Prima dell’ espressione persona senza dimora, si parlava di barbone o clochard. Due termini che Paolo Pezzana, presidente Fio.PSD (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) invita a non usare mai. Se è evidente che barbone ha un’accezione negativa e stigmatizzante, il secondo invece è spesso usato come sinonimo di senza dimora. “La ritengo categoricamente una mistificazione – spiega Pezzana – clochard viene usato per ingentilire e suggerisce lo stereotipo di vivere sotto i ponti per scelta romantica. La realtà è che molti si adattano in negativo alla situazione che vivono. Persone che si trovano sulla strada si raccontano e raccontano agli altri che dietro ci sia una scelta. Ma è una strategia di sopravvivenza per poter resistere in una situazione di forte disagio, per mantenere quel minimo di autostima che ti consente di non annientarti in una situazione in cui socialmente sei già stato annientato”. Tra scelta e adattamento negativo c’è una bella differenza. Tutti vorrebbero un’alternativa. Espressioni come senza tetto e senza casa si riferiscono al lato materiale e fisico dell’abitazione (in inglese house). La locuzione senza dimora ha dietro il significato inglese di home, inteso come il luogo degli affetti e delle relazioni. Quando negli anni Ottanta la parola homeless è stata tradotta in italiano, si è scelto il termine dimora come equivalente di home perché erano gli anni dei tanti senza tetto, sfollati a causa di terremoti come quello dell’Irpinia. Ci si rendeva conto che le due situazioni non erano comparabili, pur avendo l’elemento materiale in comune: l’assenza momentanea di un riparo sotto cui vivere. Homelessness è diventato il termine internazionale più usato per indicare la condizione dei senza dimora. “Questa parola sottende un grave problema sociale perché il grado di equità di una società si vede dal modo in cui protegge e accoglie le persone vulnerabili, si riferisce a un problema che riguarda tutti, non solo i senza dimora”, spiega Alberto Barbieri, coordinatore della Onlus Medici per i Diritti Umani. In italiano l’equivalente può essere “grave emarginazione” che comprende altre situazioni di disagio sociale, come quella di alcuni gruppi Rom. Con un distinguo importante. Se dal punto di vista fisico i Rom che vivono in un campo non hanno una casa (house), non vengono considerati senza dimora, perché non vivono una condizione di sradicamento sociale, relazionale e comunitario, pur trovandosi in situazione di esclusione sociale. Le persone senza dimora vivono un disagio complesso, non dettato da una “scelta di libertà” (contrariamente a quanto spesso si crede), ma da acuta sofferenza e rottura radicale rispetto alle reti sociali. Nel tempo la condizione di sofferenza estrema può condurre alla morte. La grave emarginazione è una realtà dei paesi ricchi perché esistono fattori di esclusione che vanno oltre la sola sfera economica. Le persone senza dimora hanno difficoltà a mantenere relazioni e a trovare accoglienza dai servizi sociali, che spesso non riconoscono la persona come un utente di loro “competenza”. Con queste premesse, per Fio.PSD è possibile definire una persona senza dimora come un soggetto in stato di povertà materiale ed immateriale portatore di un disagio complesso, dinamico e multiforme.
Secondo Pezzana è scorretto usare l’espressione “senza fissa dimora”. Con una battuta si potrebbe dire che un ricco che ha tante case può scegliere in quale andare a dormire, senza dimora è chi non ne ha. La locuzione è stata introdotta nell’ordinamento italiano negli anni Cinquanta per designare circensi e viaggianti (i nomadi del tempo), secondo un’accezione felliniana. “Una persona stanziale in condizioni di grave emarginazione non rientra minimamente in quella ratio legis” spiega Pezzana. La definizione senza fissa dimora era legata a una mancanza di domicilio stabile. “Se la residenza è il registro pubblico del territorio nel quale sei iscritto, il domicilio è la sede prevalente dei tuoi interessi e dei tuoi affetti – continua il presidente Fio.PSD- Può essere una panchina, un marciapiede, lo riconosce anche la legge”. La grave emarginazione è il frutto di processi di impoverimento e di esclusione sociale che affligge un numero di persone sempre crescente e di ogni provenienza.
Gli stranieri in condizioni di irregolarità non possono chiedere la residenza. Quindi sono senza dimora sradicati anche legalmente, per loro la grave emarginazione raggiunge l’apice della gravità perché non ci sono strumenti per intervenire, se non quelli del diritto umanitario, cioè pretendere la soddisfazione dei bisogni primari: un dormitorio e una mensa. Si resta nell'ambito del diritto di sopravvivenza, un diritto umano anche per chi è irregolare, perché il dovere di qualunque istituzione è preservare la vita delle persone che si trovano sul proprio territorio.
Blocco di residenza anagrafica e residenza fittizia
La residenza anagrafica è l’iscrizione in un registro che è l’anagrafe di cittadini residenti, tenuto dal comune. L’anagrafe è organizzata su domicili che corrispondono a un indirizzo con un numero civico. Le persone che hanno un domicilio come una panchina, una baracca, un centro d’accoglienza, oppure i rifugiati costretti a vivere in stabili occupati, non hanno un indirizzo da dichiarare all’anagrafe.
Il blocco anagrafico è la condizione di perdita della residenza anagrafica. La persona che non risulta residente in alcun comune del territorio nazionale perde la possibilità di avere dei documenti di riconoscimento e, conseguentemente, perde tutti i diritti costituzionalmente garantiti, compresa l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale. [1]
Per ovviare a questo problema, è stato deciso che ogni comune dovesse istituire un indirizzo fittizio nel quale iscrivere all’anagrafe la popolazione senza dimora. La residenza fittizia è un’iscrizione anagrafica che non corrisponde a un numero civico ma corrisponde a un domicilio che le persone hanno su quel territorio. "Quando Giorgio Napolitano era ministro dell’Interno, nel 1997, emanò una circolare per ricordare ai sindaci dei comuni che l’omissione di questa misura sarebbe potuta essere considerata reato di omissione di atti d’ufficio - ricorda Pezzana - A Roma fu creata 'via Modesta Valenti' in memoria di una senza dimora morta alla Stazione Termini perché non soccorsa a causa del fatto che era sporca". Qual è il problema? "Ad esempio a Genova avere scritto sulla carta d’identità 'via del molo 13' era come avere scritto ‘senza fissa dimora’, perchè quello era il luogo dell’asilo comunale, significava automaticamente essere identificato con un disperato -spiega Pezzana - Si è deciso quindi di moltiplicare i luoghi, tutti i centri di accoglienza potevano avere questa caratteristica".
Il registro dell’anagrafe è quello su cui il sindaco agisce come ufficiale del governo, non come rappresentante eletto dai cittadini. Oggi si va verso l’Anagrafe unica nazionale sulla quale deciderà direttamente il ministero dell’Interno. Si tratta di un’operazione informatica che permetterà di avere un registro unico uniforme a livello nazionale. Sul sito del progetto si legge che "il data warehouse centralizzato, che costituisce il nucleo della soluzione, è un database di elevata qualità e di grandi capacità, tali da poter contenere i dati personali di un’intera popolazione, nello specifico quella italiana. Questo database diventerà un’entità centrale “nazionale” a disposizione delle amministrazioni centrali, locali e del singolo utente e di altre istituzioni, accessibile grazie ad un'interfaccia uniforme che permetta in tempo reale l’aggiornamento del database centrale. In questo scenario il cittadino può interagire con esso tramite una qualsiasi postazione domestica, comunale o esterna, il tutto garantito da avanzatissime specifiche tecniche di sicurezza. Il sistema così progettato garantirebbe all’utente un risparmio notevole di tempi e costi, nonché la disponibilità di un ampio ventaglio di servizi. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di reperire certificati comodamente seduti in poltrona o in un luogo diverso dal comune di appartenenza. Al contempo la pubblica amministrazione otterrebbe vantaggi di notevole entità individuabili in un aumento di produttività traducibile in risparmi di tempo, qualità del servizio offerto e in una maggiore efficienza. Questa struttura avrebbe come altro punto di forza il notevole vantaggio di abbattere i costi relativi alla gestione del cartaceo, deperibile nel tempo".[2]
Emarginazione ed esclusione sono due termini spesso usati come sinonimi, ma in realtà non lo sono. "Il termine emarginazione si riferisce a un processo - spiega ancora Pezzana- non è una condizione permanente. Il processo di emarginazione è la dinamica attraverso la quale la società ti esclude. La condizione di esclusione è il risultato di quella dinamica o di una dinamica di mancata inclusione". Ad esempio il richiedente asilo diniegato più che unapersona che è stata emarginata, è una persona che è stata immediatamente esclusa.
Il tema dei senza tetto nel dibattito pubblico finisce spesso nella cornice della sicurezza, affiancato al concetto di degrado. A questa prospettiva risponde il registro delle persone senza fissa dimora, una sorta di schedatura, inaugurato il 6 luglio del 2010 dal Dipartimento per gli affari interni e territoriali. Un provvedimento applicato in attuazione della legge sulla sicurezza pubblica del 2009 (il pacchetto sicurezza), come se i senza dimora fossero un pericolo per la collettività. Un’informazione corretta dovrebbe anche spiegare le cause dell’esclusione sociale, non solo soffermarsi sugli effetti di apparente “degrado” al decoro urbano che non tengono conto della dignità umana.
[1] Medici per i diritti umani, Città senza dimora. Indagine sulle strade dell'esclusione, Infinito edizioni 2012
[2] http://www.aunitalia.it/
Secondo il primo censimento elaborato dall'Istat, Fiopsd, Caritas Italiana e ministero del Welfare, nel 2011 sono 47.648 i senza dimora censiti nel nostro paese. A Milano i senza dimora sono oltre 13 mila. Gli homeless a Roma sarebbero oltre 7 mila. Il censimento si riferisce solo alle prime due delle sei categorie – quelle più severe – della “homelessness” considerate in Europa. La rilevazione esclude i minori e i Rom. Il rapporto parla di 47.648 senza dimora censiti, ma il margine di errore in eccesso dichiarato porta la cifra ad un massimo di 51.800 persone. Una soglia, questa, che è da ritenere più vicina alla realtà in base alle caratteristiche stesse della rilevazione, riferita ai senza dimora che nei mesi di novembre e dicembre 2011 hanno utilizzato almeno uno dei 3.125 servizi (mense, accoglienza notturna ecc.) garantiti da 727 associazioni nei 158 comuni italiani più importanti (rispetto alla popolazione di questi comuni l’incidenza è dello 0,2%). Dagli oltre 47 mila effettivamente censiti resterebbero infatti fuori coloro che non si rivolgono mai ai servizi o che vivono in comuni molto piccoli: una quota che secondo i ricercatori e secondo le convenzioni europee arriva fino al 5%. Ci sono poi due altri dati metodologici da sottolineare. Il primo è che il censimento si riferisce solo alle prime due delle sei categorie – quelle più severe – della “homelessness” considerate in Europa. Il secondo è che esso esclude i minori, i Rom e tutte le persone che, pur non avendo una dimora, sono ospiti in forma più o meno temporanea presso alloggi privati (ad esempio, quelli che ricevono ospitalità da amici, parenti, ecc.).
Stranieri e italiani. Il 59,4% dei senza dimora è rappresentato da stranieri. Le cittadinanze più diffuse sono la romena (11,5%), la marocchina (9,1%) e la tunisina (5,7%). In media gli stranieri sono più giovani degli italiani: il 46,5% ha meno di 35 anni mentre il 10,9% degli italiani ha più di 64 anni (circa 2.000 persone). La maggiore anzianità degli italiani comporta una maggiore durata della condizione di senza dimora: circa la metà degli stranieri (49,7%) è senza dimora da meno di 6 mesi, contro un terzo (32%) degli italiani. Solo il 9,3% lo è da almeno 4 anni contro un quarto degli italiani (24%). Il fatto di essere più giovani si associa per gli stranieri anche con titoli di studio più elevati: il 43,1% ha un diploma di scuola media superiore (il 9,3% ha una laurea) contro il 23,1% degli italiani. Il 6,1% degli stranieri, però, dichiara di non sapere né leggere né scrivere. Il 99,1% degli stranieri è nato in uno Stato estero e solo il 20% era senza dimora prima di arrivare in Italia. Il 41,4% ha dichiarato di aver avuto la sua ultima abitazione in uno Stato estero e il restante 38,6% in Italia. Tra questi ultimi circa la metà aveva l’ultima abitazione in un comune diverso da quello in cui vive la condizione di senza dimora.
Fonte: Guida all'informazione sociale di Redattore Sociale
Qui di seguito riportiamo una vasta casistica di titoli e articoli, in cui si alternano esempi negativi di informazione scorretta ed esempi positivi su come andrebbe trattato l'argomento. I primi inquadrano la questione delle persone senza dimora e dell'emarginazione solo nell'ottica della sicurezza e della lotta al 'degrado' e agli 'abusivi' (vedi l'uso di questi due termini), mettendo tante situazioni e storie diverse in un unico calderone e incitando agli sgomberi e ai blitz. I secondi privilegiano le storie individuali, il racconto delle comunità in occupazione, danno voce ai senza tetto e usano termini appropriati, come "emergenza casa", "emergenza abitativa" e "disagio abitativo". Queste locuzioni sono importanti perchè servono a inquadrare la questione in un'ottica di politiche sociali e non di controllo dell'ordine pubblico o di devianza individuale.
"L'Homelessness è una condizione umana e sociale che sottende un grave problema della nostra società, perché il grado di equità di una società si vede dal modo in cui protegge e accoglie le persone vulnerabili - afferma Alberto Barbieri, coordinatore di Medici per i diritti umani - Ogni volta che questa condizione assume dimensioni rilevanti vuol dire che c’è qualcosa nella nostra società che non funziona ed è un problema che riguarda tutti".
Il Sant’Elena sotto sequestro
Era un rifugio per senzatetto, clandestini e poco di buono, teatro di una sospetta violenza sessuale la scorsa estate
(quotidiano locale, 10 novembre 2011)
Spinea, l’ex fornace ritrovo di senzatetto. Sgombrata e murata
Sgomberata e poi murata l’ex fornace Cavasin. Era diventata un rifugio per sbandati ed extracomunitari senza fissa dimora.
(quotidiano locale,24 gennaio 2012)
Zen, ricomincia lo sgombero delle case e torna la tensione con gli occupanti
Dopo l'evacuazione di dieci appartamenti, avvenuta ieri, si lavora per liberare gli altri alloggi per affidarli ai legittimi assegnatari. Ma continua la protesta degli abusivi che non vogliono abbandonare i fabbricati
(edizione locale online di un quotidiano nazionale, 21 aprile 2010)
Sgomberati ieri i primi dieci appartamenti, sono ricominciate oggi le operazioni di evacuazione delle case popolari della cosiddetta Insula 3 nel quartiere Zen a Palermo. Case occupate abusivamente da alcune famiglie di senzatetto. L'iniziativa è stata decisa dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, su sollecitazione del Comune, in modo da consentire la consegna ai legittimi assegnatari degli alloggi. Fino ad ora sono stati sgomberati dieci appartamenti sui circa 60 occupati abusivamente. Anche stamane, come già era avvenuto ieri, l'intervento delle forze dell'ordine si è svolto tra tensioni e polemiche. "Non siamo animali e non abbiamo intenzione di andare via dalle nostre case. Anche noi abbiamo diritto a un posto dove dormire e mangiare", dice Marcella Caracappa mentre assiste all'assegnazione di quella che ha considerato per "due anni come la mia casa". "Ho dei bambini piccoli - aggiunge - dove andrò ad abitare adesso?". Per Francesco Lucchese, un altro "abusivo", "il sindaco Cammarata è un uomo senza cuore perché sa perfettamente che ora si scatena una guerra tra poveri. Ho trascorso già la scorsa notte in macchina con mia moglie e i miei due figli di un anno e l'altro di tre mesi. Siamo digiuni da ieri". [...]
Il sindaco Diego Cammarata ieri aveva replicato alle accuse sottolineando che "i legittimi assegnatari sono persone altrettanto bisognose di quanti occupano abusivamente e diversamente da questi ultimi, non cercando di fare valere i loro diritti con atti di violenza. Abbiamo creato una graduatoria aggiuntiva per le condizioni di particolare gravità - ha sottolineato il sindaco - e abbiamo proceduto proprio in questi giorni ad assegnare alcune abitazioni provenienti dai beni confiscati alla mafia". Operazione, questa, che ha già creato malumori come nel caso dell'attico di via Bonanno assegnato a una famiglia Rom.
ROMA DIVERSA Nelle case dei «senza casa», tante lingue al Porto Fluviale
Nel magazzino militare occupato dal giugno del 2003 Gli appartamenti ricavati dividendo i volumi col cartongesso e le aree condivise per gli incontri
(edizione online di un quotidiano nazionale, 17 giugno 2012)
ROMA - Altro che Porto Fluviale. Questo ex magazzino militare all'inizio di via Ostiense, appena dopo il cavalcavia ferroviario, è un porto oceanico. Sono approdati marocchini, peruviani, moldavi, tunisini, rumeni, equadoregni, senegalesi, gente da mezzo mondo. Anche italiani come Manuela, 32 anni, due figli meticci (Kine e Leo, 4 e 2 anni) che si è fatta casa dai tempi dell'occupazione nove anni fa. Un centinaio di famiglie, decine di bambini che vanno a scuola. La più piccola è Manel, una ricciolina romano-marocchina di un anno, esibita con orgoglio da zia Zora. Le occupazioni saranno una sessantina, in tutta la città. Oltre duemila famiglie. [...]
Forse è bene ricordarsi di queste migliaia e migliaia di persone in gran parte pienamente integrate nella società romana (operai, badanti, artigiani) ma costrette a vivere nell'edilizia perduta, talora importanti insediamenti che hanno perso una funzione. Le case popolari non si costruiscono più, sul social housing si parla molto ma si fa ben poco. Le pubbliche amministrazioni fanno finta di subire un torto, ma tollerano perché così si tampona un problema. E che problema: la casa. [...]
La comunità si autoregola: nessuna violenza verbale o fisica, niente droghe. Una volta la settimana, assemblea guidata da un «direttivo» nominato a rotazione per mandare avanti l'«unité d'abitation» senza intoppi. C'è una coloratissima sala da the aperta al pubblico(«per scambiare conoscenze e mettere in movimento idee») che si affaccia sulla strada, un grande ambiente per le riunioni dove c'è anche una piccola area per pregare Allah, i lunghi e oscuri corridoi dove si affacciano le «case» e il Cortile, lo spazio esterno al centro della «ville radieuse», tanto per andare sul contrappasso. Lo scenario è povero, sgarrupato. Ma quando si entra a casa di Manuela o di Buochra, una quarantenne di Marrakesh, c'è un ambiente dignitoso, pulito e a cui non manca l'essenziale. Spesso non chiudono la porta. Roberto Suarez, 43, peruviano, studia sociologia e fa il facchino d'albergo: «Stando insieme siamo molto cresciuti: ora abbiamo un forte spirito sociale e pensiamo che questo ex magazzino debba subire una trasformazione esemplare per tutto il quartiere». [...]
«Qui abbiamo imparato a socializzare la sofferenza individuale» dice qualcuno che esalta l'atmosfera di buona convivenza costruita nel grande fabbricato. Non sarà proprio radiosa, ma questa mini-borgata in piena città, sovrastata dalla ferrovia, pare alludere ad una serena alternativa al modo di vivere stressante ed infelice al quale sembriamo tutti tendere. [...]
La mappa degli abusivi tra case occupate e quartieri in ostaggio
A sentire comitati e partiti di opposizione, «sono dappertutto». Forse non sbagliano. Ma la mappa degli alloggi popolari abusivamente ha dei «bollini rossi», situazioni bollenti come quella del quartiere San Siro dove venerdì scorso è scattato lo sgombero di quattro famiglie.
(edizione online locale di un quotidiano nazionale, 12 aprile 2012)
Dopo l'allerta della questura e le lettere degli altri inquilini costretti a subire per mesi minacce e degrado, il Comune ha provato a cacciare gli abusivi. Ma - accompagnati dagli autonomi del Cantiere - questi hanno occupato gli uffici di via Larga e strappato agli assessori l'hotel gratis almeno fino ad oggi, quando la commissione Casa si riunirà per decidere se per «stato di necessità» hanno diritto a bypassare le 33mila famiglie in lista d'attesa. Il Cantiere giorni fa aveva avvisato la giunta, «se non si arriva a una soluzione torneremo». Oggi potrebbe mantenere il patto. Il quartiere Aler San Siro, in particolare negli stabili di via Segesta e Ricciarelli, è senz'altro da bollino rosso. La definiscono una situazione esplosiva. Letteralmente, visto che gli abusivi senza luce e gas si allacciano alla corrente dei vicini per risolvere il primo problema, ma per scaldare l'acqua e i pasti tengono in casa le bombole. A San Siro le tensioni con gli altri inquilini sono continue. In via Mario Pichi 1, zona Ticinese, gli anziani stanno cercando di scappare, si mettono in lista per cambiare alloggio, denunciano rave abusivi, spaccio. In via Guido Coppin 3, zona Ronchetto sul Naviglio, gli abusivi entrano con i camion nel cortile e danno vita a commercio illegale di varia natura. Scena ben nota anche a chi vive in via Lope de Vega, più tranquilli i civici «alti», dall'1 all'11 è un fortino: box usati come laboratori, risse, sporcizia. In via Lorenteggio 131, zona piazza Tirana, le occupazioni sono sparse, ma la scala H è diventata praticamente un «campo rom». Ovviamente abusivo. Non è un caso che gli sos vengano lanciati soprattutto ai lumbard, l'assessore alla Sicurezza della Provincia Stefano Bolognini contesta «la politica buonista della giunta Pisapia» che «ancora una volta non porta ad alcun buon risultato. Se il Sindaco stesso le giustifica, non si sorprenda poi se ogni giorno si registrano nuove occupazioni abusive. La linea morbida, anzi addirittura di apertura di credito per gli occupanti abusivi, non solo non risolve questa piaga ma mortifica gli inquilini regolari che ogni mese pagano l'affitto e le spese». Boom di occupazioni tra via degli Etruschi e via Tommei, all'interno del quartiere Aler Calvairate, in via Bompiani al Corvetto anche se le ristrutturazioni in corso stanno alleggerendo la pressione. Allo Stadera il bollino rosso va su via Palmieri e Barrili. Alla parola occupazione i consiglieri di zona del Pdl aprono i sottoinsiemi. Abusivi nelle case popolari, extracomunitari nei palazzi dismessi, baraccopoli su aree private o comunali. Basta chiedere. E i numeri nell'ultimo anno, come hanno confermato la scorsa settimana questore e prefetto, sono in aumento e portano con sè la crescita della microcriminalità. [...]
IL CASO Sfratti e sgomberi, è emergenza casa "Qui intere famiglie vivono in strada"
Don Colmegna: "Servono centri d'accoglienza". Nel 2010 hanno perso l'abitazione in 6.500 quasi tutti per morosità. Palazzo Marino: "Dobbiamo recuperare duemila appartamenti sfitti"
(edizione locale online di un quotidiano nazionale, 13 ottobre 2011)
Ha preso una tanica di benzina e ha cercato di darsi fuoco, a 56 anni, dopo esser stato sfrattato. Davanti a Palazzo Marino, solo l’intervento dei vigili ha evitato la tragedia. Il gesto di un disperato. Proprio in quel momento, l’Aler completava lo sgombero di cinque case popolari tra viale Sarca e viale Fulvio Testi, il «fortino» della malavita e dell’abusivismo. Gli ultimi atti di un dramma che si aggrava ogni giorno di più, quello degli sfratti e della crescente fame di case. Le famiglie finite in strada hanno chiesto aiuto alla Casa della Carità. «Io però non so più dove metterli, gli sfrattati denuncia don Virginio Colmegna Non ho più un letto libero, ho la coda di disperati. Tutti italiani, tutti senza tetto, con i figli per mano. E finiscono in macchina, per strada. C’è anche chi si è costruito una baracca, come gli zingari». Il presidente della Casa della Carità parla di «vera e propria emergenza sociale». E chiama in causa il Comune: «L’abusivismo è un problema della città. La gente non ce la fa a pagare l’affitto, il mutuo. Io sono per la legalità, ma è urgente affrontare il problema. Ha ragione l’assessore Castellano: fra gli abusivi c’è anche chi è in stato di estrema necessità. Bisogna analizzare caso per caso, aiutare chi non ha alternative. Non chiedo la sanatoria generalizzata, ma il diritto alla casa va garantito. [...] Ma don Colmegna chiede di agire subito. «Ha ragione - dice l’assessore - prima di tutto, distinguiamo i delinquenti dai casi di necessità. Stiamo formando una commissione per valutare le singole posizioni e prevedere un accompagnamento sociale dove serve». [...]
Emergenza casa, viaggio negli stabili occupati
Al Metropoliz di Tor Sapienza l’esperimento di una città meticcia. Sulla Collatina, in un ex bene confiscato alla mafia nascerà una struttura per le famiglie senza tetto. A via Sorel trattativa per l’autorecupero di una vecchia scuola
(agenzia di stampa nazionale, 1 marzo 2010)
Roma – Si preparano oggi pomeriggio nuove contestazioni dei movimenti di lotta per la casa, alla scadenza del voto in Campidoglio del piano della giunta Alemanno, che prevede 25mila nuovi alloggi di cui solo sei mila case popolari. I motivi della protesta sono riassunti così da Giacomo Gresta, dei Blocchi precari metropolitani: “Il resto, il cosiddetto housing sociale, comporta il pagamento di un affitto leggermente calmierato, di circa 500-600 euro più le utenze che molte persone in occupazione, con figli piccoli e anche con dieci punti per la casa popolare, non potrebbero mai pagare”. Altra ragione della contestazione è l’intenzione di costruire tremila case popolari sulle aree di riserva dell’agro romano. I Blocchi precari metropolitani, insieme al coordinamento cittadino di lotta per la casa, hanno attuato le proteste della settimana scorsa dopo lo sgombero della ex scuola Tommaso Grossi di via degli Eucalipti a Centocelle. Quattro degli sgomberati si sono arrampicati per due giorni sulle impalcature della chiesa della Madonna di Loreto e in otto sono poi saliti sul Colosseo, dove dormono da sabato scorso e rifiutano di scendere senza risposte certe dal comune. Intanto l’emergenza casa, complice la crisi, l’inflazione e il caro affitti, ha raggiunto picchi insostenibili nella Capitale. In quartieri popolari come il VI e il VII municipio, sono tante le occupazioni di varie organizzazioni di lotta per la casa. Ognuna specchio di una situazione sociale variegata. Nell’ex salumificio Fiorucci di Tor Sapienza, dismesso dodici anni fa, da un anno vivono persone di diverse nazionalità. La struttura oggi si chiama “Metropoliz” e i Blocchi precari metropolitani, che l’hanno occupata, vi terranno il prossimo 4 marzo un incontro sulla ‘città meticcia’. Parteciperanno anche l’assessore al Bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri, il giornalista Riccardo Iacona e la preside della scuola Iqbal Masih, Simonetta Salacone. “Con l’istituto scolastico partirà a giorni un corso di italiano per le persone che abitano a Metropoliz”, spiega Giacomo Gresta. Inizialmente il Metropoliz era stato occupato per protesta a marzo 2009 durante il G8 sull’immigrazione. “Per fare vedere che dentro il raccordo ci sono aree industriali dismesse ed ex caserme che possono essere recuperate e riutilizzate dal comune per l’emergenza casa, senza necessità di cementificare ancora l’agro romano”, afferma ancora Gresta. Poi però, i tanti senza tetto hanno affollato la struttura, che oggi conta un centinaio di abitanti. In un’area ci sono i rom sgomberati a novembre dal parco di Centocelle. Nelle ex foresterie vivono Tatiana, una giovane mamma italiana e le sue bambine. E ancora, famiglie peruviane, persone di Santo Domingo, del Marocco, della Tunisia, dell’Eritrea e del Senegal. Perfino un ghanese di Rosarno è stato ospitato al Metropoliz prima che la Comunità di Sant’Egidio riuscisse a trovargli un container per l’emergenza freddo. Lavori saltuari, permessi di soggiorno scaduti, espulsioni, anche tre di fila. Questo è il passato di un marocchino di 26 anni che racconta: “questo è il primo aiuto che ricevo in tre anni in Italia, ho dormito a lungo nei treni in riparazione a Scalo San Lorenzo e nelle auto abbandonate”. Tra gli immigrati, c’è chi aveva una vita stabile in Italia e ha patito più degli altri la crisi. Sara, 31 anni, peruviana abita nella fabbrica con il marito e un bambino di 16 mesi, il fratello con la moglie e altre due bambine. Sono a Roma da oltre dieci anni, ma hanno perso lavoro e casa a Casal Del Marmo. Si trovano sulla Collatina altri due edifici occupati dai Blocchi precari metropolitani. A Via Altobelli c’è un bene confiscato alla banda della Magliana. Ora ci vivono nove nuclei. “Lo abbiamo preso per dare una casa a Raffaella Ferraro e a sua figlia Beatrice dopo lo sfratto – spiega Gresta – ora finalmente il municipio si prenderà carico del suo caso e per le altre persone, il Comune dovrebbe fare una ristrutturazione con fondi regionali per creare circa 7 mini appartamenti per le famiglie con disagi abitativi”. Adiacente c’è l’ex scuola di via Sorel. Abbandonata per anni, è abitata da trentacinque famiglie in emergenza casa, da ormai dodici anni. “Ventidue famiglie hanno preso la casa popolare a Ponte di Nona, per i restanti nuclei, soprattutto giovani, siamo in trattativa con la Regione Lazio per fare diventare la struttura un autorecupero - continua l’attivista – ai piani superiori ci sarebbero gli alloggi e al piano terra un asilo nido, una ludoteca e i servizi.
Sola con una bambina, dopo lo sfratto l’occupazione
La storia di Raffaella Ferraro, ex guardia giurata, con una figlia di 8 anni. “Dal municipio mi hanno detto: chiami lo 060606”. Oggi vive sulla Collatina, in un edificio sequestrato alla banda della Magliana, insieme ad altre 20 persone
(agenzia di stampa nazionale, 1 marzo 2010)
ROMA - Raffaella Ferraro, madre sola con una bambina di 8 anni che si chiama Beatrice, alle occupazioni ci è arrivata dopo essersi rivolta per anni a tutte le istituzioni competenti, mentre dopo un licenziamento scivolava nel baratro dell’indigenza e dello sfratto per morosità. E’ stata guardia giurata per oltre dodici anni. Licenziata nel 2004, è ancora in causa con il datore di lavoro. Viveva in via Roberto Malatesta, in un ex portierato, proprietà di tutti i condomini. Non è riuscita a trovare un altro lavoro fisso, anche a causa dell’età. Oggi sopravvive con gli aiuti della Caritas e lavoretti da baby sitter a stiratrice. E’ in causa anche con l’ex compagno che non le paga gli alimenti per la figlia. “Mi sono rivolta al municipio VI, che mi ha spedita dall’assistente sociale, il quale mi ha rimandata al municipio – racconta – per dirmi alla fine che il municipio non ha soluzioni per l’emergenza abitativa. Dal 2005 dentro la cartellina con il mio nome non c’era assolutamente nulla, non avevano fatto niente”. Quando lo sfratto è diventato esecutivo, al municipio le hanno risposto che potevano solo metterla in una lista d’attesa di mesi per entrare in un centro d’accoglienza temporaneo. “Mi hanno detto: chiami lo 060606 del comune di Roma”, racconta. Intanto ha vissuto per sette mesi in casa senza la luce. “Stavamo con le candele e Bea attaccava disegni sullo schermo della Tv per fare come se ci fossero delle immagini”, dice. Le ha provate tutte. Ha anche scritto una lettera ai condomini, lasciandola in ogni cassetta delle lettere. Così le hanno abbuonato un anno di morosità. “Ma l’avvocato dello stabile, che ne è anche amministratore, ha chiesto di procedere a oltranza con l’ufficiale giudiziario”. Con la forza della disperazione e gli ultimi centesimi rimasti sul cellulare, ha telefonato al quotidiano freepress E Polis raccontando in lacrime tutta la sua storia. Un giornalista l’ha messa in contatto con i Blocchi precari metropolitani. Sono cominciati i picchetti sotto casa e di rinvio in rinvio sono arrivati a 4 mesi di proroga. Ma alla fine è rimasta lo stesso in mezzo a una strada. Poche cose sotto braccio, e nell’altra mano la piccola Beatrice. Dopo una settimana senza soluzioni dal municipio, gli attivisti hanno deciso di occupare uno stabile in via Altobelli, sulla Collatina. Si tratta di un edificio sequestrato alla banda della Magliana, al cui interno c’erano già armadi, letti e reti. Attualmente ci vivono 20 persone in occupazione. Per Raffaella una casa dignitosa era necessaria anche per ottenere l’affidamento della figlia. La signora Ferraro è una delle persone con 10 punti per l’alloggio popolare. Dopo un anno di occupazione, il municipio si è impegnato a prendersi carico del suo caso. “Ma ormai sono finita in un imbuto – dice - non sarà mai come una casa vera e se anche ci fosse, continuo la lotta per le altre donne nella mia situazione”. E sul percorso che l’ha portata a essere una senza tetto, pesa come un macigno la lentezza della giustizia. “Se il processo civile per il licenziamento non fosse ancora in corso, io probabilmente non sarei qui”, dice davanti a Beatrice. La piccola è felice perché con l’aiuto della parrocchia è diventata una scout. E ripete: “La coccinella è sempre contenta, sempre ordinata, sempre ubbidiente…."
Due figlie e 600 euro al mese, vive in una ex fabbrica occupata sulla Prenestina
Storie di madri italiane sole che vivono negli stabili dei movimenti di lotta per la casa. Tatiana, 28 anni, fa la commessa e sta a Metropoliz. “Almeno qui le mie figlie sorridono e io mi sento libera”
(agenzia di stampa nazionale, 1 marzo 2010)
Roma – La libertà dentro una vecchia fabbrica occupata. Varcata la soglia di casa, Tatiana, giovane donna romana di 28 anni e le sue due bimbe, Melany e Maya di 8 e 6 anni, entrano nel loro mondo fatto a colori pastello, tra rose e girasoli, e si chiudono alle spalle la vita grigia di fuori. Una cucina accogliente, una camera da letto con il televisore, un bagno. Sulle pareti e sulle porte hanno disegnato fiori. In tre mesi, Tatiana, con l’aiuto di un amico, è riuscita a creare una casa vera per le sue figlie. “Abbiamo anche l’acqua calda”, afferma orgogliosa. Nella stanza accanto è rimasto uno spazio con i calcinacci e il cemento nudo. Un contrasto impressionante tra il prima e il dopo. Tra il degrado e la vita di una famiglia a suo modo felice. Vivono a Metropoliz, in zona prenestina Tor Sapienza. Un ex impianto industriale della Fiorucci, costruito negli anni Sessanta e abbandonato da dodici anni, che a marzo 2009 è stato occupato dai ‘Blocchi precari metropolitani’. Il proprietario doveva farci un hotel di lusso, ma non ha ottenuto il cambio di destinazione d’uso. La casetta di Tatiana si trova in una delle vecchie foresterie per i pendolari che lavoravano nel salumificio. Ogni mattina, Tatiana, Melany e Maia escono dal loro piccolo sogno costruito a fatica. Attraversano il cortile di Metropoliz e i suoi murales con le scritte che incitano alla lotta per la casa, e superato il cancello chiuso con il catenaccio, si immergono nella quotidianità. Le bambine vanno a scuola, la mamma fa la commessa in un negozio di abbigliamento di proprietà di sua cugina. Tutti i giorni, compresa la domenica, con orario 9-13 e 16.30 – 19.30. Paga:600 euro al mese. “Ma tanto di meglio non trovi – dice Tatiana - almeno così posso portarmi dietro le figlie quando escono da scuola, non potrei pagare una bambinaia”. Minuta, occhi grandi, un sorriso deciso. Tatiana ha scelto la via dell’occupazione per chiudere i ponti con il passato e iniziare a costruire la felicità per le sue figlie. Alle spalle, una storia di violenze domestiche. Si è sposata 8 anni fa, dopo la nascita della prima figlia. Suo marito faceva il pizzaiolo e con lo stipendio non riusciva a pagare un affitto nella capitale. Così hanno vissuto per cinque anni a dai genitori di lui. Probabilmente la frustrazione per non riuscire a dare una sistemazione autonoma alla sua famiglia, ha portato l’ex marito di Tatiana sulla strada della tossicodipendenza. Ancora oggi entra ed esce dalle cliniche e dalle comunità di recupero. “Era una persona dolce prima, ma è finito a fumare cocaina, ha perso il lavoro, è diventato violento e mi minacciava”, racconta. Comincia un incubo e passano 4 anni prima che lei trovi il coraggio di andare via di casa. “I miei genitori sono separati e mio padre mi ha chiuso la porta in faccia tanti anni fa – continua – sono tornata a vivere da mia madre per sei mesi, ma la situazione era insostenibile, perché lei si è risposata e ha tre figli di cui uno della stessa età di Melany”. Anche così, non avendo subìto una sfratto, non raggiunge i 10 punti per l’alloggio popolare. “Sette punti per me”, conferma. Infine l’approdo allo sportello di via dei Castani dei blocchi precari metropolitani, indirizzata da una parente. Si è unita al popolo dei picchetti per il diritto all’abitare e ha raggiunto Metropoliz. La sua vita la riassume così: “Pure dentro una fabbrica, almeno vedo le mie figlie sorridere, sono tranquille e io mi sento finalmente libera”.
Anche gli africani di Rosarno tra gli occupanti dell'ex Asl del Pigneto
Le famiglie raccontano la vita al Tempesta, dove abitano sudamericani, siriani, romeni, albanesi, italiani e africani. “Siamo lo specchio di un quartiere normale”
(agenzia di stampa nazionale, 1 marzo 2010)
Roma – Da ex Asl a casa per oltre cento persone, tra italiani e stranieri. E’ la storia di un edificio in via Antonio Tempesta, nel quartiere del Pigneto, occupato lo scorso settembre dal movimento di lotta per la casa “Action”, dopo il trasferimento della Asl a Largo Preneste. “Siamo qui sia per cercare di avere una vita normale, sia per rendere pubblica l’emergenza abitativa nel comune di Roma”, dicono Ruth, peruviana, e Daniela, romana, due delle donne che animano l’occupazione. La prima ha il diploma di infermiera, tre figli ed è stata sfrattata mentre era incinta da un residence ad Acilia. Quindi ha dieci punti per la casa popolare. Al Tempesta ci sono tante famiglie con bambini. “L’occupazione è lo specchio di un normale quartiere”, raccontano. Ma la vita è molto più dura. Perché si devono fare i picchetti antisgombero e antisfratto, pulire lo stabile e portare avanti tante iniziative. Al Tempesta, dove abitano sudamericani, siriani, rumeni, albanesi, italiani e africani, sono ospitati anche alcuni immigrati arrivati da Rosarno dopo la caccia ai neri della ‘ndrangheta. Corso di italiano il giovedì, di arabo il venerdì, di inglese il lunedì. Corso di informatica e di cucina, aperitivi dal mondo per essere aperti al quartiere. Uscire dall’isolamento è la necessità più forte per chi vive il disagio abitativo. C’è anche uno sportello legale per richiedenti asilo e rifugiati. Tanti anche gli italiani. Consuelo ha trent’anni, è incinta di due mesi e con una bambina di tre anni, orfana di padre cacciata via di casa perché ragazza madre con la famiglia intenzionata a farla abortire. Riccardo ha 35 anni e non riesce a pagarsi un affitto per avere una vita normale. “Basta un licenziamento per passare la soglia dell’indigenza”, confermano. Martina ha 21 anni, è sposata, suo marito non trova lavoro e hanno una bimba di sette mesi. Stefania, che ha due figlie piccole, ha anche un marito che lavora in nero. E’ entrata in occupazione perché a Ponte di Nona aspetta l’ufficiale giudiziario per lo sfratto da un momento all’altro. “Viviamo tra i pacchi, è tutto pronto per andare via”, racconta con un sorriso amaro mentre spiega che gli affitti in quella zona sono passati in meno di dieci anni da seicentomila lire a 850 euro. “Equivalenti a un milione e seicentomila lire, con quella cifra si poteva affittare una villa!”, conclude. La scelta diventa obbligata tra mantenere i figli o pagare affitti e bollette. Intanto, il comitato di quartiere del Pigneto ha iniziato ieri una campagna informativa sul caro affitti e il giusto prezzo. “In questa zona, un appartamento di 50 metri quadri dovrebbe essere affittato a 375 euro, invece delle 800 euro che si pagano sul mercato”, spiega Giulio Colella, del comitato. La campagna verte sul fatto che si possa fare causa ai proprietari che non praticano affitti agevolati a studenti e sui contratti transitori di 12 e 18 mesi. “Solo il contratto 4+4 è bloccato, per gli altri è possibile fare ricorso, ma in pochi lo sanno”, afferma il comitato di quartiere.
L'ALTRO CENSIMENTO
I "senza dimora" sono molti di più
Le statistiche tendono a sottostimare
Lo spiega Paolo Pezzana presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza un tetto che assieme al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, alla Caritas e all'Istat ha inaugurato la ricerca "Dai un nome agli invisibili", uno studio condotto in 12 aree metropolitane, nei comuni sopra i 100 mila abitanti
(edizione online di un quotidiano nazionale,14 ottobre 2011)
ROMA - E' l'altro censimento. Quello che non prevede moduli Istat nelle cassette della posta perché loro un indirizzo postale non ce l'hanno. Eppure, per la prima volta, dal 1999, saranno contati di nuovo, uno ad uno. Nelle piazze, per strada, seduti sulle panchine o nelle stazioni. Così, attraverso un algoritmo elaborato dall'Istituto italiano di statistica, se ne conoscerà il numero preciso. Diciassette mila 12 anni fa. Oltre 60 mila oggi. All'ultima rilevazione, i senza tetto d'Italia risultavano essere quasi tutti uomini (80%) tra i 28 e i 47 anni, metà italiani, metà stranieri. Oggi, potrebbero essere molti di più perché "il numero (60 mila) è sicuramente sottostimato". Così spiega Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fiopsd 1) che insieme al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, alla Caritas 2 e all'Istat 3ha inaugurato la ricerca "Dai un nome agli invisibili", uno studio condotto in 12 aree metropolitane, nei comuni sopra i 100 mila abitanti e in tutti i capoluoghi di provincia. Povertà estrema. La prima fase del censimento si è conclusa dopo aver setacciato i servizi dedicati ai senza tetto di 12 aree metropolitane, nei comuni sopra i 100mila abitanti e in tutti i capoluoghi di provincia. La seconda fase partirà il 20 novembre e sarà condotta attraverso 5500 interviste ai senza tetto d'Italia ospitati presso le realtà censite nella prima fase che erogano servizi di mensa o accoglienza notturna. Tre gli obiettivi: l'identificazione dei profili delle persone senza dimora e della loro condizione, la quantificazione più precisa delle persone senza dimora nel nostro Paese, l'inserimento, tra i dati rilevati da Istat, della categoria della povertà estrema, diversa dalla povertà relativa e assoluta. La povertà assoluta viene già registrata dall'istituto di statistica in base all'indagine condotta annualmente sui consumi delle famiglie. Dunque se è vero che tutte le persone in povertà estrema sono anche in povertà assoluta, non è vero il contrario. Non solo. Un nuovo metodo per il censimento.[...] dieci anni fa, il numero delle persone che vivono in questa situazione di disagio abitativo è stato sottostimato. Ecco perché serve, questa volta, un censimento alternativo che, spiega la Fiopsd parta "dalla residenza fittizia considerando come abitazione tutte le strutture presso cui i senza dimora possono ottenerla". La sicurezza non c'entra. Una ricerca che permetta cioè, di modificare l'approccio alla questione. Il 6 luglio del 2010 infatti, il Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha inaugurato il registro delle persone senza fissa dimora. Un provvedimento, questo, applicato in attuazione della legge sulla sicurezza pubblica del 2009 (il pacchetto sicurezza, lo stesso che ha introdotto il reato di clandestinità), come se i senza tetto fossero un pericolo per la collettività. Ed ecco il punto e il cambio di prospettiva. Lo scopo de censimento inaugurato dalla campagna "Dai un nome agli invisibili" non è più quello di schedare i barboni, ma quello di spingere affinché le istituzioni comprendano le ragioni dell'emarginazione (non sempre e solo economiche) e provvedano con politiche pubbliche non più meramente emergenziali.