Frasi Fatte:
Il malato mentale è incurabile
Il malato mentale è violento e pericoloso
Il malato mentale è incapace di lavorare e non rispetta le regole sociali
Le tre frasi fatte riportate all’inizio sono tutte false. Il primo stereotipo sulla salute mentale è l’inguaribilità, un matto è matto per sempre. Invece esistono molte vie di cura per i principali disturbi mentali ed è possibile guarire. Ad esempio, nella metà dei casi, la schizofrenia non presenta ricadute dopo un solo anno di trattamento. Se curate adeguatamente, queste persone non sono più violento di qualunque altro, mentre quasi tutti i reati violenti sono compiuti da individui considerati perfettamente normali e ben inseriti nella società (vedi anche matto). Il percorso di cura può restituire la capacità di interagire con gli altri, di inserirsi nella vita sociale e di lavorare, come testimoniano le esperienze delle cooperative sociali, ma anche di normali aziende che hanno dato fiducia a persone con disturbi mentali. Due esempi per tutti. A Torino dal 2008 è aperto il “Caffè Basaglia”, nato negli ex stabilimenti cinematografici sulla Dora Riparia in cui fu girato Cabiria, uno dei primi kolossal della cinematografia mondiale. È un locale notturno che dà lavoro agli utenti del dipartimento di Salute Mentale dell’Asl, come camerieri, barman, aiutocuochi. A Roma è nata invece nel 2011 la prima sartoria creativa di persone con problemi di salute mentale e sarte del quartiere. Un normale negozio, a pochi numeri civici di distanza dal centro diurno sperimentale dell’Asl RmC, in cui si effettuano riparazioni, si creano abiti su misura, si confeziona abbigliamento per persone disabili, ma anche i grembiuli per i bambini della scuola Montessori, tutti diversi uno dall’altro. L’idea è nata nell’ambito di un laboratorio di sartoria curato per due anni da un’infermiera nel centro sperimentale diurno. Si è passati quindi dal percorso terapeutico a un vero lavoro.
La novità nel campo della salute mentale è che da qualche tempo le persone con disturbi stanno diventando soggetti attivi. Nel 2012 è nato il primo Coordinamento nazionale di utenti di salute mentale, da una storica esperienza di auto-aiuto che ha generato l’associazionismo. E’ un grande cambiamento. L’auto-aiuto non è esattamente una terapia, ma ha un effetto terapeutico. È una pratica che si è diffusa negli ultimi 10 anni, in cui gruppi di persone che hanno un problema si ritrovano per parlarne in una dimensione orizzontale. Spesso sono favoriti nella nascita dai servizi delle Asl che li coordinano in modo leggero. Da questo è nata più partecipazione attiva. Un’altra associazione significativa è la “Rete italiana degli Uditori di Voci”.
“Salute mentale e psichiatria sono due cose diverse. La salute mentale è qualcosa che riguarda tutti, è una presa in carico sociale, non solo da parte dei medici – spiega Luigi Attenasio, direttore sanitario del dipartimento dell’Asl Roma C - Presa in carico è diverso da terapia, è più complesso riguarda la famiglia, le relazioni e il lavoro”.
Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.
Questo è l’incipit di “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez. Attenasio usa questa metafora per indicare la situazione della salute mentale in questo momento. “Siamo usciti solamente da 30 anni dalle vicende manicomianli pesanti – dice - Noi ci confrontiamo con una psichiatria istituzionale che ha 300 anni di vita. Le nostre parole, che io vorrei leggère, della salute mentale sono ancora tutte a farsi, sono parole della complessità. E’ difficile in questo momento descrivere con una sola parola, ma anche con una frase quello che può essere la nostra gestione, cos’è una visita domiciliare, cosa avviene quando si discute di un caso clinico fra più professionalità. Non chiamiamo con una parola qualcosa che ancora deve essere indicato col dito”.
Questa è la premessa. Si tratta di un campo in cui ancora si sta discutendo fra psichiatri delle definizioni dei diversi disturbi. Al momento sembra corretto usare l’espressione persone con disturbo mentale. L’indicazione arriva dal giornalista e psicologo Massimo Cirri, conduttore di Caterpillar su Radio 2 Rai. Né lui né Attenasio ritengono giusto associare le parole disabile e disabilità ai problemi della salute mentale. Entrambi considerano molto importante la riflessione e il dibattito sui termini da usare. “Se non sei disposto a cambiare il mondo con lo psicotico, non puoi curarlo – commenta Luigi Attenasio - lo psichiatra deve mettersi in discussione sulle parole che usa per descrivere chi ha davanti, se usa sempre termini oggettivanti, non lo può curare”. Tuttavia il direttore sanitario esprime dubbi e riserve sulla locuzione “utenti della salute mentale”, perché “le persone rischiano di essere marchiate, stigmatizzate per tutta la vita, non è come dire cardiopatico, perché una persona con problemi di cuore non perde il rispetto degli altri verso di lui”. La sua esperienza di 40 anni nel campo, lo portano a dire che i suoi pazienti “desiderano soprattutto essere reputati persone, essere ascoltati”.
Oggi con le cure (terapie farmacologiche e un approccio non segregante o imprigionante) la qualità della vitamigliora. “Fino ai tempi dei manicomi, se avevi un disturbo mentale venivi messo in un luogo chiuso, di violenza. Con l’istituzionalizzazione, qualsiasi cosa tu avessi, la tua situazione peggiorava – afferma Cirri - Ora si guarisce in numero sempre maggiore di casi restando in un circuito che ha a che fare con la normalità, in cui continui ad avere diritti di cittadinanza concreta, ti percepisci come appartenente a una comunità di persone e hai molte più probabilità di guarire”. Sul luogo comune che vede nel disturbo mentale qualcosa di socialmente pericoloso a prescindere, il giornalista ribadisce che “statisticamente è chiaro che non c’è legame fra sofferenza mentale e violenza, la persona con disturbo mentale è più probabile che sia oggetto di altrui violenza, piuttosto che esserne l’autore” (vedi anche matto)
Si preferisce parlare di disturbo e non di malattia perché non si conoscono ancora bene le cause di queste condizioni, alcune diagnosi sono ancora controverse ed è forte l’influenza delle esperienze personali. Bisogna inoltre distinguere il disturbo dal disagio. Il disagio è una situazione di sofferenza psichica, solitamente transitoria, che può essere definita fisiologica in quanto accompagna momenti stressanti della vita, come cambiamenti e difficoltà che richiedono particolare sforzo di adattamento. Si tratta di situazioni molto diffuse in caso di lutto, di abbandono, di insuccessi, ma anche in momenti attesi e sperati come una promozione professionale, il matrimonio di un figlio, o il cambiamento di residenza. La situazione di disturbo mentale è caratterizzata da una sofferenza psichica che raggiunge livelli di intensità elevata. E' questa la situazione in cui si manifestano le alterazioni del pensiero, del vissuto e/o del comportamento Questo disturbo può diventare stabilizzato, quando dura nel tempo.La vita mentale è dunque un campo caratterizzato da una grande variabilità, su cui incidono vari fattori di tipo individuale e sociale. “Il cervello è una cosa, la mente è un’altra, la mente è fuori dalla testa, è nelle relazioni umane. Infatti si ammala nei rapporti con gli altri - spiega Luigi Attenasio - Cogito ergo sum, se non sono razionale non esisto più. È una cosa che ci portiamo dietro da Cartesio”.
Psicoradio, una testata radiofonica realizzata dal Dipartimento di Salute mentale di Bologna con l'associazione Arte e Salute onlus, i cui redattori e redattrici sono persone in cura presso il dipartimento, ha realizzato una ricerca su 234 titoli con termini riguardanti la salute mentale pubblicati da 8 quotidiani nazionali in 8 mesi compresi fra novembre 2007 e ottobre 2008. Dalla rilevazione risulta che più della metà dei titoli si concentrano nelle sezioni di cronaca e cronaca locale (67%), il 18% nella sezione cultura e solo il 15% nella sezione dedicata alla salute. "Dunque la maggior parte dei titoli collega il tema della salute mentale as aventi di cronaca, in particolare di cronaca nera. Ad eventi violenti, dunque", sottolinea la ricerca. [1]
Esiste un codice deontologico per la comunicazione sulla salute mentale, la Carta di Trieste, approvata nel 2011 mettendo insieme in alcuni incontri giornalisti e persone con disturbo mentale. Ma, a differenza della Carta di Roma non è mai stata approvata dall’Ordine dei giornalisti e dall’Fnsi e quindi rimane una proposta, non vincolante. La Carta spiega che “benché in oltre il 75% dei casi il suicidio non sia connesso al disturbo mentale, è luogo comune molto frequente associare a quest’ultimo le sue cause. In questo modo non solo si fornisce un’informazione non corretta, ma si rischia di indurre comportamenti emulativi nelle persone più fragili”. Sono molte le indicazioni date, ne ricordiamo alcune. I giornalisti vengono invitati a usare termini appropriati, non lesivi della dignità umana, o stigmatizzanti, o pregiudizievoli, per definire sia il cittadino con disturbo mentale qualora oggetto di cronaca, sia il disturbo di cui è affetto, sia il comportamento che gli si attribuisce, onde non alimentare il già forte carico di tensione e preoccupazione che il disturbo mentale comporta, o indurre forme di identificazione, sentimenti o reazioni che potrebbero risultare destabilizzanti o dannosi per la persona, i suoi familiari e la comunità nell’insieme; non attribuire le cause e/o l’eventuale efferatezza del reato al disturbo mentale, né interpretare il fatto in un’ottica pietistica, decolpevolizzando il cittadino per il solo motivo che soffre di un disturbo mentale; considerare sempre che il cittadino con disturbo mentale è un potenziale interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi, tenendo presente che può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze e gli eventuali rischi dell’esposizione attraverso i media; non identificare il cittadino con il suo problema di salute mentale; promuovere la diffusione di storie di guarigione e/o di esempi di esperienze positive improntate alla speranza e alla possibilità di vivere, pensare a un proprio futuro, lavorare, divertirsi, studiare e pregare.
[1] Follia scritta, I quaderni di Psicoradio