Per comprendere come si arriva ai casi di assalti violenti ai campi Rom da parte dei cittadini, episodi gravissimi di cui sono costellate le cronache italiane degli ultimi anni, occorre fare un breve excursus sulla storia dei pregiudizi nei confronti della popolazione Romanì.
Scrive l'antropologo Leonardo Piasere [1]: "per tutto l’ancien regime degli zingari si è detto che erano della stirpe di Caino, una stirpe maledetta condannata a girovagare per il mondo a causa del fratricidio compiuto dal loro progenitore. Da Lombroso in poi sono stati visti come una razza delinquente “atavica” cioè delinquenti per nascita e in modo definitivo; ma a questa visione negativa se ne contrappone un’altra quella letteraria che rifacendosi al primitivismo romantico esalta la figura dello zingaro in quanto più vicino alla natura con la sua passonalità e istintività".
Frasi fatte:
Dunque anche gli stereotipi positivi sono discriminatori e contribuiscono a una visione falsata della realtà, come quella che vede i Rom nel ruolo di figli del vento.
In un'altra occasione, Piasere riassume "l'amalgama di stereotipi negativi e positivi che si tramandano nella letteratura occidentale di generazione in generazione a partire dal '400". [2]
Ad esempio la zingara che legge il futuro, quando non sono tante le comunità in cui le donne effettivamente leggono il futuro;
lo zingaro sporco e ladro, stereotipo negativo;
Anche in questo caso non si può generalizzare. Il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima l’emergena nomadi decretata dal governo italiano nel 2008 perché non che non c’è effettivo “pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” quando in un territorio ci sono insediamenti nomadi. L’emergenza, scrivono i giudici, non è supportata da dati, che ad esempio dimostrino l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza dei rom.
oppure lo zingaro amante della libertà e Figlio del Vento, quando è molto difficile dire che siano "figli del vento", liberi come il vento. "Voglio dire che la libertà individuale all'interno della comunità certo c'è, ma, nella comunità, l'importante è la coesione interna: vi è sempre la ricerca dell'unanimità" spiega Piasere. Inoltre i Rom non sono nomadi nella stragrande maggioranza dei casi. "E' difficile dire se abbiano abbandonato o se abbiano sempre praticato il nomadismo- afferma Piasere - Sta di fatto che oggi non sono nomadi, ed è molto difficile dire se un tempo lo siano stati". [3]
La storia delle comunità Rom in Europa è una lunga sequenza di violenze, generate dagli stereotipi spesso fomentati ad hoc dalle autorità. Tanto che Piasere arriva a dire che "la oggi famosa cultura zingara è un prodotto di questa storia", vale a dire che per resistere a tutto questo e alle politiche degli Stati nazione rivolte contro di loro, i Rom hanno attuato come strategia di reazione alle persecuzioni (evitandole, attenuandole o sopportandole) "una strutturazione a polvere". [4]
“L’oscillazione fra il buon selvaggio e il cattivo selvaggio si perde però nei tribunali e nelle caserme di polizia - continua Piasere - In questi luoghi lo zingaro è solo il cattivo selvaggio delinquente. Le polizie si organizzano: in Germania a fine ottocento viene creato un ufficio apposito contro la piaga zingara. In Francia a inizio Novecento si instaura una modalità di controllo del nomadismo basata su indicazioni antropometriche da registrare in una carta individuale". [5] In un altro testo, scrive ancora che gli zingari "sono oggetto nella storia del continente delle emozioni più forti, dall'odio allo schifo, dal disprezzo alla paura, ma anche di quelle più contraddittorie come la pietà cristiana per i derelitti, o l'ammirazione romantica per la libertà dalle forze coercitive della società, o quella libertaria e post-modernista per la resistenza al Potere".[6]
Sono stati gli antropologi razzisti italiani e tedeschi a offrire delle teorie razziste come base “scientifica” dell’olocausto nazifascista (vedi Porrajmos). Ma il genocidio perpetrato durante la seconda guerra mondiale è diretta conseguenza di secoli di persecuzioni e pogrom. "Hitler non ha fatto altro che attuare in pochi anni quanto in Europa occidentale si tentava di fare da secoli: liquidare completamente gli zingari per il bene dell’Europa" commenta ancora Piasere.
Le comunità rom e sinte più colpite sono quelle che abitavano nei territori occupati dai tedeschi nell’Europa centrale e orientale: si stima che alcune regioni dell’Europa centrale siano state completamente “deziganizzate” e che altre abbiano subito fino a un calo dell’80% dei suoi membri.
Si arrivò al genocidio sulla base dell'idea che gli "zingari" fossero una razza inferiore e i presupposti furono degli atti amministrativi, delle circolari, in cui nel 1937 venivano identificati come "vagabondi" e quindi "asociali". Questi stereotipi etnici persistono ancora oggi e sono alla base degli atti di violenza contro le comunità rom sfociate nei progrom di Napoli e Torino dal 2008 al 2014.
Secondo Federico Faloppa, l' etnicizzazione del crimine o criminalizzazione su base etnica avviene trasferendo a narrazione dal piano razionale a quello pre-razionale, emotivo, fino a che "siamo così assuefatti a certe parole, certe espressioni, che non ci interroghiamo neanche più sul loro uso, sul loro significato. Le prendiamo per buone. Le accettiamo acriticamente". [6]
La parola "pogrom" è tornata a essere usata per indicare alcuni assalti a campi Rom negli anni recenti. Ad esempio nel caso del campo assaltato e incendiato da una folla inferocita di cittadini nel 2011 a Torino dopo un'accusa di stupro da parte di due giovani rom che si è rivelata falsa il giorno seguente. "Il pogrom di Torino" è il titolo di un post del blog di Gad Lerner all'indomani di questo episodio di violenza."Il pogrom di Torino contro un campo nomadi ci ricorda che la barbarie è sempre lì dietro l’angolo" ha scritto il giornalista.
[1] L. Piasere, I rom d’Europa. Una storia moderna, Editori Laterza, 2009
[2] Chi sono gli zingari? Intervista a Leonardo Piasere, www.albertomelis.it
[3] Ibidem
[4] L. Piasere 2009, op. cit.
[5] Ibidem
[6] L. Piasere, Scenari dell'Antiziganismo, Seid Editori, 2012
[7] F. Faloppa, Razzisti a parole (per tacer dei fatti), Editori Laterza 2011, pag.111
Dal 2008 al 2014 si sono verificati diversi episodi di pogrom e assalti violenti ai campi Rom dal nord al sud dell'Italia. Un fenomeno che sembra davvero preoccupante se messo in relazione con quanto detto in questa sezione sui pregiudizi storici e le ondate xenofobe contro i Rom in Europa negli ultimi sei secoli. Insomma, restando su fatti e dati concreti, a destare allarme sociale non dovrebbero essere tanto gli insediamenti Rom ma gli attacchi razzisti contro di loro nutriti da antiziganismo.
Esamineremo qui di seguito alcuni reportage e cronache collegate ai gravi episodi in questione, che, cronologicamente, sono:
Pogrom di Ponticelli (Napoli), maggio 2008
Assalto alle case dei Rom abruzzesi di Alba Adriatica, novembre 2009
Pogrom del campo della Continassa a Torino, dicembre 2011
Pogrom del campo di via del Riposo a Napoli, marzo 2014
Il caso di Ponticelli (Napoli) è l'unico documentato in cui una giovane rom è stata condannata dai giudici per tentato rapimento di una bambina. (vedi la voce "ladri di bambini"). E’ la vicenda sfociata a maggio 2008 nell’assalto e nell’incendio del campo rom da parte dei residenti e di uomini legati ai clan della camorra. Ma non c’erano altre prove se non la testimonianza della madre della bimba e dei suoi parenti. In seguito a questo episodio venne dichiarato il contestato provvedimento dell' “emergenza nomadi”, decisa per decreto dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il 21 maggio 2008 nelle regioni Lombardia, Lazio e Campania e reiterata ogni anno fino al 2011 (vedi la voce 'discriminazione'). I rom del campo di Ponticelli furono scacciati con il fuoco dalle loro case il 13 maggio 2008 dopo il presunto tentativo di rapimento di un neonato da parte di una ragazzina rom minorenne, per il quale la giovane rom è stata condannata anche in appello a quattro anni di reclusione su una base indiziaria, ossia la "percezione" della madre del bambino che "non avrebbe motivo di mentire".
Nell'incendio dei campi si distinse la funzione di comitati civici anti-rom. Anche il Pd locale affisse un manifesto a sostegno di questa campagna anti-rom. Settecento persone che vivevano nel campo dovettero fuggire. I media descrissero i fatti come una “sollevazione popolare”, ma si scoprirà successivamente che sull'area del campo c'era un progetto di riqualificazione urbanistica da milioni di euro e che gli appalti facevano gola ai clan della camorra. Lì, infatti, doveva sorgere il Palaponticelli. Anche se l'esito giudiziario è stato di colpevolezza per la giovane rom, molte inchieste giornalistiche e alcuni libri hanno rivelato la speculazione edilizia e il fatto che la mamma del neonato era invece parente di un boss camorristico del territorio.
In base alle testimonianze raccolte da varie fonti (Libro bianco sul razzismo in Italia a cura di Lunaria, 'I giorni della vergogna' libro scritto dal giornalista del Corriere della Sera Marco Imarisio, e 'Una sentenza già scritta' di Miguel Mora, giornalista spagnolo di El Pays, pubblicata anche su Internazionale), questi sono i punti chiave dei fatti di Ponticelli:
1) la madre che ha denunciato il tentato rapimento del bambino è figlia di un affiliato alla camorra
2) il clan camorrista voleva il pizzo sulle baracche dai rom
3) l'area del campo rom era destinata a una speculazione edilizia
4) il clan in questione puntava a quegli appalti
Dopo quattro anni di reclusione, la metà dei quali passati nel carcere minorile di Nisida e il resto in una casa famiglia, la ragazza Rom è stata intervistata in video dal giornalista Giuseppe Manzo ad agosto 2012. "Dicono che la legge è uguale per tutti, non mi sembra, quando mi hanno giudicata ero una bambina di 15 anni, quello è razzismo e rabbia, non legge - ha detto la giovane -il mio ricordo è di tutta quella gente, soprattutto i bambini, che non c'entravano niente".
Ma se guardiamo a come è stata riportata la vicenda sui media italiani, possiamo vedere come in questo e nei casi seguenti, ci sono stati dei tardivi 'mea culpa' o solo dopo alcuni giorni la violenza è stata inquadrata in una cornice razzista ricorrendo all'uso della parola 'pogrom'.
Ponticelli, roghi nei campi rom
A Roma commissario straordinario
Il sindaco Alemanno: come a Milano anche nella capitale al prefetto poteri speciali Ma avverte: distinguere tra delinquenti e chi vuole "vivere nella legalità"
Ancora molotov contro le baracche dei nomadi nel quartiere napoletano
(cronaca locale di un quotidiano nazionale, 14 maggio 2008)
Torna a salire la tensione nel quartiere napoletano di Ponticelli. Nuovi roghi sono divampati nei campi nomadi. E mentre in prefettura le autorità cittadine e le associazioni discutono sul trasferimento dei rom, il sindaco della capitale Gianni Alemanno, annuncia che "il commissario straordinario per i rom sarà rapidamente esteso anche a Roma", con il prefetto che "sarà affiancato da un altro funzionario". Nuovi roghi. Ancora incendi dolosi nei campi nomadi di Napoli. Fiamme sono state appiccate con bottiglie molotov in tre insediamenti in via San Pietro e Paolo, in via Argine e in via Ville romane nel quartiere Ponticelli. Le baracche andate a fuoco erano vuote, dato che nelle ultime ore i campi sono stati abbandonati dai nomadi scortati dalle forze dell'ordine e con mezzi messi a disposizione dalla Protezione civile. La gente ha agito indisturbata fino all'arrivo dei vigili del fuoco e poi della polizia. Secondo le prime ipotesi fatte dalle polizia, gli incendi appiccati da ignoti farebbero parte di una strategia per evitare l'eventuale ritorno dei rom nei campi abbandonati. Via anche dall'ultimo campo. I rom hanno abbandonato anche l'ultimo campo rom di Ponticelli. I nomadi, una cinquantina, avevano detto che non avrebbero abbandonato il campo: "Non sappiamo dove andare - aveva detto uno dei capifamiglia - viviamo qui da due anni e non abbiamo mai avuto problemi con la gente del posto". "Secondo noi la scelta di andare via fatta dagli abitanti degli altri campi non ha senso - aveva aggiunto - se anche andassimo a Roma e o a Venezia non cambierebbe niente, saremmo sempre cacciati". Vertice in prefettura. Dopo gli ultimi assalti oggi si è svolto un vertice in prefettura a Napoli fra i rappresentanti delle forze dell'ordine, delle amministrazioni locali e delle associazioni. L'incontro ha evidenziato la necessità di trasferire i rom, che adesso alloggiano momentaneamente nel campo di via Santa Maria del Pianto, in zone più sicure vista la crescente ostilità della popolazione, fanno sapere i rappresentanti del Comitato pro rom e dell'Associazione "Chi rom e chi no". Gli incidenti sono scoppiati dopo l'incriminazione di una giovane nomade accusata di tentativo di rapimento di una neonata. Gli abitanti della zona avevano preso d'assalto e dato alle fiamme anche l'edificio di una vecchia struttura sanitaria, da anni abbandonata e utilizzata dai rom. Stamane un centinaio di nomadi, che si erano concentrati nel campo di via Malibran, sono stati trasferiti e accompagnati in una destinazione per il momento sconosciuta, scortati dalle forze dell'ordine. Roma. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno a Radio 24, ha annunciato che il provvedimento preso a Milano, sarà adottato anche nella capitale. Il sindaco ne ha parlato in mattinata con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. In particolare, Alemanno ha precisato che si tratterà di poteri che operano "sia sul versante della pubblica sicurezza che sulla definizione territoriale, e su quella solidale". Dovrà, insomma, decidere per interventi sulla disposizione dei campi e a favore dei minori e delle persone disabili. "E' importante - ha concluso Alemanno - che il commissario abbia risorse economiche". Secondo il sindaco "se c'è una persona sgradita a Roma deve essere allontanata e questo vale, ad esempio, per i milanesi e per i cittadini dei paesi neocomunitari, altrimenti le nostre città saranno invase da cittadini che operano ai limiti della legalità". Ma Alemanno ha anche chiarito che se il nomade ha cittadinanza italiana va integrato, e dovrebbe essere integrato nei quartieri normali. Per quanto riguarda i rom non italiani bisogna distinguere, per Alemanno, tra coloro che vogliono vivere nella legalità, che vanno accolti, e coloro invece che - anche per cultura - vogliono delinquere, che "vanno allontanati". Quanto alla vicenda di Ponticelli, il commento di Alemanno è stato netto: "Il lassismo può generare la cultura della giustizia fai da te, non l'allarmismo''. Il sindaco ha chiarito di esser contrario alla giustizia "fai da te" sottolineando però che "la cultura della legalità deve essere senza condizioni" e che se lo Stato dà al cittadino la sensazione di non difenderlo e garantirgli la sicurezza, "il cittadino è costretto a difendersi da solo". ''Prima la legalità - ha aggiunto Alemanno - poi la solidarietà''.
Come possiamo vedere dall'esempio qui in alto, invece di inquadrare l'incendio del campo come un fenomeno di razzismo, in pratica attraverso le dichiarazioni politiche si ribalta l'ottica dando quasi la colpa dell'assalto agli stessi rom che 'non si integrano' o 'sono delinquenti'. "Il cittadino è costretto a difendersi da solo". Inoltre segnaliamo l'uso scorretto e discriminatorio della parola nomade (leggi voce corrispondente), usata in realtà per riferirsi solo alle persone delle comunità rom.
Il pogrom moderno
(stessa testata, prima pagina nazionale 16 maggio 2008)
"Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case": proprio voi, telespettatori, lettori di giornali, guardate e chiedetevi se sono esseri umani questa donna, quest' uomo e questo bambino che una fotografia terribile ci ha mostrato caricati coi loro stracci sul pianale di un' Ape, in fuga davanti a popoli ebbri di sangue.Così, con le parole di Primo Levi, avrebbe potuto e dovuto cominciare qualunque reportage sugli eventi di Ponticelli se il giornalismo riuscisse sempre ad avere una memoria lunga e una funzione civile, se non si riducesse talvolta a essere la registrazione muta di orrori quotidiani o la feroce amplificazione di pregiudizi e razzismi diffusi. Là dove si alzano ancora cumuli di immondizia le fiamme consumano ora baracche, materassi e stracci nelle tane dove altri esseri umani hanno trovato un rifugio meno che bestiale. La parola pogrom è uscita dalle rievocazioni storiche della Shoah per diventare realtà. Non è nemmeno escluso che si possa alla fine scoprire che stavolta - per la prima volta - gli zingari hanno cominciato a rubare bambini, come voleva il pregiudizio di quell' Italia contadina che aveva tanti figli e non conosceva altra ricchezza che la sua prole. Ma c' è un' altra prima volta, questa certa e indiscutibile, che riguarda noi, gli italiani. Da oggi la parola «pogrom» ha cessato di indicare solo tragedie di altri tempi e di altri popoli per diventare la definizione di atti compiuti da folle di italiani. Dobbiamo capire perché: e non ci aiutano le grida di incoraggiamento alle folle inferocite che giungono quasi da ogni parte politica. Bisognerebbe che qualcuno facesse un esame pacato di quel che è accaduto nelle nostre città e in quella vasta, informe e desolata periferia in cui è stata trasformata tanta parte del suolo della penisola...
Una sentenza già scritta
Napoli. La giovane rom condannata per il tentato rapimento di una bambina a Ponticelli potrebbe essere innocente. L'inchiesta del corrispondente dall'Italia del quotidiano spagnolo El Pais.
(El Pais, riportata su Internazionale il 6 febbraio 2009)
Il secondo caso riguarda l'assalto e l'incendio del campo della Continassa a Torino a dicembre 2011 dopo la falsa notizia di uno stupro commesso da due giovani del campo ai danni di una torinese, ma la storia si rivelerà totalmente inventata. Purtroppo solo dopo la distruzione del campo. L'autore dell'articolo usa il condizionale e afferma che “I militari adesso stanno cercando di ricostruire la vicenda con grande cautela”. Ma nel titolo la notizia viene data come certa.
Mette in fuga i due rom che violentano la sorella
Vittima una sedicenne caccia agli aggressori
(Cronaca di Torino, quotidiano nazionale, 10 dicembre 2011)
TORINO Violentata dietro un cespuglio in corso Cincinnato. Vittima una sedicenne che stava tornando a casa. Ad aggredirla sarebbero stati due rom. L’hanno avvicinata per derubarle il cellulare, poi hanno abusato di lei trascinandola in un giardino. Poco dopo è arrivato il fratello della ragazza e li ha messi in fuga.
Una brutta storia su cui stanno indagando i carabinieri della compagnia Oltre Dora. La gente del quartiere Vallette ha deciso di ribellarsi. Questa sera è previsto un presidio contro gli immigrati che vivono nei casolari della Continassa. Il fatto sarebbe accaduto due giorni fa, intorno alle 18. La ragazza era a piedi. Stava camminando sotto il ponte. Era già buio. Alle sue spalle sono comparsi improvvisamente due uomini, che l’hanno afferrata in mezzo alla strada e minacciata. «Dacci il cellulare, fai in fretta» hanno detto. La ragazza ha consegnato loro il telefonino. I due però l’hanno trascinata dietro due grossi cespugli. Lì hanno consumato la violenza, dopo averla immobilizzata. Uno la teneva ferma. L’altro le ha strappato i vestiti. Dieci minuti di terrore. Il fratello della ragazza ha sentito le grida ed è corso in suo aiuto. «Li ho fatti scappare - racconta - Li ho inseguiti per un tratto ma sono riusciti a fuggire scavalcando la recinzione della scuola Russell». Potresti riconoscerli? «Certo. Uno era alto e aveva i capelli a spazzola, indossava una felpa grigia. L’altro aveva una vistosa cicatrice in faccia». I militari adesso stanno cercando di ricostruire la vicenda con grande cautela. Soprattutto andando alla ricerca di altri testimoni. Qualsiasi dettaglio. Il primo a soccorrerla è stato proprio il fratello. «Ho chiamato i carabinieri e l’ambulanza. Mia sorella era terrorizzata e sotto shock» dice. Le indagini sono all’inizio. Il cellulare della sedicenne è sparito. Forse può essere rintracciato e localizzato. La giovane è stata portata all’ospedale Sant’Anna. I primi accertamenti medici confermano la violenza. Una violenza brutale. Al pronto soccorso sono stati recuperati gli indumenti della minorenne e consegnati agli investigatori per gli esami scientifici alla ricerca di eventuali tracce biologiche. Le famiglie della zona si sono mobilitate per protestare contro i rom che vivono nella zona. Per oggi è prevista una fiaccolata contro la violenza. Ma anche di denuncia. Nel mirino l’area della Continassa, dove vivono una cinquantina di rom. «Sappiamo dove si ritrovano. La situazione è insostenibile».
Il giorno seguente, sulla stessa testata, la notizia però cambia e anche il modo in cui viene riportata è ovviamente diverso.
Spedizione contro i rom per uno stupro inventato
La 16enne di Torino confessa dopo il raid:"Solo una bugia". Baracche e roulotte in fiamme
TORINO Una ragazza di sedici anni denuncia un falso stupro da parte di due stranieri e il corteo organizzato dai familiari per protestare contro la violenza, con la gente del quartiere, ignari della menzogna, degenera in un vero e proprio assalto a un campo rom alla periferia di Torino. Dieci-quindici minuti di violenza e paura, con qualche decina di persone, alcune armate di bastoni, che invadono il campo alla cascina Continassa, fanno fuggire i rom, spaccano tutto quello che trovano e poi, con le stesse fiaccole usate per il corteo, danno fuoco alle baracche. A fermarli è il fratello della ragazza che, accompagnato dai Carabinieri, li avvicina mentre fiamme e fumo si alzano dalla cascina. Li convince a desistere e qualche minuto dopo le autobotti dei Vigili del fuoco, fino a quel momento bloccate dai manifestanti violenti, entrano nel campo e cominciano a spegnere le fiamme. I violenti si allontanano alla spicciolata; il corteo, che era partito da piazza Montale si disperde e delle 400-500 persone che vi avevano aderito per esprimere solidarietà alla ragazza e protestare contro la violenza non vi è più alcuna traccia. Alla fine si contano i danni, non ci sono feriti, due persone sono arrestate per danneggiamento aggravato e il sindaco di Torino, Piero Fassino, tuona la condanna sua e della città per quel quarto d’ora di violenza. «È assolutamente inaccettabile - dice senza mezzi termini - che si dia luogo a manifestazioni di linciaggio nei confronti di persone» per la «sola ragione che sono cittadini stranieri. Torino - aggiunge - è una città civile che ha saputo sempre rispettare ogni persona, quale che sia il luogo in cui è nata, la lingua che parla, la religione che pratica». E poi la conferma dell’impegno a «respingere chi vorrebbe precipitare la vita della città nell’intolleranza, nell’odio e nella violenza». E tutto per la bugia di un’adolescente. La ragazza aveva raccontato il falso stupro ai Carabinieri con una serie di particolari. Stava rincasando - aveva detto - mercoledì sera, quando due giovani stranieri l’avevano avvicinata e le avevano chiesto il cellulare. Subito dopo erano apparse chiare le loro intenzioni; l’avevano portata su una collinetta di un parco e - ha raccontato - l’avevano violentata a turno. «Erano stranieri - ha aggiunto - puzzavano; uno dei due aveva una cicatrice sul viso. Io ero vergine. È stato terribile». A trovarla, ancora senza pantaloni, era stato il fratello, che poi ha chiamato i Carabinieri che l’hanno portata in ospedale. La denuncia, però, fin dal primo momento non ha convinto i militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Torino e della Compagnia di Torino Oltre Dora. I medici dell’ospedale Sant’Anna hanno confermato il rapporto sessuale senza esprimersi però sulla violenza, della quale, invece, si sono detti convinti il fratello e i familiari, al punto da organizzare la fiaccolata di stasera. Una manifestazione che doveva essere pacifica, con tanti cittadini ignari di quello che la ragazza ha poi detto ai Carabinieri. Non è vero nulla, nessuno stupro, nessuna violenza. Troppo tardi per fermare la violenza vera che, alla cascina Continassa si era intanto scatenata contro i Rom e il loro campo. I Carabinieri di Torino hanno arrestato due persone con l’accusa di aver partecipato in serata all’assalto al campo Rom alla periferia della città. Si tratta di un giovane di 20 anni e di un uomo di 59. Sono accusati di danneggiamento aggravato.
Infine il giorno seguente arriva anche l'ammissione di colpa della testata (primo e forse unico caso in Italia). Sul titolo razzista, però la redazione chiede scusa a se stessa e ai lettori, dimenticando di scusarsi con i Rom che hanno perso tutti i loro averi e i documenti nel raid incendiario.
Il titolo sbagliato
(quotidiano nazionale, 11 dicembre 2011)
TORINO Il razzismo di cui più dobbiamo vergognarci è quello inconsapevole, irrazionale, che scatta in automatico anche quando la ragione, la cultura, le convinzioni più profonde dovrebbero aiutarci a tenerlo lontano. Ieri, nel titolo dell’articolo che raccontava lo «stupro» delle Vallette abbiamo scritto: «Mette in fuga i due rom che violentano sua sorella». Un titolo che non lasciava spazio ad altre possibilità, né sui fatti né soprattutto sulla provenienza etnica degli «stupratori». Probabilmente non avremmo mai scritto: mette in fuga due «torinesi», due «astigiani», due «romani», due «finlandesi». Ma sui «rom» siamo scivolati in un titolo razzista. Senza volerlo, certo, ma pur sempre razzista. Un titolo di cui oggi, a verità emersa, vogliamo chiedere scusa. Ai nostri lettori e soprattutto a noi stessi.
Ma questa non è l'unica testata ad avere riportato i fatti in questo modo, cioè esaltando l'orgine etnica dei presunti stupratori e dando grande rilievo nei titoili a una notizia ancora non confermata. Come fa notare Giuseppe Faso in una puntuale analisi su "Cronache di ordinario razzismo", in questo articolo di un'altra testata, l'autore dell'articolo si "deresponsabilizza" attraverso l'uso delle virgolette e delle dichiarazioni della ragazza e della madre della ragazza, ma l'articolo contiene una drammatizzazione della storia dello stupro che è destinata ad alimentare la rabbia dei lettori.
Sedicenne denuncia Violentata sotto casa
(cronaca locale di una testata nazionale, 10 dicembre 2011)
«ERANO in due, sembravano zingari. Uno mi teneva ferma e l' altro mi violentava». Sandra, il nome è di fantasia, ha appena 16 anni: una bella ragazza, ma non appariscente. Mentre rientrava a casa, mercoledì scorso, è stata aggredita per strada. LA VOCE le trema nel rivivere quei momenti. «Erano passate da poco le 18, faceva già buio. Io ero quasi arrivata a casa, mi trovavo in corso Molise, quasi all' angolo con viale dei Mughetti (in zona Falchera n.d.r.). Poi sono arrivati loro, non me ne sono accorta subito». Sandra si interrompe e piange. «Dopo avermi strappato di mano il telefonino, mi hanno aggredito: uno mi teneva da dietro, l' altro abusava di me». La ragazza prende fiato. «Quello alle mie spalle non l' ho visto bene, non ci sono riuscita, ma il secondo che era davanti a me, quello che ha fatto tutto, ecco non riesco più a togliermelo dalla mente». Dal giorno della violenza Sandra non magia quasi più: la notte non dorme per via degli incubi che la riportano a quella terribile sera. «Non riuscivo a muovermi - singhiozza - perché quello mi teneva da dietro: era troppo forte. L' altro mi ha sfilato i jeans, poi si è divertito. Con lo sguardo cercavo qualcuno in grado di aiutarmi, ma in giro non c' era nessuno. Solo quei due uomini: dall' aspetto sembravano zingari. Uno, quello che mi ha violentato, aveva i capelli neri, ricci: una grossa cicatrice sul volto. Mi hanno preso in strada, poi mi hanno trascinato in un androne». Grida, ancora grida. Alla fine i due si decidono a lasciarla andare. «Si sono accorti che perdevo sangue, per me era la prima volta». Sandra si trascina verso casa: sulla strada incontra il fratello. «Ma che ti è successo?». Subito non ce la fa a raccontare tutto, le viene da piangere. Sale in macchina e si sfoga. Insieme fanno un rapido giro per cercare i colpevoli. «Volevo trovarli a tutti i costi», racconta il fratello. Intanto vengono avvisati i carabinieri. Sandra viene visitata all' ospedale Sant' Anna: il referto conferma il rapporto sessuale. Dopo gli accertamenti clinici, come è prassi, la ragazza racconta quanto accaduto ai carabinieri. I militari della Compagnia Oltre Dora mantengono comunque il massimo riserbo sull' intera vicenda: in queste ore sono in corso le indagini. «Il telefonino che le hanno portato via, ieri (giovedì, n.d.r.) era acceso - dice la mamma di Sara - squillava. Vorrei solo averceli davanti quei bastardi: strapperei loro il cuore, esattamente come hanno fatto con mia figlia. Non ce la faccio a vederla soffrire così: non è più lei, ha paura. Dopo quello cheè successo si sente sporca, ma lei è pulita. Non è colpa sua». Anche il quartiere è sotto choc dopo quello cheè accaduto. Oggi la famiglia di Sandra ha organizzato una manifestazione di protesta: una ronda rionale contro ogni forma di violenza.
In questo articolo successivo della testata di cui abbiamo appena riportato la notizia qui sopra, c'è addirittura una sorta di giustificazione morale di quanto è successo con la bugia razzista e il pogrom seguente.
"Ho mentito sullo stupro per paura per me la verginità è un valore"
Dopo il violento raid contro il campo Rom Raid anti rom, parla la sedicenne di Torino."Ma io non sono razzista"
(cronaca locale online di una testata nazionale, 14 dicembre 2011)
TORINO - C´è un paese alla periferia di Torino dove il tempo si è fermato, e dove è ancora una brutta cosa avere rapporti sessuali prima del matrimonio. Un paese dove una ragazza di 16 anni, una normalissima ragazza esile con le meche bionde e il maglione alla moda, che ha studiato fino a pochi mesi fa e ora vorrebbe un posto da barista, ha paura di dare alla mamma un dolore troppo grande se ammette di non essere più vergine e di averlo voluto lei. E per non farlo, si inventa di essere stata violentata e dice "la prima cosa che le è venuta in mente", descrivendo gli aggressori come due rom. Due giorni dopo si pente, cede alle domande dei carabinieri che hanno già capito tutto, racconta la verità: «Ero col mio ragazzo, era la prima volta». Ma è troppo tardi, perché da quel paese – che è in realtà un quartiere popolare di case tutte uguali costruite negli anni del boom – è già partita la spedizione punitiva, e le baracche dei rom vanno a fuoco. Per capire come è potuto succedere bisogna andare in quelle strade col nome dei fiori, dove ogni dieci metri qualcuno ti ferma, ti chiede chi sei e che cosa vuoi, dove le persone si chiamano dai balconi e si conoscono tutte. A casa di Sandra, che giovedì 8 dicembre si è inventata lo stupro, sabato ha confessato e domenica si è scusata: con i rom, con la madre, il padre, i quattro fratelli e l´intero quartiere. «Mi sono scusata con una lettera e su Facebook – conferma – ma non è vero che mi vergogno, potete scriverlo per favore?». Possiamo scriverlo. Ma il fatto resta.
Perché raccontare una bugia così grossa? Non hai pensato alle conseguenze?
«No, lì per lì non ci ho pensato. Non sono stata io a mandare la gente a bruciare le baracche. Ero sconvolta, ho visto mio fratello e non me la sono sentita di dirgli la verità. Poi, una volta detta la prima bugia ho dovuto andare avanti per un po´, era difficile fermarsi…».
Perché hai descritto i tuoi finti aggressori come due persone che potevano arrivare dal campo nomadi qui vicino?
«Ho sbagliato. Ma il mio non è razzismo. Chiedete a chiunque in quartiere, quasi tutti hanno avuto un furto in casa. È normale che la gente sia esasperata, anche se non si può giustificare quello che è successo alle baracche dei rom, dove c´erano donne e bambini. Quando sono uscita dal garage (il luogo dove Sandra aveva passato il pomeriggio di giovedì insieme al fidanzato, di tre anni più grande, ndr) e ho incontrato mio fratello c´erano due ragazzi del campo in lontananza che scappavano. Io li ho visti, anche lui li ha visti, una parte della mia bugia è nata così».
Perché eri sconvolta? E perché tanta paura che i tuoi sapessero la verità?
«Di solito non racconto bugie. Perfino quando ho iniziato a fumare sono andata da mio padre a dirglielo, anche se sapevo che non sarebbe stato contento. Ma quel giorno non ero preparata, non lo avevo mai fatto prima, anche il mio ragazzo era spaventato. Non c´è stata nessuna violenza, io l´ho fatto per amore, ma lo spavento sì. E io avevo promesso di non farlo prima del matrimonio, lo avevo promesso spontaneamente, mi sentivo una stupida… non è vero che avevo paura delle botte e neppure che mia madre mi obbliga a andare dal ginecologo. Ma è vero che in famiglia siamo tutti d´accordo che certe cose non vanno bene. I miei non sono contenti della storia con questo ragazzo, avrebbero voluto che lui si presentasse a casa, che dicesse le sue intenzioni. Anche per questo avevo promesso…».
Sei religiosa?
«Sì. Come i miei. Andiamo in chiesa, siamo credenti, mi piace che in casa ci siano queste immagini (indica un quadro in cucina con il volto di Gesù). Ma non sono bigotta, sono una ragazza come tutte le altre, mi piace la musica e mi piace Facebook, e uscire con le amiche e guardare le vetrine in centro. Cerco di comportarmi onestamente, soprattutto per rispetto ai miei, ho fatto uno sbaglio, e lo sto già pagando molto caro».
Che cosa ti sta capitando?
«Tutti parlano di me, siamo stati minacciati, non posso uscire di casa senza essere guardata a vista. Le mie amiche si sono arrabbiate, e le posso capire, e anche per la mia famiglia ci sono un sacco di problemi. Non era così che speravo per la mia prima volta…Mi sono già scusata, che altro devo fare? Sparire? Darmi fuoco?».
Come ti immagini il futuro?
«Ho fatto tre anni di scuola, mi sono diplomata. Mi piacerebbe poter lavorare. Mia mamma, le zie (le indica, intorno al tavolo ndr) mi hanno già perdonata, mi piacerebbe non deluderle più. Mi piacerebbe che tutti si dimenticassero di me, che del mio sbaglio non si parlasse più. Ma forse è impossibile»
Nel 2012 è la volta dell'Abruzzo, dove due espisodi di cronaca nera in cui gli autori dei delitti sono Rom portano folle inferocite a scagliarsi contro le comunità Rom abruzzesi che sono italiani e vivono in questo paese da secoli, integrati nel tessuto economico e sociale. Colpisce come gli articoli in questione, sia locali sia nazionali, soffino sul fuoco, non diano spazio e voce alla comunità rom e sostanzialmente avallino l'idea del "crimine etnico" che viene svincolato dall'individuo che lo ha compiuto, come se a uccidere fosse stata un'intera comunità.
Omicidio Pescara, ultras contro rom: «c'è un fratello da vendicare, devono sparire»
Sabato alle 15 i funerali. Domenica manifestazione in piazza. Tensione alle stelle.
(quotidiano online locale, 3 maggio 2012)
PESCARA. «O li fate sparire voi (istituzioni, ndr) o ci pensiamo noi». E’ questo il secondo ultimatum lanciato dai Pescara Rangers quest’oggi. A A A Monta la rabbia degli amici e dei tifosi del Pescara che conoscevano Domenico Rigante, 24 anni, ucciso al posto del fratello martedì sera. Più passano le ore e più il clima si fa incandescente. Mentre la polizia si sta mobilitando in tutta Italia per trovare Massimo Ciarelli, presunto responsabile dell’omicidio, gli animi non si stemperano. C’è tensione ma le istituzioni cercano di rassicurare e annunciano l’arrivo di ulteriori rinforzi di polizia che dovrebbero cercare di tenere sotto controllo una situazione che rischia di esplodere pericolosamente. Alle 9.30 di questa mattina si è tenuto il comitato per l’ordine e la sicurezza e gli ultras della tifoseria di Pescara si sono presentati davanti al Comune, in piazza Italia. Toni pacifici e non si sono registrati momenti di tensione ma ad un certo punto hanno sistemato uno striscione nel piazzale del municipio con su scritto "Avete cinque giorni per cacciarli dalla città". Un vero e proprio ultimatum che non fa presagire nulla di buono. Ce l'hanno con i nomadi e chiedono che i rom se ne vadano da Pescara perchè non vivono rispettando la legge. I Rangers hanno parlanto con il sindaco Luigi Albore Mascia e il presidente della Provincia Guerino Testa che hanno cercato di rassicurarli e invitarli alla calma. Da questura e prefettura intanto vegnon diramati ordini per controllare sempre più il territorio, l'allarme e l'allerta è massima come fors enon si registrava da anni. Le voci si rincorrono sul web e non solo e le dichiarazioni che giungono da più parti all'azione di forza non aiutano al dialogo e alla compostezza. Anzi di parlare non c'è proprio voglia. La sensazione è che i problemi irrisolti di sempre sono ormai giunti al pettine e impongono soluzioni definitive...
Tifoso ucciso, a Pescara scoppia la rabbia anti-rom
I manifestanti tentano l'assalto al quartiere Rancitelli: minacce e cori, poi i capi ultrà lo bloccano
(quotidiano nazionale online,6 maggio 2012)
A Pescara esplode la rabbia contro la comunità rom dopo l’omicidio dell’ ultrà Riccardo Rigante e l’arresto del presunto responsabile, Massimo Ciarelli, zingaro di 29 anni, consegnatosi ieri dopo alcuni giorni di latitanza. «In pochi giorni ho perso due chili», ha confessato un alto rappresentante delle forze dell’ordine. Traduzione: la tensione è alta, il pericolo è rosso. In mattinata, con le forme quasi di una spedizione punitiva, un minaccioso corteo di 300 ultras pescaresi, con evidente infiltrazione di Forza Nuova guidata dal candidato sindaco a Montesilvano (Pescara) Marco Forconi, si stava dirigendo verso il quartiere rom di Rancitelli, ed è stato fermato all’ultimo momento proprio dai capi ultras e dal gemello della vittima, Antonio. Polizia in stato di massima allerta e ben consapevole della situazione. I rom stanno andando via impauriti dalla città - lo ha confermato il questore Paolo Passamonti - e hanno paura, comunità spaccata dopo l’ennesimo fatto di sangue di cui si è resa protagonista. Le forze dell’ordine sanno bene che il rischio non è tanto quello del blitz antirom, ma quello della faida. Anche loro hanno ascoltato bene la rabbia della manifestazione sotto al Comune, con oltre 500 pescaresi, non solo ultras, ma anche gente dei quartieri proletari della città, quelli che più di tutti pagano la presenza e la convivenza malavitosa dei rom. Tensione che si tocca con mano: cori violenti contro gli zingari, rabbia contro l’impunità e la prepotenza, specie in una città con tanti guai. E a farne le spese è stato il sindaco Luigi Albore Mascia, supercontestato dalla piazza come emblema di una autorità che latita. «Abbiamo chiesto le istituzioni, dove sono le istituzioni?», hanno infatti urlato più volte i manifestanti. A nulla è valso per ora l’arresto ieri del presunto assassino, Massimo Ciarelli. Quando è stato preso all’autogrill di Francavilla (Chieti) ha mormorato solo «è il mio ultimo giorno da uomo libero», poi si è chiuso in un silenzio assordante anche davanti al pm Salvatore Campochiaro nel primo interrogatorio. E in silenzio, ecco la denuncia forte della Mobile, per ora ci sono anche i compagni della vittima, che pur sapendo i nomi dei complici di Ciarelli, finora non ne hanno denunciato apertamente la presenza. «Chi sa, parli». ha infatti detto senza mezzi termini il capo della Mobile di Pescara Pierfrancesco Muriana, perchè «noi i nomi li sappiamo tutti - ha poi confermato Muriana - e sono sei persone: ora ci aspettiamo che chi era presente confermi anche a noi questi nomi, anche per un atto di giustizia nei confronti di Domenico Rigante». Perchè nelle baraccopoli di Pescara la parola faida la conoscono ed è per questo che regna la paura.
In quest'altro caso simile vediamo sia la gravità degli assalti, sia che sui giornali italiani la tendenza è sempre quella di giustificare in qualche modo queste situazioni.
Assalto alle case dei rom ad Alba Adriatica, tutti assolti
Per i giudici i quattro finiti a processo per devastazione e saccheggio dopo il delitto Fadani non hanno commesso il fatto
(quotidiano locale online, 12 marzo 2014) T
TERAMO. I sassi contro le case dei rom, i vetri delle finestre in frantumi, le macchine rovesciate: chi nei giorni dell’omicidio dell’imprenditore Emanuele Fadani era ad Alba Adriatica li ha visti, li ha raccontati nelle cronache di quei drammatici momenti di rivolta contro i nomadi accusati del delitto. Ma nelle aule giudiziarie i fatti vanno sempre provati. Perchè quando non lo sono tutto il resto non serve. E da questo assunto bisogna partire per raccontare dell'assoluzione in primo grado dei quattro cittadini albensi finiti a processo con la pesante accusa di devastazione e saccheggio, giunti davanti ai giudici con una imputazione coatta dopo una prima richiesta di archiviazione della procura. Che ieri (pm d’udienza Greta Aloisi) ha chiesto 3 anni ed 8 mesi per ciascuno. I giudici hanno assolto Andrea Roncacè, Domenico Piccioni, Stefano Caravelli e Maria Letizia Esposito per non aver commesso il fatto al termine di un processo in cui una cittadina rom si era costituita parte civile. Per capire i perchè della decisione bisognerà aspettare di leggere le motivazioni, ma è evidente che l'assenza di prove su cui fondare un giudizio di responsabilità ha fatto da filo conduttore al procedere dei giudici del collegio (presidente Giovanni Cirillo, a latere Carlo Saverio Ferraro e Enrico Pompei). Perchè gli atti formali di individuazione non ci sono stati per provare delle responsabilità in un’aula di tribunale. Nè nelle indagini preliminari, nè nell'istruttoria dibattimentale. E nemmeno alcune foto prodotte dalla pubblica accusa ed entrate nel fascicolo processuale solo al termine dell'istruttoria sono servite a fare chiarezza. Su questo, sull'assenza di prove anche indiziarie, hanno fatto leva i difensori (gli avvocati Gabriele Rapali, Lauro Tribuiani, Massimo Tonoli e Francesca Paola Caporale). Con un affondo che Rapali ha così sintetizzato: «non c'è stata nessuna prova rigorosa necessaria in presenza di un reato grave come devastazione e saccheggio, non sono state individuate le condotte singole, non c’è stato un filmato, non ci sono state delle foto. E' un processo che sconta l'assenza di una istruttoria dibattimentale e d'indagine. Non è ipotizzabile il concorso morale, non lo è giuridicamente perchè nessuno degli imputati è stato individuato come il responsabile di quei fatti». Le manifestazioni finite sotto accusa sono quelle dell’11 e del 12 novembre del 2009, quindi nei giorni in cui Elvis Levakovic (il rom accusato di aver sferrato il pugno mortale all’imprenditore e per questo condannato a dieci anni per omicidio preterintenzionale) non era stato ancora arrestato. I cortei si conclusero davanti alle case dei rom con lancio di sassi contro i vetri delle abitazioni, contro le macchine in sosta, contro i portoni delle case del centro di Alba. La procura in un primo momento aveva fatto una richiesta d’archiviazione respinta dall’allora gip Marina Tommolini con la richiesta di una imputazione coatta. Secondo i giudici d’Appello a sferrare il pugno mortale è stato solo Levakovic, ma moralmente sono responsabili anche gli altri due rom che la sera del delitto erano con lui: Sante Spinelli e Danilo Levakovic. Per questo i due, assolti in primo grado, sono stati condannati a dieci anni dai giudici d’Appello, sentenza che l’anno scorso è stata confermata in Cassazione.
Il pogrom si ripete con scenari e moventi simili e ancora una volta poco chiari, a marzo 2014 al campo di via del Riposo a Napoli. Il 13 marzo 2014 un insediamento informale di circa 500 persone rom sito in via del Riposo a Napoli è stato assaltato da un gruppo di residenti italiani della zona dopo l'accusa di una 16enne che ai familiari aveva raccontato di essere stata molestata da due abitanti del campo. Dopo una fitta sassaiola contro le baracche occupate dai rom, gli abitanti del campo sono stati costretti a scappare e ad abbandonare le loro case.
Il giorno dopo, venerdì 14 marzo, un articolo su un giornale locale raccoglieva le reazioni dei residenti, che ritenevano "ingiusto essere accusati di razzismo" e davano la loro versione dei fatti. L'articolo rischiava di acuire il clima di tensione sociale in cui l'assalto è maturato, nella notte tra il 14 e il 15 marzo il campo di via del Riposo è stato distrutto da un incendio di origine dolosa. Tutto ciò è riportato in un esposto per violazione della Carta di Roma (leggi) con cui l'articolo (che riportiamo qui sotto) è stato segnalato all'Ordine dei giornalisti per valutare eventuali sanzioni
"Quel campo era diventato un incubo"
Poggioreale si difende dalle accuse di razzismo: rubavano tutto, anche le croci dalle tombe
(quotidiano locale,14 marzo 2014)
Provate ad immaginare di imbattervi, nell'uscire di casa, al mattino, in una donna che, con la gonna alzata fino alla vita, sta defecando sullo zerbino del vostro vicino. Provate ad aprire la finestra e ad essere inondati da una zaffata di urina che è un pugno nello stomaco che toglie il respiro o ad avere la casa inondata dal fumo di un rogo di cavi elettrici bruciati. Provate a fare il bucato e a stenderlo sul balcone la sera e, al risveglio, trovare lo stendino miseramente vuoto, senza neanche le mollette. Provate a rientrare a casa, dopo il lavoro o una gita al mare, e a trovare tutto a soqquadro e la scatola degli oggetti d'oro svuotata e i soldi dello stipendio che non ci sono più. Provate ad andare a trovare i vostri cari morti, nella cappella di famiglia, e trovare il tempietto saccheggiato: niente più crocifisso, portalampade, fioriere, cornici con le foto dei nonni. E talvolta "spogliata" anche del cancello di ferro all'ingresso. Provate a immaginare che la vostra figlia adolescente, nell'andare a scuola, si imbatte in un uomo che dietro a un'auto parcheggiata si sta masturbando senza far nulla per non farsi notare. E immaginate, infine, che di pomeriggio, nella pubblica strada, la vostra figlia diciassettenne venga palpeggiata sul sedere da una squadretta di giovinastri, spavaldi e sicuri dell'impunità. Ecco. Queste sono le esperienze raccontate da chi ha la sfortuna di abitare in prossimità di un insediamento fuorilegge come quello di via del Riposo, allestito sotto gli occhi delle autorità cittadine, da una comunità di oltre cinquecento rumeni fatta di uomini, donne e tantissimi bambini. Le esperienze di vita vissuta vengono riferite, senza riserve, senza censure da chi da almeno sei anni vive 1'incubo del campo rom costruito alle spalle del cimitero "Nuovissimo". I residenti-vittime si sono ritrovati, dunque, dopo 1a «liberazione» dell'area - destinata un tempo alla realizzazione di un campo sportivo per i giovani dei quartieri San Pietro a Patierno e Poggioreale - per commentare quanto è accaduto e per difendersi dalle accuse infamanti di razzismo. I racconti di quello che hanno patito in questi sei anni vengono commentati davanti al campo da ieri «abitato» soltanto da topi grandi quanto dei grossi gatti, qualche cane randagio che si è rifiutato di farsi acchiappare, e da tantissimi gabbiani che tra i rifiuti ci sguazzano e che più volte hanno dato problemi al traffico aereo del vicinissimo aeroporto di Capodichino. I rumeni non ci sono più già da molte ore. Il "villaggio" fatto di capanne di cartone e lamiere, materassi lerci, carcasse di auto, lastre di amianto, bidoni di latta, stracci e rifiuti di ogni tipo è ancora un ammasso maleodorante, presidiato da agenti di polizia municipale, uomini della protezione civile, poliziotti. Una grande ruspa è parcheggiata in attesa che qualcuno dia l'ordine a un dipendente del Comune di dare avvio alla demolizione. Sono le ore 15. Da capannello di residenti che si è concentrato davanti all'ingresso del campo si alza la voce di uno dei rappresentanti del comitato per la vivibilità del quartiere. Si chiama Peppe. Denuncia: «È ingiusto accusarci di razzismo. Ecco come sono andate le cose. Dopo l'episodio della ragazza, tre suoi amici si sono presentati al campo per chiedere di lasciare in pace le donne del quartiere. Ma sono stati picchiati selvaggiamente: contro di loro si sono scagliati uomini armati di mazze, donne furiose. È stato questo che ha innescato la scintilla. Gli amici della ragazza, insomma, erano andati solo per discutere. Sono stati aggrediti, tant'è che sono finiti in ospedale». I residenti di via Cupa Principe, la strada più vicina al campo, dunque, raccontano le esperienze vissute in questi anni, respingono le accuse di razzismo e si dicono amareggiati perché le loro denunce sono state sempre inascoltate.
L'articolo del quotidiano locale ricorda molto per lo stile un editoriale dal titolo "un'etnia sempre in cronaca nera" che è possibile consultare nella sezione Immigrazione del sito, sanzionato dall'Ordine dei giornalisti per lo stigma che lanciava sui cittadini romeni. La somiglianza fra i due testi sta nel lungo elenco di crimini e comportamenti antisociali di cui si sarebbero macchiati i rom in questo caso, i romeni in quell'altro, che però non viene collegato ad alcun fatto specifico, come dovrebbe essere in un articolo giornalistico che risponda all'accuratezza e all'aderenza alla realtà.
Inoltre va detto che c'è un elemento che unisce tutti i casi e gli articoli riportati, elemento che prendiamo dall'analisi di Federico Faloppa, il quale riporta in "Razzisti a parole" questo esempio di un articolo uscito sulla cronaca locale di un quotidiano nazionale:
Moncalieri, guerriglia fra rom
I disordini si sono conclusi con il lancio di bottiglie incendiarie
(cronaca locale, 27 agosto 2009)
...Ecco l'ennesimo capitolo di una delle storie più travagliate della città[...]il campo nomadi appunto.
Faloppa fa notare la vera funzione dell'espressione "l'ennesimo capitolo", vale a dire che "non riprende soltanto qualcosa già detto in precedenza, ma veicola anche un giudizio. Introduce un'informazione supposta presentandola come evidente e realizzata". Continua il linguista: "ennesimo ci fa pensare che l'episodio sia solo l'ultimo di una lunga serie, anche se il testo dell'articolo non lo dice. Ovvero non sappiamo cosa sia successo prima e quante volte volte quelle famiglie di zingari si siano fatte la guerra. Però lo immaginiamo, che questa non sia la prima volta: grazie a quell'ennesimo capitolo, grazie a quella implicita reiterazione".
In conclusione, secondo lo studioso, la parola "ennesimo" usata in questo modo ci conduce "non alla nuda informazione, ma all'opinione pregiudiziale che il giornalista vuole farci condividere".