Squillo è un termine italiano che traduce l’inglese call girl, ragazza squillo, ragazza a chiamata. Le squillo sarebbero infatti, in una definizione più ristretta, le donne che esercitano la prostituzione fissando appuntamenti attraverso chiamate telefoniche (call); nello stesso significato è entrato in uso più recentemente il termine escort.
Il termine è d’uso frequente nel linguaggio giornalistico, dove sostituisce prostituta (e l’assai meno comune, benché più appropriato lavoratrice sessuale) in due casi principali.
Il primo caso è quello dell’articolo di costume o di cronaca su un episodio che può suscitare curiosità nel lettore, persino ilarità (al di là dell’eventuale drammaticità dello sfondo in cui si inserisce). In questo caso, squillo è utilizzato, indifferentemente, per le persone che si prostituiscono in circuiti privati – appartamenti, case d’appuntamento, hotel, resort… – e per quelle che esercitano in luoghi pubblici (strade, parchi). L’effetto ricercato è qui sdrammatizzante, leggero, per quanto superficiale possa apparire a un lettore informato.
Il secondo caso è quello in cui il termine è invece utilizzato in modo specifico, ad indicare un settore del mercato del sesso caratterizzato da tariffe più elevate, autonomia relativamente più alta delle lavoratrici e dei lavoratori, location al chiuso . Qui squillo ha il potere di suggerire associazioni differenti da quelle della prostituzione di strada; l’intento è quindi di segnalare la dismissione di approcci pietistici e paternalistici che spesso caratterizzano gli articoli sulle strade del sesso.
Lavoratrice e lavoratore del sesso, sex worker
Il termine squillo non veicola necessariamente un intento discriminatorio, il suo uso può però risultare appropriato o inappropriato a seconda del tema di cui si tratta e dell’approccio generale dell’articolo in cui ricorre.
Quando viene utilizzato per parlare delle donne che esercitano in strada o altri luoghi pubblici, squillo suggerisce associazioni che sono distanti dalla realtà di questo settore del commercio sessuale, per esempio l’idea del lusso e del lavoro a chiamata, su appuntamento. Tende così a rimuovere o mascherare altri elementi della situazione che descrive. Come si è detto, questo avviene normalmente per il racconto di accadimenti singolari o curiosi, come in questo articolo di un quotidiano locale:
Squillo troppo sexy, traffico in tilt
Vicenza. Sul marciapiede con gli abiti bucati, automobilisti incolonnati, interviene la polizia. Denunciate per «atti contrari alla pubblica decenza»
(quotidiano locale, 8 marzo 2012)
La leggerezza del titolo che evoca – con effetto comico – colonne di automobilisti uomini storditi dall’abbigliamento provocante delle donne, contrasta con l’epilogo tutt’altro che spiritoso: l’intervento della polizia e la denuncia a carico delle donne. Denuncia che colpisce con fin troppa frequenza le lavoratrici del sesso sulle strade, costringendole a una vita di fughe dalla polizia e di marginalità sociale.
Un caso diverso è quello in cui squillo è utilizzato per riferirsi a settori specifici del mercato del sesso, che – data la rispettabilità delle persone coinvolte, studentesse, donne della classe media, professioniste dalle tariffe elevate – sfuggono al più forte stigma contenuto nella parola prostituta. È il caso di un titolo come questo, tratto da una testata nazionale:
Bologna, studentesse “squillo” per mantenersi negli studi
Venivano “ingaggiate” da un trentenne che offriva casa gratis e un lavoro
(quotidiano nazionale, 19 giugno 2011)
Qui squillo corrisponde a lauti guadagni (come si legge nell’articolo, fino a 600 euro a incontro) e al carattere “occasionale” del coinvolgimento delle ragazze nel mercato del sesso: non vere lavoratrici del sesso dunque, perché sono studentesse, e nemmeno prostitute, parola che suggerisce un mestiere degradante.