diritto, ma anche legittimamente sospettato e perseguito”.[4] I due studiosi analizzano le motivazioni profonde per le quali il discorso razzista ha la capacità di apparire vero nonostante ogni smentita. “Se la fonte del razzismo è il bisogno sociale (oggi non meno diffuso e acuto di ieri) di individuare capri espiatori e di giustificare pratiche discriminatorie- spiegano - se il razzismo trae alimento dalla forza mobilitante (oggi non minore che in passato) della paura e del rancore, sarebbe evidentemente illusorio attendersi che la critica delle ideologie razziste possa determinare la loro scomparsa. Il razzismo resiste alle confutazioni scientifiche e sopravvive nonostante il ricordo delle sue atroci conseguenze in virtù della propria efficacia sociale: è dunque in primo luogo su questo piano – impiegando le armi del conflitto sociale e politico – che esso va affrontato e battuto”.[5]
Il razzismo opera discriminazioni di varia intensità che possono arrivare fino allo sterminio di categorie di persone che via via vengono trasformate in ‘razze’. Si può essere esclusi o perseguitati per nazionalità, genere, identità sessuale. Rimanendo dentro la storia europea, le discriminazioni hanno coinvolto, ad esempio, le popolazioni rom, gli omosessuali, i meridionali, i ‘devianti’, ecc…
Per questo si può affermare che “il razzismo non è affatto un residuo del passato. Al contrario esso costituisce un ingrediente fondamentale della modernità”.[6] Guardando all’epoca attuale, si può tracciare un percorso che inizia con la prima guerra del Golfo e di consolida con l’11 settembre, focalizzato sull’idea di uno scontro di civiltà. Emerge “l’idea di un complotto islamico, molto simile nella sua logica al mito del complotto ebraico evocato nei Protocolli dei savi di Sion”.[7] L’allarme terrorismo porta a una contrapposizione netta fra un ‘noi’ e un ‘loro’, che sono ‘ gli altri invasori’. Passa su scala globale il messaggio che sia più facile per i terroristi confondersi nei flussi migratori incontrollati. L’immigrazione viene descritta come orda o crociata islamica. Nelle parole di Burgio e Gabrielli: “Lo spettro di un’identità occidentale sotto scacco è agitato di continuo, in modo ossessivo, e si rafforza con l’idea della minaccia terroristica associata ai migranti”.[8]
I due storici segnalano come esempio di giornalismo che veicola messaggi di “odio misto a pregiudizio”, gli articoli di Oriana Fallaci dopo l’11 settembre sul Corriere della Sera: “In brevi scritti di grande impatto, Fallaci opera una confusione consapevole e sistematica tra ‘islamisti radicali’ (seguaci di un islam integralista) e semplici migranti, collocati tutti nell’orda dei figli di Allah e, responsabili, in quanto tali di una guerra di religione […]che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime”.[9] Queste, secondo gli studiosi, sono “incitazioni esemplari all’odio razzista”.[10]
Oggi è diffuso il “neorazzismo” e un “nuovo lessico razzista sotto mentite spoglie”[11]. Si tratta del razzismo culturalista o differenzialista.La parola razza è camuffata, sostituita da etnia. Si teorizza l’incomunicabilità fra ‘culture’ diverse. Se il razzismo ‘classico’ affermava la separazione biologica delle razze e la loro gerarchia; quello contemporaneo, chiamato differenzialista, si basa su tesi quasi antitetiche: le razze sono uguali e si differenziano non per aspetti biologici ma per la loro cultura, che va difesa contro mescolamenti che la snaturino; la difesa delle singole culture si ottiene fondamentalmente con l'isolamento, con il rifiuto di contatto con l'altro che trova la sua massima manifestazione nell'apartheid. Espressione del razzismo differenzialista è il rifiuto dell’immigrazione vista come invasione.
Le nuove razze sono migranti, rom e omosessuali. In Italia si verificano “processi di stigmatizzazione di migranti e zingari sullo sfondo di un’ossessione securitaria politicamente alimentata dalle autorità di governo e dalle amministrazioni locali, con il costante ausilio degli organi di stampa”.[12] Lo stigma è il segno attraverso cui si circoscrive un gruppo o un individuo evocandone una o più caratteristiche deteriori. Anche la distinzione fra migranti regolari e irregolari ha una matrice ‘differenzialista’ quando si attribuisce allo status giuridico di ‘irregolare’ un connotato di pericolosità sociale. Questo è in atto anche con politiche specifiche, come l’allungamento dei tempi di detenzione nei centri di identificazione e di espulsione. (vedi Cie)Secondo Burgio e Gabrielli, “tre diversi discorsi stigmatizzanti si combinano nell’immagine negativa del clandestino: fisicamente diverso (quindi ripugnante); moralmente estraneo (quindi colpevole); culturalmente straniero (quindi minaccioso). Dall’extracomunitario/clandestino c’è dunque da attendersi comportamenti illegali, violenti o semplicemente inquietanti perché dissonanti rispetto agli usi dei nativi. Il giudizio riposa palesemente su un’inversione logica: il migrante è colpevole in quanto migrante, non perché responsabile di azioni illegali”.[13] I due esperti sottolineano che in un Paese che detiene il primato delle mafie più potenti e della violenza maschile sulle donne (vedi femminicidio), la stampa si sofferma invece moltissimo sul nesso fra immigrati e criminalità. Definiscono anche imprenditori politici del razzismo quei politici che hanno usato il razzismo come strumento per raccogliere consenso elettorale. Ricordano i termini razzisti con cui sono stati definiti i migranti dai politici, da bingo bongo a vu cumprà. E propongono un parallelo con gli epiteti internazionali con cui erano conosciuti gli emigranti italiani in passato, come crispy (ladri), welsh (terroni), spaghettifresser (mangiatori di spaghetti con la voracità di un animale).
Il potere del gruppo dominante è appoggiato dallo sviluppo di strutture (come leggi, politiche e prassi amministrative) che escludono o discriminano il gruppo che è dominato. Questo aspetto del razzismo prende il nome di razzismo istituzionale. Questa espressione è nata negli Usa alla fine degli anni Sessanta e ha avuto ampio dibattito nel Regno Unito negli anni Novanta. Si riferisce a una discriminazione sistemica, o strutturale. “Il criterio di identificazione delle istituzioni razziste riguarda gli effetti discriminatori prodotti, non le intenzioni dell’ente o dei suoi funzionari”[14] spiega Clelia Bartoli, docente di Diritti Umani all’Università di Palermo. Se il razzismo individuale è più evidente e identificabile, quello istituzionale è più sottile, è più difficile individuarne i responsabili, ma non è meno distruttivo. La potenza del razzismo istituzionale sta proprio nel suo essere difficilmente percepibile. In particolare per quanto riguarda l’Italia, scrive Bartoli “la disparità di trattamento tra autoctoni e popolazione di origine straniera rischia di gettare le basi di una società divisa e diseguale i cui effetti, come le leggi Jim Crow o la questione meridionale insegnano, possono essere di enorme portata e di lunghissima durata”.[15] La tesi di Bartoli e di moltri altri esperti è che in Italia i migranti stiano subendo un processo di “razzializzazione”. Cioè, superato il concetto di razza biologica, ci sono altre categorie che assumono la stessa funzione: “istituire un sistema di rapporti fra gruppi che si considerano diversi per essenza”, in cui “il gruppo dominante non si pensa come portatore di una differenza al pari dei gruppi razzializzati, ma si presenta come il neutro, il canone, la normalità; le differenze paiono riguardare solo chi da esso si discosta”.[16]
Un altro elemento importante della riflessione di Bartoli è che “il razzismo più che paura dell’altro è costruzione dell’alterità. Esso in genere non scaturisce da un’emozione irrazionale, al contrario rappresenta una delle strategie sociali più razionali nella competizione per le risorse materiali e simboliche”.[17] Nei confronti dei migranti, la gamma di sentimenti che creano distanza, oltre alla paura, sono tanti e diversi: l’indifferenza, il senso di superiorità, la repulsione, la pietà, il paternalismo. Scrive l’antropologa Annamaria Rivera “il mito del popolo italiano come immune dal virus razzista è uno dei più tenaci e diffusi, tanto da essere tuttora in corso. Esso ha concorso al processo di autoassoluzione collettiva dalle colpe del razzismo e del colonialismo….il nuovo ciclo del razzismo italiano ha conosciuto in questi anni tappe lente e impennate subitanee…Oggi siamo, in sostanza, di fronte a una fase che vede la saldatura fra razzismo popolare –quello che si manifesta con i pogrom di Ponticelli e la diffusa ostilità verso rom e stranieri – e razzismo istituzionale, saldatura a sua volta favorita dalle campagne mediatiche di stampo razzista”.[18] Il razzismo è sempre sorretto da un apparato simbolico che è in grado di agire direttamente sul sociale, producendo e riproducendo discriminazione, ineguaglianza, dominazione. Per costruire o rafforzare tale apparato, il ruolo dei media è decisivo. “A mio parere- scrive ancora l’antropologa - la parola-chiave per comprendere la genesi del razzismo popolare non è paura, ma piuttosto rancore: la xenofobia (lo straniero visto come minaccia, ndr.) e il razzismo sono rancore socializzato”. Con questo si intende che l’insoddisfazione e il senso di impotenza per le condizioni sociali in cui si vive e per la crisi economica, sociale e identitaria sono indirizzati, “grazie all’opera svolta dagli imprenditori politici e mediatici del razzismo”, verso dei capri espiatori. Questo è quello che viene chiamato “razzismo dei piccoli bianchi”: vale a dire quando coloro che sentono minacciati i propri scarsi privilegi sociali spostano la frustrazione sugli “estranei” socialmente più vicini, cosa che è accaduta molte volte nel corso della storia. “Per cui le vittime di ieri possono divenire i “carnefici” di oggi e le vittime di oggi possono condividere pregiudizi verso chi è ancora più in basso di loro nella scala del disprezzo” conclude Rivera.
In Italia, il razzismo istituzionale è stato ravvisato spesso nelle ordinanze di alcuni sindaci che hanno limitato i diritti dei cittadini stranieri. Luigi Manconi lo chiama “razzismo federale”. La base normativa è nei provvedimenti urgenti che i sindaci possono emanare “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana”. “L’ampiezza e la genericità delle categorie delineate dalla norma ha favorito una prassi (indubbiamente illegittima e come tale censurata in sede giurisdizionale) volta a utilizzare tale potere di ordinanza al fine di introdurre – su base territoriale - misure limitative dei diritti di libertà (ma anche dei diritti sociali) per i soli stranieri, quali, ad esempio, il divieto di iscrizione all’anagrafe degli stranieri con precedenti penali e con un reddito inferiore all’importo dell’assegno sociale; i limiti al riconoscimento dell’abitabilità degli edifici; divieto di erogazione del bonus bebè alle famiglie immigrate; le norme anti-kebab, anti-burqa e anti-burqini (il costume da bagno islamico unito al velo); il limite massimo del 30% di stranieri in ogni palazzo; il divieto di tenere riunioni pubbliche in lingue diverse da quella italiana; preavviso di almeno trenta giorni all'autorità locale di pubblica sicurezza per «chi promuove o dirige funzioni, cerimonie o pratiche religiose aperte al pubblico, fuori dai luoghi destinati al culto»; il divieto di sosta in comune per “nomadi e zingari”; preclusione, per i non professanti la religione cristiana, di accedere ai luoghi di culto, “vista la necessità di salvaguardare i valori cristiani dalla incessante contaminazione di altre religioni”.[19]
L’odio corre su Facebook. “Con l’esplosione e il successo di Facebook e dei vari social network, è aumentato vertiginosamente il numero di pagine, siti, blog e forum dai contenuti apertamente razzisti e xenofobi”. E’ quanto afferma la ricercatrice Paola Andrisani che ha curato la parte sulle nuove forme di razzismo online, all’interno del secondo libro bianco di Lunaria. Secondo l’autrice del saggio, i bersagli preferiti sono i cittadini di religione musulmana ed ebraica, ma anche i cittadini cinesi e rom, o i migranti in generale. La maggior parte di queste pagine che incitano all’odio (hate speech) sono ideate e create da sostenitori dell’estrema destra nazionalista, da integralisti cristiani, skinhead e negazionisti o da esponenti della Lega Nord. Nel maggio 2011 Lunaria ha segnalato 120 tra gruppi e profili di Facebook all’Unar e alla polizia postale per i loro contenuti xenofobi e razzisti. Un monitoraggio analogo svolto dall’associazione nell’aprile 2009 aveva evidenziato l’esistenza di 106 gruppi e profili Facebook con contenuti simili.Si va dai giochi con l’obiettivo di eliminare immigrati irregolari e rom, ai gruppi organizzati che invocano torture e azioni da ku klux klan contro gli stranieri, ai singoli che incitano alla pulizia etnica. All’orrore non c’è mai fine e a volte dietro ci sono anche figure politiche. Con i respingimenti in mare nell’estate del 2009, Renzo Bossi inventa il gioco “Rimbalza il calndestino”, un’applicazione che con un clic fa scomparire le barche dei migranti, vince chi ne respinge di più. Per questo, il figlio del leader della Lega Nord viene denunciato dall’Arci per “istigazione all’odio razziale”. Poi è la volta del gruppo “Lega Nord Mirano” (VE) che con i suoi quattrocento amici utilizza come immagine del profilo un appello choc: “Immigrati clandestini: torturali! È legittima difesa”. Molti gruppi Facebook razzisti nascono da qualche caso di cronaca e di attualità o dall’opposizione alla costruzione di moschee, di campi rom, ai ‘negozi etnici’ o all’ ‘invasione islamica’. Antisemitismo e rifiuto dei migranti sono i filoni più seguiti. Spesso ad aprirli sono nostalgici neofascisti. Di recente, è ritornato su Facebook un gioco, “Acciacca lo zingaro”, promosso dal circolo romano Forza Nuova Roma Sud ispirato dal rogo in cui hanno perso la vita quattro bambini rom, Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian. Prevede punteggi per chi investe uno “zingaro”. Poi c’è la pagina Facebook del gruppo nazionalista e xenofobo “Resistenza Nazionale”.Ma a diffondere l’odio sui social network non sono soltanto realtà organizzate. Le pagine individuali non sono meno pericolose. Nell’aprile 2010 un giovane 22enne di Grantorto, in provincia di Padova, che si definisce “leghista e cristiano”, crea due gruppi: “Grantorto 24 ore di fuoco libero con gli extra disarmati...Chi ci sta???” e “Quelli che girando per Grantorto si chiedono: ma siamo a Kabul?”. Sempre sul social network, le realtà antirazziste si attrezzano per prendere le contromisure, anche se la disparità di forze è evidente. Le pagine Facebook “Basta con il razzismo su Facebook” e “Segnaliamo il razzismo” sono le uniche in Italia che fanno un monitoraggio quasi quotidiano dei profili e gruppi razzisti sul social media. Hanno entrambe stilato alcune liste che vedono sempre presenti almeno un centinaio di gruppi da segnalare al gestore. “Liste che, purtroppo, non si accorciano mai, in ragione del fatto che questi gruppi vengono continuamente riaperti, una volta censurati” si legge nel libro bianco.
Anche l’Unar ha più volte lanciato l’allarme contro gli hate speech, l’incitamento all’odio sui media. C’è il prete di Arezzo che inneggia a Himmler sul giornale della parrocchia o l’amministratice locale che per radio paragona i rom ai cani, il blog del Ku Klux Klan e l’ex parlamentare della Lega che insulta i rom su Facebook. Sono i media, e soprattutto internet, l’ambito in cui avviene il numero maggiore di comportamenti razzisti in Italia secondo la relazione inviata dall’Unar al Parlamento per l’anno 2011, con circa un quarto delle segnalazioni complessive (23%), pari a 200 casi. Di questa ampia fetta, ben l’84% riguarda il web. “Internet è sempre più spesso un ambiente dove si manifestano condotte discriminatorie. L’anonimato offerto dalla rete lascia emergere i razzismi, così come il sessismo, l’omofobia e tutte le altre forme discriminatorie con più forza – si legge nel documento - Siti web, blog e social network sono il luogo dove i cosiddetti hate speech trovano nuove modalità espressive”. In particolare nel 2011 sono state denunciati diversi episodi di gay bashing(abusi verbali contro gli omosessuali) diffusi sul web. Nell’ambito dei mass media si verificano molti comportamenti discriminatori connessi a fattori diversi dall’etnia e dalla razza. E quindi riguardanti anche la disabilità, la religione e le persone Lgbt. Per molti di questi casi ci sono processi penali in corso. Agli autori viene contestato il reato di incitazione a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi così come l’aggravante speciale dell’odio razziale etnico, nazionale o religioso, in base all’articolo 3 della “Legge Mancino”. Fra i procedimenti penali in corso, anche quelli contro Tiziana Maiolo, portavoce di Futuro e Libertà nel Consiglio Comunale di Milano, che disse ”E’più facile educare un cane di un rom” durante una trasmissione radiofonica e contro don Virgilio, parroco di Rigutino, ad Arezzo. “Himmler dette l’ordine di aggiungere ad ogni convoglio di ebrei un vagone di rom: ma perché uno solo invece di due?” scrisse il prete sul bollettino parrocchiale a Natale del 2010, dopo aver subìto un paio di furti. Un caso si è già concluso davanti al Tribunale di Padova che ha condannato Vittorio Massimo Aliprandi, ex parlamentare padovano della Lega Nord, poi consigliere del comune veneto, ad una pena di 4 mila euro nonché a liquidare 2mila euro a testa alle parti civili (associazione Opera Nomadi e 2 persone rom) per le frasi offensive contro i rom che aveva pubblicato Facebook nel dicembre 2010 e nel gennaio 2011.
La legge italiana sulla stampa è discriminatoria
La legge sulla stampa del 1948 è discriminatoria, in quanto non consente a un cittadino straniero, seppur iscritto all’Ordine dei giornalisti in Italia, di registrare una propria testata. La segnalazione era arrivata all’Unar dall’Ansi (Associazione Nazionale Stampa Interculturale) per una cittadina peruviana che nel richiedere la registrazione di una testata giornalistica ha avuto un diniego dal Tribunale perché non è cittadina italiana. L’Unar ha chiesto al Parlamento di modificarla.
Secondo l’Unar serve un generale inasprimento delle leggi che puniscono i reati di razzismo e xenofobia. Anche due relatori speciali Onu (Special Rapporteur sulle forme contemporanee di razzismo e Special Rapporteur sui diritti umani dei migranti) hanno rivolto la loro attenzione sull’Italia dopo la strage di Firenze del dicembre 2011 (in cui un estremista di destra ha ucciso due ambulanti senegalesi) e, con una nota congiunta rivolta in data 26 dicembre al nostro Governo, hanno richiesto l’elaborazione di un piano nazionale di azione contro il razzismo. Secondo l’Ufficio antidiscriminazioni, va punita la “condotta più generale e maggiormente diffusa nella vita del nostro paese della semplice divulgazione di idee razziste e xenofobe, antefatto di reati gravissimi”. Nel rapporto presentato al Parlamento si sottolinea il ruolo dei social network che “hanno ancor più consentito la diffusione incontrollata di messaggi lesivi della dignità umana”. Questo trend è anche confermato dal numero delle segnalazioni pervenute all’UNAR, che, per i fenomeni di xenofobia e razzismo on line e su web è passato dal 5,4% del 2008 al 21% nel 2011. Gli episodi vengono segnalati alla polizia postale, ma è difficile attuare i provvedimenti perché i gestori dei siti spesso si trovano all'estero. Come avviene nel caso del noto sito razzista “Stormfront.org”. Per questo l’Unar chiede di ratificare entro il 2012 il protocollo aggiuntivo alla Convenzione Cybercrime, relativo all’incriminazione dei reati a sfondo razzista e xenofobo perpetrati viainternet che permette una cooperazioen fra Stati per migliorare la lotta al razzismo su internet. L’Italia ha già sottoscritto il protocollo, ma manca la ratifica
Frasi fatte
Mito: Prima gli italiani
La paura di chi non si sente protetto, di chi viene licenziato o si sente in concorrenza con i nuovi poveri porta a dare il consenso a slogan semplici, discriminatori ma efficaci come ‘no all’immigrazione’. Ne parla Gian Antonio Stella nel suo libro edito da Rizzoli “Negri froci giudei & Co”. È quello che nella scheda precedente sull’uso del termine abbiamo chiamato “razzismo dei piccoli bianchi”. Secondo quanto scrive Stella, esso si basa su un rovesciamento della raltà, con la vittimizzazione della popolazione autoctona: sono i nativi a essere sfavoriti nel welfare, nell’accesso alle case popolari e sono gli immigrati, i rom a sopravanzare i cittadini privandoli dei loro diritti[20].
Nel Nord Italia, il welfare razzista è stato abolito dai giudici. Le ordinanze dei sindaci che erogavano bonus bebè e sussidi ai soli cittadini italiani sono cadute una dopo l’altra nei tribunali. I provvedimenti erano discriminatori nei confronti degli stranieri. A Brescia una lunga battaglia giudiziaria è ancora in corso. Bonus bebè riservati ai figli di genitori italiani, contributi per il dentista o l’oculista e borse di studio solo per bambini con cittadinanza italiana, sussidi per i disoccupati ma non per gli stranieri. Sono numerose le ordinanze dei sindaci del Nord Italia cancellate perché ‘discriminatorie’ dalle sentenze dei giudici a cui si erano rivolti gli immigrati, a volte anche comunitari come i romeni. Le regioni dove questi episodi si sono verificati più frequentemente sono la Lombardia, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Slogan come ‘prima i veneti’ e ‘padroni a casa nostra’ non valgono in tribunale. “Desta particolari motivi di apprensione il fatto che il 90% delle discriminazioni oggetto di pronuncia sono perpetrate da parte di enti locali (Comuni e Regioni) e, talvolta, dello stesso Stato, dunque da parte di quelle istituzioni che dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano nella tutela delle pari opportunità. Pertanto, per le vittime di tali discriminazioni, l’unica strada da percorrere rimane quella giudiziaria” si legge nel secondo libro bianco sul razzismo curato da Lunaria[21]. Il Comune di Brignano Gera d’Adda si era inventato una delibera con cui riservava un contributo alle spese dentistiche e oculistiche solo ai bambini con cittadinanza italiana. Il Comune di Palazzago aveva istituito un bonus bebè riservato ai nuovi nati figli di almeno un genitore in possesso della cittadinanza italiana. Il Tribunale di Bergamo l’ ha condannato a pagare il contributo a prescindere dal requisito della cittadinanza. Sempre i giudici di Bergamo hanno accertato la discriminazione compiuta dall’amministrazione comunale di Villa d’Ogna, che aveva istituito un sussidio di disoccupazione solo per i cittadini italiani. Al fondo affitti e al bonus bebè del comune di Adro potevano accedere solo cittadini comunitari. A Chiari c’erano dei “premi all’eccellenza scolastica” destinati solo agli studenti cittadini italiani. La provincia di Sondrio aveva bandito un concorso per l’assegnazione di alloggi universitari a Milano prevedendo tra i requisiti per accedere al bando quello della cittadinanza italiana. Provvedimenti cancellati dalle sentenze dei giudici. Il razzismo nel welfare ha privilegiato tre ambiti di intervento: le politiche di sostegno alla famiglia, al diritto allo studio, alla casa. Questo tramite la preclusione o la limitazione dell’accesso dei cittadini stranieri ai sussidi alla natalità (Brescia, Palazzago, Adro, Latisana, Tradate, Regione Lombardia), ai sussidi straordinari di disoccupazione (Villa D’Ogna) e ai contributi economici per le famiglie a basso reddito (Milano). Ma ci sono state anche l’introduzione di requisiti restrittivi per l’accesso dei bambini stranieri ai servizi per l’infanzia (Adro, Ciampino, Montecchio Maggiore, Goito) e degli studenti agli alloggi universitari (Sondrio); limitazioni all’accesso dei cittadini stranieri all’edilizia residenziale pubblica (Milano) e ai contributi di sostegno alla locazione (Alzano Lombardo, Adro, Majano, Regione Friuli Venezia Giulia). I comuni di Calcinato, Ospitaletto, Lissone, Biassano, Seregno, Lazzate, Cogliate e Lesmo hanno adottato una politica restrittiva anche nel rilascio delle iscrizioni anagrafiche, Montecchio Maggiore ha fatto un giro di vite sui certificati di idoneità abitativa. A Brescia è in corso dal 2008 una battaglia giudiziaria tra un gruppo di cittadini stranieri sostenuti dall’Asgi e il Comune. La giunta aveva deliberato un contributo di mille euro per ogni neonato, con l’espressa finalità di far fronte al problema della bassa natalità nelle famiglie meno abbienti, prevedendo tra i requisiti di accesso la cittadinanza italiana di almeno un genitore. Il Tribunale di Brescia ha accertato il comportamento discriminatorio del Comune e ordinato l’estensione del bonus ai figli di cittadini stranieri. A quel punto, la giunta comunale di Brescia ha disposto la revoca del contributo per tutte le famiglie sostenendo che veniva meno “la finalità prioritaria di sostegno alla natalità delle famiglie di cittadinanza italiana”. Il nuovo provvedimento è stato denunciato di nuovo al giudice dagli stranieri perché è una ritorsione. Il processo non è ancora finito. A Tradate, per il bonus bebè era necessario il requisito della cittadinanza italiana “di entrambi i genitori”. Restavano esclusi dal beneficio persino bambini di cittadinanza italiana con diversa nazionalità di un genitore e si introduceva un “disincentivo economico” alla costituzione di coppie miste, garantendo un sostegno economico maggiore al cittadino italiano che sposava un connazionale. Il Comune sosteneva che tale sussidio avesse le sue radici nel declino demografico dell’Europa cui si accompagna “la morte delle rispettive culture” e costituisse dunque un “particolare incentivo di conservazione culturale”. Il Tribunale di Milano ha accertato il carattere discriminatorio del comportamento del Comune di Tradate e ha ordinato che il bonus fosse pagato a tutti i nati stranieri dalla data di entrata in vigore della delibera (2007).
[3] Burgio A., Gabrielli G., Op. Cit. pp. 61-62
[9] Ibidem (pagg.152-153)
[14] Bartoli C., Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Editori Laterza 2012, pag. 5
[18] Rivera A., Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo , edizioni Dedalo 2009 pag. 26-27
[19] Manconi L., Anastasia S., Lampedusa non è un’isola pagg. 248 e 249
[20] Stella G. A., Negri, froci, giudei e Co. L’eterna guerra contro l’altro, Bur Rizzoli 2009 pag.46
[21]Lunaria (a cura di), Cronache di ordinario razzismo, edizioni dell’Asino 2011
Razzismo quotidiano, in Italia dal 2007 al 2011 oltre 1300 casi e 16 morti
Vittime soprattutto stranieri, rom, musulmani ed ebrei. In molti casi gli autori sono attori istituzionali. 861 casi di discriminazione e di razzismo monitorati sulla stampa e sul web tra il 15 luglio 2009 e il 31 agosto 2011, 1311 se si aggiungono quelli dal 2007 al 2009. Da Rosarno a Adro a Lampedusa: le vicende di intolleranza e xenofobia che hanno fatto il giro del mondo ma anche una serie di storie molto meno note sebbene altrettanto gravi. I dati raccolti parlano di un aumento esponenziale delle violenze. Negli ultimi cinque anni 16 persone sono morte a causa di azioni razziste. Una nel 2007, cinque nel 2008 e nel 2009, tre nel 2010, due nel 2011. I casi di violenze fisiche nel complesso sono stati 350 dal 2007 a oggi. L’anno peggiore è stato il 2009 con il record negativo di 127 episodi. Rispetto al 2008, quando si registravano 26 casi di violenze verbali, nel 2009 la cifra è schizzata a 126, per aumentare ancora negli anni seguenti: 131 nel 2010, 202 nel 2011. La maggiorparte è propaganda razzista, come dichiarazioni, discorsi, scritte e manifesti. In numero minore, ma sempre elevato (poco meno di 200 casi), si tratta di offese, minacce o molestie. Sempre negli ultimi cinque anni, 366 i casi di discriminazione di cui 85 sono le ordinanze dei sindaci. Queste ultime hanno conosciuto un picco a partire dal 2009, nel biennio precedente infatti se ne erano registrate soltanto tre.
I moventi delle violenze o delle discriminazioni sono in gran parte le origini nazionali o etniche (817 casi), seguiti dai tratti somatici (226) e dall’appartenenza religiosa (173). Gli ambiti in cui si sono verificate, sono soprattutto all’interno della sfera pubblica, dei rapporti con le istituzioni e delle relazioni sociali o della scuola. Si scopre così che gli autori di violenze e discriminazioni sono nella maggiorparte dei casi (427 su 1311) attori istituzionali e questo soprattutto dal 2009 in poi. Seguono gruppi (391) e individui singoli (396).
Fra i gruppi che hanno commesso le azioni razziste, 125 non sono noti, 153 sono non partitici, 74 di estrema destra e 39 sono gruppi leghisti. I gruppi più presi di mira sono stati nell’ordine rom, musulmani ed ebrei. Laddove era nota l’appartenza politica degli autori di violenze e discriminazioni razziali, siano essi singoli, gruppi o istituzioni, è stata registrata una prevalenza della Lega Nord (170 casi), seguita dal Pdl (47), Pd (6) e Fli (3).
L’Unar ha invece registrato 200 discriminazioni nel 2011 sui media a opera degli stessi mezzi di informazione. Riguardano in 15 casi la stampa, (erano 12 nel 2010) rispetto alle quali sono state effettuate 2 segnalazioni all’Ordine regionale competente (istruttoria in corso) e indirizzate 5 note al Direttore con esito positivo. Nel caso del giornale parrocchiale ad Arezzo è stata formalizzata la notizia di reato per violazione della Legge Mancino, con il procedimento penale in corso. Nell’ambito della televisione sono state 6 le istruttorie svolte (erano 3 nel 2010). In 2 casi l’UNAR si è rivolto all’Agcom, anche se la normativa vigente non prevede sanzioni. In un caso, dopo la segnalazione all’Ordine regionale competente, è stata inflitta una sanzione disciplinare al giornalista. Nell’ambito della radiofonia sono state 6 le istruttorie svolte (nessuna nel 2010). Il resto viaggia sul web. “In tutti i casi si è intervenuti mediante nota al Direttore con esito positivo tranne uno – si legge nella relazione - Per quanto concerne “internet”, si evidenzia come le istruttorie abbiano riguardato essenzialmente la rilevazione e la rimozione, mediante intervento della Polizia Postale, di dichiarazioni/affermazioni contenute in blog o social network”.
Cronache di ordinario razzismo, bocciata la stampa italiana
Giornalisti e politoligi, anche molto noti, confondono i centri di accoglienza con quelli di detenzione, i migranti irregolari con i richiedenti asilo, nel caso di stranieri assassinati tendono a colpevolizzare le vittime.
Maggio 2011, dopo la morte di Abderrahaman Salhi, un ragazzo marocchino di 24 anni a Montagnana, in Veneto, testimoni affermano che alcuni carabinieri costringono gli stranieri ubriachi a bagni forzati nel fiume gelido, ripetuti più volte per fare smaltire l’alcol. Il 28 Giugno a Desenzano del Garda muore un giovane di 19 anni, Imad El Kaalouli, cittadino marocchino, in Italia dall’età di tredici anni. A ucciderlo è il suo datore di lavoro all’interno del ristorante sul lungolago dove Imad lavorava da cinque mesi. Imad era andato, insieme a una consulente del lavoro, a rivendicare il pagamento degli arretrati sull’ultimo stipendio e del Tfr. La risposta del titolare italiano sono 8 colpi di pistola (detenuta illegalmente): Imad è colpito a morte, il consulente del lavoro resta ferito. Yussuf Errahali è un senza tetto marocchino di 37 anni trovato morto, mezzo nudo e inzuppato d’acqua il 12 gennaio 2010 a Napoli, nella centralissima Piazza Cavour. Probailmente Yussuf non è stato ucciso solo dal freddo, ma dalle molestie e dalle violenze di un gruppo di giovani del quartiere che “per divertirsi” l’avrebbero gettato nella fontana, lasciandolo poi morire assiderato. Sono queste le “Cronache di ordinario razzismo” raccolte nel libro bianco 2009 – 2011 curato da Lunaria. Un viaggio nell’orrore da nord a sud, senza dimenticare il lavoro nero e lo sfruttamento delle braccia straniere in agricoltura, le violazioni dei diritti umani nei Centri di identificazione ed espulsione, le navi prigione allestite per “liberare” Lampedusa dai tunisini, il divieto di accesso per la stampa e le associazioni non accreditate ai Cie e ai Cara. Il ‘pacchetto sicurezza’ fa da cornice a quello che i curatori del volume definiscono senza mezzi termini “razzismo istituzionale”.
Di tutte queste storie, ben poco è arrivato all’opinione pubblica nazionale. Solo alcuni casi hanno risvegliato l’attenzione dei media: l’omicidio di Sanaa Dafani, la giovane 23enne di origine marocchina uccisa dal padre nel settembre 2009; la ribellione di Rosarno del 7 gennaio 2010; la vicenda della mensa scolastica di Adro dell’aprile 2010; l’omicidio di Maricica Hahaianu,
33enne romena uccisa a seguito di un litigio nella stazione della metro Anagnina di Roma l’8 ottobre 2010. Ma anche in queste vicende, i mass media, i giornalisti e gli opinionisti sono la nota dolente, accusati di usare categorie arbitrarie, di fare confusione fra orientamenti religiosi e nazionalità, di ignorare i termini corretti o, peggio, di malizia, sciatteria e sbavature razziste.
Alcuni esempi riportati nel secondo libro bianco sul razzismo, riguardano i principali quotidiani e le agenzie di stampa nazionali:
L’integrazione degli islamici
(quotidiano nazionale, il 20 dicembre 2010)
L’editoriale di un politologo ripropone “la vecchia tesi – un’autentica ossessione– della “radicale inintegrabilità” degli immigrati musulmani”. A questo proposito, Si legge nel volume: “Oltre a perpetuare l’abituale confusione grossolana fra nazionalità e orientamento religioso, non degna di un politologo, oltre a far finta d’ignorare che si può essere indiani e musulmani, cinesi e musulmani, marocchini e cristiani, tunisini ed ebrei, maghrebini e agnostici, iracheni e atei, e così via, egli mostra di non conoscere dati empirici basilari. Fra questi, un dato che in base ai suoi criteri dovrebbe essere indice di scarsa integrazione proprio degli “asiatici”: secondo stime della Fondazione Ismu (relative al 2008 ma ancor oggi tendenzialmente valide), in Italia la maggior parte degli immigrati irregolari proviene infatti da paesi asiatici, in testa la Cina”.
Torna in auge nei titoli e negli articoli anche il termine ‘vù cumprà’.
Protesta venditori souvenir contro vu’cumprà
(agenzia di stampa nazionale, 18 aprile 2011)
Lo stesso giorno Massimo Cacciari, intervistato in proposito, ha dichiarato: “A me non danno fastidio: qualsiasi città italiana è piena di vu’ cumprà”.
Anche nell’uso dei termini, i giornalisti della carta stampata sono accusati di ignoranza. Scambiano spesso i nigeriani per ‘nordafricani’ e confondono i centri di detenzione per stranieri irregolari con quelli di accoglienza per richiedenti asilo. In quest’ultimo caso viene citato come cattivo esempio l’articolo
Guerriglia nei Cie, è strategia della violenza
(quotidiano nazionale, 3 agosto 2011)
Invece “Le Monde” non parla mai di ‘clandestini’ e sa distinguere correttamente le diverse tipologie di centri.
Per quanto riguarda gli sbarchi a Lampedusa, “il linguaggio è biblico, bellicoso, catastrofico (fino all’infelice espressione “tsunami umano”), e induce i lettori/spettatori a sentirsi sotto assedio, profondamente minacciati e in stato di pericolo”.
“Scenario apocalittico”ed “esodo biblico senza precedenti” sono termini usati anche dal governo allora in carica, in particolare dal ministro dell’Interno Roberto Maroni che crea allarmismo. Alcuni esempi di titoli delle principali testate italiane:
Esodo di 300mila persone
Clandestini fuori controllo.
E l’Italia teme l’invasione
Una marea di profughi
Dalla Libia può arrivare un’ondata di immigrazione di proporzioni catastrofiche
Navi, aerei e paura: Lampedusa pronta come a una guerra