Le due parole indicano cose diverse, ma le trattiamo insieme in un’unica voce perché l’uso che se ne fa nei titoli e nei giornali italiani è simile, tanto che risultano quasi sinonimi. Si tratta di un uso dispregiativo, con una forte connotazione negativa, che in origine queste parole non hanno perché- come abbiamo visto – sono termini che in arabo indicano semplicemente il centro storico e il mercato di una città. In questi casi, la tendenza ad ‘etichettare’ tipica della quotidianità giornalistica, rischia di connotare negativamente anche le persone che abitano in certi luoghi delle città italiane, ‘ghettizzati’ a livello mediatico.
In Italia esiste una vera casba, quella di Mazara del Vallo in Sicilia. È una parte del centro storico, residuo dello splendore della dominazione araba durante il medioevo. Una struttura urbanistica caratterizzata da un intersecarsi di stradine strette e tortuose, costruite in questo modo prima dell’anno 1000 per difendersi dal sole, dal vento e dagli attacchi dei nemici. In questa zona risiedono con le famiglie circa 3000 immigrati, provenienti in larga parte da Tunisia e Marocco, impiegati da oltre 25 anni come marinai sui pescherecci della flotta cittadina o in agricoltura. In termini tecnici, si tratta dell’unico caso in cui il termine ‘casba’ è appropriato per quanto riguarda l’Italia. Ma, in senso figurato, ormai si parla di casba e suk alla stregua di ghetti e favelas, per descrivere luoghi degradati, in cui regna il disordine e l’illegalità. Merce ghiotta per creare casi giornalistici ma questo trattamento delle notizie rischia di creare allarmismo e di acuire le tensioni sociali in realtà già difficili delle nostre città.
Con le etichette di casba e suk si accende l’attenzione su “luoghi reietti all’interno di quella che è diventata una vera e propria geografia (e toponomastica) dell’alterità, della marginalità - secondo Federico Faloppa, linguista internazionale - Il suk, ad esempio, non indica più un luogo dove su mercanteggia, spesso in modo caotico, ma fa riferimento alla presenza di altri, magari antagonistici rispetto agli autoctoni ”.[1] Secondo Faloppa, queste parole sono associate al “degrado” (vedi), “alla mancanza assoluta di regole e legalità” e “all’intralcio di marginali, balordi, soggetti pericolosi”. Conclude il linguista: “Non so se è corretto parlare di razzismo, qui, pur nel senso lato del termine. Certo è corretto parlare di cattiva informazione. Che crea cattiva opinione pubblica”.
Il problema nell’uso di queste parole sta dunque nel fatto che in origine non indicano qualcosa di positivo o negativo, mentre sui giornali sono state associate a una ‘criminalizzazione’ degli immigrati e delle situazioni di esclusione sociale e povertà e a un eccessivo allarmismo.
Frasi fatte
Mito: Quando un quartiere è densamente abitato da immigrati, l’area si degrada e le case si svalutano.
Mito: I quartieri dove c’è una forte concentrazione di immigrati sono più pericolosi a causa della loro presenza.
Abbiamo sfatato questi miti alla voce Banglatown, da leggere.
[1] Tutte le citazioni sono tratte da Faloppa F., Razzisti a Parole, Editori Laterza, Bari 2011, pp. 102-103
Dagli esempi a seguire, vediamo che è molto raro l’utilizzo di queste due parole in senso positivo o neutro. Si usano gli appellativi ‘casba’ e ‘suk’ in articoli in cui si vuole mettere in evidenza un’invasione (vedi) di immigrati che avrebbe reso intere aree delle città insicure e illegali o in cui si descrivono fatti di cronaca nera e operazioni di polizia. Quasi mai viene data voce agli stranieri, di solito gli intervistati sono i residenti italiani che denunciano di sentirsi ‘accerchiati’ e messi in minoranza, anche se, la quota di stranieri presenti è solitamente intorno al 10- 15% della popolazione residente. Si associano i due termini ad altri come ‘polveriera etnica’ oppure ‘appartamenti occupati da spacciatori e clandestini’ e ‘strade disperate, di balori e poveri cristi’ con il rischio di lanciare un forte stigma sociale su intere comunità che vivono in quei quartieri, a causa della forte generalizzazione presente negli articoli in esame.
Iniziamo con la parola ‘casba’ e prendiamo il ‘caso’ di via Padova a Milano, dove il 13 febbraio del 2010 l’accoltellamento mortale di un giovane egiziano per motivi futili per mano di un gruppo di giovani sudamericani ha causato una rivolta per la strada da parte di altri giovani della comunità egiziana. Il modo in cui sono stati riportati i fatti dalle principali testate e lo stigma mediatico sulla ‘casba’ di via Padova ha spinto circa 70 associazioni a reagire per cambiare l’immagine del quartiere, dando vita a una manifestazione che si ripete ogni anno dal titolo ‘Via Padova è meglio di Milano’.[1]
Via Padova, blitz nei palazzi casbah «Fermati nove immigrati clandestini»
CONTROLLI NEL QUARTIERE
Via Padova, blitz nei palazzi casbah «Fermati nove immigrati clandestini»
(sito internet di un quotidiano nazionale, 2 marzo 2010)
Via Padova, blitz nella casbah un arresto dopo le coltellate
(pagine locali di un quotidiano nazionale, 27 febbraio 2010)
CLANDESTINI, senza fissa dimora, spacciatori, uno contro l' altro per questioni di droga. L' ennesimo episodio di violenza nella polveriera multietnica intorno a via Padova è la perfetta fotografia del degrado che vive il quartiere: due marocchini che litigano nell' androne del palazzo di via Clitumno 11, una delle storiche casbah della città con circa 90 appartamenti occupati da spacciatori e clandestini, finché uno dei due non estrae un coltello e ferisce il connazionale, che scappa e resta in fin di vita sul marciapiede. […]Poi, ieri mattina, scatta il blitz con una cinquantina di poliziotti e carabinieri che perquisiscono una ventina di appartamenti e individuano dodici irregolari accompagnati in questura. […] Ieri il settore Statistiche del Comune ha reso pubblicii dati sugli stranieri regolari residenti nella via più multietnica della città: sono passati da 747 unità del 1997 a tremila 308 nel 2009. Un aumento, dice Palazzo Marino, del 340 per cento.
Navigli, lo scandalo del palazzo-casbah
NELL'EDIFICIO, CIRCONDATO DAL VERDE, PREVISTE CASE, NEGOZI E 152 BOX
La struttura abbandonata da 10 anni. Rifiuti, droga e disperati. I residenti: una vergogna
(edizione online locale di un quotidiano nazionale, 25 maggio 2009)
Lo spaccio e le gang. La casbah di Milano cresciuta senza freni
VIA PADOVA - DAGLI ANNI DEL BOOM ALLA CRIMINALITÀ STRANIERA
Spaccio, prostituzione, abusivismo, degrado, etnie rivali che si disputano il territorio Il prete: tutto è cambiato
(quotidiano nazionale, 14 febbraio 2010)
MILANO — Quando vedono la polizia, ingoiano. Pallette di pellicola trasparente, le tengono sotto la lingua. Costano da 30 a 50 euro. Contengono cocaina, a volte sono «pacchi»: solo gesso. La vendono nei cortili, negli androni. La mattina invece svolazzano sui marciapiedi rettangolini di Domopak d’alluminio, bruciacchiati al centro. Servono per scaldare l’eroina e fumarla. La droga muove un bel pezzo dell’economia di queste strade disperate. Strade di balordi e poveri cristi. Centinaia di spacciatori lavorano in via Padova e traverse, da piazzale Loreto al primo ponte, prima periferia di Milano. Meno di un chilometro. E decine di palazzi andati in malora. Da ieri sembra finita in cancrena pure la convivenza, che non è mai stata un granché. Dice in serata Mahmoud Asfa, imam della moschea di via Padova: «Faccio un appello alla mia comunità perché non cerchi la vendetta». Storica zona di immigrazione dal Sud, questo quartiere di Milano. Palazzi di ringhiera, dove si ammassava la forza lavoro del boom economico, famiglie siciliane, pugliesi, calabresi. Case senza bagno (all’epoca) e ragazzini nei cortili. Padri in fabbrica. Falck, Breda. Erano gli anni Cinquanta e Sessanta: di quell’epoca, oggi, rimangono gli anziani, le vedove e i pochi cittadini che dicono «usciamo solo per fare la spesa e poi rimaniamo in casa». Gente che si è ritirata di fronte allo spaccio, la prostituzione, l’abusivismo.
Via Crespi, Arquà, Clitumno, Marco Aurelio: potrebbero essere il posto ideale per un seminario di studio sulla totale assenza di governo dell’immigrazione. Spiega il parroco di San Giovanni Crisostomo, don Piero Cecchi: «La gente non era pronta a un’immigrazione così veloce e numerosa ». Ora ci sono troppe fratture da ricucire. E questo a Milano lo sanno tutti, da almeno dieci anni. L’ultimo rischio è che la conflittualità latente esploda in una legge del taglione, eccitata dal sangue di quel ragazzo morto ieri sull’asfalto. Sulla deriva criminale di questa zona si muovono in molti. Romeni e albanesi, che lavorano di più con la cocaina; maghrebini, che smerciano soprattutto il fumo; sudamericani. Ogni gruppo per anni ha lavorato da solo. Con le mazze e i coltelli si sono contesi portoni, sottotetti occupati per gli «imboschi», pezzi di strada per lo spaccio. Oggi pare che si stiano mischiando. E le alleanze che si stringono e si sciolgono si portano dietro il rischio di intrighi, traditori, vendette. Poi c’è la prostituzione, quella di livello più basso, ed è un altro giro criminale che s’intreccia agli altri. L’anno scorso i poliziotti del commissariato Villa San Giovanni, solo loro, hanno fatto oltre 150 arresti. Anche se poi a rovinare l’esistenza di chi vive in queste strade c’è la crisi di convivenza sulle cose più semplici. I gruppetti che si ubriacano per strada, litigano, urlano. Gli inquilini di via Crespi hanno affisso centinaia di fogli A4 ai muri con un semplice avviso: «Non sporcare, non buttare bottiglie, non strillare di notte, non mangiare sui marciapiedi». In questa stessa via otto vetrine su dieci sono di market e ristoranti etnici (Bangladesh, Egitto, Marocco). Sugli autobus, un passeggero su sette non paga. È la media peggiore della città: quasi 7 mila multe negli ultimi sei mesi. Per la Camera di commercio, via Padova è la strada più straniera di Milano: 1.311 imprese intestate a immigrati, più di una su tre.
E questo, di per sé, non sarebbe un male. Se non fosse che in queste comunità, isolate e compresse in uno spazio ridotto, le leggi della strada contano più del resto.E le liti finiscono spesso a coltellate, a cocci di bottiglia spaccati. Gli adolescenti sono la fascia più esposta e più pericolosa. Più a rischio per la droga e l’alcol. Sono i più sradicati e i più isolati, esclusi da una città che a quattro fermate di metrò sfoggia il lusso di via Montenapoleone, ma che per loro resta inaccessibile. Il gruppo è la risposta più immediata: per i giovani sudamericani assume la forma più strutturata della pandilla, della gang; per gli arabi non ha codici, né segni di riconoscimento. Ma la rabbia è identica. La scintilla per picchiarsi, spesso, è una parola o un’occhiata. Ora c’è anche un morto da vendicare.
Via Padova, è qui la casbah di Milano
L’edificio, in stile Ottocento, sarà sede di associazioni, artisti, ma anche di un lounge bar con tavolini per tutti i visitatori e di una sala convegni
Oltre 134mila abitanti, il 16,1 per cento dei quali di origine straniera. Benvenuti nella casbah di Milano, una strada - via Padova - e una piazza - Loreto - nella quale la concentrazione di extracomunitari (la maggior parte di religione musulmana) è la più alta della città. Basta un’occhiata fugace alle vetrine dei negozi per accorgersi che qui gli italiani non possono che sentirsi in minoranza, quasi fossero ormai semplici ospiti. La maggior parte delle macellerie tratta la carne secondo il rituale islamico, le piadine sono da tempo state sostituite dai kebab mentre, ogni dieci metri, un «Phone center» promette collegamenti telefonici con l’estero al ribasso.
Qui è interessante notare, come a fronte del dato di una percentuale ampiamente minoritaria di cittadini stranieri sul totale degli abitanti (seppur quasi doppia rispetto alla media italiana), si sottolinea subito che gli italiani non possono che sentirsi in minoranza rafforzando lo stereotipo dell’invasione degli stranieri.
Infine, ecco un esempio positivo, in cui il termine casba viene usato in modo appropriato perché si parla del centro storico di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. Inoltre l’articolo riporta un punto di vista ‘insolito’, quello del primo cittadino Nicola Cristaldi e anche di una donna tunisina che vive nella Casba, improntati alla valorizzazione dello scambio secolare fra le due sponde del Mediterraneo, rompendo con lo stereotipo che associa la ‘casba’ a degrado e violenza.
Legalità e sicurezza, ecco come la casbah è diventata chic
(sito internet di un quotidiano nazionale, 30 maggio 2010)
La scommessa di Mazara del Vallo è una casbah che non fa più paura. Il mare, le barche, il porto, le case. Il Maghreb è dall’altra parte, qui lo senti ogni volta che arriva lo scirocco. Ed è come vivere sulla stessa terra, vista da due finestre diverse. Qui i maghrebini sono arrivati da sempre, ma prima erano solo stranieri. Ora, regolari, da italiani, stanno ridando un’anima ai vecchi vicoli abbandonati, alla rocca, alla città vecchia. L’idea è venuta al sindaco una notte di primavera in un ristorante a pochi passi dalla città vecchia, lì dove nessuno voleva passare. […]Cristaldi guarda l’Europa; Mazara come Mentone, quando anni fa era partito il progetto di riqualificazione delle zone del centro abitate da immigrati. L’idea era piaciuta a tutti, a francesi e immigrati che da quel momento iniziarono a sentirsi meno stranieri. «Il principio qui a Mazara è lo stesso. La nostra è da sempre una città multietinica, dove la gente è sempre arrivata per cercare lavoro. Abbiamo voluto dare loro una casa più degna, con le strade sicure e illuminate, abbiamo ripristinato l’illuminazione pubblica dove c’era solo buio, costruito una rete fognaria che prima non c’era, fatto arrivare l’acqua corrente negli appartamenti. In cambio chiediamo il rispetto delle regole».È così che anche qui, a Mazara, i concetti di tolleranza e integrazione vengono superati dall’idea di uno scambio tra culture diverse. «Gli immigrati hanno salvato il settore della pesca e quindi la nostra economia. Salvare il nostro centro storico significa rivalutare il valore intero della città. Quelle che erano zone da evitare ora sono diventate strade dove aprire bar e locali serali. Quelle che erano baracche stanno diventando belle case, dove la gente da fuori ha già iniziato ad investire». Il progetto è ancora in corso, i fondi non sono molti, per il momento è stato ultimato un primo itinerario di vicoli inaugurato con una grande festa che ha coinvolto tutti. In piazza Mahdia per esempio, convivono sette nazionalità diverse. Jamila, immigrata dalla Tunisia quasi trent’anni fa, da quando le hanno risistemato la casa e il cortile, non sta più nella pelle. Fuori ha messo vasi di fiori. I suoi figli sono nel cortile a giocare, lei è fuori con scopa e paletta: «Ci tengo che resti tutto perfettamente in ordine, tutti i mazaresi devono vedere come siamo fatti noi tunisini, ci piace la pulizia. Siamo commossi che il sindaco abbia deciso di investire proprio qui, che fino a poco tempo fa era considerata la terra di nessuno, dove di notte si vedevano solo cani randagi e spacciatori». Oltre a lei in quella piazzetta si affacciano famiglie di ucraini, cinesi, marocchini, bengalesi. Tutti in regola, a lavorare giù al porto o con le bancarelle. «Oggi la gente può passeggiare e scoprire la bellezza del centro storico, i palazzi del ’700, le atmosfere di una città con un passato arabo. È il nostro tesoro, lo abbiamo riscoperto».Una rivista di turismo arriverà settimana prossima per un servizio su Mazara. Il rinascimento secondo Cristaldi inizia da qui.
Veniamo ora ad alcuni esempi sulla parola suk, presi dalla cronaca di Roma di alcune testate nazionali. Con questo termine si vuole indicare “un degrado da Terzo mondo”, un luogo in cui “domina il disordine”. Così i giornali italiani arrivano a vedere improponibili suk non più nei mercatini di periferia, ma addirittura nel Vaticano e nei più famosi monumenti della Capitale: il Colosseo e Piazza di Spagna.
"Colosseo assediato dalle bancarelle questo è un degrado da Terzo mondo"
IL CASO
La denuncia-appello della direttrice Rea sulle condizioni di degrado degli spazi attorno al monumento più celebre della città . Caustico il critico Philippe Daverio: "A Roma ci sono due piazze importanti, quella gestita dal papa tedesco è ordinata"
(edizione online locale di un quotidiano nazionale, 29 febbraio 2012)
Colosseo, ore 7 del mattino, inizia l'accerchiamento. Bancarelle di souvenir paccottiglia e camion-bar cominciano a disporsi lungo l'anello del monumento, seguiti da altri venditori ambulanti che prendono d'assedio le transenne di Arco di Costantino, Via Sacra e Tempio di Venere e Roma. Alle ore 8,30 il bazar apre, impreziosito da centurioni in posa e manciate di guide abusive acchiappa-turisti.
E' lo skyline quotidiano di piazza del Colosseo, un sottobosco di folclore e business più o meno legale, che affossa il minimo senso del decoro. "E' dal 1985 che sono al Colosseo e in ventisei anni le condizioni della piazza sono peggiorate: ormai c'è un degrado ambientale da terzo mondo", lamenta la direttrice del monumento Rossella Rea. […]
Piero Angela, giornalista scientifico, padre della storica trasmissione Quark, curatore degli allestimenti multimediali delle Domus Romanae sotto Palazzo Valentini, dice: "Il fenomeno del suk è tipico dei grandi monumenti di tutto il mondo. Oggi mi dà quasi fastidio attraversare la piazza del Colosseo . Mi sembra che abbia perso la sua dignità in questa profanazione continua di ambulanti e bancarelle. […]
Philippe Daverio, critico d'arte e conduttore televisivo, commenta: "A Roma ci sono due grandi piazze: quella di San Pietro e quella del Colosseo. La prima è gestita se così si può dire da un capo di Stato tedesco, la seconda da Alemanno. Da un punto di vista antropologico, la differenza è netta: la prima è ordinata, nella seconda domina il disordine. Viene da chiedersi perché? Penso che sia una questione di polso".
La guerra delle rose nel suk di Piazza di Spagna
Turisti e passanti inseguiti e molestati dai venditori di fiori. La protesta dei commercianti
(pagine locali di un quotidiano nazionale, 15 aprile 2012)
All’interno dell’articolo, tra l’altro, si legge:
Con un’aggressività confermata dal presidente dell’associazione Tridente Centro Storico Adriano Angelini “Stanno diventano pericolosi e spesso li abbiamo visti reagire anche nei confronti dei vigili urbani, soprattutto se donne”.
Ambulanti, camion bar, mimi e gladiatori dilaga il suk intorno al Vaticano
VERSO IL PRIMO MAGGIO
In attesa delle folle per Pasqua e beatificazione di Wojtyla, caos a San Pietro. Pambianchi, Confcommercio: «10 mila abusivi, venderanno perfino pane e frutta»
(edizione locale online di un quotidiano nazionale, 20 aprile 2011)
ROMA - Una fila di tappetini con borse «taroccate» lungo i giardini di Castel Sant’Angelo. E di fronte al ponte un gladiatore e una serie di statue umane e mute, dal pistolero alla mummia egiziana. Ancora: banchetti che vendono gli occhiali, tre venditori di collane itineranti, ovvero con i loro «gioielli» direttamente in mano o lungo le braccia, souvenir di ogni tipo, e – ovviamente – due dei tanti camion bar che stazionano nella zona. E’ lo spettacolo che offre la città a ridosso del Vaticano, tra i giardini del Mausoleo di Elio Adriano e l’inizio di via della Conciliazione. Definirlo «suk» è perfino inutile, è un concentrato di tutto quello che non dovrebbe esserci lungo le strade della Città Eterna.[…]
BIVACCHI NOTTURNI DEI FEDELI - De Giusti sottolinea di «aver già fatto una richiesta per un maggiore coinvolgimento», e si dice pronta «a mettermi a disposizione per soluzioni concrete che vedano il rimessaggio dei pullman in un parcheggio come il terminal Gianicolo», che comportino «lo sgombero degli ambulanti abusivi», dato anche che i negozi saranno aperti il primo maggio per l’accoglienza alle persone.
«Non oso immaginare – conclude Antonella De Giusti- cosa accadrà la sera del 30 aprile quando ci sarà la veglia al Circo Massimo: in molti fedeli decideranno di prendere posto di notte per il giorno dopo nell’area di San Pietro». Bivacchi notturni si formeranno in via della Concicliazione come avvenne la notte prima dei funerali di Wojtyla. «Prevediamo fin dalla vigilia un afflusso enorme di persone intorno al Vaticano. Ma su questa emergenza non sono a conoscenza di alcun “piano”».
[1] http://www.meglioviapadova.org Sul sito si legge: “Via Padova, più che una via di 350 numeri civici, è un territorio che mostra i segni fisici della propria storia lungo tutto il suo percorso, segni lasciati dalle genti che l’hanno attraversata e abitata ancor prima dell’anno mille, dall’enorme flusso di immigrati provenienti dal Sud dell’Italia nel secondo dopoguerra e dagli immigrati a partire dagli anni '90. Nel corso degli ultimi due decenni via Padova è diventata la via più multietnica di Milano, senza essersi preparata ad affrontare i problemi legati a un cambiamento così radicale del suo tessuto sociale. La festa in questi anni si è mossa in questa direzione per concorrere a costruire una nuova identità che valorizzi le storie individuali e collettive, il presente e il passato, la diversità delle provenienze”.
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