Attorno alle malattie esistono ancora molti tabù. Ad esempio, spesso si percepisce una certa ritrosia a usare la parola “tumore” o "cancro". Alla morte di personaggi famosi, soprattutto in televisione, si usano spesso locuzioni come “dopo lunga malattia” oppure “affetto da male incurabile”, anche questo è un errore: il male era inguaribile, ma curabile.
La locuzione male incurabile è un luogo comune. Esistono molte cure e terapie per il cancro, anche se alcune forme tumorali sono definite "killer" come il tumore al polmone che è la principale causa di morte per cancro nel mondo, diffuso sia tra gli uomini, sia tra le donne. Su questa malattia, bisogna dire che il retaggio comune la considera una patologia maschile e invece i dati epidemiologici di genere sono preoccupanti per le donne. Ora è la prima causa di morte per cancro per le donne in molti paesi e il fumo di sigarette resta la prima causa di tumore al polmone.
Quindi è vero che ci sono tumori difficili da sconfiggere, ma molti pazienti sopravvivono al cancro o riescono a vivere a lungo con la malattia e con una buona qualità della vita. Quindi scrivere, “male incurabile” è sbagliato perchè è un messaggio che chiude la porta alla speranza. In questi casi la corretta informazione è fondamentale anche per la lotta al cancro, ad esempio per la prevenzione.
Per quanto riguarda invece la SLA, Sclerosi laterale amiotrofica, è conosciuta come malattia di Lou Gehrig, dal nome di un famoso giocatore di baseball statunitense che ne fu colpito, o malattia di Charcot dal nome del neurologo francese che la scoprì alla fine dell' Ottocento. Il significato letterale è: raggrinzimento (sclerosi) della porzione laterale del midollo spinale e perdita del trofismo o nutrimento muscolare (amiotrofica). E' una patologia degenerativa dei motoneuroni, cioè delle cellule nervose localizzate nella corteccia cerebrale, nel midollo spinale e nel tronco dell'encefalo, responsabili del movimento di tutta la muscolatura volontaria. La degenerazione progressiva dei motoneuroni nella SLA conduce alla loro morte. Quando i motoneuroni muoiono, il cervello non ha più la capacità di muovere il muscolo. Così i pazienti arrivano alla paralisi completa, mentre la mente e le capacità intellettive rimangono inalterate.
La SLA è familiare o genetica quando in famiglia ci sia stato almeno un altro caso, è una malattia ereditaria nel 5-10% dei casi. Nel restante 90% dei casi è di forma sporadica. Non è una malattia contagiosa o infettiva. E' una malattia rara che interessa prevalentamente adulti fra i 50 e i 60 anni e colpisce sei persone su centomila. Il decorso medio va dai 3 ai 5 anni, il 50% dei malati muore entro 18 mesi dalla diagnosi, solo il 20% supera i 5 anni. La morte sopravviene solitamente per insufficienza respiratoria. Studi epidemiologici recenti hanno evidenziato che tra i giocatori di calcio professionisti il rischio di SLA aumenta di sei volte rispetto al resto della popolazione. [1] Ma è incauto definirla la "malattia dei calciatori" perchè al momento non è stato ancora identificato il meccanismo responsabile della degenerazione dei motoneuroni.
Anche in questo caso, l'AISLA (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) invita alla distinzione nei termini: la SLA al momento è inguaribile ma non va considerata "incurabile".
Per le notizie che riguardano i "malati" di patologie gravi e anche mortali, la cosa importante è non trasmettere un messaggio distorto e senza speranza da un lato, non creare distanza tra i 'sani' e i 'malati' dall'altra. Vale a dire che bisogna combattere la tendenza a vedere solo la "sclerosi", il "cancro", la "malattia", senza vedere più la persona "malata di".
Espressioni come "malato" o "il malato", se non adeguatamente contestualizzate rischiano di ridurre la vita della persona solo alla sua sofferenza o patologia (similmente a quanto accade con l'uso di altri aggettivi sostantivati come disturbato, demente, handicappato, ecc...)
L'approccio nuovo è quello veicolato dalla classificazione ICF dell'Oms, che rappresenta una svolta decisiva sul modo di intendere la disabilità, perché mette al centro il concetto di salute, intesa non come "assenza di malattia", ma definita considerando la persona e il contesto in cui vive. La disabilità non è quindi un problema di un gruppo minoritario ma una condizione comune dell'umanità. Riguarda tutti perchè tutti possono avere una condizione di salute, che in un contesto ambientale sfavorevole, causa disabilità. La malattia e la disabilità non riguardano una minoranza o "gli ammalati", riguardano la condizione umana in quanto tale.
[1] Granito A., Pasquo M., Pichezzi M., Oltre il soffitto, Lombard Key Bologna 2009