Secondo l’art. 3, la direttiva “si applica a tutte le persone, sia nel settore pubblico sia nel settore privato, compresi gli organismi pubblici”.
Ma secondo il rapporto “Tolleranza zero verso i Rom” di Amnesty International (2011) le autorità italiane sono “incapaci di rendere effettiva l’applicazione delle direttiva europea antidiscriminazione”. Il caso in esame è quello dell’emergenza nomadi dichiarata dal governo nel 2008 e in particolare il piano nomadi conseguente all’azione del governo, nella città di Milano.
“Anche se i comportamenti, le condotte e gli atti che costituiscono una discriminazione, sia diretta sia indiretta, possono essere in teoria impugnati presso i tribunali civili italiani, tale rimedio giudiziario si è rivelato inefficace in relazione all'“emergenza nomadi” scrive Amnesty, secondo cui anche quando il ricorso in tribunale ha esito positivo, “tale rimedio non sia da considerarsi effettivo se non altro a causa del lungo periodo di tempo che le vittime devono attendere, e stanno ancora attendendo, per una decisione finale”.
Sempre secondo questo rapporto, l’emergenza nomadi è “discriminatoria e illegale in base al diritto internazionale”.
Il Piano nomadi è la declinazione territoriale dell'emergenza nomadi dichiarata dal governo centrale. I più imponenti sono stati quelli di Milano e Roma. Costati un esborso notevole di soldi pubblici, non hanno raggiunto molti dei risultati prefissati, sono stati duramente criticati a livello internazionale e, nel caso di Roma, il Piano Nomadi dell'allora sindaco Gianni Alemanno è continuato negli anni pur andando palesemente contro la strategia nazionale per l’inclusione dei rom presentata dal governo Monti all’Unione europea. Il piano nasce su un’emergenza “inventata”. E’ “l’emergenza nomadi”, decisa per decreto dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il 21 maggio 2008 nelle regioni Lombardia, Lazioe Campania e reiterata ogni anno fino al 2011. I “nomadi” sono in realtà i rom e sinti, una minoranza storica che costituisce lo 0,23% della popolazione. Di cui appena un quarto vive nei campi. La sproporzione fra l’emergenza dichiarata e i dati reali è tale che il Consiglio di Stato ha giudicato illegittimo il decreto e gli atti amministrativi collegati, “per difetto dei presupposti di fatto”. Con la sentenza del 16 novembre 2011, i giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che non c’è effettivo “allarme sociale” o un eccezionale “pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” quando in un territorio ci sono insediamenti nomadi. L’emergenza, scrivono i giudici, non è supportata da dati, che ad esempio dimostrino l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza dei rom.
Eppure per fronteggiare i “nomadi”, sono state dettate disposizioni urgenti, con la nomina di altrettanti Commissari Straordinari delegati. A una minoranza etnica sono state applicate le leggi speciali che si usano con le calamità e i disastri come i terremoti, quando i mezzi ordinari non bastano. La dichiarazione dello stato di emergenza ha segnato il passaggio dalla diffidenza diffusa verso la comunità rom a politiche nazionali a sfondo etnico, come il foto-segnalamento dei rom, che hanno destato allarme nella comunità internazionale.
Il Consiglio di Stato si è pronunciato dopo un ricorso di una famiglia supportata dal Centro europeo per i diritti dei rom. Ma nel febbraio 2012 il governo Monti ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza del Consiglio di stato, mentre proseguivano le violazioni dei diritti umani dei rom. “Se crolla l’emergenza rom per decisione della Cassazione, crolla anche il piano nomadi che ne è una declinazione locale” spiegava Salvatore Fachile, avvocato dell’Associazione Studi giuridici sull’immigrazione. Nel frattempo, però, il piano nomadi di Roma è andato avanti, foraggiato da molti i soldi pubblici. (vedi anche la voce campo)
Nel 2013 la Corte di cassazione ha confermato la sentenza emessa nel novembre 2011 dal Consiglio di stato rispetto a un provvedimento che ha prodotto massicce violazioni dei diritti umani e aumentato la discriminazione contro le comunità rom in Italia.
Amnesty International ha definito una grande vittoria nella lotta contro la discriminazione dei rom in Italia la sentenza con cui la Corte di cassazione ha dichiarato illegittima la cosiddetta "emergenza nomadi".
In risposta alle critiche nazionali e internazionali, in particolare in riferimento al censimento degli insediamenti rom condotto dal giugno all'ottobre 2008, il governo ha cercato di argomentare che le misure previste dall'“emergenza nomadi” non prendevano di mira particolari gruppi etnici e che le “operazioni demandate ai Commissari non devono riguardare specifici gruppi, soggetti o etnie, ma tutti coloro che risultano presenti negli insediamenti, autorizzati o abusivi che siano, qualunque sia la nazionalità o il credo religioso”.
Sempre nel rapporto "Tolleranza zero verso i rom" Amnesty sottolinea: "è tuttavia chiaro che, per le ragioni che seguono, nonostante quanto disposto dalle linee guida, le misure adottate nel contesto dell'“emergenza nomadi” sono indirizzate direttamente alle comunità rom".
E ancora: "benché il governo abbia impiegato la parola “nomade” nei decreti di emergenza, tale termine è stato – e continua a essere – impiegato dalle autorità italiane in riferimento alle comunità rom". Ad esempio, la residenza nei campi autorizzati di Milano è limitata per legge allepersone appartenenti all'etnia rom.
Tuttavia, il dossier riporta che
i tribunali non hanno riconosciuto la possibilità di una discriminazione indiretta, nonostante fosse ampiamente provato che la maggioranza delle persone colpite da tali misure era di etnia rom. Non hanno inoltre saputo spiegare se si tratti misure ragionevoli o proporzionate, come richiesto dai trattati internazionali e regionali sui diritti umani firmati anche dall'Italia.
Secondo Amnesty International il governo non ha fornito una ragionevole e obiettiva giustificazione per la disparità di trattamento riservata alle comunità rom, in particolare per aver derogato alle garanzie di tutela dei diritti umani che si applicano a qualunque altra persona che vive in Italia.
Non esiste valido motivo per cui un determinato gruppo di persone che vive in una forma di alloggio fornito dallo stato, come le case popolari, abbia le garanzie procedurali dovute contro lo sgombero mentre altri, che vivono nei campi, siano completamente esclusi da queste tutele. È molto difficile accettare la tesi del governo secondo cui si tratterebbe di provvedimenti neutrali quando, sia nella legge che nella prassi, questi prendono di mira e hanno un impatto sproporzionato sulle persone che appartengono a determinate etnie.
E già anni prima della sentenza della Cassazione, Amnesty, come tante altre organizzazioni indipendenti sottolineava che "la giustificazione riguardante le minacce alla sicurezza e all'ordine pubblico non è stata sostenuta da prove, né soddisfa i requisiti di proporzionalità stabiliti dal diritto internazionale. Anche nel caso in cui il governo riuscisse a dimostrare che esiste una qualche minaccia alla sicurezza pubblica in determinati singoli casi, è sconcertante che definisca la presenza di “nomadi” o di persone appartenenti a determinate etnie, in se stessa, una fonte di preoccupazione in più regioni italiane, tanto da richiedere la dichiarazione di uno stato di emergenza. I provvedimenti introdotti dal decreto che stabilisce uno stato di emergenza e dalle ordinanze che li accompagnano sono discriminatori e violano gli obblighi assunti dall'Italia ai sensi di vari trattati internazionali e regionali a non intraprendere una qualsiasi iniziativa volta a creare o a perpetuare la discriminazione razziale".
In una decisione adottata a seguito di un reclamo collettivo contro l'Italia (Centro per i diritti all'alloggio - Cohre v. Italia), il 25 giugno 2010, il Comitato europeo sui diritti sociali ha affermato che “le condizioni di vita dei rom nei campi sono peggiorate a seguito dell'adozione delle contestate 'misure di sicurezza'. Poiché, da un lato, le misure in questione prendono direttamente di mira questi gruppi vulnerabili e, dall'altro, non vengono intraprese adeguate iniziative per tenere in debita e positiva considerazione le differenze della popolazione in oggetto, la situazione si configura come stigmatizzazione che costituisce un trattamento discriminatorio”.
Secondo il Comitato “le dichiarazioni da parte di attori pubblici come quelle riportate nell'istanza creano un'atmosfera discriminatoria che è espressione di una volontà politica basata sulla disparità etnica". Tanto che la propaganda razzista contro i migranti rom e sinti indirettamente permessa o proveniente direttamente dalle autorità italiane costituisca una violazione aggravata dei diritti umani.
Si parla di “violazione aggravata” quando misure che violano i diritti umani prendono specificatamente di mira e colpiscono gruppi vulnerabili, mentre le autorità pubbliche restano passive e non intervengono in maniera appropriata contro i perpetratori di queste violazioni, ma contribuiscono anch'esse a questa violenza.
Secondo quanto ci ha detto nel corso di un'intervista l'allora direttrice di Amnesty International Italia Carlotta Sami, "il punto di partenza è collocare la questione dei rom in Italia all’interno dell’ambito europeo poiché esiste un problema di discriminazione di 12 milioni di rom in Europa".
In linea con quanto esposto finora anche l'attivista e intellettuale sinta Eva Rizzin che spiega: "Ha ragione Leonardo Piasere discutiamo quando dice che ci sono ancora oggi sinti che praticano il nomadismo con attività commerciali itineranti, ma il problema è che il termine nomadi è stato usato per giustificare una condizione di esclusione e di emarginazione di queste persone e per questo diventa scorretto".
Spesso però anche il termine corretto, Rom, è usato in modo discriminatorio. "Sui titoli dei giornali viene evidenziata l’origine etnica dell’autore di un reato - spiega Rizzin - non è corretta l’etnicizzazione del reato che viene utilizzata da molti giornalisti quando accadono fatti di cronaca, c’è il problema della responsabilità penale collettiva perché se un reato è commesso da un rom o sinto, diventa il reato di tutta la comunità, per tutti i quotidiani, di sinistra e di destra. Lo stesso giornale scriverebbe: 'gli ebrei sono usurai?’ Sui rom lo fanno".
Quindi, secondo l'attivista sinta, "sul nome che si usa per le comunità Rom pesa la marginalità di Rom e Sinti, una minoranza con più problemi di violazione dei diritti nei campi della salute, del lavoro, dell'istruzione, della casa". Ma a contribuire a una maggiore discriminazione è che non vengono fatte le necessarie distinzioni. "Considerare questo aspetto significa cadere in errore -continua Rizzin - i Rom non sono solo quelli dei campi. Purtroppo in tanti non dichiarano la propria identità perché oggi significa essere equiparato a un disonesto, a un criminale. In altri paesi europei è normale avere rom e sinti laureati, in Italia no a causa dell’esclusione sociale. E se è vero che in pochi che raggiungono alti livelli di scolarizzazione, succede anche che chi ci arriva, dai neurologi ai vice questori, non dichiarano la propria appartenenza alle comunità Rom. Ci vuole un bel coraggio a farlo. Se ti dichiari Sinto e Rom e sei laureato, diventi la mosca bianca nella società italiana. Si verifica uno stupore senza motivo e questo fa capire il livello del pregiudizio".
Il tema della discriminazione dei Rom rischia di produrre anch'esso una ghettizzazione, secondo Nazzareno Guarnieri della Fondazione Romanì. "Non posso pensare che tutta la popolazione Rom sia povera, lo rifiuto- afferma - una parte è ricca, una parte è ceto medio, una parte è povera".
In Spagna gli 800mila gitani sono un vanto per la cultura nazionale, tanto che si parla del “modello spagnolo” come esempio per tutta l’Europa. I rom sono una minoranza sparsa in tutto il continente, ma nei paesi neocomunitari dell’Est Europa, Romania e Bulgaria, rappresentano fra il 7 e il 10% della popolazione. Negli Stati occidentali dell’Ue sono meno dello 0,5%. Con l’eccezione della Spagna dove arrivano al 2% sul totale degli abitanti e dove le famiglie rom vivono da generazioni integrate nei quartieri delle città. Flamenco a parte, non bisogna credere che gli spagnoli siano esenti dal razzismo verso i rom. I gitani partivano da condizioni peggiori rispetto a tutte le altre popolazioni romanì d’Europa. Sotto la dittatura di Franco, i gendarmi della Guardia Civile facevano spesso raid nei loro accampamenti e li costringevano a vagare per il Paese. Gli era vietato lavorare, studiare e perfino riunirsi in più di 4 persone. Ma dopo la morte del dittatore, la costituzione democratica è stata inclusiva rispetto a tutti i gruppi etnici. Essendo i gitani i cittadini più poveri, hanno beneficiato delle maggiori risorse destinate al welfare per le fasce deboli della popolazione. Non sono stati discriminati nelle politiche per la casa, perché vengono trattati in questo ambito prima da spagnoli e poi da gitani.
Il ‘modello spagnolo’ funziona perché ha puntato prima di tutto ad alzare il tenore di vita delle famiglie gipsy , investendo su istruzione e lavoro. Dopo trent’anni di programmi governativi, i risultati parlano da soli. Il 92% vive in appartamenti o case normali, la metà dei rom ha l’abitazione di prorietà, solo il 4% abita ancora nelle baracche. Tutti i bambini sono iscritti alla scuola elementare e l’analfabetismo complessivo è molto basso, attorno al 15%. Come scritto nella sua strategia nazionale, la Spagna sta lavorando a ridurre l’abbandono scolastico (nel ciclo primario, l’obiettivo è di passare dall’attuale 22,5% al 15% nel 2015 e al 10% nel 2020). Il 44% dei rom lavorava nel 2011, ma il governo spagnolo punta ad arrivare al 50% nel 2015 e al 60% nel 2020, tramite la formazione professionale per le donne Rom. Il fiore all’occhiello è il programma “Acceder” della Fundación Secretariado Gitano(FSG), considerato uno dei migliori nell’Ue. Nato nel 2000, è stato recentemente esportato anche in Bosnia e in Romania. Consiste nell’insegnare un mestiere a giovani gitani disoccupati, fornendogli competenze pratiche che equivalgono a un diploma di scuola superiore. Il percorso si conclude con l’impiego attraverso accordi speciali con aziende private. In 12 anni ha avuto oltre 67mila beneficiari con 45mila contratti di lavoro. Nel solo 2011, riporta il sito della Fsg, Acceder ha interessato 14.663 persone, il 20% in più dell’anno precedente, di cui 2.957 hanno ottenuto un’occupazione.
Tutto questo è stato ottenuto mediante un ingente investimento economico negli ultimi 30 anni. Infatti la Spagna ha speso per l’inclusione sociale dei rom più di qualunque altro Paese dell’Unione. Il New York Times ha calcolato una cifra di 130 milioni di dollari solo dal 2007 al 2013, di cui 60 milioni di fondi europei.
Ma secondo Nazzareno Guarnieri, il segreto del modello spagnolo è anche un altro. "In Spagna c’è molta unità tra le comunità romanes e molto attivismo anche perché sono tutti del gruppo kalè (che noi chiamiamo gitani,ndr.) e hanno eletto dei rappresentanti - spiega il presidente della Fondazione Romanì - il problema dei Rom in Italia è che si fatica a riconoscere dei leader Rom rappresentativi". La Fondazione ha lanciato una campagna di comunicazione attraverso dei video, che si chiama "Tre Erre" (3R). "E' destinata ai Rom oltre che all’opinione pubblica - sottolinea Guarnieri - vuol dire Rispetto per te stesso, per gli altri e responsabilità per le tue azioni. Le comunità Rom in Italia sono divise su tutto, per partito preso. Per uscire da questo caos, stiamo lavorando su una nuova ‘romanipè’ per dare strumenti culturali nuovi alla comunità Rom". Al contrario di quanto dice Eva Rizzin, Guarnieri afferma che "ci sono più rom diplomati e laureati di quanto si sa, ma l’Italia si è concentrata sui Rom immigrati che vivono nei campi, del modello Abruzzo non interessa a nessuno perché viviamo in un civile appartamento, conserviamo le tradizioni, lavoriamo nelle cliniche in tutte le mansioni, dai dottori agli addetti alle pulizie. Chi conosce queste persone? Domani saranno conosciute se andranno a rubare o se andranno a vivere in un campo rom. Alcune borse di studio per formare degli attivisti ce le hanno donate altri Rom. Non vogliamo l’autoghettizzazione, la 'romanipè' vuol dire creare un’identità culturale globale non solo per chi è in condizione di bisogno ma per i Rom di tutte le classe sociali".
[1] Leonardo Piasere, “I rom d’Europa. Una storia moderna”, Editori Laterza, 2009