Espulsione
L’espulsione è un atto amministrativo, un decreto emesso dal prefetto territorialmente competente (art. 13 T.U. Immigrazione comma 4) che colpisce gli immigrati non comunitari e non in regola con il permesso di soggiorno. Il questore provvede all’esecuzione delle misure. Il decreto di espulsione si rivolge sia a chi è entrato in modo irregolare nello Stato italiano, sia a chi è stato regolare anche per molti anni ma poi ha perso i requisiti per avere il permesso di soggiorno, non riuscendo a rinnovarlo, ad esempio perché ha perso il lavoro a causa della crisi economica. L’espulsione prevede il divieto di rientro in Italia per dieci anni. Il periodo può essere ridotto ma non è meno di cinque anni.
Bisogna fare attenzione perché dire che uno o più stranieri sono stati espulsi non equivale a dire che sono stati accompagnati alla frontiera, quindi rimpatriati ed effettivamente allontanati dal territorio nazionale. A volte si fornisce un’informazione non corretta ai lettori proprio perché si fa confusione con i termini espulsione, allontanamento e rimpatrio (vedi). L’espulsione solitamente prevede un ordine di allontanamento, notificato con il cosiddetto ‘foglio di via’, praticamente un’intimazione rivolta allo straniero di ‘autoespellersi’, cioè a lasciare il territorio italiano entro un determinato periodo di tempo (che solitamente varia dai 5 ai 15 giorni). Per questo, espulsione e rimpatrio non sono sinonimi. Quando a un successivo controllo dei documenti da parte delle forze dell’ordine, il cittadino non comunitario (già espulso ma non rimpatriato) risulta irregolarmente presente e già colpito da un precedente decreto di espulsione, solitamente si procede al suo rimpatrio forzato mediante il trattenimento fino a 18 mesi in un Centro di identificazione e di espulsione (vedi la voce Cie). Ma anche in questo caso espulsione e rimpatrio non coincidono perché se durante il trattenimento nel Cie lo straniero non viene identificato o per altre ragioni burocratiche non può essere rimpatriato nel Paese d’origine, viene semplicemente rilasciato con un'altra intimazione a lasciare il territorio nazionale. Questo avviene almeno nella metà dei casi (vedi Scheda Dati). Quindi è opportuno maneggiare con cura le statistiche fornite dalle autorità sulle espulsioni. Dire, ad esempio, che sono stati espulsi 1000 immigrati viene percepito dall’opinione pubblica come se 1000 persone avessero lasciato l’Italia tornando nel Paese d’origine, ma la realtà è che sono stati rintracciati in posizione irregolare e sono stati emessi 1000 decreti di espulsione nei loro confronti.
Frasi fatte:
“L’Italia è troppo morbida con gli immigrati e non espelle gli irregolari”
In realtà è vero il contrario: negli anni varie leggi hanno apportato modifiche al Testo Unico sull’immigrazione rendendo più rigida la normativa. Il risultato è che non avere il permesso di soggiorno vuol dire non avere lo stesso diritto alla difesa e al rispetto della Costituzione garantiti ai cittadini italiani. Uno straniero che viene espulso può fare ricorso contro l’espulsione, ma è un diritto che resta sulla carta perché di fatto è stato fortemente limitato. Dal 2004 è stato impedito di ricorrere presso il ‘foro alternativo’. Fino a quella data uno straniero fermato a Bolzano perché sans papiers e trasferito nel centro di identificazione e di espulsione di Trapani, poteva presentare il ricorso sia a Bolzano (città dove è stato emesso il decreto di espulsione), sia a Trapani (dove è trattenuto in detenzione amministrativa). Attualmente non è più possibile, perché l’unico tribunale dove si può presentare il ricorso è quello della città in cui è stato emesso il provvedimento di espulsione (Bolzano nel nostro esempio). Questo ha stabilito la legge n.271 del 2004, mentre il decreto sulla semplificazione dei riti, (taglia riti), il decreto legislativo 150 entrato in vigore il 6 ottobre del 2011 ha dimezzato i tempi per fare i ricorsi che passano da 60 a 30 giorni. Questo vale sia per l’impugnazione del diniego delle commissioni per la richiesta d’asilo che dei ricorsi per l’espulsione. Tornando all’esempio di prima, uno straniero che solitamente non ha i mezzi per le spese legali e usufruisce del gratuito patrocinio, dovrebbe avere un avvocato che in soli 30 giorni va da Trapani a Milano per fare ricorso contro l’espulsione. “Questo rende di fatto impossibile la difesa e il ricorso”[1] spiega a Redattore Sociale l’avvocato trapanese Giuseppe Buscaino.
L’esperto critica anche il fatto che a convalidare le espulsioni non sia il tribunale ma i giudici di pace. “Sono giudici onorari, non togati – spiega il legale – per il concorso era richiesta semplicemente una laurea in giurispridenza ed erano funzionari di varie amministrazioni come le asl, la maggior parte di loro non aveva esperienza di magistrato o di avvocato. Non sono giudici che hanno fatto il concorso in magistratura. Non possono garantire la preparazione dei giudici togati”. Ad attribuirgli il compito di convalidare i trattenimenti nei Cie è stato sempre il decreto legislativo 271 del 2004.
La questione dei giudici di pace tira in ballo anche un’altra violazione della Costituzione italiana.L’articolo 13 della nostra Carta fondamentale, nata dopo la tragica esperienza della dittatura fascista, stabilisce che nessuno può essere privato della libertà personale dalla polizia per più di 96 ore senza un provvedimento della magistratura. Quando uno straniero irregolare viene fermato per essere poi inviato a un Centro di identificazione e di espulsione, la legge prevede che entro 48 ore le questure trasmettano al giudice di pace i provvedimenti di trattenimento e il giudice deve convalidare entro altre 48 ore. “In teoria la violazione temporale anche di una solo di questi termini, comporta la decadenza dei provvedimenti, cioè l’espulsione non è più valida, ma questa cosa non succede mai – dice ancora Buscaino - Mi sono trovato a impugnare provvedimenti in cui non era stata apposto l’orario. Abbiamo avuto casi a Lampedusa in cui i provvedimenti venivano adottati anche 20 giorni dopo lo sbarco, si dice che erano in accoglienza, ma non è vero perché dai centri non potevano uscire e quindi non erano liberi”.
[1] Cosentino R., Espulsioni, “violata la Costituzione e limitato il diritto di difesa”, Agenzia di stampa Redattore Sociale, 2 marzo 2012
L’espulsione è emessa quando il cittadino straniero:
- è entrato in Italia da oltre 8 giorni e non ha richiesto il permesso di soggiorno
- si è sottratto ai controlli di frontiera
- il permesso di soggiorno è scaduto da oltre 60 giorni e non è stato chiesto il rinnovo
- è sottoposto a misure di prevenzione per attività criminali o è considerato pericoloso per l’ordine pubblico
- è rientrato in Italia dopo avere già subito un rimpatrio forzato prima della fine del divieto di rientro
Non possono essere espulsi gli stranieri:
- che nel Paese d’origine possono essere perseguitati per motivi di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o possono rischiare di essere rinviati verso un altro Stato nel quale non siano protetti dalla persecuzione
- i minori
- in possesso della carta di soggiorno
- che hanno il coniuge o parenti entro il secondo grado (figli, genitori, fratelli) in possesso della nazionalità italiana
- donne in gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio (il divieto di espulsione si estende al marito convivente)[1]
Nel 2010 gli intercettati in posizione irregolare dalle forze dell’ordine sono stati 50.517, gli effettivamente allontanati meno della metà: 20.287.[2]
Nel 2011 sono stati 7735 (6832 uomini e 903 donne) i migranti trattenuti nei 15 centri di identificazione ed espulsione (Cie) operativi in Italia e di questi solo la metà (3880) sono stati effettivamente rimpatriati.[3] Sempre secondo le statistiche del ministero dell’Interno, il restante 50% degli espulsi finiti nei Cie è stato:
dimesso per vari motivi (salute, gravidanza, accettazione del ricorso contro l’espulsione, motivi di giustizia). Questo ha riguardato 1392 persone
787 reclusi sono fuggiti
723 dimessi per scadenza dei termini
609 per non convalida del trattenimento o della proroga da parte dell’autorità giudiziaria (giudici di pace)
200 sono stati riconosciuti beneficiari di protezione internazionale (avevano fatto domanda di asilo)
144 sono stati arrestati
[1] Per queste tabelle, la fonte è: Lai-momo e Idos, Comunicare l’Immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione, Roma 2012, pag. 35-36
[3] Dati nazionali 2011 sui CIE, forniti dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno e pubblicati dall’Ong Medu nel rapporto “L’iniquo ingranaggio dei Cie. Analisi dei dati nazionali completi del 2011 sui centri di identificazione ed espulsione”,17 luglio 2012
Riportiamo qui di seguito un articolo che fa capire l’importanza del diritto di ricorso contro l’espulsione. Nel caso raccontato dal giornalista, un giovane nigeriano omosessuale rischiava di essere rimpatriato nel Paese d’origine dove, secondo i suoi difensori, avrebbe potuto subire una condanna a 14 anni di carcere o anche cento frustate e la pena di morte per lapidazione, a causa dell’orientamento sessuale. Il ragazzo gay poteva chiedere asilo ma non lo aveva fatto per vergogna. In un caso del genere, in cui tra l’altro si spiega che il giovane non è entrato clandestinamente in Italia ma con un visto turistico, trattenendosi poi oltre la scadenza, è scorretto e doppiamente discriminante parlare di ‘clandestino’ (parola considerata stigmatizzante dalla Carta di Roma) perché si tratta di un irregolare (i cosiddetti ‘overstayers’) e successivamente all’azione legale, il nigeriano sarà a tutti gli effetti un beneficiario di protezione internazionale. Infine, è anche scorretto parlare di ‘condizione’ per quanto riguarda l’omosessualità. L’espressione più accreditata è orientamento sessuale, perché si tratta di una caratteristica della persona, non di uno ‘stato o condizione’ in cui ci si trova (come potrebbe accadere per una persona che abbia una malattia oppure l’indigenza). Per approfondimenti su questo, rimandiamo alla sezione corrispondente.
Stop all'espulsione di un clandestino
«In Nigeria i gay sono perseguitati»
PADOVA
Un giovane 26enne ha ottenuto un permesso di soggiorno dopo il ricorso di Federcontribuenti al giudice di pace. «Nel suo Paese rischiava 14 anni»
(edizione locale di una testata quotidiana nazionale, 3 agosto 2012)
PADOVA - Si oppone all’espulsione perché nel suo Paese perseguitano gli omosessuali. E così un giovane gay nigeriano ha ottenuto il permesso di soggiorno in Italia. La vittoria giuridica è stata conseguita dai legali di Federcontribuenti Veneto. «Il 6 marzo 2012 – spiega l’avvocato Carla Favaron, responsabile del coordinamento dell’ufficio legale di Federcontribuenti Veneto – la questura di Padova ha emesso il foglio di via in quanto il nostro assistito si era trattenuto in Italia oltre la scadenza del permesso di soggiorno turistico. Data l'omosessualità dichiarata del ventiseienne e verificate le gravissime pene che vengono irrogate in Nigeria nei confronti degli omosessuali, abbiamo deciso di presentare ricorso al giudice di pace di Padova ex articolo 13 comma ottavo del decreto legislativo 286/98».
In realtà il giovane omosessuale avrebbe potuto fare questo tipo di richiesta come richiedente asilo politico già alla frontiera del primo paese Shenghen, ma ciò che lo impedisce è la vergogna che queste persone che al momento di ingresso, e spesso anche in sede di dibattimento capita che i richiedenti non hanno nemmeno il coraggio di dichiarare che nel loro paese sono considerati criminali per via della loro condizione. E invece in Nigeria la condizione di una persona omosessuale è perseguita per legge. «In effetti l'articolo 21 della costituzione nigeriana – aggiunge l’avvocato Favaron - in combinato disposto con gli articolo 214 e 217 del codice penale della Nigeria dichiarano che ogni persone che abbia congiungimento carnale con altra persona contro l'ordine naturale o permetta ad un uomo di avere congiungimento carnale con un uomo o donna contro l'ordine naturale è colpevole di un delitto grave ed e perseguibile di imprigionamento per 14 anni». A ciò si aggiunge che nelle aree governate dalla sharia il rapporto anale viene punito con cento frustate se gli uomini non sono sposati e con un anno di prigione seguito da lapidazione de gli uomini sono sposati.
Per tali motivi l’avvocato Favaron il 6 aprile 2012proponeva ricorso contro il decreto di espulsione emesso dal Prefetto della provincia di Padova unitamente all'ordine della questura di Padova, chiedendo che il giudice revocasse il decreto di espulsione emesso, permettendo al ragazzo africano di rimanere nel territorio italiano allo scopo di sottrarsi alle persecuzioni nei confronti degli omosessuali poste in essere nel suo paese d'origine. «Il giudice di pace di Padova – conclude il legale di Federcontribuenti Veneto -, dimostrando grande sensibilità nell'applicazione delle norme suddette sin data 26 luglio del 2012 sospende l'efficacia del suddetto decreto di sospensione e questo è un primo importantissimo passo: dimostra la prima apertura nei confronti degli omosessuali stranieri perseguitati in Patria. Nel frattempo il giudice si riserva di prendere ogni opportuna decisione sulla causa, e sul da farsi ma l'importante è che questo ragazzo ora è libero di rimanere in Italia».