L'aggettivo vuol dire "non capace, che non è in grado di fare qualche cosa", anche sostantivato: è un incapace. (Treccani).
In diritto civile, l'incapace è colui che è privo della capacità di agire, in diritto penale, incapace d’intendere e di volere, privo della «capacità di intendere e di volere», sia per uno stato d’infermità mentale o di deficienza psichica (anche transitoria) sia anche per l’età minore; con questa accezione, è frequente l’uso come sostantivo: la tutela degli incapaci; circonvenzione di incapace.
La “responsabilità giuridica di un soggetto” è data dalla capacità di intendere, cioè la normale capacità di valutazione dei propri atti, e dalla capacità di volere, con cui si intende la determinazione libera e volontaria del proprio comportamento. La legge considera imputabile per un reato chi, al momento di commetterlo, aveva la capacità di intendere e di volere. La valutazione del reato deve attenersi al previo accertamento di questi due requisiti. In questi casi il perito è lo psichiatra che deve pronunciarsi sia sulla infermità e sulla natura di questa infermità sia sulla capacità giuridica del soggetto. In realtà queste valutazioni hanno un margine di approssimazione elevato.
Ha diritto ad essere assistita da un amministratore di sostegno “la persona che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”.
La capacità giuridica viene riconosciuta indistintamente a tutti al momento della nascita e consiste nell’attitudine a divenire titolare di diritti e obblighi. La capacità di agire si consegue invece al compimento del diciottesimo anno d’età. Tale capacità può essere limitata o esclusa dall’infermità di mente. Mentre nessuno può essere privato della capacità giuridica, può essere limitata la capacità di agire o addirittura se può essere privati. Esempi di totale privazione sono costituiti dall’interdizione legale o dall’interdizione giudiziale. In tali casi al soggetto privo di capacità viene precluso il compimento di tutti gli atti, compresi quelli di ordinaria amministrazione. Il tutore non integra la volontà del soggetto ma la sostituisce. Anche quando il soggetto è del tutto sfornito di capacità di agire, non può essergli negata la capacità giuridica perché l’ordinamento lo riconosce pur sempre titolare di diritti personali e patrimoniali.
Dall’incapacità di agire si distingue l’incapacità naturale. Entrambe hanno come conseguenza l’annullabilità dell’atto compiuto dall’incapace. Mentre nel primo caso non occorre fornire alcuna prova per l’annullamento dell’atto, nel secondo caso occorre dimostrare in modo molto rigoroso le condizioni in cui versava il soggetto al momento del compimento dell’atto.
Le persone legalmente capaci, cioè i maggiorenni e i non interdetti sono normalmente in grado di provvedere a se stesse, tuttavia può accadere, talvolta che il soggetto, non sia in grado di valutare adeguatamente le conseguenze degli atti che compie; in questi casi si sostiene che il soggetto è affetto da incapacità naturale o di fatto, ai sensi dell'art. 428 c.c. In questa situazione rientrano, non solo quindi, la persona con disturbi mentali, l'anziano, il malato grave, chi fa uso di sostanze stupefacendi o di alcool, l'ipnotizzato, chi è sotto l'effetto di psicofarmaci, chi ha subito un trauma cranico, ecc.. L'incapacità naturale può consistere in una condizione permanente d'incapacità oppure transitoria: ciò che conta, affinché lincapacità assuma rilevanza, è il momento in cui un atto giuridico è stato compiuto.
Il nostro ordinamento prevede alcuni istituti di tutela giuridica per le persone che hanno un’insufficienza mentale. La tutela (art.414 c.c.) e la Curatela (art. 415 c.c.)
La tutela è prevista nei confronti "di quei soggetti maggiorenni che si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere pienamente ai propri interessi". In tali casi si ha l’interdizione. Il giudizio di interdizione può essere promosso dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado (cognato, nuora, suoceri) o dal pubblico ministero. Chi viene interdetto si trova in uno stato di incapacità assoluta, viene perciò assoggettato a una tutela cui si applicano le disposizioni sulla tutela per i minori. Pertanto l’interdetto non può: stipulare alcun contratto, fare testamento, sposarsi. Il tutore si sostituisce completamente all’interdetto nel compimento dell’atto. Il tutore viene nominato dal giudice tutelare.
E’ prevista la curatela "nei confronti di quei soggetti che si trovano in uno stato di infermità mentale non così grave da dover dare luogo all’interdizione". Possono essere inabilitati anche coloro che per prodigalità o per abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé, o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. A differenza dell’interdetto, l’inabilitato può compiere da solo solo gli atti di ordinaria amministrazione (riscuotere pensione o stipendio) mentre per quelli di straordinaria amministrazione deve essere assistito da un curatore. Il curatore non rappresenta ma assiste l’inabilitato. Non si sostituisce come il tutore.
Quindi, riassumendo, la legge attribuisce rilevanza anche a quei casi, momentanei, di alterazione psichica per cui una persona non si comporta razionalmente. Questa incapacità è detta naturale in contrapposizione con quella legale (inabilitazione e interdizione). Bisognerà dimostrare che la persona, al momento di un certo atto, non era incapace di intendere e di volere e ciò per malattia psichica o per altre cause (droga, ubriachezza, ipnosi). [1]
[1] questa voce è stata realizzando consultando: Sassano F., La Tutela dell'Incapace e l'Amministrazione di Sostegno, Maggioli Editore, 2004
Il titolo XII del codice civile è cambiato da:“Dell’infermità di mente, dell’interdizione e dell’inabilitazione” a: “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”. Quando cambia l’immagine sociale delle persone disabili si modifica anche quella giuridica.
In questo, la legge 14/2004 che istituisce la figura dell’amministratore di sostegno rappresenta un importante progresso nella salvaguardia dei diritti delle persone con disturbi mentali. La legge consente di limitare gli interventi di tutela solo ad atti specifici senza toccare la sfera dei diritti fondamentali del cittadino; viene così di fatto superata e riformata la disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione che comportavano pesanti limitazioni dei diritti. (L’interdetto non può sposarsi, fare testamento, riconoscere un figlio naturale, ottenere un impiego pubblico, ecc…) sicuramente eccessive per la stragrande maggioranza delle persone interessate, e che rappresentavano odiose misure di etichettatura e di discriminazione, come l’annotazione della sentenza nel registro di stato civile.
L'uso del termine "incapace" è inevitabile quando si parla della precisa espressione giuridica della incapacità di intendere e di volere. Tuttavia è necessario rovesciare i pregiudizi culturali sulla follia per un’effettiva applicazione della legge 180. Spesso le persone con disturbi mentali sono viste come pericolose e di 'incapaci' si parla in relazione a terribili casi di cronaca, ad esempio quando ci sono genitori che dimenticano in auto i figli piccoli causandone la morte. In quel caso si tratta spesso di un'incapacità transitoria legata a stress o altro.
Nel caso di persone con disturbi mentali, è più facile che subiscano soprusi in ambito lavorativo e spesso anche familiare. Si assiste di frequente a episodi di violenza o isolamento da parte di colleghi, datori di lavoro e congiunti. La persona è spesso preda di ingiustificati sensi di colpa che, piuttosto che aiutarlo, ne decretano l’isolamento in modo definitivo, con inevitabili ripercussioni sui versanti emotivo, psicosomatico e comportamentale che spesso si manifestano con l’apatia e la chiusura verso il mondo esterno.
Massimo Cirri, psicologo e giornalista, ci spiega in un'intervista: "per molti anni il discorso sulla follia lo hanno fatto quelli che curano: gli psichiatri, gli psicologi, gli operatori. Parlavano per loro. Loro, i matti, erano prigionieri di mura trasparenti ma molto alte che hanno un po’ sostituito le mura di mattoni, cemento e cattiveria dei manicomi. I matti non potevano dire di sé. Di cosa serve per stare bene, per curarsi. E di cosa non serve. Di cos’è fatta la sofferenza. I matti erano considerati sempre incapaci. Incapaci di intendere e volere. Adesso i matti non sono più incapaci. Intendono e vogliono. Vogliono riprendersi la parola. Nel 2012 è nato un Coordinamento Nazionale degli Utenti della Salute Mentale. Un sindacato dei “matti”. E non è finita. Da alcuni anni le persone che sentono le voci hanno fatto un movimento: il Movimento italiano uditori di voci. E fanno sentire la loro voce". Infine, ricorda Cirri, a Trieste da alcuni anni a inizio estate "c’è una grande convention di matti. Si chiama Impazzire si può. Impazzire si può, perché si può guarire. Guarire si può, anche dal disturbo mentale più severo. Lo raccontano le persone che sono guarite".
Attraverso alcuni fatti eclatanti vediamo lo stereotipo della pericolosità sociale. Il messaggio che se ne ricava è: “è tale la tragedia che è opportuno il perdono e la comprensione di tutti nel silenzio", ma bisognerebbe capire le eventuali responsabilità di una cattiva assistenza nei confronti della persona con disturbi.
Ragusa, circonvenzione di incapace: famiglia a giudizio
(quotidiano locale, 11 maggio 2014)
RAGUSA. Occorrerà il processo davanti al Tribunale monocratico per stabilire se è stato consumato il reato oppure no. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ragusa, Claudio Maggioni, infatti, ha rinviato a giudizio B.R., V.I. e B.D., difesi dall’avvocato Enrico Platania, per il delitto di circonvenzione di persone incapaci commesso ai danni di C.A. e S.L., difese dall’avvocato Gianluca Gulino. I fatti risalgono a diversi anni addietro e sono continuati sino al marzo 2010, sino a quando – cioè – l’amministratore di sostegno di S.L., affetta da oligofrenia medio-grave, esaminando i conti delle due signore, si è accorto che non quadravano ed ha presentato un articolato esposto al giudice tutelare ed ovviamente al procuratore della Repubblica. Sono così scattate le indagini a carico di un intero nucleo familiare, i tre imputati – appunto (rispettivamente: padre, madre e figlio).
Dimenticò figlio in auto, la perizia lo scagiona: "Era incapace d'intendere"
Piacenza, secondo lo psichiatra nominato dal gip, Andrea Albanese era stato colpito da una transitoria "amnesia dissociativa" quando lasciò in macchina il piccolo Luca, ritrovato senza vita dopo nove ore
(sito internet di un tg nazionale, 8 maggio 2014)
Dimenticò il figlio di due anni in auto, dove lo trovò, nove ore dopo, senza vita, ancora legato al seggiolino, alla periferia di Piacenza. Andrea Albanese, il padre del bimbo, in quel momento, il 4 giugno 2013, era "completamente incapace di intendere e di volere per una transitoria amnesia dissociativa". E' la conclusione della perizia di Corrado Cappa, psichiatra nominato dal gip Giuseppe Bersani, nel procedimento per la morte del piccolo Luca. Alla medesima conclusione di Cappa era giunto anche Giovanni Smerieri, consulente della difesa di Albanese, secondo cui, quella tragica mattina, il papà del piccolo Luca fu colpito da una sindrome transitoria che consiste nell'incapacità di ricordare eventi e avvenimenti autobiografici circoscritti a un'area o a una persona della propria vita. Quel giorno, Andrea Albanese dimenticò il figlio di due anni nella sua automobile, parcheggiata davanti all'ingresso dell'azienda alla periferia di Piacenza dove lavora. Lo ritrovò senza vita nove ore dopo, ancora legato al seggiolino della Citroen. Gli atti, su decisione del giudice, sono stati ora inviati al pubblico ministero Antonio Colonna, che ha seguito le indagini sulla vicenda. Spetterà a lui una nuova nuova valutazione dei fatti alla luce delle due perizie coincidenti. Non si esclude, a questo punto, una richiesta di archiviazione in quanto Andrea Albanese, per i due psichiatri, non è imputabile per quanto accaduto.
Uccise il figlio Nicolò con le forbici: Aicha è incapace di intendere e volere
Del tutto incapace di intendere e volere, sia al momento del delitto - quella maledetta notte del 25 ottobre scorso quando uccise il figlioletto Nicolò di nemmeno tre anni con una forbiciata -, sia oggi a mesi di distanza da quella terribile tragedia
(sito internet di un quotidiano nazionale, 7 maggio 2014)
Del tutto incapace di intendere e volere, sia al momento del delitto - quella maledetta notte del 25 ottobre scorso quando uccise il figlioletto Nicolò di nemmeno tre anni con una forbiciata -, sia oggi a mesi di distanza da quella terribile tragedia. Ma Aicha Coulibaly è stata anche ritenuta molto pericolosa per sé (è elevato il rischio di suicidio) e per la società. Con queste motivazioni s è stato dichiarato chiuso ufficialmente l’incidente probatorio sulla venticinquenne di origine ivoriana, che è comparsa nella tarda mattinata di ieri in tribunale di Lecco in arrivo dal carcere psichiatrico di Castiglione delle Stiviere. Con lei il suo difensore, l’avvocato Sonia Bova, e il legale della parte lesa, il collega Marcello Perillo che invece difende gli interessi del compagno, l’artigiano di Abbadia Stefano Imberti. Un incidente probatorio nel quale, di fatto, si è discusso l’esito della perizia psichiatrica redatta dai quattro super esperti - due psichiatri e altrettanti psicologi - che erano stati incaricati dal giudice di capire se al momento della tragedia la donna fosse nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, solo in parte oppure se fosse del tutto incapace di intendere e volere come potrebbe far propendere la tesi di una depressione pregressa. Ebbene Aicha Coulibaly è stata dichiarata totalmente incapace di intendere e volere. Ora cosa succederà? Gli atti vengono restituiti al pm Citterio e a breve si tornerà in udienza preliminare: si va verso il non luogo a procedere oppure verso l’assoluzione. Comunque Aicha, pericolosa per sè e per gli altri, resterà in regime di carcere psichiatrico.
Seminfermo di mente che viveva tra i rifiuti in un garage ucciso da tre bulli di paese nel Ragusano. Due sono minori
PSICOLABILE PESTATO A MORTE DAL «BRANCO» SEVIZIATO CON PENTOLE E MATTONI. L'AVEVANO GIÀ PICCHIATO ALTRE VOLTE, ANCHE LA SERA PRIMA DEL DELITTO
(quotidiano nazionale, 8 maggio 2005)
RAGUSA — Lo hanno picchiato selvaggiamente, come avevano già fatto altre volte in passato, ma questo volta lo hanno massacrato di botte fino a provocarne la morte. La vittima è un uomo semi-infermo di mente, Salvatore Sallemi, di 59 anni, massacrato di botte nel garage dove viveva tra i rifiuti, con una branda come letto. Gli assassini sono tre giovani, tra cui due minorenni, di Vittoria, centro agricolo del ragusano conosciuto per la produzioni di primaticci in serra e per la presenza di una massiccia comunità di immigrati. Tre bulli di paese, protagonisti di una violenza bestiale e gratuita, che ricorda da vicino le scene del film «arancia meccanica». I retroscena del terribile raid, avvenuto nella notte tra lunedì e martedì, sono stati ricostruiti dalla squadra mobile di Ragusa che ha arrestato Enzo Guardabasso, 21 anni, e due suoi amici, di 15 e 16 anni, con l'accusa di omicidio volontario. Un delitto senza alcuna motivazione, se non quella di accanirsi per «divertimento» contro un uomo incapace di difendersi. Da tempo il «branco» aveva preso di mira Salvatore Sallemi, uno psicolabile conosciuto in paese con il soprannome di «Turi u micialinu». In diverse occasioni l'uomo era stato aggredito dai tre giovani nel tugurio che aveva trasformato in abitazione, in via Cacciatori delle Alpi. I vicini hanno raccontato che l'ultima spedizione punitiva era avvenuta il giorno prima del delitto. Ed è stata proprio una vicina di casa, la mattina di martedì, a scoprire l'uomo disteso nella sua brandina con il corpo tumefatto dalle percosse. L'autopsia ha accertato che Sallemi è stato picchiato alla testa e seviziato con pentole, tegole e mattoni. Gli investigatori, attraverso le testimonianze dei vicini, sono riusciti ben presto a risalire ai tre giovani, impegnati in lavori saltuari nelle campagne o nella raccolta della plastica per le serre. Nessuno di loro ha mostrato di comprendere la gravità dell' accaduto. Il più grande, al termine dell'interrogatorio negli uffici della Questura, ha detto rivolgendosi agli agenti: «Adesso posso tornare al lavoro?». Guardabasso è stato condotto nel carcere di Ragusa, con un'accusa pesante come un macigno. I due complici, di fronte al Procuratore del tribunale dei minorenni di Catania Angelo Busacca e al suo sostituto Gaspare La Rosa, hanno respinto ogni accusa, facendo però parziali ammissioni sulla loro presenza nel «basso» teatro del delitto. Anche a loro è stato contestato il reato di omicidio volontario, aggravato da futili motivi e dalle sevizie. È il secondo clamoroso episodio di «bullismo» che emerge, nel giro di pochi giorni, in provincia di Ragusa. La Procura iblea sta infatti indagando sul suicidio di tre ragazzi, che frequentavano la scuola media «Quasimodo» del capoluogo. Secondo gli inquirenti questi gesti potrebbero essere stati originati da un clima di violenza e di sopraffazione all'interno dell'istituto.