È una delle espressioni più contestate nel campo della disabilità. Il portale dell’Inail Superabile.it e l’agenzia di stampa Redattore Sociale hanno scelto di non usarla, anche se altri organi di informazione dedicati al tema non hanno seguito questo esempio. Il motivo per cui è così discussa, è che si tratta di un eufemismo[1], una locuzione troppo politically correct. Vorrebbe sottolineare l’abilità, invece della disabilità. Seguendo questo percorso logico, il sordo diventa prima non udente e poi “diversamente udente”.
Secondo Tullio De Mauro “la ricerca di espressioni generali comincia dall’Ottocento”. Si passa da invalido a handicappato, a disabile. L’uso di questi termini in senso negativo ed offensivo apre la strada alla ricerca di neologismi e parole più neutre “da portatore di handicap a diversamente abile, espressione concettualmente bizzarra dato che tutti siamo diversamente abili. E l’ansia di trovare nuove espressioni non è finita e si sono lanciati neologismi come diversabile e diversabilità”. Diversamente abile nasce negli Stati Uniti all’inizio degli anni Ottanta ad opera del Democratic National Committee che voleva creare un sostituto più accettabile del termine handicappato. Ne è venuta fuori l’espressione inglese differently abled, che cerca di mettere il deficit in una luce positiva. In Italia, secondo Andrea Pancaldi (ex coordinatore del Centro Documentazione Handicap di Bologna), "la parola circolava su molti notiziari e bollettini cartecei che arrivavano al CDH di Bologna tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90, soprattutto su quei bollettini di gruppi e cooperative, che per primi collaboravano a progetti europei (ad esempio sui temi della vita indipendente) anche con piccole iniziative editoriali e informative. Nel tempo stata legata alla figura di Claudio Imprudente, data la sua esposizione mediatica e dei suoi libri.
Imprudente, scrittore e giornalista con disabilità grave, che dagli anni Settanta porta avanti riflessione filosofica e impegno, è stato premiato dall’Università di Bologna con la laurea ad honorem in Formazione nel 2011. Imprudente la considera un’espressione “capace di cambiare l’immagine comune della persona con disabilità e di scatenare a riguardo riflessioni e dibattiti”. L’inventore di “diversamente abile” riconosce su Superabile magazine che “nonostante questa parola contenga in sé una piccola ipocrisia, che tende a mettere completamente in secondo piano il deficit, credo resti ancora fondamentale con il senso per cui è nata: una semplice provocazione che ci mette in grado di aprirci a prospettive e reazioni ulteriori”. Una provocazione di cui alcuni sottolineano il paradosso e altri gli aspetti negativi. “Pensate se invece di povero si cominciasse a dire diversamente ricco, oppure invece di stupido, diversamente intelligente o ancora, se invece di delinquente si dicesse diversamente onesto” dice il comico e scrittore Zanza (all’anagrafe David Anzalone).
[1] L’eufemismo, definito dal Devoto-Oli come “La sostituzione di un’espressione propria e abituale con una attenuata e alterata, suggerita da scrupolo morale o religioso o da riguardosità”
La BBC non la utilizza perché troppo politicamente corretta e lontana dall’uso comune. L’Oxford Dictionary online sottolinea che differently abled doveva servire a dare un messaggio positivo e a evitare la discriminazione verso le persone con disabilità. Ma è stata criticata perché paternalistica e il termine usato in genere è ancora disabled/disabile. Giampiero Griffo, membro dell’esecutivo mondiale dell’organizzazione Disabled people international boccia senza appello:“termini buonisti come diversabile cancellano la condizione di discriminazione e mancanza di pari opportunità”.
Sulla stessa linea il giornalista Franco Bomprezzi, che cura il blog InVisibili sul Corriere.it, e considera questa locuzione buonista e ipocrita, anche se questa non era l’intenzione di chi l’ha creata. “Diciamo la verità: nessuno di noi ha deciso di specializzarsi in diversa abilità . E’ successo e non per scelta” ha dichiarato a Superabile Magazine. Il problema fondamentale è lo stigma legato alla disabilità , per cui ogni parola connessa alla disabilità si carica immediatamente di una connotazione negativa e si tende a cercare dei sinonimi. “Quella che oggi si chiama disabilità è una condizione sociale, biologica ed esistenziale sempre esistita nella storia dell’umanità- scrive Matteo Schianchi nel suo libro “Storia della disabilità” - Le persone con disabilità non sono sempre state considerate e trattate nello stesso modo. Nelle diverse epoche si modificano le paure e i pregiudizi, le forme di stigmatizzazione di cui sono stati oggetto i disabili, i trattamenti sociali e i discorsi costruiti attorno a essi”. La diversa abilità è “una forma linguistica vaga” dice ancora Schianchi. Eppure ha avuto tanto successo. “Risponde al bisogno di orientare il rapporto con una realtà scomoda,la disabilità, in una formale armonia – afferma lo studioso – torna a ridurre l’individuo (persona che ha una disabilità) al deficit sotto la maschera di un suo immaginario superamento”. Questo bisogno è più forte oggi che gli incidenti stradali, gli infortuni sul lavoro, i tumori incidono sulla percezione collettiva del fenomeno, facendo vedere la disabilità sempre più come una minaccia vicina che può riguardare tutti.
“ In Italia, in particolare, non è avvenuto quello che è successo negli Stati Uniti dove il concetto di disability pride si è fatto strada decenni fa e la disabilità è considerata una delle tante situazioni della vita, vissuta in maniera un po’ cinica anche come un’opportunità dal punto di vista produttivo e di mercato – spiega ancora Bomprezzi - Da noi prevale una connotazione solidaristica, pietistica, dell’handicap inteso come negatività. Per superare questo tipo di ostacolo si tende a privilegiare la comunicazione enfatica, cioè a caricare di eroismo, eccezionalità, valori esageratamente positivi”. Per il giornalista l’esempio paradigmatico di tutto questo è proprio diversamente abile . “Quando si arriva a ritenere che la disabilità sia quasi una terza abilità, cioè una capacità speciale rispetto alla cosiddetta normalità, vuol dire che si deve ricorrere a un artificio semantico per non registrare la realtà” conclude. Esattamente in questo errore è caduto anche Roberto Saviano, quando ha portato la diversa abilità in prima serata su Rai Tre nella trasmissione “Che Tempo che fa” a ottobre 2012. L’autore di Gomorra ha paragonato lo sperpero di fondi pubblici con lo scandalo dei rimborsi ai gruppi consiliari della Regione Lazio ai tagli alle risorse per il sociale, quindi anche per l’assistenza alle persone con disabilità. “Sembra riguardare un’umanità a parte che si considera parassitaria, che dipende da altri - ha detto nel suo monologo- Si fa fatica a parlare di abilità diverse, spesso si crede che questa espressione, diversamente abili, sia un modo gentile per dire handicappato, tutt’altro. Diversamente abili significa abilità diverse, cioè qualcuno che ha un’abilità diversa, un’abilità altra che il normodotato non ha. E questo si vede chiaramente con le paralimpiadi che hanno dato un’immagine diversa del nostro paese”. Saviano ha esaltato le vittorie londinesi di Zanardi, Minetti e Camellini, rispetto all’Italia degli scandali e della corruzione.
Anche quando l’intenzione è buona (come quella di Saviano), l’uso di alcune parole rispetto ad altre può tradire uno schema mentale che vede le persone disabili con distacco. Esattamente l’opposto di quello che lo scrittore avrebbe voluto, quando ha esortato il pubblico a “guardare a quel mondo non con atteggiamento di commiserazione” e che “l’abilità diversa mostra che ogni mattina con quei problemi ti devi svegliare e attuare delle strategie per stare al mondo e se ti rassegni non c’è vita. Guardare al mondo dell’abilità diversa ti dà una traccia e una strategia che in questo momento di crisi può servire ai normodotati”. Saviano ha raccontato la storia del grande pianista jazz Michel Petrucciani che aveva l’osteogenesi imperfetta. Chiamata anche malattia delle "ossa di cristallo" , ne fermò la crescita a un metro e due centimetri e rendeva appunto le sue ossa fragilissime.
“Caro Saviano, sei diversamente bravo” ha scritto il giorno seguente Bomprezzi sul blog InVisibili, ribadendo l’importanza di usare l’espressione “persone con disabilità”, scelta dall’ Onu (vedi Disabile). “Se continuiamo a pensare che la disabilità sia qualcosa di “diverso”, addirittura una grande opportunità per sviluppare “diverse abilità”- scrive sul Corriere.it - facciamo un grave torto a quei milioni di persone nel mondo che ogni giorno si battono solo per vedere rispettati i propri diritti di cittadinanza alla pari degli altri, anche se non sono bravi come Petrucciani”. Bomprezzi sottolinea di apprezzare lo spirito sincero e la passione di Saviano nella scelta del tema e della storia commovente da raccontare. Ma anche uno scrittore come Saviano è caduto nella trappola delle parole. “Diversamente abili” – dice ancora Bomprezzi- è proprio l’espressione preferita da quei politici che Saviano critica. “A loro infatti suona benissimo, perché gli consente di far bella figura senza bisogno di andare al cuore dei problemi e dei diritti delle “persone” che possono anche essere del tutto “non abili”. Ma non per questo hanno meno diritto di cittadinanza, meno dignità” conclude il giornalista.
L’avverbio “diversamente” pone l’enfasi sulle differenze nell’uso delle abilità. Come a dire che attraverso modalità diverse si raggiungono gli stessi obiettivi. Vi sono delle situazioni di disabilità in cui questo uso può essere corretto. Ad esempio allievi ipovedenti possono raggiungere lo stesso adeguati risultati scolastici e sociali utilizzando le risorse visive residue (potenziate con adeguati strumenti) o abilità compensative ( ad esempio quelle verbali). Vi sono altre situazioni, come quelle riguardanti gli studenti con ritardo mentale, in cui l’uso della terminologia diversamente abile può risultare fuorviante. Consideriamo il caso di una persona con sindrome di Down. Dal punto di vista della qualità della vita forse si può anche dire che utilizzando le proprie capacità (o abilità) egli può comunque raggiungere obiettivi paragonabili a quelli di tutte le altre persone. In altre parole può raggiungere un benessere che non è inferiore. Se questo è il riferimento, l’espressione “diversamente abile” potrebbe anche essere utilizzata. Se il riferimento diventa invece quello delle prestazioni scolastiche, sociali e di autonomia, l’espressione “diversamente abile” può risultare ingannevole, in quanto “nasconde” il deficit. Per questo, in generale, è opportuno parlare di “persona con disabilità”, altrimenti si rischia di ostacolare una valutazione obiettiva della realtà.