"Il problema è che se un rom vive in un campo è difficile cambiare la sua vita, nessuno lo accetta come persona onesta - dice Sejdic -I campi portano male al nostro futuro, ai nostri figli, se un bambino nasce e si sposa in un campo nomadi, siamo alla terza generazione che nasce nomade nel campo. I miei figli non hanno mai dormito a casa, io dormivo a casa e mio padre lavorava e io andavo a scuola. Cambiare un campo per un altro campo, non c’è nessun futuro. Se dal campo ci mandano in una casa non c’è da discutere. Se vado in un campo dove stanno altre 1000 persone in cui nessuno lavora, non c’è la fermata dell’autobus, non capisco come si può vivere in queste condizioni. Come ci si può integrare lontano dalla città? La situazione può solo peggiorare".
Nei suoi rapporti e comunicati l'Associazione 21 Luglio che lotta per i diritti dei Rom, usa le espressioni “cosiddetto campo nomadi” e virgolettato "villaggio attrezzato". Questo perchè "sono luoghi in cui sono concentrate delle persone su base etnica" spiega il presidente Carlo Stasolla. Mentre sui c.d. "campi abusivi", Stasolla sottolinea che "seguendo i documenti europei è giusto dire insediamento informale/spontaneo oppure formale (autorizzato). Bisogna evitare assolutamente il termine ‘campi abusivi’ perché anche il villaggio attrezzato è abusivo visto che non risponde alle norme igieniche dell'asl.Se Sostituiamo nella stampa le parole zingaro, rom, nomade con la parola ‘ebreo’ che reazione avremmo? L’opinione pubblica si assuefà al fatto che con i rom tutto è consentito. Si identifica una condizione di vita (povertà) con una scelta culturale (fatto culturale)".
“Non è stata una grande violenza. Li abbiamo fatti prima uscire dalle casarelle che hanno costruito. Loro sono usciti e noi le abbiamo incendiate per non farli ritornare”. Una donna di Ponticelli intervistata dal Tg2 a maggio 2008.
A riportare questa frase significativa è Nando Sigona, del Centro Studi sui Rifugiati dell'Università di Oxford, nel corso di una presentazione sul tema organizzata dall'Associazione 21 Luglio nel 2012. Sulla questione delle politiche locali e nazionali in Italia destinate ai Rom, Sigona propone questa distinzione temporale:
- Dall’inizio degli anni '80 all’inizio degli anni '90 si promulgano leggi regionali che mirano a una sorta di "protezione della cultura nomade".
- Anni 90, l'arrivo profughi di guerra dalla ex Jugoslavia. Non essendoci una legge sull’asilo, i campi nomadi si trasformano in campi profughi. Così non viene riconosciuto ai rom il diritto all'asilo e di poter essere vittime di persecuzione all’interno di una guerra etnica.
- Anni duemila: allargamento Ue, libertà di movimento e ricerca di nuove forme di contenimento. Si passa dal modello riserva indiana a Guantanamo.
- Con l’omicidio Reggiani per la prima volta la questione rom salta dal livello locale a quello nazionale e le politiche di espulsione dallo spazio urbano aumentano perché diventa una questione securitaria, entra come tema della campagna elettorale.
- La dichiarazione dello stato di emergenza, che, secondo Sigona, "è del tutto assurdo".
"Questo senso di normalità, noi siamo stati gentili perché non li abbiamo bruciati, noi li abbiamo fatti uscire…le famiglie che celebrano i fuochi di Ponticelli...l’incendio del campo mostra l’importanza di affrontare la questione del razzismo come priorità" conclude il ricercatore.
La parola nomadi inizia a essere utilizzata nel contesto italiano per parlare delle popolazioni rom e sinti alla fine dell’Ottocento corrisponde al processo di unificazione dell’Italia, l’Italia debole come Stato cercava di identificare un nemico interno che potesse costruire contro l’idea della persona stanziale. Questa idea non è molto originale. Kant parlava dei vagabondi per natura come un pericolo per lo stato, una minaccia. A partire dalla fase successiva alla seconda guerra mondiale, l’utilizzo del termine nomadi diventa il modo per giustificare un certo tipo di politiche sociali: la costruzione dei c.d. campi nomadi, giustificati in quanto strumento per permettere a questi gruppi (che si assume siano viaggianti) di continuare a muoversi. La storia dell’utilizzo della parola nomadi si sviluppa nel corso dei decenni. Continua a essere usata negli anni 90, ai profughi di guerra viene negato lo status di rifugiati perché si assume che sono nomadi e lo status si assegna a chi ha lasciato la propria casa. Molti rom vivono per generazioni senza permesso di soggiorno o nell’illegalità. Il campo nomadi diventa il posto in cui possono sopravvivere senza documenti di residenza, ma nel momento in cui provano a uscirne, non ci sono vie per l’accesso al lavoro regolare. Perdono quel minimo di rete di protezione che il campo provvedeva.
Sul falso uso della parola nomadi, gli studiosi concordano. "La parola nomadi indica non correttamente una modalità culturale che si vuole associare a questi gruppi - afferma Sigona -In realtà al giorno d’oggi coloro i quali hanno ancora una modalità di vita itinerante sono pochissimi. E bisogna riconoscere che non è un nomadismo romantico o non motivato: quelli che si muovevano negli anni Settanta lo facevano per lavoro, perchè erano giostari o mercanti in giro per i mercati". Si trattava di gruppi itineranti presenti nel nord Italia, soprattutto i sinti giostrai, i sinti piemontesi. "Però anche per i sinti in realtà le modalità di sopravvivenza economica sono cambiate e non c’è più bisogno di muoversi continuamente - spiega il ricercatore di Oxford - A Mantova per esempio, i sinti vivono in appezzamenti di terra che hanno comprato, su case che in teoria sono mobili, ma che in realtà non si muovono mai".
Quindi il problema è storico e culturale. "La Jugoslavia è stata il primo stato a riconoscere i rom come minoranza etnica, nel 1973 con la Costituzione sotto Tito- continua Sigona - Se si riconosce il valore culturale di questi gruppi, che hanno una lingua, una storia, si crea nelle persone fiducia nello Stato. I rom oggi hanno una grande sfiducia nei confronti delle istituzioni locali e nazionali in un paese come l’Italia perché vengono da una storia di rifiuti, di abusi, di mancanza di protezione. Nell’ex Jugoslavia i rom lavoravano come giornalisti, intellettuali, poeti, operai nelle fabbriche. Una varietà che manca in Italia: anche se ci sono queste persone non le sappiamo riconoscere. Invece vediamo che sono nomadi per forza. Assistiamo alle continue espulsioni, sgomberi delle case, distruzioni delle proprietà private, al pogrom di Ponticelli. I giudici non proteggono i rom dal razzismo. I rom non si sentono protetti nella maggiorparte dei casi".
Spesso nei piani pensati per i Rom ci si riferisce alla costruzione di cosiddetti "campi modello". "Ogni volta che si parla di campo modello, la domanda successiva deve essere: modello di cosa?- commenta il ricercatore - I campi come quelli che ha costruito l’amministrazione Alemanno a Roma sono chiaramente spazi di reclusione, di separazione, non hanno niente a che vedere con l’idea di promuovere la partecipazione dei rom, sono costruiti fuori dalla cinta urbana, in ambienti naturali dove le persone non hanno contatto. Uno dei problemi legati alla localizzazione dei nuovi campi è il fatto che i bambini impiegano ore per arrivare a scuola e poi ci si lamenta se non vanno a scuola. Se un bambino rom si trova ad arrivare a scuola alle 10 di mattina invece che alle 8 è chiaro che viene identificato come diverso". (vedi anche scolarizzazione)
Secondo Sigona il modello comunicativo prevalente rafforza stereotipi, esclusione e politiche securitarie. "Le storie di coloro che lasciano i campi per andare nelle case popolari non le sentiamo- dice - Ci sarebbe bisogno di conoscere queste storie all’interno del dibattito pubblico per fare politiche non basate su stereotipi Sembra quasi che il problema siano solo rom e sinti, in realtà c’è un probelma di intolleranza e discriminazione diffusa verso questi gruppi, per cui dobbiamo includere nelle politiche per i rom anche quelle per i non rom. Sembra che vogliamo salvare i rom da loro stessi, ma questo è sbagliato, non ci porta da nessuna parte".
Ma allora quali soluzioni si possono proporre?
Per Zeljko Jovanovic, rom e direttore di Open Society Roma Initiatives, "senza consultazioni e dialogo fra le persone che vivono nei campi e il governo, nessuna politica di integrazione sarà possibile. Si spendono un sacco di soldi per riprodurre e mantenere l’esclusione sociale e la segregazione dei rom. Abbiamo lavorato per anni in Europa centrale e orientale. I più grandi progressi sono nell’istruzione perché abbiamo migliaia di studenti universitari e laureati rom. Ci sono le soluzioni, l’Italia deve cercarle. Il governo ha mostrato volontà politica con la strategia nazionale, ma ci sono problemi con le autorità locali regionali e comunali che mantengono lo status quo. È un fatto che il fallimento dell’integrazione dei rom dipende da come sono state spese male le risorse economiche per tenere i rom fuori dal mercato del lavoro, perchè se lavorano possono pagare tasse, affitti bollette e via dicendo. Il pregiudizio deve essere spezzato raccontando la realtà: alcuni rom sono ladri, alcuni italiani sono ladri e non pagano le tasse. La generalizzazione non aiuta nessuno".
Casa, lavoro, istruzione e salute: sono i quattro pilastri per l'inclusione delle comunità rom secondo l'Unione europea. Un obiettivo collegato, per la prima volta, direttamente alla crescita dell'Ue per il 2020. I 12 milioni di rom sono la principale minoranza europea, ma sono spesso vittime di razzismo ed emarginazione, vivendo in condizioni di estrema povertà. Secondo la Banca mondiale, un'integrazione completa dei rom potrebbe garantire un incremento di circa 0,5 miliardi di euro l'anno per le economie di alcuni Paesi, permettendo di aumentare la produttività, tagliare le spese sociali e aumentare le entrate fiscali. Per tutti i problemi di emerginazione ci sono a disposizione 26 miliardi e mezzo di euro per il quinquennio 2007 - 2013, ma Bruxelles lamenta che gli Stati abbiano impiegato pochi soldi per alleviare le condizioni di svantaggio delle popolazioni rom. Per questo, László Andor, commissario UE responsabile per l'Occupazione, gli Affari sociali e l'Integrazione, ha lanciato un altolà. Secondo Andor è necessario che "gli Stati membri dispongano di un'adeguata strategia di inclusione dei rom prima di ricevere gli stanziamenti del Fondo sociale europeo destinati a tale strategia nell'esercizio finanziario 2014-2020". Quindi, nel 2012 tutti i Paesi membri dell'Unione europea hanno dovuto presentare il proprio programma nazionale per l'inclusione delle comunità rom. Il piano presentato dall'Italia attraverso l'allora ministro per la Cooperazione e l'Integrazione Andrea Riccardi, contiene una posizione chiara e forte contro "il sistema dei campi nomadi", nei quali da decenni le amministrazioni locali concentrano e segregano le comunità rom su base etnica.
Ma da Strasburgo, il 18 settembre 2012, circa sei mesi dopo la presentazione della Strategia Nazionale italiana per l'inclusione dei rom e dei sinti, è arrivato il durissimo rapporto di Nils Muižnieks, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, a seguito della visita in Italia dal 3 al 6 luglio 2012, che parla senza mezzi termini di "campi segregati", citando anche le espressioni eufemistiche "campi modello" e "villaggi attrezzati". Eccone di seguito alcuni stralci:
Il Commissario ritiene fermamente che le politiche dei campi segregati e degli sgomberi forzati, che hanno caratterizzato l’approccio dell’"Emergenza nomadi", siano diametralmente opposte alla nuova Strategia nazionale per l'inclusione dei Rom e dei Sinti, e che vadano pertanto relegate definitivamente nel passato. Esorta, pertanto, il governo a dichiarare senza mezzi termini che la politica emergenziale è stata definitivamente accantonata, a prescindere dall'esito del ricorso, e di impegnarsi ad interrompere immediatamente eventuali iniziative in corso riguardo alla costruzione di campi segregati egli sgomberi. Il Commissario rileva che la partecipazione delle comunità interessate alle scelte che incidono sulla loro situazione abitativa è essenziale per il successo delle politiche future. Il Commissario è seriamente preoccupato del continuo reinvigorimento dell’antiziganismo nel dibattito politico e nei media. Il Commissario accoglie favorevolmente il fatto che il nuovo governo in carica abbia volutoimprimere, in particolare attraverso le dichiarazioni rese dal Ministro per la CooperazioneInternazionale e l'Integrazione, uno spostamento verso una politica d’inclusione sociale delle comunità Rom e Sinti, dopo lunghi anni di politiche incentrate essenzialmente su questioni di sicurezza e leggi emergenziali. Tuttavia, per il momento, tali segnali non si sono tradotti in politiche e interventi concreti ed inequivocabili. Di conseguenza, molti membri delle comunità Rom e Sinti in Italia vivono ancora una situazione di totale esclusione ed emarginazione e subiscono, ancora oggi, trattamenti che sono in contrasto con le norme in materia di dirittiumani, fra cui sgomberi forzati e la costruzione di campi segregati.
Nel corso della visita a Roma, il Commissario ha visitato uno dei sopra citati "villaggi attrezzati", il campo di Via Salone, ed ha potuto constatare di prima mano la segregazione imposta allefamiglie Rom ivi trasferite tramite sgombero forzato. Il più grande di 8 campi analoghi a Roma,l'insediamento è stato aperto nel 2006 e si stima che allo stato attuale accolga 1.100 persone. E' circondato da una recinzione metallica, sono presenti videocamere di sorveglianza, e vi si puòaccedere tramite un unico ingresso presidiato. Il campo si trova in una zona remota; i trasporti pubblici, le scuole, i negozi, le strutture sanitarie ed altri servizi distano diversi chilometri e sono raggiungibili solamente percorrendo una strada trafficata sprovvista di marciapiedi, attraversamenti o semafori pedonali. E' stato riferito al Commissario che una vicina stazione della rete ferroviaria regionale era rimasta chiusa fino all’aprile del 2010per "motivi di ordine pubblico legati alla presenza dei campi nomadi", e che alla riapertura Trenitalia aveva chiesto al personale di compilare dei moduli per contare il numero e segnalare la presenza di "eventuali passeggeri di etnia Rom".
L'isolamento, la mancata interazione con il mondo esterno e l’assenza di prospettive d'impiego e d’inclusione nel tessuto sociale sono tra le principali lamentele riferite dagli abitanti di questo campo che il Commissario ha incontrato. Gli è stato anche detto che le condizioni strutturali e divita nel campo hanno subito un degrado considerevole dai tempi della sua inaugurazione,soprattuto a causa del sovraffollamento provocato da un forte aumento del numero di sgomberi effettuati nell'ambito dell’"emergenza nomadi". Al Commissario è stato detto che il campo è talmente distante dalle scuole che i bambini vi arrivano in ritardo, riducendo così il numero di ore che vi trascorrono, dopo esservi stati trasportati in condizioni di segregazione (sembrerebbe in pulmini speciali contrassegnati con la lettera N). Gli è stato inoltre riferito che nonostante la spesa considerevole sostenuta dalle autorità pubbliche, la frequenza scolastica continua a rimanere bassa a causa di queste circostanze.
Il Commissario è stato informato del fatto che in diverse occasioni le autorità locali hanno dichiarato di considerare l’insediamento di Via Salone come un campo modello, e che l'ultimo "villaggio attrezzato", La Barbuta, era stato concepito nello stesso modo. Tuttavia, ilCommissario è del parere che le condizioni di segregazione riscontrate in questi campi nonconsentano agli abitanti di trovare una attività lavorativa retribuita, né danno loro la possibilità di interagire con persone di etnia non-Rom per cercare di integrarsi nel tessuto sociale. Ha anche potuto constatare di persona le condizioni di vita al di sotto dei requisiti minimi vigenti in un ex campo autorizzato (Salviati II), che dimostra quanto velocemente le condizioni possono deteriorarsi in un tale contesto di segregazione.
[1] ERRC, Il paese dei campi. La segregazione razziale dei Rom in Italia, serie “Rapporti nazionali”, n. 9, ottobre 2000