In Italia
Il Porrajmos in Italia inizia l'8 giugno 1938, data in cui il Ministero degli Interni italiano, con una circolare diramata a tutte le prefetture, stabilì l'istituzione di campi di concentramento destinati a persone italiane o straniere ritenute asociali dalle autorità preposte alla tutela dell'ordine pubblico. Che le deportazioni siano iniziate anche prima della guerra è provato da alcuni atti e testimonianze, come una comunicazione della Questura di Fiume in cui si legge: "La famiglia di Hudorovich Giovanni di Giorgio, nel 1938, fu internata in Sardegna in seguito ai noti provvedimenti di rastrellamento degli Zingari". [3]
I campi in cui in Italia è documentato l'internamento dei Rom e dei Sinti durante il fascismo sono:[4]
Sardegna: Lula, Urzulei, Bertigali, Ovadda, Talana, Loceri, Nurri, Posada, Laccru, Padria, Martis, Chiaramonti, Illorais, Perdasdefogu.
Calabria: Ferramonti di Tarsia (Cosenza)
Puglia: Isole Tremiti
Molise: Agnone (Isernia) e Boiano (Campobasso)
Abruzzo: Tossicia e Torino di Sangro
Umbria: Colfiorito
Emilia Romagna: Prignano sulla Secchia (Modena) e Berra (Ferrara)
Piemonte: Novi Ligure
Trentino Alto Adige: Bolzano
Friuli Venezia Giulia: Gonars (Udine)
La pedagogista Mirella Karpati, in un vecchio numero della rivista Lacio Drom (1984) riportava alcune testimonianze dai campi di concentramento italiani per Rom e Sinti.
"Durante la guerra eravamo in un campo di concentramento a Perdazdefogu. C'era una fame terribile. Un giorno non so come, una gallina si è infilata nel campo. Mi sono gettata sopra, come una volpe, l'ho ammazzata e mangiata cruda dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi sono presa sei mesi di prigione per furto. Quando è finita la guerra sono tornata a Treste per cercare i miei. Mio fratello e mia cognata li avevano ammazzati. Mi hanno raccontato che li avevano appesi ai ganci di una teleferica e gli sparavano come a un bersaglio. Poi li hanno gettati in una foiba". Mitzi Herzemberg
"In Italia siamo stati in un campo di concentramento anche noi. Quasi senza mangiare. Io ero a Campobasso con la mia famiglia...Il mio figlio più grande è morto nel campo. Era un bravo pittore e molto intelligente. Non lo abbiamo trovato più... Eravamo da tanti anni qui in Italia e ci hanno presi e rinchiusi per paura che siamo spie". Zlato Bruno Levak (Campo di Agnone)
"Mia sorella fu rinchiusa nel campo di concentramento di Bolzano. La mia Edvige così piena di fuoco e di gioia di vivere. Aveva vent'anni e ben presto quel campo si trasformò nella sua tomba. Maledetta guerra! Ho sempre nel cuore l'immagine di mia sorella, rinchiusa dietro i reticolati". Vittorio Mayer Pasquale.
Altre tracce si trovano sul sito della Fondazione Romanì in uno scritto del ricecatore Luca Bravi che ha ricostruito alcuni elenchi di nomi. Ad esempio nel campo di Prignano sulla Secchia (MO), i cognomi riportati all’interno delle schede anagrafiche rintracciate nell’archivio comunale risalgono proprio agli anni della prigionia e sono "italianissimi": Argan, Bonora, Bianchi, Colombo, De Barre, Esposti, Franchi, Innocenti, Marciano, Relandini, Suffer, Torre, Triberti, Truzzi. Giacomo Gnugo de Bar (nato durante il periodo di internamento a Prignano) racconta quanto gli è stato narrato dai propri genitori:
"Era autunno e la mia famiglia s’era appena fermata al Bacino di Modena per fare la sosta dopo la stagione delle fiere. Un mattino che piovigginava, molto presto hanno sentito bussare alle carovane, si sono svegliati e hanno visto le carovane circondate da militari, carabinieri, questura. Piantonarono (i militari e i carabinieri) tutto il giorno e la notte intera, prendendo il nome e il cognome a tutti, poi il mattino seguente, condussero tutti quanti nel campo di concentramento di Prignano e ci portarono via tutti i muli e i cavalli che avevamo. A Prignano c’era il filo spinato e qualche baracca, poche perché noi avevamo le nostre carovane. Tutto era controllato da carabinieri e militari che nei primi giorni non ci facevano mai uscire. Le guardie, due volte al giorno, facevano l’appello e il contro appello. C’erano dei turni di un’ora e mezza in cui le donne potevano andare al paese a fare la spesa "(P. Trevisan, 2005).
In Italia l’ordine decisivo per l’internamento di rom e sinti fu "un importante giro di vite a livello culturale" secondo quanto scrive Bravi. "Fino ad allora si allontanavano dal regno gli “zingari” stranieri, da quell’ordine prendeva corpo e riconoscimento istituzionale una categoria totalizzante: se si era “zingari” non si era percepiti come cittadini del regno; in pratica la legislazione si allineava al già diffuso sentore popolare che considerava lo “zingaro” uno straniero pericoloso, anche in presenza di documenti che ne accertavano la cittadinanza italiana (L. Bravi, 2007)".
Apartire dagli anni Venti, la politica fascista si è progressivamente radicalizzata delineando quattro periodi di riferimento: