"Il nome 'Ospedale psichiatrico giudiziario' tenta ancora un volta di mascherare con un eufemismo l'arcano, ma il fatto che sia il Ministero di Grazia e Giustizia e non il Ministero della Sanità a gestire i suoi percorsi chiarisce definitivamente la questione - scrive Francesco Maranta in "Vito il recluso. Opg un'istituzione da abolire" - Per reati per i quali una persona "normale" verrebbe condannata a pochi mesi di carcere, una persona riconosciuta non in grado di intendere e di volere è condannata ad almeno due anni di OPG. È una misura di sicurezza che dovrebbe rendere più lieve la sanzione e dare al condannato una possibilità terapeutica ed invece si trasforma in una condanna senza fine. Gli OPG sono delle vere e proprie carceri, con tanto di sbarre e agenti di polizia. Le risorse, progressivamente ridotte, non consentono un percorso terapeutico, ma sempli- cemente un contenimento fisico e farmaceutico del disagiato. Le proroghe poi, per persone che quasi mai hanno il sostegno dei propri familiari, diventano anni e anni di carcere che seppelliscono persino il ricordo del reato iniziale". [1]
Il manicomio criminale. Le origini.
Il manicomio criminale, in seguito rinominato manicomio giudiziario e infine Ospedale psichiatrico giudiziario, nasce dalla fusione delle due classiche istituzioni totali che la società moderna utilizza contro la devianza: il carcere e il manicomio. Ed è la risposta all'esigenza di creare una struttura per i detenuti impazziti in carcere, detti "rei-folli", e per le persone con disturbi psichici che avevano commesso un reato, detti "folli-rei".
L'istituto del manicomio criminale di Stato, antenato dell'OPG, nasce in Inghilterra alla fine del Settecento con il nome di Criminal's Asylums e soltanto successivamente si afferma anche nel resto d'Europa. A Londra nel 1857 viene fondato il celebre istituto di Broadmoor, preso ad esempio per efficienza e funzionalità, concepito come speciale reparto ospedaliero. Un secolo dopo il Regno Unito è la volta degli Usa che aprono il primo manicomio criminale ad Auburn, nello Stato di New York, nel 1855.
Il manicomio criminale in Italia.
Fino all’unificazione, nessun territorio italiano dispone di una normativa speciale per gli autori di un reato "prosciolti per infermità di mente". Con l’unificazione entra in vigore il codice penale sardo del 1859. Nel 1872, il tema del reo folle viene trattato da Cesare Lombroso, fondatore della Scuola di Antropologia Criminale, convinto che le cause della delinquenza devono essere ricercate nelle caratteristiche biologiche di ogni soggetto. Lombroso propone l’istituzione di manicomi criminali con un triplice scopo: la detenzione di soggetti che si sospettava avessero commesso un reato in stato di infermità; l’esecuzione della pena di condannati impazziti in carcere; il mantenimento di imputati per i quali il procedimento è stato sospeso per sopravvenuta infermità mentale. Secondo la scuola lombrosiana, il folle deve essere sottratto dalla società per la quale è potenzialmente pericoloso e dalla quale riceve stimoli di eccitazione che comportano un peggioramento della malattia; da qui l'idea che la terapia passi soltanto dalla vita manicomiale. E' del 1876 la pubblicazione della prima edizione de L'uomo delinquente che introduce una concezione deterministica del criminale e di quella del nato pazzo. Secondo Lombroso esiste quindi il "delinquente nato", equiparabile più a un animale che a un essere umano, caratterizzato da una condotta incontrollabile e violenta. Il "delinquente nato" viene riconosciuto da Lombroso da aspetti fisici (statura, circonferenza del cranio, ecc.), insieme ad aspetti morali e mentali. Da Lombroso a oggi, l'idea dei socialmente pericolosi da cui difendere la sicurezza della società domina ancora il modo di rappresentare sui media il "folle criminale".
Intanto, alla fine dell'Ottocento nell'Italia unita sotto la monarchia sabauda, l'apertura del manicomio criminale viene sentita come una necessità per un paese che vuole essere considerato moderno e avanzato. Nel 1876 per questo scopo viene inaugurato il primo manicomio giudiziario in Italia, ad Aversa, con il nome di “sezione per maniaci” della “casa penale per invalidi” tramite un atto amministrativo, formalizzato in legge nel 1891. In quell'anno viene effettuata un'ispezione nei manicomi del Regno, promossa dal Ministro dell'Interno e affidata a tre personaggi illustri, tra cui lo stesso Lombroso. La relazione finale denuncia gravi problemi di gestione di tali strutture, derivanti soprattutto dall'affollamento, dalla mancanza di una legislazione unitaria, valida per tutte le regioni italiane, dall'assenza di una efficace sorveglianza, dalle grandi disparità di trattamento ed organizzative tra i diversi manicomi nonché dall'inadeguatezza della direzione dei manicomi criminali esistenti.
Ufficialmente è il Regio Decreto del 1 febbraio 1891, contenente il regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi ad utilizzare per la prima volta il termine "Manicomio giudiziario" e a stabilire quali tipologie di persone devono esservi internate. Da un punto di vista di definizioni linguistiche, è interessante ricordare l'art. 469: ... "per i condannati che devono scontare una pena maggiore di un anno, colpiti da alienazione mentale, sono destinati speciali stabilimenti, o manicomi giudiziari, nei quali si provveda ad un tempo alla repressione e alla cura"... Art. 470: "I condannati che devono scontare una pena minore di un anno, colpiti da alienazione mentale, ma inoffensivi, paralitici o affetti da delirio transitorio, possono rimanere negli stabilimenti ordinari, ove non manchino i mezzi di cura e non si porti nocumento alla disciplina interna". I manicomi criminali non furono mai strutture concretamente sanitarie: essi furono usati come luoghi per la gestione punitiva della follia criminale. Erano gestiti da un Direttore amministrativo, come tutti gli stabilimenti di pena ordinari e mediante un Regolamento che non differisce in alcun punto da quello carcerario.
Secondo la legge del 1891 andavano rinchiusi nelle “Sezioni per maniaci” anche coloro che fossero stati prosciolti per infermità mentale. Successivamente aumenta il numero dei manicomi giudiziari. Si aggiungono: Montelupo Fiorentino (1886), Barcellora Pozzo di Gotto (1925), Castiglione delle Stiviere (1939) e Pozzuoli (1955). Il ricovero in manicomio si basa sull’esigenza di “disinfettare” la società. Su questa base di "difesa sociale" nasce il codice Rocco (1930). La legislazione fascista prevede che ai fini della punibilità del reato il soggetto deve essere in possesso della capacità di intendere e di volere. È sufficiente per escludere l’imputabilità, che manchi la capacità di intendere o anche solo quella di volere. Nel primo caso l’incapacità nasce da mancata conoscenza della gravità dell’atto per cause che vanno dal semplice stato confusionale alle forme di follia intellettiva quali il cretinismo, l’imbecillità, l’idiozia e la demenza. Nel secondo caso il soggetto sa di compiere un’azione riprovevole ma è vinto da una forza incoercibile che glielo fa commettere.
La concezione del manicomio criminale, nel periodo fascista, attua in toto l'idea Lombrosiana di applicare misure di sicurezza a persone riconosciute "socialmente pericolose". L'art. 203 del Codice Rocco afferma: " Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell'articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati". Il principio di pericolosità sociale legittima l'applicazione della misura di sicurezza, quale sanzione diretta a tutelare la collettività dal rischio di recidiva criminosa e volta alla rieducazione del reo.
Fintanto che è in vigore il codice Rocco, per i prosciolti per vizio di mente, vige la presunzione di pericolosità, e di conseguenza l'obbligo di assegnazione al Manicomio giudiziario, per un tempo predefinito nel minimo, ma non nel massimo, in funzione della gravità del reato e non della malattia. L'avvenuta guarigione prima dello scadere del termine della misura, così come la concreta e reale non pericolosità del soggetto, non hanno alcuna rilevanza e la misura prosegue inesorabilmente anche se il "pazzo" non è più tale, è un "ex pazzo", o se, pur in costanza di malattia, non è motivo di pericolo per la collettività. Analogo regime vige per i semi-infermi. Inutile ricordare che l'alibi della terapeuticità delle misure di sicurezza psichiatriche era soltanto una giustificazione formale, poichè la loro vera funzione era di custodia e di passiva esclusione sociale.
Negli anni '70 la tragedia di Antonietta Bernardini, che muore bruciata viva in un letto di contenzione a Pozzuoli, fa riaprire il dibattito intorno ai manicomi giudiziari, rompendo il silenzio che li circonda. La denuncia più dura e documentata viene dal poeta Alfredo Bonazzi, a sua volta internato, con il libro "Ergastolo Azzurro" e poi con "Squalificati a vita". Nell'OPG di Reggio Emilia, Bonazzi rimane nel letto di contenzione per sessantotto giorni consecutivi: "C'erano persone con la museruola, uno era stato con le caviglie legate per diciotto anni".
La sospensione della pena
Va detto ancora che in base al codice Rocco del 1930, ai reclusi 'impazziti' veniva sospesa la pena e quindi non solo venivano ingoiati dal manicomio giudiziario, ma, qualora fossero 'guariti' sarebbero dovuti tornare in carcere, per poter ricominciare a scontare la pena a partire dal momento in cui, col trasferimento all'OPG, era stata interrotta. Questo dispositivo è rimasto in vigore fino al 1975 ed ha sepolto vive tantissime persone. Una per tutte è quella esemplare del contadino Antonio Massaro. I1 quale, condannato a 30 anni nel 1923, quando aveva 30 anni, ed ivi trasferito nel 1931, 'con pena sospesa', viene presto 'dimenticato' da tutti "perché non dava fastidio". Soltanto dopo 24 anni, dichiarato finalmente guarito, potrà tornare in carcere per scontare il resto della pena. Nel 1974 Antonio Massaro aveva ormai 80 anni e gli restavano ancora due anni di carcere da scontare. [2]
La legge sulla riforma penitenziaria del 26 luglio del 1975, n. 354, cambia solo la dicitura "manicomio giudiziario" in "ospedale psichiatrico giudiziario", ma non ci sono altre modifiche di rilievo. Originariamente la legge prevede l’automaticità delle misure di sicurezza. Dopo il mutamento culturale portato dalla legge 180, che porta all'abrogazione della legge psichiatrica del 1904 e al disconoscimento della pericolosità quale connotato proprio della malattia mentale equiparata a qualunque altra malattia, nel 1983 la Corte Costituzionale dichiara incostituzionale la norma che non prevede il preventivo esame della pericolosità degli infermi di mente. Nel 1986 la legge Gozzini sull'ordinamento penitenziario prevede all'articolo 2 che la valutazione della pericolosità sociale del soggetto deve necessariamente precedere l’applicazione di una misura di sicurezza, in tutti i casi e senza eccezioni. Le misure di sicurezza sono il ricovero in una casa di cura o di custodia, il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. Tale misura non è mai esistita come autonoma perché la casa di cura è sempre stata una sezione annessa al manicomio giudiziario. Inoltre chi ha commesso un reato può essere trattenuto finchè non sia cessata la sua pericolosità sociale e cioè, anche fino alla morte.
"Il ‘folle criminale’ rinchiuso in un’istituzione totale ha un forte impatto sull’immaginario della pubblica opinione. Infatti, in occasione di clamorosi fatti di sangue i mass-media stigmatizzano l’accaduto suscitando reazioni opposte nella popolazione. Esse vanno da posizioni di rigore, controllo e repressione, ad altre di comprensione e di giustificazione totale, con richieste di terapie piuttosto che di punizione; mentre le Autorità promettono di attuare misure adeguate, ma che rimangono a livello di buone intenzioni.” [3] La riforma basagliana non ha affrontato il problema della persona con disturbi mentali che ha compiuto reati e la condizione degli OPG è rimasta inalterata anche dopo l'approvazione della legge 180.
La Commissione d'inchiesta sugli Opg. Il lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino, ha dato nuovo impulso al dibattito sul superamento dell’Opg. Dopo alcuni sopralluoghi effettuati a sorpresa nel mese di giugno e luglio 2010, la Commissione ha definito la detenzione negli Opg un “ergastolo bianco”, per via delle condizioni inaccettabili in cui versano i detenuti e le strutture. Uno stato aggravato da sovraffollamento, carenze di personale sanitario e di Polizia penitenziaria, incuria e sporcizia. Ma la definizione ergastolo bianco si riferisce anche al fatto che potenzialmente la pena potrebbe non finire mai, a causa del meccanismo di funzionamento degli Opg. Ad esempio se a una persona viene comminata dal giudice una certa misura di sicurezza, come dieci anni di manicomio giudiziario, al termine un'apposita commissione valuta la sua eventuale guarigione. Ma nel caso in cui l'esito di questo esame è negativo e la persona è ancora ritenuta 'socialmente pericolosa', la misura di custodia viene rinnovata. "È ciò che ancora oggi gli internati negli OPG chiamano 'la stecca': il rinnovamento reiterato della misura di sicurezza. In poche parole si può entrare nel manicomio criminale per due anni e non uscirci mai più" spiega Maranta nell'opera citata.
Il 28 settembre 2011 il Senato ha approvato una risoluzione sul tema degli Opg, proposta dalla Commissione d’inchiesta, che impegna il governo a chiudere questo tipo di strutture, di fatto dei manicomi criminali, sostituendoli con strutture interamente sanitarie. Alla fine di un percorso fortemente voluto da giuristi ed esperti del settore, della psichiatria come del diritto, si è arrivati nel 2012 alla storica decisione di chiudere gli OPG, con un largo consenso. Tuttavia questa chiusura inizialmente prevista per il febbraio 2013 non c'è stata. Al contrario c'è stata una proroga degli Opg di un anno fino al marzo 2014 e al momento in cui scriviamo si sta approvando in parlamento un'ulteriore proroga di un anno, fino al primo aprile 2015. La riforma non viene attuata perchè le Regioni non hanno fatto in tempo a predisporre strutture diverse che corrispondano ai nuovi requisiti di legge che prevedono l’esclusiva gestione sanitaria all'interno, delegando alle forze dell’ordine soltanto l’attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna.
"La nuova proroga alla chiusura definitiva degli OPG è una colpevole estensione delle sofferenze di centinaia di persone. Lo Stato e le Regioni hanno il dovere di mettere la parola fine all’esistenza di questi luoghi indegni - dichiarano Ileana Piazzoni e Celeste Costantino, deputate di Sinistra Ecologia Libertà in seguito alla visita dell’OPG di Aversa il 2 aprile 2014 - Abbiamo toccato con mano come la proroga di un altro anno della reclusione di centinaia di persone in questi luoghi, 145 solo nell’OPG di Aversa, significhi soltanto dilatare le loro sofferenze e rimandare, ancora una volta, il loro diritto a una vita dignitosa. Ma il rischio maggiore è che i termini di questa nuova proroga possano essere disattesi, innestando così un circolo vizioso".
Da sempre il problema degli Opg è quello del "doppio binario" della legge penale in tema di misure di sicurezza, che separa, accentuando lo stigma, il destino del "reo infermo di mente" da quello del reo affetto da altre patologie o del reo sano. Scrivono ancora Costantino e Piazzoni: "Non sono ospedali, non sono carceri, non sono case di cura eppure ad Aversa quando parlavo con il comandante della polizia penitenziaria si rivolgeva agli infermi mentali come “detenuti”; il direttore sanitario li chiamava “pazienti”; per la direttrice della struttura erano “internati”.
Con la motivazione che gli Ospedali psichiatrici giudiziari sono strutture dove non c’è spazio per i diritti è nata la campagna per chiederne la chiusura: StopOPG
Gli Opg diventano "Rems", solo un cambio di nome?
Le Regioni che non sono state messe materialmente in condizione di rispettare la scadenza stabilita: le risorse sono state disponibili solo alla fine del 2013 e tra burocrazia, appalti e lavori le “residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria” (Rems), con capienza di 20 posti ciascuna, potrebbero essere pronte in un lasso di tempo che va dai 6 ai 25 mesi. Saranno delle comunità con la vigilanza esterna e infermieri presenti giorno e notte. “In pratica dei nuovi manicomi – dicono i sostenitori di StopOpg – strutture in cui eseguire misure di sicurezza, di custodia, anziché dare forza alle alternativa”. Resta l'interrogativo: chi assicura in effetti che le nuove strutture non saranno altro che manicomi giudiziari di piccole dimensioni?
Secondo Maranta, la sopravvivenza degli Opg "si configura esplicitamente come una violazione dei diritti umani. Chi ci finisce dentro infatti non ha, né può aspirare ad avere, gli stessi diritti ad essere curato di chi sta fuori. Detto in altro modo: viene declassificato alla condizione di cittadino senza diritti alla cura. Per lui l'articolo 32 della Costituzione, secondo cui la salute è un diritto fondamentale di ogni cittadino, viene abrogato. È vero, d'altra parte, che gli OPG hanno continuato ambiguamente a funzionare, come hanno fatto fin dalle origini, anche come 'carcere speciale' anteponendo la funzione di massimo contenimento e massima punizione ad ogni altra". [4]
In un'intervista pubblicata sul sito del Gruppo Abele, Stefano Cecconi, portavoce del comitato nazionale StopOpg, spiega come dovrebbe funzionare la dismissione degli Ospedali psichiatrici giudiziari e dove andranno a finire le persone che ora si trovano "internate". [5] Secondo Cecconi per il superamento degli Opg andrebbero attuate innanzitutto le "dimissioni senza indugio" che (come affermato dalla Commissione Marino) risultano possibili immediatamente per i due terzi delle persone internate (circa 1000 detenuti sui poco più di 1400). Tali dimissioni sarebbero possibili attraverso la presa in carico dei Dipartimenti di Salute Mentale e porterebbero già alla chiusura di alcuni Opg. Cinquecento dei mille detenuti già "dimissibili" si trovano ancora nelle strutture psichiatriche giudiziarie semplicemente perché non esistono servizi che li prendano in carico e così il magistrato ha dovuto disporre la proroga della permanenza.
"I restanti, le persone non dismissibili, verrebbero affidate a strutture speciali (che noi chiamiamo "mini Opg") o ai Dipartimenti di Salute Mentale con progetti terapeutici riabilitativi individuali - continua - che hanno come fine ultimo la restituzione dell'individuo alla società e contemporaneamente la prevenzione di nuovi internamenti".
In attesa dell’approvazione del Decreto legge 52/2014 sul superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, il “Comitato per il superamento delle logiche manicomiali” sottolinea appunto che nelle soluzioni proposte per la chiusura degli Opg, si seguono ancora le logiche dle manicomio. Con una mozione, il comitato sostiene che ci si deve occupare SUBITO delle persone recluse negli OPG “per le quali, a quasi 4 anni dall'inchiesta della Commissione Marino, nonostante le pressioni del Comitato StopOpg, non sono state ancora individuate soluzioni che garantiscano a tutte di poter essere prese in carico, trattate e seguite negli ambienti più appropriati con l’obiettivo ultimo di una loro reale inclusione sociale”.
Secondo il comitato, ciò che ancora manca è la differenziazione dei percorsi delle persone per le quali il giudice ha dichiarato l“infermità mentale”. “Pertanto le persone che, non essendo imputabili per legge non possono andare in carcere, non dovranno mai più andare in un CONTENITORE UNICO e indistinto (come l'attuale OPG, e come lo erano i manicomi), ma non dovranno nemmeno andare TUTTI nei Servizi di Salute Mentale, senza che vi sia stata una valutazione finalizzata a comprendere bene la natura delle problematiche specifiche alla base del giudizio di "Infermità Mentale”. Insomma dietro la proposta di riforma c’è pur sempre l’idea del “pazzo criminale” o del “reo folle”, mentre invece non tutti coloro che sono finiti negli Opg hanno problemi psichiatrici. Costruire strutture più piccole in cui ancora una volta vengono messi tutti insieme, creerebbe solo dei “mini Opg”.
Ecco le proposte del comitato al ministro della Salute, per ogni tipologia di persone [6]:
1) LE PERSONE CON DISTURBI MENTALI dovranno essere accuratamente valutati dai Servizi di Salute Mentale per decidere il migliore percorso di cura terapeutico-assistenziale-riabilitativo.
2) Le PERSONE CON PROBLEMI NEUROLOGICI IRREVERSIBILI O con disabilità intellettive (quello che un tempo si chiamava “ritardo mentale”) dovranno avere la garanza di interventi appropriati in specifiche strutture assistenziali non ricomprese nelle strutture del Dipartimento di Salute Mentale.
3) Le persone con PROBLEMI ALCOL-CORRELATI E CON PROBLEMI DI DIPENDENZA DA SOSTANZE devono avere la garanzia di essere inviate nei servizi preposti più competenti nella cura delle dipendenze.
4) Le persone che hanno una CONDOTTA ANTISOCIALE, se ritenute non imputabili ex art. 88 del Codice Penale, potranno essere inviate in appropriati percorsi correzionali specifici o essere soggetti a prescrizioni a cura dell'Autorità Giudiziaria. Per queste persone i precedenti percorsi non sarebbero di fatto appropriati, né terapeutici.
Il decreto di pericolosità sociale:
"è un dispositivo longevo: nato nell'Ottocento è ancora oggi di estrema attualità, soprattutto nelle nuove istituzioni totali. Il suo perno consiste nello sganciamento della pena reclusiva dal reato. In tal modo la pena 'si attacca' come un'ombra alla persona - scrive Maranta - Essa può così, al di là di ciò che ha fatto o non fatto, venire reclusa a tempo indeterminato semplicemente per il marchio di pericolosità e di indesiderabilità che su di essa l'istituzione ha impresso". Il concetto di pericolosità sociale è figlio del positivismo e delle idee lombrosiane. Storicamente è stato uno strumento utilizzato dal potere dominante per controllare i poco conformi, i "fomentatori di disordini". L'interesse ai rei più che ai reati - dice Maranta - porta a interventi di 'difesa sociale' intesi come "profilassi criminale", come azione delle istituzioni che si attua prima che la norma penale venga infranta. Una idea, anche questa, che si è fatta strada fino ai nostri giorni e ritroviamo quotidianamente nelle dottrine della guerra e della sicurezza preventiva. E nelle nuove istituzioni totali come i 'Centri di detenzione temporanea'". Vedi CIE)
Vita quotidiana e istituzioni cattive
In un'istituzione totale l'estenuante ripetizione della quotidianità sempre uguale a se stessa diventa afflittiva. Maranta descrive così quella degli Opg che ha visitato con l'associazione Antigone: "L'estenuante ripetizione delle invarianti ritualità quotidiane; la coltre di noia che soffoca il tempo; l'atmosfera dell'unica stagione che ristagna da tempo immemorabile tra le mura dell'istituto; la puzza di carcere e manicomio, di piscio irrancidito e lisoformio; i rapporti avvizziti tra i 'ristretti' spersonalizzati e chimica- mente alterati; il deserto dei sensi, degli affetti e delle emozioni gettano chi li subisce in una angoscia immobile e senza forma". Gli Opg possono a tutti gli effetti essere considerati una c.d. istituzione cattiva. Con questo termine si intende "ogni contesto che – per essere un luogo di sofferenza o di reclusione o di illibertà organizzata o per comportare ritmi di lavoro insopportabili, o per il fatto di insidiare oltre il lecito la qualità della vita, per questi motivi o per altri effonda da se stesso un serio rischio per il benessere mentale di coloro che ne vengono lambiti. Gli esempi: carcere, caserma, manicomio giudiziario, ospizio, ospedale, orfanotrofio…"[7]
[1] Maranta F. (a cura di), Vito il recluso. Opg un'istituzione da abolire, Edizioni Sensibili alle Foglie 2005
[2] Ibidem
[3] Sassano F., La Tutela dell'Incapace e l'Amministrazione di Sostegno, Maggioli Editore, 2004 pagg,62-63
[4] Maranta F. Op. Cit.
[5] Castellano T., Opg. Chiuderli non basta, dicembre 2012 www.gruppoabele.
[6] http://www.francoveltro.com/
[7] Sassano F. Op. Cit.
Castelli chiede la grazia per omicida recluso da 51 anni
La domanda per Vito De Rosa, 76 anni, gravemente ammalato. Uccise il padre a 17. Il Guardasigilli: "Non voglio dire il nome"
(quotidiano nazionale, 12 ottobre 2003)
LECCO - Il ministro della giustizia Roberto Castelli ha comunicato oggi che inoltrerà la domanda di grazia per Vito De Rosa, 76 anni, in carcere da 51, detenuto per parricidio. Il ministro ha dato l'annuncio oggi a Lecco, dove si è svolta la Conferenza europea sulla cooperazione giudiziaria nell'ambito del diritto familiare. Castelli non ha voluto fare il nome dell'ergastolano, ha motivato però la sua scelta con le condizioni di salute dell'uomo, da anni gravemente ammalato. Vito De Rosa è al momento detenuto nell'ospedale psichiatrico di San Eframo a Napoli, la sua scarcerazione è da tempo richiesta dalle associazioni per la tutela dei diritti dei carcerati. De Rosa, condannato all'ergastolo, non ha mai potuto usufruire dei benefici che di solito vengono concessi a chi è detenuto da molti anni, perché se messo in libertà o in semilibertà nessuno potrebbe occuparsi di lui. L'ergastolano è originario di Olevano sul Tusciano, un centro agricolo in provincia di Salerno. Quando aveva 17 anni, negli anni Cinquanta, Vito de Rosa uccise il padre a colpi di ascia e ne gettò il cadavere in un dirupo. L'omicida però confessò il delitto non appena i sospetti caddero su di lui e condusse i carabinieri nel posto in cui aveva nascosto il corpo del padre. Durante il processo si difese sostenendo che il padre lo maltrattava e lo accusava ingiustamente di vendere in proprio l'olio prodotto nel podere di famiglia. I giudici non concessero al ragazzo nessuna attenuante e lo condannarono al massimo della pena. Dopo un lungo periodo in carcere, però, De Rosa fu in seguito trasferito in una struttura psichiatrica giudiziaria, perché soffriva di disturbi mentali. Solo negli ultimi anni alcune associazioni di volontariato hanno cominciato a occuparsi del caso De Rosa: l'uomo non riceveva che pochissime visite e chi ha avuto occasione di parlargli racconta che per lui non esistono soluzioni alternative alla vita in carcere. Nel paese di origine di De Rosa la notizia della possibile grazia è stata accolta con favore e il sindaco Adriano Ciancio si è reso disponibile a cercare una struttura di accoglienza se l'uomo sarà rimesso in libertà.
La storia di Vito De Rosa è stata raccontata in un libro:
"Il 15 ottobre del 2003 Vito De Rosa, settantasei anni, viene dimesso dall'ospedale Psichiatrico Giudiziario di Sant'Eframo, a Napoli. Era stato arrestato il 27 gennaio del 1951 ad Olevano e condannato all'ergastolo per parricidio e porto abusivo di scure. Un anno dopo, nel novembre del 1952, viene trasferito al Manicomio Giudiziario di Aversa per una perizia psichiatrica. L'esito si è perso nei polverosi faldoni della burocrazia manicomiale-criminale. Ma qualunque diagnosi sia stata fatta, qualunque etichetta gli sia stata appiccicata sulla camicia di forza, resta il fatto che Vito De Rosa da questa istituzione è rimasto schiacciato. Per cinquantadue anni. Diciottomila giorni e altrettante notti. Chiuso in un piccolissimo cubicolo di due metri per tre. Senza neppure una sedia. E le grate, le sbarre alla finestra. Un'enormità.
Un delitto familiare a soli 17 anni. Una storia di violenza, un padre padrone, un'eredità contesa, in un piccolo paese del salernitano. La condanna, il carcere e poi la diagnosi: schizofrenia. Da allora Vito De Rosa è entrato in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario per non rivedere più il sole, se non attraverso le sbarre. Da solo, senza il sostegno di un familiare, di un terapeuta, la carità di un prete, Vito ha attraversato cinque decenni di repressione psichiatrica, elettroshock, camicie di forza, psicofarmaci e il carcere, perché questo si nasconde nella parola OPG, ospedale psichiatrico giudiziario. Cinquant'anni trascorsi così, in un piccola cella di due metri per due, una brandina, qualche misero indumento in un angolo.
Ammalarsi di ergastolo, e per questo finire in una reclusione assai peggiore di quella che ha provocato il danno, doveva essere frequente nei primi anni della carcerazione di Vito De Rosa se, nell'OPG di Reggio Emilia, un intero padiglione era stato adibito a contenere gli ergastolani impazziti" [1].
Di seguito alcuni articoli sullo scandalo Opg dal 2011 al 2014:
Nella prigione castigo non c'è pena né cura: "La Toscana chiuda subito l'Opg"
La proposta del consigliere regionale Enzo Brogi: "Il presidente Rossi si faccia promotore di questa battaglia di civiltà". Il viaggio fra le pareti nere dell'ultimo incendio, i disegni con i draghi e i soli bui. Slitta al 2015 la dismissione della struttura che Napolitano definì "indegna"
(edizione online di un quotidiano nazionale, 22 aprile 2014)
"Allora dottore, dopo il colloquio vado a casa?". Mezzo sorriso per non rispondere e lasciare aperta almeno una possibilità. I detenuti camminano lungo il corridoio per far passare il tempo. Uno, due, cento passi, gli stessi. Avanti e indietro. Pance, ciabatte, tute sformate, tatuaggi ingrigiti sulla pelle, corpi adagiati sulle brandine dentro le celle con il pane avanzato e le mele renette ad avvizzire nei cestini. Vite sospese in attesa del capolinea Opg. Sembrava dietro l'angolo la fine corsa di quello che il presidente della Repubblica Napolitano aveva definito - in un discorso del 2012 - "un autentico orrore indegno di un paese civile". Invece la chiusura slitta per decreto del governo al 2015 che non è un anno visto da qui, ma un tempo disumano, più infinito di quello che è passato. A Montelupo Fiorentino, ospedale psichiatrico giudiziario, "abitano" in questo momento 102 persone. Pazienti o detenuti fate voi, la riva dello Stige è la stessa. Voci e urla senza vergogna, medicine, dottori, guardie, tutto mescolato. La villa medicea che ospita l'Opg è la fotografia di una gigantesca incoerenza: il giardino all'italiana, il parco, il campetto da calcio, le serre e l'erba alta insieme alle telecamere, le porte blindate e i boschi di sbarre ovunque, i controlli, i fogli che devono verbalizzare tutto, anche i respiri. "Questo posto non è una pena, né una cura, soltanto un fallimento" dice senza levigare le parole il consigliere regionale Enzo Brogi arrivato in visita a sorpresa (e noi con lui ndr). L'ha ricevuto la direttrice dell'istituto, Antonella Tuoni e il direttore dei servizi sanitari Asl 11 e psichiatra, Franco Scarpa. Fanno strada loro, dagli uffici alle "corsie" che si trovano dall'altra parte del giardino della villa Ambrogiana che è stata di Ferdinando I de' Medici. "Bisogna che la Toscana faccia da capofila - propone Brogi - chiudiamo prima degli altri, prima ancora che ce lo imponga la legge, il nostro Opg: possiamo farlo i numeri sono bassi, dobbiamo trovare sistemazioni in strutture protette per una quarantina di persone, quelle che fanno riferimento alla nostra regione, come previsto dalla nuova normativa". Da qui sono passate vite pericolose, violente, aggressive, soprattutto disperate. Chi ha ucciso, minacciato, aggredito. Chi viene parcheggiato all'Opg, non ha un altro posto dove stare. E allora prego, entriamo a vedere com'è. "Lasciate fuori i cellulari, consegnate i documenti all'ingresso". Ci sono grandi gabbie e pavimenti di cemento all'aperto, "sono per l'ora d'aria". Il corridoio al primo piano si chiama Arno, ha le pareti piene di nero: sono i resti dell'incendio di un anno fa, 28 aprile 2013 quando un paziente diede fuoco alla sua stanza con un accendino. "Le pareti erano imbottite e infiammabili" raccontano. Da un soffitto è colata come una stalattite una telecamera deformata dal fuoco ed è ancora lì a ricordare che quel giorno non è mai passato del tutto. Nemmeno una mano di bianco alle pareti, i cinquanta che vivono dentro il braccio di cemento armato fra celle aperte e chiuse, passeggiano fra due muri bui e neri. "I lavori si faranno, adesso che hanno tolto i sigilli alla Pesa", uno dei reparti (al piano terra) chiusi dopo la visita di Ignazio Marino allora presidente della commissione parlamentare sulla sanità (2010). Adesso si potranno spostare dall'area i detenuti per aprire il cantiere. I soldi ce li dovrebbe mettere il ministero. Vedremo. Vetri anti-sfondamento, agenti, via vai di materassi alla Torre, il piano superiore, altro reparto. Anche qui celle aperte e celle chiuse. Uno che viene incontro e dice: "Dottore, mi fa uscire?". Uno che viene dal Sudamerica saluta e dice che è dentro perché ha picchiato un romeno o un albanese, "niente di grave insomma", aggiunge facendo l'occhiolino. Un altro ferma un agente: "Mi fai vedere il lucchetto che ho ingoiato l'altra volta?" dice allungando curioso lo sguardo sullo schermo di un telefonino (gli agenti possono tenere i cellulari ndr). Lui è fra quelli che da queste parti non smettono di farsi male col passato. Ingurgita oggetti quando va in crisi: fuori, un giorno ha preso a martellate suo padre e da allora prova spesso e come può a morire un po' anche lui. Chi sbarca all'Opg di Montelupo porta la faccia come una prova, ha navigato margini e solitudini senza freni. Non tutti, hanno reati gravissimi alle spalle, anzi in questa fase della sua storia, sono una minoranza quelli che hanno condanne per omicidio. "La Toscana può diventare la prima regione Opg free, chiudere in anticipo la struttura e fare da motore a un cambiamento necessario per tutto il Paese - prosegue Enzo Brogi - penso che il governatore Enrico Rossi possa farsi carico di questa iniziativa". I numeri in effetti sono alla portata a patto che le altre regioni trovino agli attuali ricoverati/detenuti di Montelupo strutture per la cura sul proprio territorio: i toscani attualmente all'interno dell'Opg sono soltanto 35. Davanti a una cella chiusa c'è un ragazzo seduto su una sedia in corridoio. "E' un operatore che viene pagato dalla famiglia del detenuto" racconta un medico. Il detenuto proviene da Castiglione delle Stiviere, da un altro Opg. "Non sapevano come tenerlo, è oligofrenico, aggredisce all'improvviso e senza motivo quando sta male" spiega un agente. Rispetto al 2010 sono stati fatti diversi passi avanti, la nuova direttrice ha vietato di legare i pazienti ai letti anche quando hanno le crisi, ha vietato l'uso dei fornellini nelle celle, sono stati realizzati lavori di ristrutturazione. Per riempire le ore si fanno corsi di attività motoria, all'interno funziona una piccola scuola, un laboratorio artistico (oggi senza insegnante perché sono finiti i fondi). Nella stanza, su un cavalletto, c'è un volto senza occhi dipinto su un foglio ad acquerello e poi draghi e cieli con un sole nero o linee astratte che si rincorrono senza incontrarsi. Ciascuno qui prova a far tacere i propri demoni come può, buttandoli sulla carta o cercando scampo nelle pasticche: "Dottore, mi fa ancora male la gamba, mi dà le medicine?". Nei reparti la pulizia lascia a desiderare, sono gli stessi detenuti a provvedere, ci sono carte e residui di cibo. Sono ancora i detenuti, sotto il controllo di una guardia, a cucinare pranzo e cena per tutti. Chi lavora all'Opg cerca come può di lottare contro la provvisorietà, ma il capolinea somiglia sempre a una periferia e si avverte in tante cose, compresi i dettagli. Tre lavatrici rotte, una sola in funzione e nemmeno di quelle industriali, così le lenzuola si cambiano al rallentatore. "Un posto come l'Opg è una ferita che va sanata - riprende il consigliere regionale del Pd Enzo Brogi - è un caravanserraglio della disperazione, non dà nessuna possibilità di uscita una struttura governata in questo modo. La storia culturale della Toscana ci dice che una regione come la nostra non può accettare nessuna proroga. Troviamo rapidamente sul territorio le nuove strutture per ospitare i pazienti e il presidente Enrico Rossi sappia raccogliere questa sfida". La sfida di lasciarsi alle spalle questi lunghi corridoi di vite ammassate nel disordine delle patologie, nelle distanze dei pazienti dalle loro famiglie spesso già squassate da disagi e dolori: anche i chilometri possono diventare muri e nuove solitudini. "Cosa ci fanno qui per esempio i pazienti sardi?" chiede un addetto senza divisa. E cosa ci fanno qui tanti senza fissa dimora che nessuno vuole prendersi in carico? L'Opg è il nome in fondo alla classifica, l'ultimo approdo quando non basta un ospedale e nemmeno una prigione, serve solo un castigo.
Se nell'articolo in alto troviamo un buon esempio che racconta la realtà degli Opg, qui in basso vediamo riproposto lo stereotipo del 'pazzo criminale' nel titolo di una notizia di cronaca sulla morte di due bambini uccisi e carbonizzati dal padre. Ma all'uomo non sono stati diagnosticati disturbi psichiatrici per il momento, e la storia raccontata è quella di uno stalker violento che aveva più volte minacciato l'ex moglie e che sembra avere pianificato ogni cosa con lucidità. Tanto che tutti parlano di "tragedia annunciata" che ha poco a che fare con il 'raptus di follia' del 'pazzo criminale'.
Tragedia annunciata, lui è un pazzo criminale ci minacciava da anni e nessuno l'ha fermato
(quotidiano nazionale, 17 luglio 2013)
ONO SAN PIETRO (Brescia) - «Era scritto che sarebbe finita così, non sono riusciti a fermarlo, è una cosa assurda, crudele. Non è stata una disgrazia, è stata una tragedia annunciata». La casa dei Patti è a poche centinaia di metri dall'appartamento dove Davide e Andrea Iacovone sono morti carbonizzati mentre dormivano. La nonna, la mamma di Enrica Patti, è distrutta. Lo sono tutti i familiari che fino a sera fanno la spola tra il luogo della tragedia e questa casa dove Enrica, piegata da anni di insulti e minacce, trovava un po' di conforto. «Basta, vi prego. I nostri nipotini sono stati uccisi due volte: lo aveva detto che lo avrebbe fatto... Ma nessuno è riuscitoa impedirlo», piange la signora. La figlia e madre dei due bambini è sotto shock. Subito dopo la notizia l'hanno portata in ospedale, poi ha passato la giornata chiusa in casa coni genitori. Anche loro avevano subito le intimidazioni di Iacovone. «Ammazzo te e tua mamma», aveva scritto l'uomo in un sms inviato alla moglie il 23 giugno. Uno dei tanti. Non smetteva mai. Nemmeno dopo che i carabinieri gli avevano notificato il divieto di avvicinare l'ex moglie e i suoi familiari. «Per questo non vogliamo sentire parlare di disgrazia - dice l'avvocato Pierluigi Milani-. La signora Patti si era rivolta a me l'anno scorso perché chiedeva un'assistenza più decisa rispetto a quella che aveva avuto prima. Mi sono trovato di fronte a una situazione pesantissima di stalking. Sapeva che il marito era un tipo pericoloso e non voleva esasperare le cose. Così abbiamo avviato fatto anche dei tentativi soft. Lettere, richieste di incontro. Io stesso - continua il legale - ho incontrato Iacovone: gli ho detto di lasciar perdere quella donna, "avete due figli da crescere". Niente. Mi rispondeva "gliela farò pagare"». Parla di «muro di gomma delle istituzioni» Milani. «Era stato impossibile impedirgli di vedere i bambini. La riposta che ci davano era: vediamo se si ravvede, se cambia atteggiamento"». Neanche per sogno. Postava su Facebook le foto dei figli: «Davide, il mio grande calciatore». Si mostrava affettuoso verso i bambini e intanto minacciava e prometteva che avrebbe ammazzato chiunque cercava di calmarlo. Che avrebbe ucciso anche loro, Davide e Andrea. Il 26 novembre, sempre sul social, Iacovone aveva scelto una citazione di Chuck Palahniuk: «Non sai mai quanto sei forte, finché essere forte è l'unica scelta che hai. E quando accade, sei intoccabile»
SALUTE Opg, nell'attesa della chiusura arriva l'ennesima proroga
Il governo concede altri dodici mesi alle Regioni per chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari. Il presidente della Repubblica li aveva definiti "luoghi dell'orrore". Ma lo psichiatra Giuseppe Dell'Acqua difende la scelta: "Era inevitabile perché finora si è fatto poco"
(sito internet di un settimanale nazionale,1 aprile 2014)
Non solo la riforma del Senato. Nell’ultimo consiglio dei ministri, il governo Renzi ha votato all’unanimità anche un decreto seguito dal ministro della giustizia Andrea Orlando: la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari - deliberata dal Parlamento dopo che una commissione d’indagine presieduta da Ignazio Marino documentò l’inadeguatezza e l’orrore delle strutture - può slittare di un altro anno. E così gli Opg che dovevano sparire nel marzo 2013, resteranno sicuramente fino all’aprile 2015. Non tutti i moniti di Giorgio Napolitano vengono evidentemente seguiti al volo: «Basta con i luoghi dell’orrore» aveva detto il presidente della Repubblica. «Non si poteva fare altrimenti», dice però della proroga il professor Giuseppe Dell’Acqua, erede di Franco Basaglia, già direttore del dipartimento di salute mentale di Trieste: «perché nel biennio che ha preceduto l’ennesima proroga non si è fatto molto». Troppo grande il ritardo delle regioni, e sbagliata l’idea che «la soluzione sia la costruzione delle nuove strutture, che dovranno sostituire gli Opg». Strutture «troppo costose» e «poco efficaci».
Professore, si poteva evitare la proroga? «No non si poteva evitare, perché nel biennio che ha preceduto la proroga non si è fatto molto. Non si è sviluppata una buona penetrazione di culture e proposte alternative, soprattutto, e ci si è fermati sulla costruzione delle nuove strutture, che dovranno sostituire gli Opg, come fosse questa la soluzione».
E non lo è? «Non lo è perché ci vuole tempo per costruirle, e non sempre ci si riesce, e infatti non ce ne è ancora una. E poi perché sono troppe e troppo costose. Affidandoci solo a questa soluzione dovremmo aspettare altri 4 anni». Il ministro Orlando dice che la proroga è stata «un passo obbligato per il ritardo accumulato da molte regioni». Quali sono le difficoltà che incontrano? I fondi? «Le regioni non potevano che incontrare difficoltà, perché per anni hanno determinato la fragilità dei dipartimenti di salute mentale, hanno frammentato i servizi, e sostenuto spese esorbitanti per strutture residenziali terapeutiche che terapeutiche non sono. Hanno fatto poco per costruire territorialità, con presidi h24. E ora, nel momento in cui è arrivata la legge svuota carceri e la chiusura degli Opg, devono correre ai ripari e costruire le Rems, che sembrano ospedali pscichiatrici in sedicesimo. Ma dobbiamo essere ottimisti. Nella proroga c’è la possibilità di un commissariamento e c’è una verifica tra sei mesi: in questi tre anni, qualcosa è cambiato e anche le regioni, magari non tutte, hanno cominciato ad attivarsi». Si aspetta ulteriori proroghe? «Altre proroghe no, perché il tempo non è trascorso invano e mi pare si sia preso atto si che non saranno le nuove strutture, le Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitarie, ndr), ha risolvere il problema. Si dovranno rafforzarte i dipartimenti di salute mentale e lavorare di concerto per limitare gli invii negli ospedali psichiatrici giudiziari oggi e nei Rems domani, tenendo conto delle sentenze della corte costituzionale e delle necessità delle singole persone. Oggi è possibile prendersi cura di un malato, sia in carcere che fuori». [...] E da qui muove però la critica di chi frena sul superamento delle strutture. «Sono matti ma pur sempre criminali», dicono. «Gli Opg producono tonnellate di pregiudizi e di stigma. Dobbiamo liberarci anche da questo. La recidiva delle persone che sono state in manicomio è un fatto rarissimo, molto più raro che nelle carceri. Una ricerca americana, fatta nei primi anni del 2000, analizzava 35mila persone con disturbi che avevano commesso un reato. Seguite per nove anni, si è notato che la reiterazione non solo era scarsa, ma che era determinata da fattori sociali, da uno sfratto, un lutto, dalla disoccupazione, e non, in prima istanza, da determinanti mentali».
Lo scandalo degli OPG
(quotidiano nazionale, 15 giugno 2011)
Solo la Commissione d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale e i Presidenti della Repubblica e del Senato avevano visto integralmente il filmato di mezz'ora che il 9 giugno ha aperto il convegno sugli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) ed è rimbalzato in quasi tutti i telegiornali della sera. Corpi sformati, persone disperate, spazi angusti, gabinetti rotti, letti di contenzione, storie di soprusi e violenza, non raramente di morte fisica, sempre di incuria e morte civile: le visite a sorpresa negli Opg, effettuate nei mesi scorsi dalla Commissione presieduta da Ignazio Marino, hanno documentato una situazione atroce e nota. [...]
Un esempio: 380 internati sono trattenuti illegalmente. Si tratta di persone che hanno concluso la misura di sicurezza e sono state dichiarate non più «pericolose», eppure il giudice rinnova la misura perché i servizi di salute mentale non vogliono o dicono che non possono prendersi cura di questi loro cittadini, oppure non rispondono alla lettera del magistrato, il quale pigramente rinnova la misura. Il Comitato Stop Opg ha chiesto di conoscere la geografia di questi internamenti illegali per poter contattare le Asl, offrire collaborazione e suggerire le modalità di accesso ai fondi, che la metà delle regioni neppure hanno chiesto, per costruire progetti individualizzati di riabilitazione. Altro esempio. Oltre la metà degli internati ha commesso «reati bagatellari», - alterchi, minacce, piccoli danneggiamenti - che implicherebbero pene inferiori ai due anni e sono stati perciò condannati alla misura di sicurezza di durata più bassa, cioè due anni (all'opposto, a meno del 20% degli internati è stata inflitta la misura di durata più alta in quanto autori di reati gravi come l'omicidio). Dunque una buona metà degli internati, senza il giudizio di non imputabilità, avrebbe probabilmente avuto una carcerazione più breve. [...]
Stop agli ospedali psichiatrici giudiziari, sono uno scandalo
25 associazioni hanno promosso una campagna per la loro chiusura, a 33 anni dalla legge Basaglia
(quotidiano nazionale, 11 maggio 2011)
«Gli ospedali psichiatrici giudiziari vanno chiusi e subito». Lo chiedono 25 associazioni – cui man mano se ne stanno aggiungendo altre – che hanno promosso la Campagna «Stop Opg» (per non far cadere nell’oblio le condizioni disumane di chi ancora vi è recluso, denunciate anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale. L’estate scorsa, infatti, alcuni suoi membri e il presidente Ignazio Marino avevano effettuato un sopralluogo a sorpresa negli Opg e girato immagini shock, diffuse circa un mese fa.
CONDIZIONI DISUMANE - I parlamentari avevano trovato un vero e proprio inferno: celle di contenzione, ambienti fatiscenti e spazi angusti per i detenuti, sporcizia dappertutto. E poi: un uomo legato a un letto con un foro in corrispondenza del bacino per i bisogni; un altro, di proroga in proroga, “dentro” da 25 anni; un’altra persona immobile a letto da cinque giorni, senza neppure un campanello per richiamare l'attenzione degli operatori. In queste strutture sembra che non sia mai arrivata la legge “Basaglia”, a 33 anni dalla sua entrata in vigore, il 13 maggio 1978. «Sono persone malate e hanno diritto a essere curate», chiosa Marino. Oggi sono circa 1.400 le persone recluse negli Opg, un centinaio in più rispetto al 2007. Eppure nel 2008 era stato emanato un Decreto della presidenza del consiglio dei ministri che prevedeva il trasferimento della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello della Salute, quindi percorsi alternativi per la presa in carico dei pazienti.
INTERNATI - A fine 2009 è stato fatto un elenco numerico di 300 pazienti “dimissibili”, perché hanno finito di scontare la pena e non sono più socialmente pericolosi. Ma sono ancora dentro. «Più di 350 internati potrebbero uscire subito: dovrebbero essere accolti in strutture adatte grazie a progetti individualizzati di cura e reinserimento», sottolinea Stefano Cecconi, uno dei promotori della campagna - . Uno di loro nei giorni scorsi si è suicidato nell’Opg di Aversa, dopo otto anni di reclusione. «Dobbiamo restituire loro la cittadinanza, un nome, una casa – continua Cecconi - . Regioni e Asl devono prevedere programmi per il loro reinserimento e strutture esterne di accoglienza. Intendiamo monitorare quelle inadempienti». [...]
GUARIRE DAI PREGIUDIZI - «Anche se sei guarito continui a essere discriminato e gli altri ti guardano con diffidenza – sottolinea l’autrice del libro - . Nei centri di salute mentale non esiste più la contenzione fisica della camicia di forza o dell’elettroshock, ma spesso sono i farmaci a “legarti”. Le leggi non bastano – conclude Altobelli - . La differenza la fanno le persone e gli operatori».
Aversa. Giovane muore in ospedale psichiatrico giudiziario
(agenzia di stampa nazionale, 10 maggio 2011)
CARCERI: 'STOP OPG', MORTO PER SOFFOCAMENTO GIOVANE INTERNATO AD AVERSA. NOMINARE COMMISSARI AD ACTA PER I 6 OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI
''Ieri nell'Opg di Aversa si e' consumata l'ennesima tragedia. Un giovane quasi trentenne e' morto per soffocamento''. E' quanto si legge in una nota del comitato 'Stop Opg', per l'abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari. ''Si aggiorna cosi' -spiega la nota- il triste bollettino del 2011, che registra ben 4 decessi in poco piu' di 4 mesi, tre dei quali per suicidio. Un dramma immerso in un silenzio disarmante''. ''Fatti come questo -sottolinea il comitato 'Stop Opg'- per il contesto in cui avvengono e per le gravi ombre che gettano sulle istituzioni, non possono essere letti come tragiche fatalita': gli Opg sono luoghi di morte, di sofferenza e di privazioni, e non e' piu' possibile rinviare interventi risolutivi. Il comitato StopOpg, nato da un folto cartello di associazioni e sindacati che operano nei settori della salute mentale e penitenziario, chiede semplicemente di applicare la legge e provvedere all'immediata chiusura di tutti i 6 Opg italiani''. ''Ma non basta: lo Stato italiano -si legge ancora nella nota del comitato- ha dimostrato tutta la sua inerzia, le istituzioni la loro inadeguatezza. Basti pensare che da quando con un apposito Dpcm e' stata stabilita la chiusura delle strutture, il numero degli internati e' inspiegabilmente lievitato, passando da meno di 1.300 internati del 2007 agli oltre 1.400 di oggi. Si assumano iniziative straordinarie, senza escludere la nomina di commissari ad acta che, a partire da Aversa, attraverso la definizione di una vera e propria road map, indichino tempi certi per la chiusura, dando solide garanzie sul reinserimento e il sostegno agli internati nel loro percorso di recupero''.
Opg, dopo il rinvio mancano i progetti
Prorogata la chiusura di un anno, ma non si sa come intervenire
Urgente passare dagli ospedali giudiziari a strutture più leggere
(quotidiano nazionale, 24 marzo 2013)
Aversa «Nemmeno noi sappiano che accadrà domani» E intanto arrivano pazienti anche da altre Regioni
Una sfilza di suicidi, guardie sotto processo per violenza e altri accusati di usare letti di contenzione La pesante eredità con cui fa i conti la direttrice Palmieri
Castiglione delle Stiviere L’istituto modello ha già un piano: sei comunità con venti posti letto
Per il direttore sanitario Straticò le soluzioni non mancano, ma va preservata la professionalità del personale Individuate le sedi dove traslocare
[1] Maranta F. (a cura di), Vito il recluso. Opg un'istituzione da abolire, Edizioni Sensibili alle Foglie 2005