Secondo il vocabolario Treccani, mongoloide, aggettivo e sostantivo, maschile e femminile, vuol dire in medicina: "Che è caratteristico del mongolismo o mongoloidismo: faccia mongoloide; tratti mongoloidi. "Che è affetto da mongolismo o mongoloidismo: ragazzo mongoloide; come sostantivo: un mongoloide, una mongoloide." Il vocabolario sottolinea che "oggi sono preferite le espressioni bambino Down, soggetto Down". Il mongolismo è in medicina, la denominazione ormai caduta in disuso di un’anomalia congenita detta trisomia 21 e oggi più comunemente sindrome di Down (dal nome del medico inglese J. L. H. Down [1828-1926] che ne ha descritto il quadro clinico), caratterizzata da malformazioni somatiche e soprattutto una caratteristica facies (occhi piccoli, a mandorla, simili a quelli dei mongoli, donde il nome originario della sindrome)".
Di fatto oggi le parole "mongoloide" e "mongolo" riferite alla persone con sindrome di Down sono considerate alla stregua di un insulto.
Nel 1866, il medico inglese John Langdon Down pubblica un articolo che porterà da allora a identificare col suo nome un tipo specifico di disabilità intellettiva, la sindrome di Down."L’articolo, intitolato Osservazioni su una classificazione etnica degli idioti, è in realtà intriso di una serie di concezioni scientifiche grossolane e dominate dall’idea di “degenerazione della razza”- scrive lo studioso Matteo Schianchi - Secondo Down, quella che chiama «idiozia mongoloide» costituisce una degenerazione della razza bianca verso quella gialla. L’articolo comincia affermando che: Un gran numero di idioti congeniti sono tipicamente mongoli"[1]. Da qui l'affermarsi della parola 'mongoloide' e 'mongolo' per indicare nel linguaggio comune le persone con sindrome di Down.
La storia dell'uso di questa parola è simili a quelle di termini come "idiota", "imbecille" e "deficiente". Si tratta di parole che erano considerate scientifiche all'inizio, utilizzate da medici, psichiatri, psicologi, pedagogisti per riferirsi a diversi livelli di ritardo mentale. Poi però sono diventati nel linguaggio comune epiteti offensivi nei confronti delle persone e per questo si preferisce oggi non usarli, anche in ambito scientifico, in quanto si ritiene che esprimano un atteggiamento dispregiativo. Una sorte analoga è toccata al termine "mongoloide", dapprima usato per evidenziare la presenza in certe persone di tratti simili a quelli degli abitanti della Mongolia (tratti rivelatori della particolare sindrome e cioè quella descritta dal medico inglese Langdon Down nel 1866), ma successivamente utilizzato in modo fortemente dispregiativo.
Un ultimo esempio può riguardare le etichette "disadattato" e svantaggiato. Il primo termine sembra indicare una maggiore attenzione al rapporto della persona con disabilità intellettiva con l'ambiente; il secondo sottolinea ancora di più l'importanza dell'ambiente. [2]
La causa genetica della sindrome Down è la presenza di un cromosoma 21 in più, (il più piccolo tra i cromosomi; circa 1,5% del genoma) cioè tre invece dei due soliti, di cui normalmente uno di derivazione materna e uno di derivazione paterna.
Le anomalie cromosomiche, soprattutto le trisomie, sono un evento abbastanza frequente che interessa circa il 9% di tutti i concepimenti (alla nascita però solo lo 0,6% dei nati presenta un’anomalia cromosomica a causa dell’elevatissima quota di embrioni che va incontro ad un aborto spontaneo). L’incidenza delle anomalie cromosomiche in generale, e quelle della Trisomia 21 in particolare, è assolutamente costante nelle diverse popolazioni, nel tempo e nello spazio. Tutte le possibili ipotesi eziologiche formulabili (agenti chimici, radiazioni ionizzanti, infezioni virali, alterazioni metaboliche o endocrine materne) non sono state mai avvalorate dalle molte ricerche condotte.
Le cause precise che determinano l’insorgenza della sindrome di down sono ancora sconosciute. Numerose indagini epidemiologiche hanno comunque messo in evidenza che l’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età materna: inferiore a 30 anni 1 su 1.500; 30-34 anni 1 su 580; 35-39 1 su 280; 40-44 anni 1 su 70; oltre 45 anni 1 su 38. L’altro fattore di rischio dimostrato è avere avuto un precedente figlio con la sindrome. [3]
Lo sviluppo del bambino con sindrome di Down avviene con un certo ritardo, ma secondo le stesse tappe degli altri bambini. I bambini con sindrome di Down crescendo possono raggiungere, sia pure con tempi più lunghi, conquiste simili a quelle degli altri bambini: cammineranno, inizieranno a parlare, a correre, a giocare. Rimane invece comune a tutti un variabile grado di ritardo mentale che si manifesta anche nella difficoltà di linguaggio. Dal punto di vista riabilitativo non si tratta di compensare o recuperare una particolare funzione, quanto di organizzare un intervento educativo globale che favorisca la crescita e lo sviluppo del bambino in una interazione dinamica tra le sue potenzialità e l’ambiente circostante. I giovani e gli adulti con sindrome di Down possono apprendere un mestiere e impegnarsi in un lavoro svolgendolo in modo competente e produttivo.
È impossibile avere oggi dei dati statistici sul numero delle persone con sindrome di Down che lavorano, ma, anche se la legislazione attuale non favorisce adeguatamente l’avvio al lavoro delle persone con ritardo mentale, grazie all’impegno degli operatori e delle famiglie ci sono già molte esperienze positive.
[1] Schianchi M., Storia della disabilità. Dal Castigo degli dei alla crisi del welfare, Carocci editore, Roma 2012, pag.123
[2] http://www.sindrome-down.it/
[3] Guida all'informazione sociale di Redattore Sociale
La sindrome di Down è la causa cromosomica di ritardo mentale più diffusa.
Essa interessa tutte le etnie, sia maschi che femmine e si manifesta (incidenza) in un caso ogni 700-1.000 nati vivi.
Molti di più sono i concepimenti che riguardano la trisomia 21, dato che 3 casi su 4 si concludono con un aborto o con la nascita di un bambino morto.
Come si ricava anche dalla tabella riportata sotto, l’incidenza dipende molto dall’età della madre. A questo proposito è importante una precisazione per eliminare un possibile equivoco e cioè quello di pensare che un bambino con sindrome di Down ha molto spesso una madre anziana. Non è così. Poiché i bambini nati da madri con più di 35 anni sono in assoluto di gran lunga meno di quelli nati da madri con meno di tale età, di fatto solo un neonato con sindrome di Down ogni cinque ha una madre con più di 35 anni.
In Italia 1 bambino su 1.200 che nasce è affetto da sindrome di down. Grazie allo sviluppo della medicina e alle maggiori cure dedicate a queste persone la durata della loro vita si è molto allungata così che si può ora parlare di un’aspettativa di 62 anni, destinata ulteriormente a crescere in futuro.
Secondo una stima dell'Aipd (Associazione italiana persone down), vivono in Italia circa 38 mila persone con sindrome di down di cui il 61% ha più di 25 anni.
In tutto il mondo il 21 marzo si celebra la Giornata sulla sindrome di Down.