Invalido è aggettivo e sostantivo. Indica “che o chi, per malattia, congenita o acquisita, ferita, mutilazione, o per vecchiaia, non ha o ha perso la capacità di compiere il suo lavoro abituale o anche un lavoro qualsiasi”. Per indicare gli invalidi al lavoro si usa anche il termine inabile. L’invalidità è “l’essere invalido, per infermità o mutilazione. In particolare, nelle assicurazioni sociali e nell’infortunistica, l’inattitudine, derivante da infermità, mutilazione o difetto fisico o mentale, a conseguire un guadagno mediante una qualsiasi occupazione (invalidità generica) o mediante il lavoro precedentemente espletato (invalidità specifica)". Rispetto alla durata, l'invalidità può essere permanente oppure temporanea. In particolare, di soldato che per malattia contratta sul fronte o per ferita riportata in combattimento non è più abile al servizio militare o a esplicare la sua normale attività lavorativa nella vita civile; e come sostantivo: gli invalidi della prima guerra mondiale; invalido civile; invalido di guerra; i grandi invalidi". (Treccani)
Non esiste una definizione univoca di "invalido civile". Il concetto di invalidità fece la sua prima apparizione in Italia nel 1939 con la legge n.636 che statuiva: si considera invalido l'assicurato la cui capacità di guadagno, in occupazioni confacenti alle sue attitudini sia ridotto in modo permanente per infermità o difetto fisico e mentale, a meno della metà. La successiva legge 30 del 1971 stabilisce che si definiscono mutilati e invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligrofenie di carattere organico o dimetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della Capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
Una definizione complessa e farraginosa che è stata migliorata dal decreto legislativo n.509 del 1988, che aggiunge: ai soli fini dell'assistenza sociosanitaria e della concessione dell'indennità di accompagnamento si considerano mutilati e invalidi i soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano persistenti difficoltà a svolgere i compiti e le funzioni della loro età. [1]
[1] Leonardi M. (a cura di), Libro bianco sull'invalidità civile in Italia, FrancoAngeli 2008 pp. 22-23
La parola invalido che agli inizi del Novecento fu collegata alla catastrofe della grande guerra, si riferiva in prima battuta agli invalidi e ai mutilati del Primo conflitto mondiale. Ma come termine burocratico è rimasto con la pensione di invalidità o la certificazione di invalidità. Nel linguaggio sulle disabilità i termini cambiano continuamente, tanto che "sembrano non trovare pace - scrive Antonella Patete su SuperAbile Magazine - Forse perché a lungo andare si rivelano tutte, in un modo o nell’altro, insufficienti o inadeguate". [1]
Secondo Tullio De Mauro, invalido viene ripreso dal francese 'invalide' nel corso dell'Ottocento, quando si iniziano a cercare termini meno stigmatizzanti per chiamare le persone con disabilità. "L’intero campo di espressioni è necessariamente in movimento sia nell’uso comune sia a livello specialistico internazionale - dice De Mauro - come mostra il succedersi di classificazioni e riclassificazioni: nel 1980 la classificazione Icidh, International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps, dell’Organizzazione mondiale della sanità; dieci anni dopo la Icf, International Classification of Functioning, sempre dell’Oms, che ripensa la stessa nozione di salute e in questo quadro propone una riclassificazione delle diverse funzionalità e dei loro limiti; nel 2006 il documento, la Convenzione dell’assemblea Onu in cui emerge la difficoltà di trovare una buona definizione unitaria per tutelare i «diritti delle persone con disabilità».[2]
Matteo Schianchi, a proposito delle classificazioni internazionali, sottolinea: "Infermi, inabili, invalidi, minorati, incapaci, handicappati. Questi e altri termini si sono susseguiti dai primi del Novecento per definire le persone con disabilità. Si è sempre trattato di espressioni interscambiabili, usate in contesti diversi ed eterogenei (da quelli giuridico-istituzionali al parlato comune). Per quanto ampiamente adoperati, questi termini sono rimasti a lungo privi di una vera e propria codifica concettuale". [3]
La figura degli invalidi di guerra compare nel Seicento, con l’ospedale di Bicêtre costruito da Luigi XIII per accoglierli. Questa istituzione è poi sostituita con l’Hôtel des Invalides voluta nel 1670 da Luigi XIV . “Feriti e mutilati di guerra rappresentavano per Luigi XIV un problema sociale poiché la maggior parte di loro, diventata inabile durante le campagne belliche da lui intraprese, rappresentava una piaga sociale che popolava le vie di Parigi", spiega lo storico. [4]
In Italia, una prima casa per veterani e invalidi è istituita a Milano nel 1801. La prima guerra mondiale è una grande catastrofe: tra morti, mutilati, invalidi, ciechi, sordi si conteranno, in tutta Europa, 10 milioni di persone. Nel 1917 nasce a Milano l’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra. Alla fine del conflitto, alcune stime relative all’Italia indicano oltre 400.000 persone con menomazioni fisiche invalidanti, oltre 14.000 titolari di pensione di invalidità per cause di servizio prestato all’esercito italiano. Le prime forme previdenziali arrivano con la Grande come forma di “riparazione” verso i soldati mutilati.
Per quanto riguarda invece l'invalidità civile, è del 1962 la prima legge (n. 1539) che reca “Provvedimenti in favore dei mutilati e invalidi civili”, relativa al collocamento di «mutilati e invalidi civili la cui capacità di lavoro fosse ridotta in misura non inferiore ad un terzo». Restano esclusi i «soggetti incollocabili» (invalidità assoluta con la specifica delle categorie dei motulesi e neurolesi) per i quali, nel 1966 (legge 625), si prevede un assegno mensile di assistenza. Negli anni Sessanta, la legislazione si occupa dell'inserimento lavorativo degli invalidi civili. Nel 1968 è approvata la legge 482 che disciplina l’assunzione obbligatoria nel pubblico e nel privato di:invalidi di guerra, militari e civili; invalidi per servizio; invalidi del lavoro; invalidi civili, ciechi, sordomuti.
Nel 1971 è emanata la prima legge organica sull’invalidità civile (n. 118) destinata a governare complessivamente il mondo della disabilità fino al 1992. Questa legge ingloba una popolazione più ampia rispetto al passato di mutilati e invalidi civili. I due requisiti per avere accesso all'invalidità civile sono: per i soggetti in età lavorativa, quindi compresa tra i 18 e i 65 anni, il criterio base rimane quello della compromissione della capacità di lavoro; per i minori e per gli ultrasessantacinquenni, il parametro è nelle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. L’accertamento della «condizione di minorazione» è il requisito necessario per l’ottenimento dei diritti (revocabili qualora non sussistano più le condizioni) attraverso la visita medico-sanitaria ed è assicurato da commissioni provinciali. La legge introduce per la prima volta il principio di abbattimento delle barriere architettoniche. Nel 1980 è ampliata l’erogazione dell’indennità di accompagnamento che è dunque assegnata, in modo non reversibile, agli invalidi civili, maggiorenni e minorenni, «totalmente inabili», cioè «che si trovano nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua». La legge n. 104 del 1992 riorganizza complessivamente le questioni della disabilità. "Tale normativa costituisce un avanzamento dettato dalle evoluzioni concettuali della disabilità emerse nelle classificazioni internazionali disposte dall’Organizzazione mondiale della sanità, molto più incentrate sulla persona che non sulla sua menomazione" spiega Schianchi. [5] La legge n. 104 del 5 febbraio 1992 e successive modifiche, tutela “l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. Si applica innanzitutto ai lavoratori disabili, con rapporto di lavoro pubblico o privato, in situazione di gravità, e ai lavoratori che assistono un parente disabile, entro il secondo grado. Indispensabile è il riconoscimento di handicap grave che richiede un accertamento diverso da quello del'invalidità civile.
A queste conquiste si è giunti grazie alle lotte del movimento delle associazioni che tra gli anni Cinquanta e Sessanta, hanno organizzato manifestazioni pubbliche chiamate “marce del dolore”, momento di visibilità per una realtà fino a quel momento silenziata. Negli stessi anni a livello internazionale si sviluppa il “modello sociale della disabilità”. "A partire da questo momento, il movimento delle associazioni con disabilità sposta la sua battaglia a favore dei diritti da un’impostazione centrata sul deficit dell’individuo alla sua effettiva partecipazione alla vita sociale e all’autodeterminazione- scrive ancora Schianchi - Questo orientamento riesce a imporsi nel definire una specifica concezione della disabilità e porta al radicalizzarsi delle istanze dei movimenti internazionali delle persone con disabilità basandola sui diritti umani". [6]
Sul tema dell'invalidità civile, è importante la distinzione fra previdenza e assistenza.
La previdenza è "un mezzo per la salvaguardia delle condizioni economiche raggiunte individualmente". L'assistenza è "un mezzo per raggiungere obiettivi solidaristici e di redistribuzione del reddito". [7] L'assenza in Italia di sostegni al reddito, ha dato origine a uno "snaturamento" delle funzioni della previdenza, su cui sono state scaricate funzioni assistenziali, anche con l'aumento di categorie fragili come gli anziani.
Su questo punto un mito da sfatare è quello dei falsi invalidi. “Ciò che connota la disabilità è la sua visibilità – dice sempre Bomprezzi- In questa campagna sui falsi invalidi si è dibattuto sul fatto che sono invalidità che non si vedono, come il falso cieco. Molto spesso il falso cieco individuato dai video diffusi sui media era un ipovedente grave, i quali sviluppano una notevole autonomia grazie all’esercizio e alla conoscenza dei luoghi nei quali si muovono. Però per l’immaginario collettivo quello non è un “invalido”. Il non riconoscere la disabilità equivale a non accettarla, non considerarla”.
“Ci sono alcuni termini che non puoi evitare perché sono oggettivamente riferiti a leggi che devi applicare, il pass per invalidi è un atto amministrativo, io non mi offendo a dire che lo sto usando – commenta Bomprezzi - Il falso invalido invece ormai è una categoria dello spirito, è funzionale a un disegno politico ben preciso. Serviva a trovare un capro espiatorio, per fare partire una grande campagna per ridurre la spesa sociale sulle pensioni di invalidità attraverso l’individuazione dei furbi e dei ladri. Operazione “legittima”, il fatto è che è stata giocata non su dati oggettivi”. Ancora una volta, la lente attraverso cui si guarda il fenomeno appare rovesciata sui media e nel senso comune. “I falsi invalidi non esistono, esistono le false certificazioni di invalidità, cioè esistono dei medici imbroglioni che hanno certificato il falso, ma nessuno dice medici ladri. Ovviamente tutta la campagna è stata costruita così e ormai è entrata nell’uso comune. I veri invalidi risentono il danno della campagna dei falsi invalidi. Si è creata una tale caccia all’untore che non ha precedenti nella storia italiana, è stato un punto bassissimo della comunicazione e del giornalismo”. Nelle vicende dei falsi invalidi sembra anche ritornare lo stigma vecchio di millenni che vede nella disabilità anche delle connotazioni morali. O negative. E il primo esempio risale a Omero. Storpio e deforme era il primo personaggio disabile della storia della letteratura occidentale, Tersite, che compare nel secondo libro dell’Iliade. Nella sua opera “Storia della disabilità”, Matteo Schianchi saggista disabile, spiega che sono le sue caratteristiche fisiche a fare di Tersite un individuo negativo, “un essere ignobile a spregevole”. O pietistiche. A questo si rifà l’espressione novecentesca “poveri infelici”, un grande “luogo retorico” dell’attenzione collettiva verso queste persone, cui si riconosce l’abilità di ritornare alla dignità del genere umano andando oltre i limiti delle loro menomazioni.
[1] Patete A., Le parole per dirlo, inchiesta in "SuperAbile Magazine", febbraio 2012
[2] Ibidem
[3] Schianchi M., Storia della disabilità. Dal Castigo degli dei alla crisi del welfare, Carocci editore, Roma 2012 pag. 230
[4] Ibidem
[5] Ibidem pag.216
[6] Schianchi, op. cit.
[7] Leonardi M. (a cura di), Libro bianco sull'invalidità civile in Italia, FrancoAngeli 2008 pp. 24-25
Finta cieca parcheggia la macchina nel vicoletto
Blitz dei carabinieri contro i falsi invalidi a Napoli: 31 arresti
(video sul sito di un quotidiano nazionale, 23 maggio 2014)
Blitz dei carabinieri contro i falsi invalidi a Napoli e sequestro di beni per 1,3 milioni di euro. Trentuno persone, accusate di aver percepito pensioni di invaliditá senza averne titolo, sono state arrestate in un’operazione scattata all’alba nel capoluogo campano. Tra le persone arrestate, c’è anche una donna che risultava affetta da un grave deficit visivo, e per questo titolare di una pensione d’invaliditá, che con disinvoltura legge la posta e parcheggia l’auto in uno stretto vicolo di Napoli.
Sul blog Invisibili di Franco Bomprezzi sottolinea che la "retata" cui si riferisce il video qui sopra, è opera della polizia giudiziaria e non dell'Inps e dei "tanto strombazzati controlli a tappeto". Secondo Bomprezzi, "il fenomeno ovviamente fa effetto e scandalizza tutti coloro che hanno un’idea molto generica delle caratteristiche che dovrebbe avere una persona cieca. La si immagina in buona misura come un invalido con il bastone bianco o con un cane-guida, del tutto incapace di muoversi in autonomia e di compiere molte delle azioni che quotidianamente svolgono le persone che ci vedono bene. Nel caso rivelato oggi non c’è dubbio che siamo effettivamente in presenza (a meno di clamorosi errori) di truffatori (non solo la donna che parcheggia con maestria, ma chi ha certificato e coperto la truffa). Ma la realtà delle persone cieche o fortemente ipovedenti è assai più complessa. Ecco il racconto, semplice e coraggioso, che è arrivato proprio ieri alla redazione del blog InVisibili:
“Mi chiamo Simona Caruso, siracusana di 36 anni… volevo proporvi la mia storia. Da un mese a questa parte, anche in seguito alla messa in onda di trasmissioni televisive nelle quali si parlava di falsi invalidi, ed in maniera falsa e faziosa dei presunti \”falsi ciechi\”, attaccando ripetutamente la legge 138, ho deciso di impegnarmi per diffondere la giusta informazione e sensibilizzare i normovedenti, e perché no, anche i conduttori televisivi, sul tema della disabilità sensoriale visiva, e sulla validità della legge 138 dell’Aprile 2001 che di fatto ci tutela. Il mio obiettivo quindi, è quello di sensibilizzare ed informare. I normovedenti ovviamente ignorano il fatto che vi possono essere diversi modi di vedere e non vedere. Ignorano che una persona pur essendo cieca totale perché ha un campo visivo molto ristretto, può essere in grado di leggere un testo scritto. Ovviamente non potrà avere il senso di insieme di tutta la pagina e leggerà una parola per volta, ma riuscirà lo stesso a leggerla. I normovdenti e le trasmissioni popolari che vanno in onda in TV vogliono far credere che una persona non vedente in grado di leggere è un falso cieco. La realtà è più complessa e molto più delicata. Una persona affetta da retinite pigmentosa, come me, ha imparato nel corso dell’evoluzione della malattia, ad adoperare tutti gli altri sensi, ad acuire l’udito il tatto e l’olfatto e pur con un campo visivo molto ristretto può riuscire benissimo a percorrere dei tragitti di strada che percorre da sempre e che ha imparato a conoscere bene. La posizione dei gradini, i pali, le porte… La disabilità sensoriale visiva comporta molte problematiche nelle modalità di rapportarci alle persone, comporta ansia e stress anche nell’accettazione della malattia da parte di persone più fragili. La degenerazione lenta e progressiva ci fa spesso rischiare grosso, specialmente quando ci troviamo per strada con la voglia e la caparbietà di chi non vuole arrendersi a perdere quel poco di autonomia e indipendenza! .... L’unico modo che abbiamo per rispondere alle false accuse da parte, spesso, della tv pubblica, è l’informazione, il nostro coraggio e la determinazione. E confidiamo perciò nella vostra disponibilità e spero possiate pubblicare questo mio articolo perché è tanto il mio impegno e le mie speranze! Simona Caruso”
Scoperti 40 falsi ciechi a Roma e Provincia. Erano invalidi solo per l’Inps
(video su una testata nazionale, online)
Erano ufficialmente ciechi ma la pensione d’invalidità dell’Inps la vedevano più che bene. 18 donne e 22 uomini dichiarati ciechi al 100%, dovranno ora rispondere di truffa aggravata ai danni dello Stato per un danno erariale pari a 3.583 mila euro. Oltre alla pensione di invalidità infatti, i falsi ciechi percepivano anche l'indennità di accompagnamento per un totale di circa 1.100 euro al mese.