E’ la persona a cui è stato negato lo status di rifugiato. Si tratta di un cittadino straniero che ha ricevuto il rigetto della sua domanda di asilo dopo l’audizione presso la Commissione Territoriale in quanto ritenuto non in possesso dei requisiti per il riconoscimento dello status, previsti dall’articolo 1 della Convenzione di Ginevra. Il diniegato è tenuto a lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari o che non faccia ricorso contro la decisione. Una ricerca sul tema afferma: “non si tratta di rifugiati e non più di richiedenti asilo, né di immigrati economici o per altre cause, ma di persone che temendo per la propria incolumità hanno lasciato il paese di origine ed hanno chiesto asilo in Italia, trovandosi ora a vivere una situazione di precarietà o di vera e propria irregolarità rispetto al permesso di soggiorno”[1].
[1]“Presenze trasparenti” Ricerca sulle condizioni e i bisogni delle persone a cui è stato negato la status di rifugiato, promossa dai centri di volontariato Cesv e Spes, 2007
I diniegati si trasformano di fatto in migranti irregolari. L’uso di questo termine tecnico è troppo poco diffuso sui media. Eppure, come dimostra la scheda dati, questa condizione di irregolarità determinata da una domanda d’asilo non andata a buon fine, interessa migliaia di persone. Spesso i diniegati finiscono a lavorare in nero nei campi per sopravvivere, vittime del caporalato, e vivono in alloggi di fortuna e fatiscenti. Si tratta inoltre di persone che sui media finiscono per essere catalogati come clandestini (vedi), quando in realtà sono noti alle autorità proprio perché hanno dichiarato le proprie generalità facendo domanda d’asilo. Inoltre, una parola come ‘diniegato’ pur essendo burocratica, trasmette molto bene la negazione di identità che vivono le persone a causa del diniego, costrette a nascondersi nel limbo degli irregolari. “Il problema del termine diniegato è che è così poco di uso comune che si ha difficoltà a capirlo nella velocità della comunicazione – dice il regista Andrea Segre - però certamente più il giornalista conosce quali sono le origini della condizione di irregolarità, quali sono i modi e i percorsi che producono la condizione di illegalità e la loro complessità, più il giornalista sarà portato a non ricondurli all’immagine stereotipata dello sbarco o dell’arrivo attraverso la frontiera. Più un giornalista conosce questi meccanismi, più si sentirà in difficoltà a usare termini che sa non essere coerenti con la realtà. Per questo, tutti i percorsi di approfondimento della conoscenza tecnica dei meccanismi attraverso cui un cittadino straniero diventa illegale, sono fondamentali.”[1]
[1] Intervista che ci è stata rilasciata ad aprile 2012. Andrea Segre è il regista di molti film e documentari sulle tematiche più attuali dell’immigrazione, come “Il Sangue Verde” sulla rivolta di Rosarno (premiato a Venezia) e “Mare Chiuso” sui respingimenti in mare verso la Libia.
La ricerca “Presenze trasparenti” del Cesv ha raccolto i dati di due anni di attività delle Commissioni Territoriali e rileva che nel periodo compreso tra il 21 aprile 2005 e il 2 novembre 2007 su un totale di 27.295 domande presentate sono stati riconosciuti 2.203 rifugiati, 11.634 persone hanno ricevuto il diniego dello status di rifugiato, ma hanno avuto la protezione umanitaria e ben 10.020 richiedenti hanno ricevuto diniego senza protezione umanitaria.
Dunque una percentuale molto alta delle domande viene rigettata, sono quasi il 40% dei richiedenti asilo a trasformarsi in diniegati, “presenze trasparenti” nel nostro paese.
Secondo i dati della Commissione centrale, tra il 1990 e il 2005, in Italia sono state presentate 154.059 domande e, di queste, sono state analizzate 126.674[1].
Un caso eclatante è quello dell’ Emergenza Nord Africa dichiarata dal governo italiano in seguito agli arrivi via mare dei profughi in fuga dalla guerra in Libia nel 2011. Si tratta senza dubbio di persone che sono arrivate in Italia perché non avevano scelta, per salvare la propria vita dalle bombe e dalle violenze. Tuttavia si trattava non di cittadini libici, ma di migranti che lavoravano in Libia anche da molti anni. Per il riconoscimento dello status di rifugiato la procedura si basa sulla persecuzione e il rischio nel paese d’origine, non in quello di transito. Così in molti hanno avuto il diniego. Il sito “viedifuga.org osservatorio permanente sui rifugiati” titola “Emergenza dinieghi” riportando il caso di Milano, dove ci sono stati due dinieghi ogni tre domande di protezione per i richiedenti asilo fuggiti dalla Libia.
La Commissione territoriale milanese ha emesso per tutto il 2011 e fino a giugno 2012 quasi 2.400 decisioni per questa categoria di richiedenti, e i dinieghi sono stati oltre 1.400, il 60% . Sulle 2.400 decisioni le concessioni dello status di rifugiato sono state il 3% scarso, le protezioni sussidiarie il 9% e le proposte di protezione umanitaria il 19%.
Nel periodo 2005-2011 la Commissione di Milano, secondo i dati più recenti della Commissione nazionale per il diritto d’asilo, aveva respinto il 52% dei richiedenti, cioè 5.600 esaminati su un totale di 10.800. E nello stesso periodo il dato dei respinti a livello nazionale era stato ancora inferiore, il 37%, cioè 51.000 sul totale dei 138.000 richiedenti esaminati da tutte le Commissioni territoriali nell’arco dei sette anni.
Considerando i Paesi d’origine, il comportamento delle commissioni territoriali cambia. A Milano, fra quelli dell’emergenza Nord Africa, un’ottantina di richiedenti somali hanno registrato un solo diniego, 61 protezioni sussidiarie e 16 concessioni dello status di rifugiato; i 219 richiedenti della Costa d’Avorio hanno o ottenuto un numero relativamente elevato di sussidiarie (42) e umanitarie (150).
Invece per i richiedenti nigeriani (è la nazionalità con il numero più elevato), su 600 decisioni in Commissione territoriale ci sono stati ben 427 dinieghi, 106 protezioni umanitarie, appena 9 sussidiarie e nessuno status di rifugiato. E soprattutto quello dei richiedenti del Mali, un Paese che nel 2012 vive una guerra civile: 306 le domande di protezione esaminate a Milano (seconda nazionalità più rappresentata con il Ghana), 245 dinieghi (addirittura l’80%), 27 protezioni umanitarie (9%), nove sussidiarie (il 3%) e due status di rifugiato (meno dell’1%)[2].