La rivolta di Rosarno è un caso da manuale. Mentre gli eventi erano in corso, è stata presentata dai media come un fenomeno improvviso, oppure uno scontro etnico fra bianchi e neri, un problema di ‘sicurezza’ messo in relazione con la ‘troppa tolleranza verso i clandestini’. Tra le ipotesi della prima ora, si è anche cercata spasmodicamente la regia della ‘ndrangheta dietro la rivolta, attribuendo ai boss anche il potere di scatenare il caos a comando, per distogliere l’attenzione dai propri traffici e dagli attentati contro la procura di Reggio Calabria. Come spesso avviene nelle situazioni di panico collettivo, tra gli abitanti del posto si sono diffuse leggende metropolitane. Ma i media non hanno saputo verificarne l’infondatezza e sono state rilanciate anche da importanti testate nazionali proprio nelle prime ore della guerriglia, con l’effetto potenziale di aumentare l’odio e il conflitto sul campo.
Rosarno è una cittadina situata nella Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, nota per la rivolta dei braccianti stagionali africani del gennaio 2010 che si ribellarono allo sfruttamento e ai proiettili della ‘ndrangheta, la potente mafia calabrese. La vicenda è finita sulle prime pagine dei giornali in tutto il mondo, fino al New York Times. Perché è scoppiata la rivolta? Per lo sfruttamento della manodopera straniera e la crisi del mercato. Ma anche per il controllo mafioso sulla filiera di produzione degli agrumi e la violenza xenofoba che colpiva i migranti africani. Grandi le responsabilità politiche: l’indifferenza delle istituzioni davanti a un’emergenza umanitaria nota da tempo, ma anche le ‘ronde’ e il ‘reato di clandestinità’ due novità legislative introdotte pochi mesi prima dal pacchetto sicurezza. Nonostante tutto, la rivolta rimane un esempio per il cambiamento della Calabria e dell`Italia.
Come abbiamo detto, le cause che hanno dato origine alla rivolta di Rosarno sono di vario tipo, economiche, culturali, politiche e sociali. Si è trattato in primis di una grave emergenza umanitaria per le condizioni in cui vivevano 2500 migranti, in baraccopoli senza luce, né acqua e senza servizi igienici, colpevolmente trascurata dalle istituzioni a livello locale e nazionale. E di un mix di sfruttamento para schiavistico, razzismo mafioso, oppressione militare e culturale della ‘ndrangheta, crisi del mercato agrumicolo che strozza i piccoli produttori. Nonostante le dure condizioni di lavoro nei campi dall’alba al tramonto per meno di 25 euro sotto il controllo dei caporali, i braccianti africani non sono solo “poveri sfruttati”. Con i fatti di Rosarno del 2010 dimostrano di essere un ‘soggetto politico’ che lotta per il rispetto dei diritti umani e per le tutele sul lavoro. Rispondono in modo collettivo (rivolta) a un problema individuale (il ferimento di alcuni compagni a fucilate)[1].
Sfatiamo un falso mito: la rivolta del 7 gennaio 2010 non è un’esplosione improvvisa di rabbia collettiva . Nasce a causa di uno sfruttamento prolungato nel tempo dei lavoratori stranieri neri e delle condizioni disumane in cui erano costretti a vivere, sotto la minaccia costante dei proiettili della ‘ndrangheta.
Dai primi annni Novanta, maghrebini prima e africani poi, arrivano a Rosarno per la stagione della raccolta degli agrumi: arance e clementine. La raccolta parte in autunno e si conclude in primavera. Da 20 anni, gli immigrati braccianti agricoli stagionali che vanno a lavorare nella piana di Gioia Tauro sono vittime di aggressioni e agguati. I primi due morti, due algerini di 20 anni, sono del 1992. Sono stati fatti salire in auto con la promessa di un lavoro e poi uccisi a colpi di pistola. Dal 2003 al 2009 centinaia di africani hanno vissuto nella ‘Cartiera’. È solo uno dei tanti dormitori improvvisati all’interno di ex fabbriche abbandonate, di cui la Piana di Gioia Tauro è costellata. Impianti costruiti con le truffe ai fondi europei, che non sono mai stati messi in funzione. La ‘Cartiera’ viene chiusa dalle autorità nell’estate del 2009 dopo un incendio che ha fatto bruciare il tetto di amianto. Altri luoghi di rifugio erano ruderi senza tetto come la Rognetta, davanti alla scuola media del paese, e casolari come ‘la collina’, nel vicino comune di Rizziconi. Infine, c’è un ex oleificio, l’Opera Sila, dove a gennaio 2010 vivono oltre mille braccianti neri. A causa del sovraffollamento, si dorme perfini nei silos dell’olio. Giganteschi tubi metallici senza finestre, in cui si entra da un buco largo circa un metro.
Con le arance pagate ai produttori appena 6 centesimi al chilo, gli stranieri sono indispensabili per la raccolta. La ‘ndrangheta gestisce la commercializzazione e il trasporto del prodotto, gli agricoltori non sono liberi di vendere ad altri e devono accontentarsi del prezzo basso. In questo senso si parla di controllo mafioso della filiera agricola. I migranti non hanno contatto diretto con i boss. I lavoratori però sono minacciati dai caporali, solitamente stranieri, ai quali pagano il trasporto sui campi, sottratto dal salario quotidiano già misero.
A Rosarno la prima rivolta, dimenticata dai più, si verifica il 12 dicembre 2008. Il giorno prima due ragazzi ivoriani sono stati feriti a colpi di arma da fuoco durante un tentativo di rapina ai loro danni. La protesta africana è pacifica. I lavoratori marciano verso il municipio per chiedere più sicurezza, poi vanno in massa a denunciare al commissariato. Le conseguenze sono che in pochi giorni Andrea Fortugno, 24 anni, rosarnese, viene arrestato e sarà condannato a 16 anni di carcere. È una notizia clamorosa in un contesto dominato dall’omertà come quello di Rosarno, dove comandano i clan dei Pesce e dei Bellocco.
L’azione pacifica degli africani richiama attenzione pubblica sul loro dramma. Ne parlano i media stranieri. Maroni stanzia 200mila euro per l’emergenza. A dicembre 2009 l’Ong Medici senza frontiere, già autrice di un rapporto dal titolo Una stagione all’inferno, lancia un nuovo allarme: più di 2000 africani stanno peggio di prima. Manca il lavoro nei campi per la crisi. Molti si sono rifugiati a Rosarno dopo avere perso il lavoro al nord, temono il reato di clandestinità entrato in vigore pochi mesi prima. L’allarme resta inascoltato. I 200mila euro di Maroni vanno spesi entro il 31 dicembre, ma il comune di Rosarno è commissariato per mafia ed è difficile prendere decisioni. Il bando viene fatto in extremis per l’acquisto di servizi igienici (a forma di container) che arriveranno troppo tardi. L’unico sostegno ai braccianti è quello di pochi volontari del posto, riuniti in associazioni informali come l’Osservatorio migranti Africalabria. Ma è una goccia nel mare.
Il 7 gennaio un commando mai indentificato, a bordo di un suv scuro spara a 3 africani incontrati per strada che rimangono feriti. Tra i raccoglitori di arance stranieri si diffonde la falsa notizia che siano stati uccisi 4 di loro. Parte la rivolta. In centinaia si dirigono verso il paese. I danni sono soprattutto materiali: cassonetti ribaltati, auto e vetrine danneggiate. Una donna rimane lievemente ferita. Tra i rosarnesi si diffonde la leggenda che una donna incinta è stata aggredita e ha perso il bambino, la notizia rimbalza sui media, ma è falsa. Molte persone si presentano ai giornalisti, giurando che la propria nipote, cugina, cognata (a seconda dei casi) è la donna assalita. L’8 gennaio parte la controrivolta dei rosarnesi, che assume le forme di una ‘caccia ai neri’ da Ku Klux Klan. Le forze di polizia scortano gli africani nelle baraccopoli e gli impediscono di uscire. Dai balconi la gente urla contro gli africani: “ammazzateli tutti”. Dal suo letto d`ospedale Ayiva Saibou mostra i jeans insanguinati all`altezza della cerniera lampo. Ne indossava due paia, uno sull`altro. Il pallino di piombo sparato da una pistola ad aria compressa li ha forati entrambi e si è conficcato nella carne. Lì resterà a vita. Ha mirato ai genitali chi gli ha sparato da una jeep Volkswagen scura sulla statale 18, giovedì 7 gennaio intorno all`una. L`agguato con il ferimento del ragazzo del Togo e di un altro suo compagno è stato l`episodio che ha dato il via all`inferno di Rosarno.
I rosarnesi innalzano barricate, armati di spranghe , vicino all’oleificio. Bande con i fucili e le taniche di benzina danno la caccia ai neri, incendiando i casolari in cui vivono e sparandogli con i pallini di piombo, gli stessi che si usano per braccare gli animali con i fucili da caccia. È il linciaggio degli immigrati la risposta degli abitanti ai cassonetti ribaltati, le auto incendiate e i negozi devastati da parte degli africani. Non ci sono solo i tre grandi insediamenti dell`Opera Sila di Gioia Tauro, della Rognetta di Rosarno e della Collina di Rizziconi, ex fabbriche abbandonate e casolari diroccati dove vivono in totale circa duemila persone. Tutte le campagne della Piana sono costellate di piccoli insediamenti minori che le forze dell`ordine non riescono a presidiare, e dove avvengono altre gravi aggressioni. Un uomo di Rosarno è stato denunciato a piede libero per aver sparato in aria con il fucile nel corso delle proteste e un altro di 72 anni, arrestato perché aveva cercato di aggredire africani e militari con il suo escavatore. L`appello alla calma e alla pazienza rivolto ai cittadini dal neo-prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta, accorso in municipio, cade nel nulla. Il palazzo di città è un altro dei luoghi di tensione. L`ingresso presidiato fino a sera da un cordone di agenti contro cui in diversi momenti si è scagliata una folla inferocita. «L`equilibrio tra Rosarno e gli immigrati si è rotto per sempre, devono andare via subito e a noi devono essere risarciti i danni», sono le richieste del comitato spontaneo di cittadini. Sui muri del municipio sono comparsi subito molti striscioni per chiedere la liberazione di Andrea Fortugno.
Gli Africani sono costretti ad andarsene, anche se in molti casi non sono stati neanche pagati per mesi di lavoro. La polizia li porta via con gli autobus. In soli tre giorni spariscono tutti i lavoratori di pelle nera dalla Piana di Gioia tauro. È una vergogna che fa il giro del mondo, uno dei momenti più cupi della storia d’Italia. Sui muri delle vecchie fabbriche i ragazzi africani lasciano scritte le loro rivendicazioni politiche. Scrivono ‘noi saremo ricordati’ frase detta da Abramo Lincoln durante l’abolizione della schiavitù. Dopo la partenza, in tanti denunciano lo sfruttamento e indaga la procura di Palmi. L’inchiesta ‘Migrantes’ nata dalle testimonianze dei lavoratori immigrati, porta nel luglio 2012 al rinvio a giudizio di 35 indagati, italiani e stranieri, accusati di essere coinvolti nello sfruttamento dei lavoratori stranieri.
In questa storia è evidente la presenza delle ‘ndrine. L’agguato contro Ayiva e gli altri da cui è partita la rivolta è un gesto di razzismo mafioso. Ma gli uomini della ‘ndrangheta sono intervenuti anche in un secondo momento, cioè dopo la ribellione degli africani. Il potere dei boss si basa sul controllo capillare e militare del territorio. La guerriglia urbana dei braccianti a Rosarno non poteva passare liscia, secondo la mentalità mafiosa. Da qui si deduce la mano della ‘ndrangheta nella ‘caccia ai neri’ scoppiata subito dopo. Che in un certo senso si è conclusa con la vittoria della criminalità mafiosa, perché è come se le la ‘ndrangheta avesse imposto allo Stato di fare sparire gli autori dello ‘sgarro’ da tutta la Piana di Gioia Tauro. Lo scrittore Antonello Mangano fa notare come queste forme di razzismo mafioso siano infarcite dalla retorica populista secondo cui ‘non si toccano donne e bambini’, come se la ‘ndrangheta fosse il tutore della sicurezza urbana. Ma, al contrario, i boss non seguono alcun codice etico. Il passato e il presente dei clan a Rosarno è zeppo di omicidi di innocenti, anche donne e bambini.
[1] Come spiega uno dei principali esperti della vicenda, lo scrittore Antonello Mangano, nei suoi saggi e articoli. Cfr. Gli Africani salveranno Rosarno (edizioni Terrelibere, 2009), Gli Africani salveranno l’Italia (Bur Rizzoli, 2010), Voi li chiamate clandestini (il manifestolibri, 2011).
La barbarie della caccia al nero di Rosarno è stata giustificata dai rosarnesi con i danni a negozi ed automobili distrutte il giorno prima dagli africani in rivolta. E con il ferimento di alcune donne di Rosarno, di cui una, Antonella Bruzzese, è stata intervistata dalle tv nazionali con una ferita al volto. Ma negli ospedali della Piana di Gioia Tauro e nei bilanci della prefettura non risultavano feriti civili italiani. È stata soprattutto la leggenda metropolitana di una donna incinta che aveva perso il bambino per un’aggressione a incendiare gli animi nelle prime 24 ore. Una notizia infondata. Eppure tutti nella Piana di Gioia Tauro continuvano a ripeterla e a diffonderla. Senza le giuste verifiche (bastava telefonare agli ospedali della zona per scoprire che non era vero), anche molti mezzi di informazione hanno rilanciato la notizia, contribuendo ad alzare la tensione. Nell’articolo che segue, questa falsità viene riportata insieme a un’altra: una donna avrebbe avuto un infarto per lo spavento. L’informazione viene data totalmente nella cornice della ‘sicurezza’ e dello ‘scontro etnico’, senza raccontare nulla dello sfruttamento e della violenza mafiosa all’origine della protesta. I cassonetti rovesciati dagli africani in paese vengono descritti come azioni dall’effetto devastante. La cronaca è allarmistica e totalmente sbilanciata in favore dei residenti di Rosarno, mentre in città e nelle campagne, all’ora in cui il pezzo è stato pubblicato, era già scattata la ‘caccia al nero’. In quel momento, effettivamente alcune migliaia di persone assediavano il municipio. Ma si trattava di italiani, abitanti del paese che pretendevano l’immediato sgombero di tutte le migliaia di lavoratori neri presenti nella zona.
IL CASO CALABRIA - TRA CRIMINALITA' E SCONTRI ETNICI
Tensione e guerriglia a Rosarno
Riparte la protesta dei migranti
Scontri, feriti, arresti e auto distrutte: in arrivo nuovi gruppi dall'hinterland. I residenti infuriati per i danni subiti
(quotidiano nazionale su internet, 8/1/2010 ore 16:18)
REGGIO CALABRIA È ripresa a Rosarno la protesta degli immigrati africani dopo che ieri c’erano stati scontri con le forze dell’ordine, con ferimento di alcune persone e danneggiamento di centinaia di auto. Gli immigrati sono usciti dalle due strutture di ricovero in cui sono ospitati e sono scesi in strada, scandendo slogan di protesta. Circa duemila immigrati, secondo la stima della Polizia di Stato, sono concentrati davanti all’ingresso del Comune di Rosarno. Blocchi stradali si registrano sulla statale 18. In città sono in arrivo tutti gli immigrati del comprensorio della Piana di Gioia Tauro. Le forze dell’ordine continuano a presidiare la zona. Nel centro città sono ancora attivi i disagi provocati dalla manifestazione di ieri, per strada, infatti, ci sono ancora bidoni dell’immondizia e i blocchi causati per questa protesta. Intanto la gente di Rosarno è sempre più infuriata. Nel centro cittadino l’effetto della protesta degli stranieri è devastante: lungo la via principale i cassonetti dell’immondizia sono stati rovesciati in mezzo alla carreggiata e il contenuto sparso sull’asfalto. Un capannello di cittadini ha assistito nella notte alle operazioni delle forze dell’ordine, che hanno effettuato una carica di alleggerimento contro il gruppo costituito da circa 500 immigrati. Questa mattina un cittadino di Rosarno ha sparato due colpi di fucile in aria a scopo intimidatorio per disperdere un gruppo di immigrati che si era concentrato davanti alla sua abitazione. Gli immigrati successivamente sono entrati nell’abitazione dove c’erano la moglie e i due figli dell’uomo, dove però si sono limitati ad urlare e protestare, inveendo contro l’uomo e i suoi familiari, e si sono poi allontanati. L’episodio si è risolto così senza feriti e senza incidenti. «Non è possibile che abbiano creato questa confusione - dicono i residenti - hanno mandato anche bambini in ospedale e una donna incinta ha abortito, un’altra ha avuto un infarto perchè si è trovata davanti un gruppo di stranieri che l’hanno aggredita mentre era in macchina, costretta a scendere e poi le hanno rovinato la macchina». Nel pomeriggio di ieri è stata vera e propria guerriglia urbana con centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e svuotati sull’asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate. I lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni inumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un’altra struttura abbandonata protestano contro i soprusi subiti dalla 'ndrangheta. A fare scoppiare la protesta è stato il ferimento da parte di persone non identificate di alcuni extracomunitari con un’arma ad aria compressa. Un altro giovane che abita nelle vicinanze è finito in ospedale, al suo ritorno racconta: «Mi hanno colpito con un pietra alla spalla e ho la mano escoriata. Hanno distrutto la macchina: rotto i vetri, divelto lo specchietto retrovisore interno, rovinato persino il radiatore».
I due articoli a seguire usano il tema dell’immigrazione clandestina per spiegare quello che sta succedendo a Rosarno. L’approccio con cui sono scritti è totalmente appiattito sull’interpretazione dell’establishment politico, di cui non viene contestata o messa in dubbio la versione ufficiale. In realtà, si scoprirà solo dopo la conclusione della rivolta e l’avvenuto trasferimento di migliaia di africani dalla Piana di Gioia Tauro da parte delle forze dell’ordine, che la maggioranza dei lavoratori presenti aveva il permesso di soggiorno, per lavoro o per motivi umanitari. Gli irregolari erano la minoranza. Già dalle prime ore, la rivolta diventa il pretesto per chiedere il giro di vite sui migranti irregolari, invece di chiedere la repressione contro la ‘ndrangheta e i controlli degli ispettori del lavoro contro lo sfruttamento. Anche laddove questi elementi vengono riportati, compaiono sempre in coda agli articoli e in secondo piano. Si può dunque concludere, che l’immagine mediatica è completamente rovesciata rispetto alla realtà di questi fatti.
Rosarno, Maroni: «Degrado per troppa tolleranza verso i clandestini»
(sito internet di un quotidiano nazionale, 8 gennaio 2010)
La rivolta degli extracomunitari a Rosarno (Reggio Calabria) per il ministro dell'Interno Roberto Maroni è «una situazione difficile, così come in altre realtà», determinata dal fatto che «in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, una immigrazione clandestina che da un lato ha alimentato la criminalità e dall'altro ha generato situazioni di forte degrado come quella di Rosarno». Il piccolo centro della Piana di Gioia Tauro, da ormai 12 ore, è al centro della battaglia ingaggiata dagli extracomunitari, dopo il ferimento di alcuni di loro da parte di ignoti. Ci sono immigrati in rivolta contro i soprusi della criminalità che rispondono con la violenza alla violenza. Gli scontri si registrano ormai dalle prime ore di stamane. Un gruppo di immigrati è venuto a contatto con un centinaio di abitanti di Rosarno. Sono oltre duemila gli extracomunitari che stanno protestando, anche con spranghe, bastoni e oggetti contundenti. Molti sono ubriachi e stanno seminando il panico in città. Maroni dai microfoni di Mattino 5 ha detto che a Rosarno si sta intervenendo «con i mezzi e i tempi necessari. Inoltre, abbiamo per ora posto fine agli sbarchi di clandestini a Lampedusa e a poco a poco riporteremo alla normalità le situazioni».
Costituita una task force del Viminale. Il Viminale ha costituito presso la Prefettura di Reggio Calabria una task-force composta dal ministero dell'Interno, quello del Lavoro e Regione Calabria, per affrontare la questione non solo dal punto di vista dell'ordine pubblico, ma anche per quanto riguarda gli aspetti legati allo sfruttamento del lavoro nero e all'assistenza sanitaria. La decisione dopo un vertice al Viminale convocato dal ministro dell'Interno.
Sacconi: bonificare le sacche di illegalità. «Il prioritario obiettivo dell'azione di governo - ha detto il ministro del Welfare Maurizio Sacconi - deve essere quello di bonificare tutte le sacche di illegalità che si sono prodotte da Padova a Rosarno perchè in un contesto di sistematica e diffusa violazione delle leggi si realizzano fenomeni di disintegrazione di vario genere». […]
Mantini (Udc): Rosarno vergogna d'Italia. «La condanna senza termini della rivolta violenta degli immigrati a Rosarno è fuori discussione - ha commentato Pierluigi Mantini dell'Udc - e ora occorrono una tregua e una pace vera. Ma i fatti di Rosarno hanno alla base un'insieme di illegalità di atti di sfruttamento e di razzismo che disonorano l'Italia».
Per de Magistris (Idv) su Rosarno Maroni sbaglia. Per Luigi de Magistris, europarlamentare dell'Italia dei valori, «non si può sempre invocare l'immigrazione clandestina come un alibi per mascherare l'incapacità del Governo in materia di immigrazione». Per de Magistris quanto sta accadendo a Rosarno «è la prova dell'inutilità delle misure razziste e crudeli volute da un esecutivo da tempo "leghistizzato"». Spaventa. ha detto de Magistris, «che lo stesso Maroni non abbia speso una parola in merito allo sfruttamento disumano a cui sono costretti gli immigrati che, in Calabria come nel resto del Paese, vengono assoldati per lavorare in nero a ritmi inaccettabili per qualche decina di euro al giorno. E spaventa il totale silenzio del ministro sul ruolo che in questo sfruttamento giocano le mafie e a Rosarno la 'ndrangheta in particolare».
ROSARNO, IL MINISTRO DELL'INTERNO LEGA LE VIOLENZE ALL'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA BERSANI: "RICORDO CHE LA LEGGE SI CHIAMA BOSSI-FINI..". FAREFUTURO: "E' SCHIAVITÙ"
Maroni: "Troppa tolleranza con gli stranieri" Napolitano: "Fermare subito ogni violenza" La Lega fa quadrato intorno al titolare del Viminale. Critici Verdi, Idv e Udc
(quotidiano nazionale, 8 gennaio 2010)
ROMA - "A Rosarno c'è una situazione difficile come in altre realtà, perchè in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un'immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall'altra ha generato situazione di forte degrado". Roberto Maroni non ha dubbi: dietro la guerriglia urbana degli immigrati per protestare per il ferimento dei loro connazionali c'è il "lassisimo" delle politiche immigratorie. Ed è chiaro il tentativo di legare le violenze a Rosarno a un più generale giro di vite sulle politiche legate all'immigrazione. Mentre il presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano chiede di "fermare senza indugio ogni violenza". Le parole del titolare del Viminale trovano sponda non solo tra i colleghi leghisti, ma anche in Ignazio La Russa. Allo stesso tempo, però, provocano la dura reazione dell'opposizione. A partire dal segretario Pierluigi Bersani che rimanda al mittente le accuse: "Maroni non ha perso l'occasione di fare lo scaricabarile. Voglio ricordargli che da anni viviamo con una legge che si chiama Bossi-Fini''. Ed è per questo che il Pd del Senato chiede che il ministro riferisca in Aula. Per l'Udc, inoltre, la posizione di Maroni "che scarica come sempre la colpa di tutto sugli immigrati, è troppo superficiale e semplicistica". Polemica anche l'Idv che, per bocca dell'ex pm (ora europarlamentare) Luigi De Magistris accusa Maroni di aver "smarrito ogni minimo senso della realtà e della decenza politica. Quanto sta accadendo a Rosarno è la prova dell'inutilità delle misure razziste e crudeli volute da un esecutivo da tempo 'leghistizzato'". Ed anche i Verdi puntano il dito contro il ministro che "non perde occasione per fare demagogia e cercare di fare consenso sulle ansie sociali degli italiani - dice Angelo Bonelli - oggi Maroni in questo giorno scopre le violenze, mentre negli altri 364 non dice nulla sul caporalato che è una vera e propria piaga del sud, fonte di sfruttamento e di ricchezza per la criminalità organizzata". Il ministro, però, trova sostengno tra le file della maggioranza. Se il leghista Borghezio lo definisce "il nostro Sarkozy", uno dei coordinatori del Pdl, Fabrizio Cicchitto lo incita ad andare avanti "sviluppando il contrastato all'immigrazione clandestina, con la piena applicazione delle leggi vigenti, e favorendo l'integrazione degli immigrati regolari". Ma la vicenda di Rosarno offrè l'occasione per un nuovo capitolo dello scontro interno al Pdl tra finiani e critici del presidente della Camera. Non a caso Giancarlo Lehner, deputato Pdl, si scaglia contro Gianfranco Fini e la sua proposta di cittadinanza breve: "I fautori di quell'idea dovrebbero chiedere scusa e darsi pubblicamente, usando il lessico di Fini dicitore, degli emeriti stronzi". All'opposto, invece, il ragionamento pubblicato da Ffwebmagazine, il periodico online della fondazione Farefuturo presieduta da Fini: "Bando ai buonismi e alle cose non dette: in italia esiste la schiavitù. In uno stato civile, moderno e democratico, non si può tollerare che migliaia di persone vivano nell'indigenza più totale, senza il minimo di dignità che dovrebbe essere garantita non tanto da leggi, fondi pubblici o piani di integrazione, quanto dalla civiltà di ognuno di noi". ma anche il mondo cattolico si fa sentire. A partire da Don Pino de Masi, Vicario Generale della Diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro: "Non si possono far vivere le persone come animali e pensare che non si ribellino. Qui è in corso una vera emergenza sociale. Quello che è accaduto a Rosarno è frutto della mancanza di una pianificazione adeguata per i lavoratori stagionali e della totale assenza di una politica dell'integrazione". Per monsignor Bruno Schettino, presidente della commissione episcopale per le Migrazioni della Cei l'episodio di Rosarno rappresenta "un segno di sofferenza e di degrado umano" che spinge "da un lato a condannare la violenza e dall'altro a considerare l'estremo disagio e la difficoltà di questa gente che non ha sostegno nè umano nè economico".
Analizziamo ora questo servizio televisivo trasmesso su un telegiornale molto seguito per gli aggiornamenti ‘live’.
Rivolta lavoratori immigrati:11 arresti e 10 feriti
(televisione nazionale, Tg, 8 gennaio 2010)
Testo del servizio di cronaca dell’inviata:
Una decina di feriti tra cui una donna e un bambino,cinque immigrati ricoverati in ospedale, sei gli arrestati: è il bilancio della guerriglia urbana scoppiata ieri nel tardo pomeriggio a Rosarno nella piana di Gioia Tauro e rientrata poco prima di mezzanotte. Una rivolta improvvisa di un centinaio di immigrati, la maggioranza provenienti dall’Africa, impiegati in agricoltura. In duemila arrivano ogni anno a Rosarno per la raccolta degli agrumi. Sono per lo più clandestini pagati in nero, vivono in baraccopoli. Rivolta scoppiata dopo il ferimento con un’arma ad aria compressa da parte di persone che non sono state ancora identificate, di alcuni immigrati. I feriti non destavano particolari preoccupazioni, ma la volontà di reagire che probabilmente covava da tempo nella colonia di lavoratori ammassati in una struttura in disuso di Rosarno in condizioni davvero ai limiti del sopportabile, era pronta ad esplodere. Così armati di spranghe e bastoni gli extracomunitari hanno attraversato la cittadina, distruggendo centinaia di auto,in qualche caso anche con delle persone a bordo, vetrine di negozi, vasi e cassonetti dell’immondizia e questo nonostante l’intervento di polizia e carabinieri schierati in assetto antisommossa. La situazione poi si è aggravata quando un centinaio di giovani di Rosarno è sceso in strada per seguire la situazione. A quel punto gli immigrati hanno chiesto l’intervento del commissario prefettizio Francesco Bagnato che, lo ricordiamo, regge il comune di Rosarno dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose avvenuto nel 2008 e a quel punto si è raggiunta una mediaziazione. C’è comunque grande preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare ieri. Noi ci troviamo sul territorio, vedremo gli effetti che avrà oggi. Duro il commento del governatore della Regione Calabria Agazio Loiero che ha detto: quello che sta avvenendo è il frutto di un clima di intolleranza razzista e mafiosa. È tutto. Collegato c’è un secondo servizio, una scheda di approfondimento fatta dalla redazione con immagini di repertorio: Lavorano come stagionali, per tutto l’inverno hanno raccolto le arance in Calabria e vivono qui. Sono almeno 700 immigrati irregolari,rinchiusi in un villaggio improvvisato all’interno di un deposito alimentare abbandonato, baracche di cartone e bambù in pieno centro a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Le immagini raccontano meglio delle parole le condizioni di vita di queste persone soprattutto dal punto di vista igienico. Il personale di Medici senza frontiere che si occupa di questo campo spiega che le patologie più frequenti sono legate alla respirazione, a causa del fumo dei falò accesi all’interno del capannone dagli immigrati per scaldarsi e cucinare. I topi, lo sporco e la pattumiera fanno il resto. E poi c’è la depressione dilagante e comprensibile che i medici fanno più fatica a curare. Intervista a un lavoratore africano “io non pensavo che quando arriviamo qua facciamo vita brutta così”. Eccola la rabbia, la disillusione di gente utilizzata per lavori pesanti che non riesce a ottenere un minimo di dignità. Anzi per paura o per il rispetto di leggi mafiose, più di una volta è capitato che gli immigrati centroafricani che vivono qui siano stati vittime di sparatorie e spedizioni punitive, nonostante la loro sia una forza lavoro irrinunciabile.
La cronaca risulta scorretta e fuorviante. Quello che sta accadendo viene raccontato come un problema di ordine pubblico, come dimostra l’uso dell’espressione guerriglia urbana. Secondo questo servizio, si tratta di un’esplosione di rabbia improvvisa. La situazione covava da tempo ed era pronta a esplodere. Ma non è spiegato per quale motivo. Anzi, sembra addirittura una reazione immotivata, visto che si sottolinea I feriti non destavano particolari preoccupazioni. Mentre rimane nell’ombra il punto chiave e più oscuro della vicenda: l’agguato a fucilate contro alcuni lavoratori africani, che ha dato origine alla protesta. La prima cosa che viene detta è che si tratta per lo più di clandestini, creando quindi un collegamento causa effetto fra la clandestinità e la rivolta. Poi si dice che la situazione poi si è aggravata quando un centinaio di giovani di Rosarno è sceso in strada per seguire la situazione. Ma viene taciuto il fatto fondamentale che si tratta di una ‘contro-rivolta’ e di una vera ‘caccia al nero’ con fucili, spranghe e taniche di benzina. Al contrario, l’inviata esagera il bilancio dei danni causati dagli africani. Non furono sicuramente ‘centinaia’ le auto distrutte nella rivolta, ma alcune decine. In coda viene riportata una dichiarazione dell’allora presidente della Regione Calabria, Loiero che ben conosce la situazione di Rosarno: quello che sta avvenendo è il frutto di un clima di intolleranza razzista e mafiosa. Ma allo spettatore non vengono dati elementi per capire a cosa si riferiscono queste parole.
Il secondo servizio, la ‘scheda video’ su Rosarno, usa il termine corretto ‘irregolari’ e non ‘clandestini’, ma l’informazione è comunque scorretta perché al momento in cui questi servizi sono stati scritti, non c’erano informazioni attendibili o statistiche sullo status giuridico dei lavoratori presenti. Questa preponderanza di ‘immigrati irregolari’ che viene rilanciata da tutti i mass media è in realtà solo frutto di un pregiudizio. Peraltro, non si tratta di un’informazione rilevante in questo caso, visto che anche i regolari a Rosarno lavorano in nero e sono costretti a vivere in alloggi di fortuna e sovraffollati. Nessuno ha chiesto i documenti a chi rovesciava i cassonetti per la strada. E il primo dei feriti a fucilate era un rifugiato politico del Togo. In questo servizio, viene creata grande distanza fra le vittime dello sfruttamento e della mafia rosarnese e il telespettatore. La selezione degli elementi raccontati è improntata al pietismo. Si parla quasi solo delle condizioni di vita disumane, fra topi e sporcizia. E delle malattie contratte nelle baraccopoli. Viene accennato solo in chiusura l’elemento fondamentale delle prime ore della vicenda, cioè chi ha sparato agli africani?
Anzi per paura o per il rispetto di leggi mafiose, più di una volta è capitato che gli immigrati centroafricani che vivono qui siano stati vittime di sparatorie e spedizioni punitive. La frase, messa in questi termini, non consente al pubblico estraneo alle vicende rosarnesi, di capire come stanno le cose, né tantomeno di individuare chi nutre ‘paura’ o ‘rispetto’ per le leggi mafiose. Si tratta evidentemente dei rosarnesi, mentre gli africani si sono appunto ribellati alla violenza della ‘ndrangheta. Ma per come viene riportata qui, sembra che siano i lavoratori stranieri a vivere sotto il giogo dell’omertà e della mafia calabrese.
DA OLTRE VENT'ANNI VENGONO NEL NOSTRO PAESE PER LA RACCOLTA DELLE ARANCE
QUATTORDICI ORE DI LAVORO PER 20 EURO DI CUI 5 VANNO AL "CAPORALE"
Costretti nei campi dalle mafie
E' la rivolta dei diseredati d'Italia
Dormono dove capita: tende, fabbriche abbandonate, casolari diroccati Sono spesso oggetto di comportamenti razzisti e vittime della criminalità organizzata
(quotidiano nazionale, 8 gennaio 2010)
È LA rivolta degli ultimi, la rivolta dei neri che vagano per la nostra Italia. Quelli che si spostano sempre, che sono in movimento perenne. Stagione dopo stagione, mese dopo mese e campo dopo campo. Per raccogliere arance o uva, olive o pomodori. Vivono per la terra e vivono nella terra. Senza una casa, senza niente. A settembre erano in Sicilia, intorno alle vigne di Marsala. A novembre erano in Puglia fra gli ulivi più belli del Mediterraneo. A primavera migreranno in Campania a spezzarsi la schiena negli orti. Oggi erano qui: nella Piana dove è padrona la mafia più feroce del mondo. Sono ghaneani, sudanesi, ivoriani, senegalesi. Vengono dal Togo, dalla Mauritania, dal Congo. Ma da anni sono tutti 'italiani'. Per sopravvivere. Per resistere. Per sfamarsi. Ogni giorno riescono a prendere quasi 20 euro, per dodici anche quattordici ore piegati in due a raccogliere le arance più profumate della Penisola e i mandarini - le clementine - più dolci. Dicono che sono tremila, qualche volta diventano quattromila e forse anche di più. A Rosarno i calabresi sono appena in quindicimila. Quasi il novanta per cento del popolo nero che si trasporta come gli animali in branco non ha ancora trent'anni. Sono uomini, solo uomini. Gli ultimi sono ultimi perché non hanno mai avuto un tetto tutto per loro. Dormono nelle fabbriche abbandonate della Calabria degli sperperi e delle ruberie di mafia e di Stato. Scheletri in mezzo al nulla. […] È dal 1992 che vengono in questa Piana quando la zagara, il fiore dell'arancio, stordisce con il suo profumo. Non hanno mai freddo e non hanno mai caldo. Non hanno mai un contratto. I 'caporalì li prendono all'alba sui furgoncini, come al mercato del bestiame scelgono i più forti. Ogni 20 euro guadagnati ce ne sono 5 per loro: per i soprastanti che li fanno lavorare. È il pizzo che si fanno pagare i miserabili. E poi loro, per tre o quattro settimane racimolano il loro gruzzolo per non morire. Non hanno documenti, non hanno passato. Solo la giornata conta: la giornata nel giardino di aranci.[…] "Io dormo qui", raccontava un anno fa Stephan, un ragazzino di vent'anni. Qui è l'oblò di un silos dove una volta conservavano l'olio. Un cilindro metallico dove Stephan ha portato tutta la sua vita: la coperta, un paio di scarpe, un corano, un fornello dove ogni tre o quattro sere riesce a far cuocere qualche pezzo di agnello e un pomodoro. Stephan non ha acqua. Stephan non ha un bagno. Ce ne sono tanti come lui acquartierati anche verso Gioia Tauro e il suo porto, altri si sono dispersi verso Rizziconi. Tutti hanno visto per la prima volta l'Italia dagli scogli di Lampedusa. Imbarcati come merce ad Al Zuwara, nella Libia più vicina alla Sicilia. E sbarcati come clandestini in Europa. […] È da quasi vent'anni che il popolo degli ultimi vaga di terra in terra per l'Italia. Nel silenzio, nell'indifferenza. Nessuno lo dice mai chiaramente ma sono le 'ndrine, le famiglie della mafia calabrese, che più di tutte succhiano il sangue agli ultimi. Le 'ndrine che hanno le arance, che hanno tutto nella Piana. I mafiosi li aspettano al passo, dopo Natale. Quando è tempo di raccolta.
L’ultimo esempio è sicuramente un racconto corrispondente alla realtà della rivolta, perché l’autore spiega ai lettori in poche righe le cause complesse della situazione. Dispiace l’uso del termine ‘clandestini’ e del clichè di Lampedusa, l’isola dove sbarcano i clandestini (vedi le tre voci). È scorretto anche il finale, perché i datori di lavoro dei braccianti a Rosarno non per forza sono ‘ndranghetisti, spesso si tratta di persone comuni che praticano lo schiavismo e si dicono però vittime del sistema, o si dipingono come persone che ‘aiutano’ gli africani, facendoli lavorare in nero per 25 euro a giornata. La ‘ndrangheta domina la filiera attraverso l’imposizione del prezzo di vendita degli agrumi all’ingrosso, dunque fa sentire la sua presenza più sugli italiani che sugli africani. Un appunto va fatto anche all’insistenza sull’immagine dei braccianti neri come ‘ultimi’ e ‘diseredati’, più che come lavoratori. Nel complesso, però resta un esempio di buon giornalismo che si distingue dal resto delle cronache.