La cronaca recente è costellata di casi simbolo di delitti ‘efferati’ su cui sono state costruite intere campagne mediatiche di criminalizzazione di intere comunità o che hanno sortito l’effetto di fare approvare i cosiddetti ‘pacchetti sicurezza’ dai governi. Solitamente a connotare l’efferatezza è stata la condizione di avere vittime italiane di presunti assassini stranieri. In molti casi, coloro che erano stati sbattuti come mostri in prima pagina si sono poi rivelati innocenti.
È successo a Erba, nel comasco
Uccide quattro persone e brucia la casa
Tre donne e un bambino ritrovati senza vita nell'appartamento in fiamme.
Caccia al convivente tunisino di una delle vittime
(quotidiano nazionale, 12 dicembre 2006)
ERBA (Como) - È proseguita per tutta la notte, finora senza esito, la caccia al 25enne tunisino Abdel Fami Marzouk, il pregiudicato - uscito dal carcere per indulto - ricercato per l' atroce massacro avvenuto lunedì sera in un appartamento in via Diaz, nel centro di Erba, nel Comasco. Marzouk, secondo gli investigatori, è scomparso dopo aver ucciso a coltellate alla gola e in altre parti del corpo la moglie Raffaella Castagna, di 30 anni, il figlio Yousef di 2 anni, la suocera Paola Galli, 60, e una vicina di casa, Valeria Cherubini, 50enne, accorsa assieme al marito alle grida delle prime vittime. Anche il marito della vicina, Mario Frigerio, di 60 anni, è stato colpito dal pluriomocida: ora è ricoverato, in condizioni molto gravi, per le coltellate e per le ustioni riportate nell'incendio appiccato all'appartamento dall'assassino prima della fuga. Il tunisino è scappato a bordo di un furgone poi trovato, poco prima di mezzanotte, a Merone paesino tra Como e Lecco, nei pressi dell'abitazione del fratello di Fami Marzouk.
LA RICOSTRUZIONE - L'allarme per l'incendio è stato dato alle 20.30 di lunedì da una vicina di casa. Quando i pompieri sono entrati nell'abitazione, che si trova a Erba in via Diaz, hanno trovato i corpi senza vita delle quattro persone. Sul posto, oltre ai Carabinieri e ai vigili del Fuoco, si sono recati il procuratore della Repubblica di Como, Alessandro Maria Lodolini, e il pm di turno, Simone Pizzotti. Sul conto di Marzouk, scomparso senza lasciare tracce, vi sono precedenti penali per spaccio e rapina. Dalle prime notizie risulta che vi fossero stati da parte del tunisino diversi episodi di aggressività e violenza nei confronti della convivente. Secondo una prima ipotesi, lunedì sera l'uomo avrebbe ancora una volta aggredito la donna, che avrebbe chiesto aiuto facendo accorrere i due vicini e la madre, che abitava nelle immediate vicinanze. Contro la convivente, il figlio e le persone accorse l'uomo si sarebbe scatenato con furia selvaggia, per poi dare fuoco alla casa. Il tragico fatto di sangue ha suscitato orrore e profonda commozione a Erba, anche per la notorietà del padre di Raffaella Castagna, Carlo. Si tratta infatti di uno storico imprenditore del mobile brianzolo, conosciuto in città e in tutta la zona non solo per la sua attività imprenditoriale ma anche per le sue iniziative a sfondo benefico. L'ex cascina ristrutturata di via Diaz, nella quale è stata compiuta la strage, risulta seriamente danneggiata dalle fiamme.
Strage in famiglia, uccide e brucia tre donne e un bimbo.
Erba si cerca il convivente. E' un tunisino scarcerato con l'indulto. Ammazzati a coltellate la compagna, il figlio di tre anni, la madre e una vicina. Incendiata la casa.
(apertura di un quotidiano nazionale in prima pagina, 12 dicembre 2006)
Dai due articoli qui sopra, esemplificativi di decine di pezzi e servizi di questo tenore che sono stati pubblicati o mandati in onda nei primi giorni dopo la strage, si vede come il tunisino Marzouk viene considerato con certezza dai media il colpevole, il 'mostro' straniero da sbattere in prima pagina.
Sui media italiani, a partire dai primi anni 2000 si è diffusa la tendenza a una narrazione drammatizzata e insistita di alcuni omicidi, come in una sorta di "fiction dell'orrore" [1] che nel discorso collettivo costruisce giudizi che riguardano la dicotomia normale/anormale.
La strage di Erba si è allargata occupando molto spazio informativo e diventando tema di discussione pubblico per alcuni anni; per poi scomparire nel nulla come accade in molti di questi casi di cronaca eclatanti. Si tratta di un omicidio plurimo avvenuto l’11 dicembre del 2006 in Lombardia, nel comune di 19.000 abitanti di Erba, in provincia di Como. In serata i Vigili del Fuoco locali intervengono per un incendio divampato in un appartamento di una vecchia corte del centro urbano. Scoprono quattro cadaveri e un uomo ancora vivo, Mario Frigerio, di 63 anni, che dopo il ricovero in ospedale si riprenderà e poco meno di un mese dopo fornirà una testimonianza fondamentale per ricostruire quello che è accaduto. Fra i cadaveri c’è sua moglie, Valeria Cherubini, di 55 anni e la vicina di casa, Raffaella Castagna, di 30 e inoltre la madre sessantenne della Castagna, Paola Galli e il figlio di 2 anni Youssef. Il padre del bambino e compagno di Raffaella Castagna è Azouz Marzouk, ventiseienne. Marzouk la sera dell’omicidio è in Tunisia, a casa dei genitori. Questa assenza motiva la prima pista d’indagine della Procura di Como, nonché la notizia diffusa nelle prime ore successive che ricostruisce la responsabilità di Marzouk: l’uomo avrebbe ucciso la compagna, il figlio, la nuora e la vicina e poi si sarebbe dato alla fuga.
"L’origine nordafricana di Marzouk costituisce un punto forte degli elementi ricorrenti dell’identikit pubblico dell’assassino: è presente nella lettura un po’ di tutte le testate e di tutti i telegiornali, non solo cioè nell’informazione che si riferisce al codice ideologico politico che percepisce l’immigrazione come negativa". [2]
L’accusa cade quando si conferma che l’uomo la sera dell’omicidio era in Tunisia. Ventotto giorni dopo, il 9 gennaio del 2007, vengono arrestati altri due inquilini del condominio, i coniugi Rosa Bazzi, di 47 anni e Olindo Romano, di 48. Si è ricostruito infatti che fra loro e Raffaella Castagna correva una lunga storia di ostilità. Gli inquirenti, inoltre, hanno intercettato la coppia e hanno registrato i due mentre esprimevano soddisfazione per la pace e il silenzio seguiti alla scomparsa degli abitanti dell’appartamento del piano superiore.
I due elementi fondamentali per l’arresto con accusa di omicidio, però, sono altri due: il primo è una traccia di DNA di Valeria Cherubini, rilevata nella macchina dei Romano; il secondo la testimonianza di Frigerio, che nel corso della convalescenza afferma con sempre maggiore sicurezza che a ferirlo è stato Olindo. Due giorni dopo i Romano dichiarano di essere responsabili dei quattro omicidi; durante l’interrogatorio ricostruiscono anche con precisione che cosa è avvenuto. Spiegano che avevano deciso da tempo di vendicarsi della vicina chiassosa e insolente. Ricostruiscono come alla fine la hanno uccisa, insieme con la madre, il figlio e la vicina.
"Erba è la tappa saliente diuna storia che va da Novi Ligure ad Avetrana: come Maso il centro èsempre un episodio di comportamento deviante, la violazione diconfini fondamentali per la percezione della normalità da parte di un gruppo giudicante; più che su un giudizio però, queste narrazioni sono basate su un dispositivo culturale di proliferazione di nuove storie, di altre storie immorali, scandalose, indipendenti da quella dell’assassinio" [3]
Un caso di cronaca che diventa politico è l’omicidio di Giovanna Reggiani, avvenuto a Roma all’indomani dell’approvazione del cosiddetto ‘pacchetto sicurezza’. L'omicidio ha portato alla veloce approvazione del decreto sull’espulsione dei cittadini comunitari. "Il crimine di Mailat – efferato, come amano definirlo i media e le autorità, perché ex-fera, a sottolinearne l’impronta bestiale – ha dunque avallato la necessità e la legittimità delle recrudescenze securitarie previste perché, oltre ad appartenere a quel generico gruppo sociale nel quale ci hanno abituati a identificare coloro che minano la sicurezza dei ‘normali’, il colpevole è un rom rumeno", scrive Luciana Viarengo. "Solo poche settimane prima dell’omicidio di Giovanna Reggiani, un giudice tedesco ha sentenziato nella condanna di un immigrato sardo che l’impronta etnica – paradossalmente attenuante in quello specifico caso di stupro e sequestro – marchia in modo indelebile il destino di un uomo. La sentenza ha avuto nel nostro paese una giusta accoglienza di sdegno e incredulità - continua - All’arrivo delle ruspe nei campi fra Tor di Quinto e via Foce dell’Aniene, nessuna voce incredula si è levata. Molteplici, invece, quelle degli esponenti politici che, concordi nella sostanza, dagli opposti schieramenti parevano volersi contendere la scena e il merito dell’azione punitiva. L’efferatezza di Mailat è l’efferatezza di un’intera popolazione, i cui membri sono ritenuti culturalmente, e forse geneticamente, predisposti al crimine. Come tali, dunque, vanno isolati e allontanati prima che, assoggettati al loro inesorabile fato di criminalità, possano delinquere". [4]
La condanna collettiva non tiene conto nel caso Reggiani del fatto che a denunciare il delitto e chiamare i soccorsi è stata una donna rom romena del campo di Tor di Quinto.
Questa analisi può essere applicata anche ai casi che seguono:
Omicidio Vanessa Russo, presa la rumena
Doina Matei è accusata di aver ucciso la giovane nel metrò di Roma Bloccata dai carabinieri a Tolentino, vicino a Macerata. Era nascosta a casa di un amico assieme all'amica minorenne
(edizione online di un quotidiano nazionale, 30 aprile 2007)
ROMA - È finita la caccia: è stata fermata la donna rumena sospettata di aver ucciso con un colpo di ombrello nell'occhio Vanessa Russo nella metropolitana di Roma. Doina Matei di 21 anni e l'amica minorenne (che appare nelle immagini delle telecamere a circuito chiuso della metrò), sono state bloccate a Tolentino, in provincia di Macerata. Assieme a loro è stato arrestato un operaio argentino con l'accusa di favoreggiamento. Vive in una casa di campagna in Contrada Cisterna, nei pressi di un salumificio. Proprio in quella casa stava ospitando le due prostitute, in fuga da Roma. A Tolentino vive anche la madre della diciassettenne. INTERROGATORIO - Nella notte Doina Matei - accusata di aver trafitto Vanessa Russo con la punta dell'ombrello - è stata trasferita a Rebibbia e interrogata dagli inquirenti romani. «È stato solo un incidente» ha spiegato. Ma gli inquirenti non le credono, tanto da accusarla di «omicidio con dolo d'impeto». [...]
Omicidio Reggiani: ergastolo a Mailat
(edizione online di un quotidiano nazionale, 10 luglio 2009)
«Un fatto grave e di inaudita crudeltà». I giudici della Corte d'Assise d'Appello di Roma non hanno concesso nessuna attenuante a Romulus Nicolae Mailat e lo hanno condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giovanna Reggiani, aggredita, violentata e uccisa il 30 ottobre 2007, nei pressi della stazione ferroviaria di Tor di Quinto, mentre stava tornando a casa dopo un pomeriggio di acquisiti in centro.
Pena inasprita per il romeno di 26 anni che in primo grado era stato condannato a 29 anni. Non solo l'ergastolo ma anche isolamento diurno per sei mesi. I giudici poi hanno disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Roma per approfondire le indagini, per capire se Mailat aveva complici, se qualcuno lo ha aiutato ad uccidere la Reggiani. Un teste, Nicolaie Clopotar, sentito dalle autorità romene, disse di avere saputo che all'aggressione parteciparono anche altre due persone: Clopotar non fu sentito nel processo di primo grado perché risultò irrintracciabile. È durata un'ora e mezzo la camera di consiglio dalla quale i giudici sono usciti riformando la sentenza inflitta in primo grado il 29 ottobre scorso e condannando il romeno all'ergastolo per omicidio, rapina aggravata e violenza sessuale. Il pg gli ha contestato solo aggravanti fino a portare la richiesta della pena al massimo della condanna prevista dal codice. Richiesta accolta dalla corte.
Un delitto efferato, quello di Giovanna Reggiani, e che arrivò in piena campagna elettorale per la poltrona di sindaco di Roma contesa tra Francesco Rutelli e Gianni Alemanno. E Alemanno ha espresso la sua soddisfazione per una sentenza che «è anche un monito contro le violenze alle donne» e che arriva mentre a Roma è caccia allo stupratore seriale che ha brutalizzato almeno tre donne nei garage. Ad inchiodare Mailat fu la zia Emilia Neamtu, che disse di averlo visto trasportare il corpo di una donna e che fermò il conducente di un bus per chiamare il 113. Una testimonianza evidentemente ritenuta fondamentale dai giudici di primo grado e adesso anche da quelli d'appello. «È una sentenza giusta, nei termini in cui l'avevo sollecitata - ha commentato il pg Alberto Cozzella - Vi erano elementi solidi su cui fondare questa decisione e la Corte ha colto nel segno». «Decisione giusta; prove schiaccianti», per l'avvocato Tommaso Pietrocarlo, legale di parte civile per conto dell'ammiraglio Giovanni Gumiero, marito della Reggiani, che ha espresso anche soddisfazione perchè «è stata confermata la validità dell'impianto accusatorio del pm Maria Bice Barborini».
Violenza al parco della Caffarella
Nel giorno di S. Valentino 2 fidanzatini aggrediti da due stranieri. Lui picchiato, lei stuprata
(sito internet locale, 16 febbraio 2009)
La violenza e l’orrore non hanno avuto tregua neanche nel giorno di S. Valentino. A Roma, nel parco della Caffarella nel tardo pomeriggio di sabato 14 febbraio, due fidanzatini sono stati avvicinati e poi aggrediti da due uomini. Lei, 14 anni è stata stuprata, lui 16 anni duramente picchiato. I due giovani, ancora sotto choc per la violenza, si sono rifugiati in un bar vicino al Parco e hanno chiesto aiuto. La ragazza soccorsa e medicata all’ospedale San Giovanni è stata dimessa in serata. Gli agenti della squadra mobile stanno indagando per risalire agli aggressori.
Secondo una prima ricostruzione, si tratterebbe di due stranieri, con accento dell’Est. Sul luogo dello stupro sono state raccolte tracce utili alle indagini. Nel frattempo, le famiglie dei ragazzi e i cittadini chiedono giustizia. “Altrimenti – affermano – ce la faremo da soli”. Ed è proprio il pericolo di ritorsioni a preoccupare. Nel giro di poche ore, 4 i cittadini romeni aggrediti. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno, accorso sul luogo dell’aggressione è intervenuto, esortando i cittadini a “non farsi giustizia da soli”. "Intanto – ha assicurato la mattina del 16 febbraio il Sindaco di Roma, visitando la pineta di Castelfusano dove da questa mattina sono partiti gli sgomberi degli insediamenti abusivi - la Questura sta indagando con molta attenzione e grande dispiegamento di forze. Siamo in attesa di risultati ma c’è il massimo riserbo su questa inchiesta”. Riferendosi ai due ragazzi aggrediti, Alemanno ha sottolineato che si tratta di persone alle quali "Roma deve un risarcimento. Sono ragazzi che sono stati colpiti profondamente da questa violenza e bisogna essere solidali con loro fino in fondo per cercare di aiutarli ad uscire fino in fondo da questo tunnel”. Che ha intenzione di far loro visita ma con calma. ”Per ora – ha spiegato - è meglio lasciarli tranquilli, appena lo vorranno li incontrerò”’.
Sui raid e le rappresaglie di queste ore interviene, anche, il capogruppo del PD Umberto Marroni: "assicurare alla giustizia i colpevoli di reati efferati come gli stupri – sottolinea Marroni – è compito istituzionale delle forze dell’ordine e di nessun altro. Proclami e annunci di provvedimenti senza azioni concrete di rafforzamento delle organizzazioni istituzionalmente preposte all’incolumità dei cittadini: polizia, carabinieri e vigili urbani, alimentano solo un clima di maggiore insicurezza e odio che rischia di scatenare la caccia al diverso che nulla ha a che fare con la giusta esigenza di protezione dei romani”. E’ inquietante – conclude Marroni – apprendere in queste ore l’entità del taglio apportato dal governo ai fondi sulla sicurezza per il 2009 che prevede il blocco della riparazione degli automezzi della polizia con investimenti appena sufficienti al rifornimento di carburante. Risultato, denuncia il sindacato dei funzionari di polizia, cui va la nostra solidarietà: a Roma, dall’inizio dell’anno sono fermi 250 mezzi in dotazione ai commissariati”.
Due pesi e due misure. Quando gli stranieri sono vittime di italiani non si sente quasi mai parlare di crimine "efferato". Nel caso del senza tetto indiano Sing Navte bruciato a Nettuno da una banda di giovani balordi del posto, non si parla di razzismo, né di gesto efferato. La strage di Firenze degli ambulanti senegalesi da parte di un razzista di estrema destra non viene definita "efferata". Succede anche con la morte di Maricica Hahaianu alla metro di Anagnina, uccisa da Alessio Burtone. Da notare il diverso trattamento dei media riservato all’assassino italiano rispetto al caso di Doina Mattei, “l’italiano non aveva intenzione di uccidere”…
Colpita con un pugno nel metrò, esce dal coma
Il ragazzo si pente: "Scusate, non volevo"
L'aggressione nella stazione della metropolitana Anagnina, dove la vittima è rimasta a terra. Un 20enne ai domiciliari. Gravi le condizioni della donna, cittadina romena di 32 anni, operata e ricoverata in Rianimazione al policlinico Casilino
(edizione online di un quotidiano nazionale, 12 ottobre 2010)
ROMA - Una banale lite per un biglietto nella stazione della metropolitana, una questione di precedenza nella fila, lui le dà un pugno in faccia e lei, infermiera professionale di 32 anni, finisce in coma. Dopo essere rimasta a terra, tra il via vai dei passeggeri in transito alla fermata Anagnina. L'autore dell'aggressione, un 20enne romano già denunciato in passato per lesioni, si trova ora ai domiciliari. Bloccato da un uomo, che ha assistito alla scena e lo ha avvicinato mentre cercava di allontanarsi, è stato rincorso da altri due viaggiatori. Dopo il disinteresse iniziale, un intervento provvidenziale che ha permesso di individuare e fermare il responsabile. "Sono costernato, chiedo umilmente scusa", ha detto oggi il giovane. L'aggressione ricorda quella del 2007 a Termini, dove il 26 aprile la studentessa Vanessa Russo, 23 anni, venne colpita all'occhio con un ombrello e uccisa da Doina Matei, condannata a 16 anni. L'ultimo, gravissimo episodio ha profondamente indignato il sindaco Gianni Alemanno in traferta istituzionale in Cina ("Denuncerò chi non ha soccorso"), mentre per il Pd locale ormai "la violenza è dilagante: la città è incattivita, Roma sta cadendo in un pozzo senza fondo'".
Il pugno al volto - Il tutto è accaduto all'interno della stazione metropolitana Anagnina, venerdì pomeriggio. Il ragazzo e la donna si trovavano in fila per fare il biglietto, quando tra i due è nato un diverbio. In un secondo momento, quando la cosa sembrava finita, la lite si è riaccesa mentre i due si erano allontanati dallo sportello. Dalle parole il 20enne è passato ai fatti colpendo violentemente con un pugno la donna, Maricica Hahaianu, che è caduta all'indietro priva di sensi. E' rimasta a terra, tra il via vai dei passanti che percorrevano i corridoi della stazione. Nel frattempo un signore bloccava il ragazzo che si stava allontanado, mentre quel corpo steso per terra cominciava ad attirare l'attenzione di chi si spostava sulla banchina della metro. Al vigile urbano che poi è intervenuto, il 20enne ha detto per giustificarsi: "Lei mi ha provocato e colpito con le mani in faccia. Adesso posso andare?
Le condizioni della donna - La vittima è stata soccorsa e trasportata d'urgenza presso il policlinico ''Casilino'', dove è stata operata per le gravissime lesioni riportate al cranio. Sottoposta a un intervento neurochirurgico per un ematoma cerebrale, è stata per giorni in coma farmacologico. Oggi la sospensione. Le sue condizioni sono migliorate e stamattina i medici l'hanno staccata dai tubi. Non è però ancora fuori pericolo di vita e la prognosi resta riservata. I sanitari temono, purtroppo, conseguenze permanenti. "La donna - ha spiegato il primario di Rianimazione del policlinico, Giorgio D'Este - da questa mattina respira spontaneamente, ma è ancora in stato confusionale e registriamo una perdita di forza nella parte destra del corpo". Rimane ricoverata in terapia intensiva, ma si prevede di trasferirla nei prossimi giorni nel reparto di Neurochirurgia. L'infermiera 32enne si trova in Italia insieme al marito e al fratello, che la assistono in ospedale durante gli orari di visita consentiti. Maricica Hahaianu è sposata, ha un figlio piccolo, abita in zona Torre Angela. E' infermiera nella clinica fisiatrica Villa Fulvia, su via Appia: "Una ragazza tranquilla - hanno detto di lei i colleghi - che non ha mai dato problemi, carinissima con i pazienti".
Il video choc - Una scena agghiacciante, di violenza inaudita, quella ripresa dalle telecamere della stazione. L'atrio con il giardinetto che custodisce un vecchio vagone della ferrovia Roma-Pantano, semivuoto. Pochi i passanti e tra questi un giovane, non alto ma robusto. Una donna gli si avvicina, lo ferma e gli dice qualcosa. Il ragazzo fa per darle una testata, le sputa in faccia, sembra dalle immagini. La donna reagisce con uno schiaffo. E' a quel punto che il 20enne si scaglia contro di lei: il pugno sferrato con violenza sul volto, lei che cade all'indietro priva di sensi battendo la testa al suolo. Solo dopo alcuni minuti si forma un capannello attorno al corpo. Il ragazzo intanto si allontana, ma viene fermato da un sottufficiale delle Capitanerie di porto che tornava a casa dopo il lavoro. "Li ho visti che litigavano - ha raccontato l'uomo (nel video è vestito di scuro, ha una ventiquattrore in mano) - sembravano una coppia di fidanzati che discutevano. Li ho superati e subito dopo ho sentito un tonfo sordo, era la donna che cadeva a terra. Mi sono girato e ho visto il ragazzo mentre si allontanava incurante.
L'ho fermato e mi detto: 'Mi ha insultato e sputato, l'ho colpita"". L'autore del gesto - I carabinieri della stazione di Cinecittà, con i militari del 6° reggimento del Genio pionieri impegnati nell'operazione ''strade sicure'', dopo avere raccolto le testimonianze dei presenti, hanno preso l'aggressore. Alessio Burtone, questo il suo nome, è stato portato nel carcere romano di Regina Coeli e ora si trova agli arresti domiciliari.
"Quando è stato fermato - racconta il capitano Domenico Albanese, comandante della Compagnia dei Roma Casilina - sembrava non rendersi conto della gravità del suo gesto. Era sconvolto. Non direi che si possa definire un giovane violento, nonostante la precedente denuncia per lesioni nei suoi confronti".
Le scuse - "Sta malissimo - ha raccontato la madre del giovane - tutti noi stiamo male, preghiamo tutti i giorni perché quella donna possa riprendere la sua vita. Mio figlio non è un pregiudicato, è stato denunciato tempo fa per una lite con un coetaneo, ma la denuncia è stata ritirata"
Il ragazzo ha chiuesto scusa e anche i suoi genitori. "Sono tutti costernati - ha riferito il legale Fabrizio Gallo - e sono preoccupati per le condizioni della donna. Alessio è un bravo ragazzo, non ha precedenti, non è un violento, e non si era reso conto di ciò che aveva fatto. La famiglia ha detto: 'se possiamo fare qualcosa noi siamo pronti'". "Nessuno - ha continuato Gallo - né Alessio, né i familiari credevano che quel gesto potesse avere simili conseguenze. Alessio ora sta molto male, adesso che sta realizzando quello che è successo si è chiuso in un mutismo completo e piange. Non era assolutamente sotto l'effetto di droghe, ha solo avuto paura. Nel video si vede chiaramente che era la donna a inseguirlo, mi ha detto che lei gli avrebbe rivolto parole offensive e lo avrebbe provocato dicendogli 'Te la faccio pagare' e 'Ti faccio cadere quando arriva la metro'. A quel punto l'ha colpita".
Il testimoni - "Ero dietro di loro quando sono usciti dal bar. Il ragazzo camminava davanti e la donna lo seguiva, insultandolo e poi prendendolo a calci e pugni. Il giovane si è girato dicendo 'Ma falla finita' e con una mano l'ha colpita involontariamente. Lei è caduta a terra come un sacco di patate". A parlare è un commerciante che lavora all'interno della stazione della metro Anagnina e, raccontando di aver assistito all'episodio di venerdì, difende l'aggressore. "In 60 anni non avevo mai visto una scena del genere - ha aggiunto - una donna che picchia in quel modo un uomo. La donna se l'è cercata. L'ha chiamato anche porco". Il dipendente Atac che per primo ha soccorso la donna, ha descritto così la scena: "Ho sentito un tonfo e sono uscito dall'ufficio. Lei era sdraiata per terra, poco distante c'era un uomo che, tenendo un giovane per un braccio, chiedeva aiuto. Ho temuto che potesse morire e sono andato a chiamare soccorsi. Non capivo cosa stava succedendo - ha aggiunto - il ragazzo ripeteva che era stato importunato. All'inizio quando sono uscito non c'era nessuno accanto alla donna, sono stato tra i primi a vederla. Poi carabinieri e vigili hanno allontanato le persone per consentire i soccorsi". Le reazioni - Incredulità e rabbia per quanto accaduto. Il sindaco Alemanno, da Pechino, si è detto pronto a denunciare chi non è intervenuto. "Non è accettabile - ha fatto sapere - che in una città come Roma avvengano cose del genere e, tanto più, non è possibile che ci sia una tale indifferenza". Ugualmente il Codacons, che ha depositato una denuncia contro ignoti alla procura della Repubblica di Roma chiedendo ai magistrati "di individuare i soggetti ripresi nel video dell'aggressione, i quali non hanno prestato alcun soccorso alla donna malmenata". E se per Renata Polverini si tratta di un fatto anche "culturale" su cui bisogna intervenire, il Pd di Roma ha insistito sulla "violenza ormai dilagante". "La città è incattivita - ha dichiarato Marco Miccoli, coordinatore locale dei democratici - in preda a pulsioni egoistiche che mai avevano avuto cittadinanza nella capitale"
Gli attivisti per i diritti civili hanno promosso una "manifestazione cittadina autorganizzata, apartitica" per il tardo pomeriggio, con "lenzuola insanguinate per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla violenza contro le donne".
LA DONNA AGGREDITA
E' morta Maricica Hahaianu i medici staccano la spina
Da ieri i medici del Policlinico Casilino dove l'infermiera era ricoverata, parlavano di "coma irreversibile".Si aggrava la posizione di Alessio Burtone, il legale: "Sarà difficile difenderci". Alemanno: "In carcere"
(edizione online di un quotidiano nazionale,15 ottobre 2010)
ROMA - E' morta Maricica Hahaianu, l'infermiera romena di 32 anni colpita con un pugno venerdì scorso al termine di una colluttazione alla stazione della metropolitana Anagnina, a Roma. Maricica era in coma dopo essere stata colpita con un pugno dal ventenne Alessio Burtone, con cui aveva discusso poco prima, in fila alla biglietteria. Poi, dopo un leggero miglioramento, l'aggravarsi delle sue condizioni ieri. Pochi giorni dopo, il giovane che l'aveva colpita, ha chiesto perdono in una lettera alla famiglia.
Il dolore del marito. "Mia moglie spesso, rientrando a casa dopo il lavoro, mi diceva: 'Siamo riusciti a salvare una vita'. Purtroppo questa volta nessuno è riuscito a salvare lei". Sono queste le parole con cui il marito di Maricica ricordava la moglie mentre i medici aspettavano solo di staccare la spina. "Sull'eventuale donazione degli organi della donna - spiega il legale della donna- dovono ancora decidere. E' un momento di grande sconforto per i parenti e non sono in grado di avere lucidità su questo. Ci siamo presi qualche ora di tempo per valutare". I
Si aggrava la posizione del ragazzo - Ora Burtone è ai domiciliari. Ma ora potrebbe venirgli contestato l'omicidio preterintenzionale e il pm potrebbe richiedere la custodia in carcere. Il suo legale ha già preannunciato che la sua difesa sarà difficile. "Nel processo avremo difficoltà a difenderci - afferma l'avvocato Fabrizio Gallo, difensore di Burtone - la crudezza dell'ultima immagine, quella in cui il mio assistito se ne va, è orribile. Le lesioni non sono state provocate del pugno, sono derivate dalle caduta successiva al colpo. Il reato contestato sarà quindi omicidio preterintenzionale e non volontario. Ma la posizione del mio assistito potrebbe aggravarsi".
Le voci nel suo quartiere - "Alessio non è un assassino, lui e la sua famiglia sono brave persone". Nel quartiere Cinecittà dove abita Burtone, vicini di casa, amici e conoscenti hanno una sola voce: "Non lo ha fatto apposta". Nell'androne del palazzo dove vive il giovane c'è trambusto da questo pomeriggio. Un gruppetto di amici di Alessio racconta: "Ci abbiamo parlato su Facebook e ha detto che sta male. Ci ha detto che l'ha colpita perchè aveva paura, perchè la signora aveva messo le mani nella borsa. E' un bravo ragazzo...". Quando nel pomeriggio i carabinieri sono arrivati a casa di Burtone (al momento agli arresti domiciliari), per il consueto controllo tra molti serpeggiava il timore che potessero portarlo via. "L'ho visto nascere - dice dispiaciuta un'anziana signora del suo palazzo - spero non lo portino in carcere, è un ragazzino, non se lo merita".
Al diverso trattamento mediatico corrisponde anche un diverso trattamento giudiziario con la relativa sanzione per gli autori dei due omicidi compiuti nella metro con modalità e in circostanze simili. Niente sconti di pena e conferma della condanna a sedici anni di reclusione per Doina Matei, definita la prostituta romena di 23 anni. Pena ridotta a 8 anni e poi arresti domiciliari per Alessio Burtone, il bravo ragazzo che non intendeva uccidere.
Omicidio nella metro: condanna confermata in cassazione per la Matei“
Dichiarato inammissibile il ricorso della difesa della donna romena che nell'aprile 2007 ha ucciso a Termini Vanessa Russo“
(sito internet locale, 26 gennaio 2010)
Doina Matei resterà in carcere per 16 anni. E' infatti diventata definitiva la condanna inflitta in primo e secondo grado. La Cassazione questa mattina che ha rigettato il ricorso dell'omicida di Vanessa Russo. Secondo il Procuratore generale, Giuseppe Galati la sentenza di secondo grado - che aveva qualificato il delitto come omicidio preterintenzionale, aggravato dai futili motivi - "era corretta sia per quanto riguarda il 'no' alla concessione delle attenuanti per la provocazione, sia per le modalità brutali dell'aggressione; corretto anche il riferimento all'aggravante dei futili motivi per i quali è stato compiuto il gesto omicida".
Il delitto, infatti, suscitò profondo allarme per la sua efferatezza (la punta dell'ombrello entrò nell'occhio e sfondò il cranio della vittima) e per il fatto che Doina Matei e Vanessa Russo nemmeno si conoscevano. Il colpo mortale fu sferrato in risposta ad un banale alterco tra le due donne.
Romena morta dopo un pugno: Burtone agli arresti domiciliari“
Arresti domiciliari per Alessio Burtone, il ventiduenne romano condannato a otto anni di carcere per l'omicidio dell'infermiera romena Maricica Hahaianu, uccisa con un pugno nell'ottobre del 2010 a Roma.
(sito internet locale, 27 febbraio 2013)
La Corte ha recepito una istanza presentata dall'avvocato Fabrizio Gallo, difensore del giovane. Burtone sta scontando una condanna a 8 anni di reclusione per omicidio preteritenzionale, seguito a una sentenza in primo grado di 9 anni poi ridotta in appello. Il fatto era avvenuto alla stazione metropolitana Anagnina ormai oltre due anni fa. Burtone aveva colpito la donna al termine di una lite.
SUL DECESSO - Maricica morì poco dopo l'accaduto, dopo un coma durato otto giorni. Ampio il dibattito sulle cause. Secondo i periti della Corte d'Assise di Roma "l'Hahaianu morì a seguito di un danno a livello del tronco encefalico insorto a causa di vasospasmo dell'arteria basilare, dovuto a cause di cui è impossibile l'accertamento" spiegarono i professori Vetrugno ed Anile che, con il lavoro eseguito, avrebbero dimostrato che a nessuno poteva essere addossata la responsabilità per la morte della donna. Burtone ha sempre sostenuto di non aver dato un pugno alla donna, ma una manata, aspetto che, secondo la difesa, sarebbe stato confermato dall'autopsia: "Non ci sono lesioni al viso della donna c'è solo una ferita sotto il labbro nella parte sinistra di 1,2 cm non lacero contusa, segno di una ferita non da corpo contundente. Questo significa che Burtone non ha colpito con le nocche ma con il palmo. Infatti, il ragazzo ha sempre sostenuto di avergli dato una manata e non un pugno".
[1] Bassano G., L’Italia: Erba e gli altri. Aspetti eproblematiche del discorso sociosemiotico disanzione sugli omicidi più raccontatinell’ultimo decennio, Progetto di Ricerca per il Dottorato Triennale in Semiotica dell’Università di Bologna, Anno 2011, pubblicato su www.academia.edu
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Viarengo L., L'omicidio Reggiani e la condanna di un popolo, Paginauno n. 6, febbraio - marzo 2008