minorato è un altro aggettivo sostantivato, participio passato di minorare.
"Di persona che, per cause patologiche, congenite o acquisite, o per mutilazioni, lesioni gravi dell’organismo e simili, è parzialmente privata delle facoltà fisiche o psichiche e non può inserirsi pienamente nella vita sociale". E anche: "i mutilati e gli invalidi; minorato psichico, espressione generica che indica l’individuo le cui facoltà psichiche, e in particolare quelle intellettive e volitive, non raggiungono il normale livello di efficienza, senza però fare riferimento alle cause e alle modalità di insorgenza di tale condizione deficitaria. In tutte le espressioni ora citate, il termine è spesso considerato offensivo ed è stato pressoché abolito nel linguaggio ufficiale per essere sostituito con altri termini specifici" (Treccani)
Questa parola è ritenuta offensiva e non va usata per una serie di ragioni. Innanzitutto è un termine generale, non specifico. "La ricerca di espressioni generali, unificanti e sostitutive delle tradizionali comincia dall’Ottocento - spiega il semiologo Tullio De Mauro- Fu allora ripreso e riproposto l’uso di invalide in francese, invalido in italiano, cui seguirono poi i più fortunati disabile dal 1869 e, in pieno Novecento, dagli anni Trenta, minorato, un aggettivo e sostantivo condannato da puristi, ma, per la sua stessa fortuna e diffusione, soggetto a usi pesantemente negativi e offensivi". [1]
Tuttavia, questa parola è ancora molto usata, come vediamo dagli esempi giornalistici riportati di seguito e dal fatto che ci sono associazioni come l'A.N.Fa.Mi.V. Associazione Nazionale delle Famiglie dei Minorati Visivi.
Un'altra ragione per cui è sconsigliato ricorrere a questo termine è che nella sua radice dal tardo latino, minorare 'rendere minore' presuppone già un confronto con i cosiddetti 'normodotati', un giudizio, fisico e morale, su chi può essere considerato 'normale' e quindi 'giusto' e chi no. Minorato e normodotato, sono etichette altamente discriminanti. "La parola normodotato è tra le parole più convenzionali che ci siano. Normodotato letteralmente vuol dire persona dotata di normalità, ma la persona normale non esiste - scrive Antonella Patete su SuperAbile Magazine - Quello di normalità, infatti, non è un criterio assoluto ma relativo. Sono le caratteristiche posse
dute dalla maggior parte delle persone a determinare la normalità. Pertanto l’essere normale definisce una media, una via di mezzo, e quindi la mediocrità. Inoltre parlare
di normalità è ve
ramente razzista.
Se i normodotati
sono quelli dotati di normalità, allora gli altri chi sono? In genere si tratta delle persone penalizzate dal punto di vista sensoriale o delle funzionalità. E se sono più sensibili, più intelligenti o più “dotati” poco importa, perché comunque non rientrano tra i normodotati. Insomma, si tratta di una definizione quasi lombrosiana, di una categoria vecchia che evidenzia un modo di pensare assolutamente superato, antiquato, anacronistico". [2]
Tra gli esempi giornalistici, riportiamo un articolo che riguarda il fenomeno della "coeducazione" di alunni con disabilità nelle classi di tutti. Sino agli anni Sessanta i cosiddetti "alunni con minorazioni" (come venivano chiamati) venivano rinchiusi per legge nelle classi e negli istituti speciali. Il loro ingresso nelle classi comuni segnò anche il manifestarsi del termine “inserimento”. Una parola che oggi possiamo considerare desueta, perchè veicola il concetto di un coesistere 'statico' fra alunni con disabilità e non.
"Si cominciò a parlare, verso la metà degli Anni Settanta, di integrazione per significare che gli alunni con disabilità non erano solo presenti in classe ma si collegavano al lavoro didattico dei compagni e riuscivano a divenire per quanto possibile uno di loro, grazie al lavoro svolto in classe ed all’interazione fra loro ed i coetanei non disabili- scrive Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) - Anzi ci si rese conto che proprio grazie a questo comune lavoro educativo e di istruzione, gli alunni con disabilità crescevano più facilmente negli apprendimenti, nella comunicazione, nella socializzazione e nelle relazioni, come poi dirà l’art 12 comma 3 L.n. 104/92. A partire però dalla metà degli Anni Novanta ci si cominciò ad interrogare sempre più frequentemente se l’integrazione scolastica non dovesse considerarsi un fenomeno biunivoco, cioè nel senso che essa non consistesse solo nell’adattamento dei comportamenti degli alunni con disabilitàà a quelli dei compagni non disabili, ma se anche questi non dovessero adattarsi anche a comprendere ed accettare i comportamenti dei compagni con disabilità. Riesumando una interpretazione sessantottesca della parola integrazione si cominciò a dire che il termine integrazione scolastica ricordava troppo quello di integrazione nel sistema, che aveva certamente un valore negativo, svuotando tale termine della valenza positiva che aveva avuto all’inizio ed anzi facendo assumere un significato riduttivo di perdita di autenticità e di libertà. Così, sotto l’influsso della letteratura sociale e culturale di origine anglosassone si venne affermando il termine inclusione, a significare la reciproca permeabilità dei rapporti fra alunni con disabilità e loro compagni. In vero io e molti altri, già dagli Anni Settanta davamo questo significato al termine “integrazione”; ma vuoi per il fraintendimento operato da alcuni scrittori , vuoi per l’affermarsi della nuova moda, il termine “inclusione” è ormai divenuto sinonimo di piena coeducazione di qualità degli alunni con disabilità coi coetanei non disabili. Personalmente non ritengo che la traduzione italiana “inclusione“ del termine inglese “inclusion” sia veramente significativo del fenomeno operato in Italia da oltre 40 anni; però ormai la moda si è affermata e, purchè ci si accordi sul significato delle parole, accetto convenzionalmente questo nuovo termine e lo uso. A livello normativo il termine inserimento è stato ufficializzato dall’art 28 della L.n. 118/1971, quello integrazione dalla L.n. 517/77 e soprattutto dalla L.n. 104/92, quello inclusione dalla convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con L.n. 18/2010". [3]
[1] Patete A., Le parole per dirlo, inchiesta in "SuperAbile Magazine", febbraio 2012
[2] Ibidem
[3] http://www.fondazionegualandi.it
Texas: giudici fermano boia, salvo minorato
Scricchiola macchina morte, rinvio deciso a poche ore iniezione
(agenzia di stampa nazionale, 14 maggio 2014)
Scricchiola anche in Texas la ben oliata macchina della pena di morte: arrivato a un passo dal lettino dell'iniezione letale, il condannato James Campbell si è visto sospendere l'esecuzione a causa di problemi mentali.
Stati Uniti: condanna a morte per un minorato mentale
Nononostante i suoi legali abbiamo cercato di dimostrare da tempo la sua infermità mentale, Milton Mathis, 32 anni, è stato giustiziato nel carcere texano di Huntsville
(sito di un settimanale nazionale, 22 giugno 2011)
Milton Mathis aveva collezionato già da un piccolo una serie di insuccessi scolastici che avevano fatto dire ai suoi insegnanti che quel ragazzino nero della Contea di Fort Bend, profondo Texas, aveva sicuramente dei grossi limiti cognitivi e di apprendimento.[...]
"Non uccidiamo minorati mentali, quello è solo una ragazzo che ha tentato di fare il furbo", è stato il commento di un portavoce del governatore. Aveva dei forti limiti mentali, aggravati dal pesante uso di droghe in giovane età, è stata al risposta di Steven Rocket Rosen, il primo avvocato di Milton. Comunque sia la vita di Milton Mathis è terminata alle 6 e 53 di un'alba texana, nel braccio della morte del carcere di Huntsville. Nonostante la senteza della Corte Suprema, secondo le associazioni per i diritti civili, altre esecuzioni capitali di altri minorati mentali sono state eseguite in questi anni. Come nel caso di Daniel Lee Bedford, giustiziato in Ohio nello scorso maggio. I suoi avvocati affermavano che fosse afflitto da demenza e che non fosse in grado di capire il perché stava per essere ucciso con una iniezione letale. Ma la Macchina della Morte non si è fermata. Come non l'ha fatto nel caso di Frank Spisak, la cui sentenza di morte è stata eseguita sempre in Ohio, ma due mesi prima di quella di Bedford. Uccise tre persone non per odio, ma perché malato mentale da tempo, hanno detto prima (inutilmente) e dopo (sconsolati) i suoi avvocati.
L'integrazione scolastica degli alunni minorati della vista
Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti
Domani convegno al Palazzo del Volontariato
(sito di informazione locale, 6 novembre 2011)
[...]L’obiettivo è quello di coordinare tutte le iniziative e le attività finalizzate a favorire il processo di integrazione scolastica che richiede, per la sua realizzazione, il coinvolgimento ed il contributo di tutte le figure, educative e istituzionali, che operano per sostenere il percorso educativo degli alunni minorati della vista. All’incontro sono invitati a partecipare i genitori degli alunni minorati della vista di Benevento e Provincia, i Dirigenti scolastici e gli insegnanti di sostegno e curriculari, i rappresentanti dell’ U.S.P., dei Distretti Sanitari dell’ A.S.L., della Provincia di Benevento e dei Comuni in cui risiedono gli alunni disabili visivi.
E' inoltre frequente, come abbiamo visto in altri casi, l'uso di parole collegate alla disabilità come insulti o con riferimento a un qualcosa di offensivo, soprattutto in ambito politico. Ecco un esempio:
Verso le elezioni
Monti: «Niente in comune con questa coalizione di centrosinistra»
Dibattito tv, «Non possiamo trattare italiani come dei minorati». Berlusconi? «Timore a confrontarsi con me»
(quotidiano online nazionale, 18 febbraio 2013)