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Discriminazione

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Rom e sinti

Discriminazione

Definizione

E’ il trattamento ineguale consistente per lo più nella violazione dei diritti a danno di individui o gruppi inferiorizzati o considerati a vario titolo marginali o addirittura estranei alla comunità.[1]

L'art. 1 della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale definisce la discriminazione razziale come: “una qualsiasi distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata su razza, colore, discendenza od origine nazionale o etnica che abbia lo scopo o l'effetto di annullare o pregiudicare il riconoscimento, godimento o esercizio, su un piano di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale o di qualsiasi altro tipo della vita pubblica”.

Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali ha dichiarato che “un trattamento differente che si basi su motivazioni proibite è da considerarsi discriminatorio a meno che la giustificazione per la differenziazione sia ragionevole e obiettiva. Ciò comprende una valutazione in merito alla legittimità e compatibilità del fine e degli effetti dei provvedimenti con la natura dei diritti della Convenzione e unicamente allo scopo di promuovere il benessere generale in una società democratica. In aggiunta a ciò, deve esserci un rapporto di proporzionalità chiaro e ragionevole tra l'obiettivo che si cerca di realizzare e le misure od omissioni e i loro effetti”.[2] 

Secondo l’art.2 della direttiva europea sulla razza  DIRETTIVA 2000/43/CE del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica : 

si ha una discriminazione diretta quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un’altra in una situazione analoga a causa della sua razza od origine etnica.

Sìsi ha una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone a meno che non siano giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

Le molestie sono da considerarsi una discriminazione in caso di comportamento indesiderato tenuto per motivi di razza o di origine etnica allo scopo o con l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

 

[1] A. Brugio, G. Gabrielli, “Il razzismo”, Ediesse Roma 2012

[2] Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali, Commento generale n. 20: Non discriminazione nei diritti economici, sociali e culturali (art. 2, paragrafo 2, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali), 2 luglio 2009, paragrafo 13.

Uso del termine

Nell'ambito dell'Unione europea, i Rom costituiscono la minoranza più numerosa ma anche la meno riconosciuta. La legge 482 del 1999 non li riconosce in Italia come minoranza linguistica. "Quando sono considerati girovaghi pericolosi, li si vuole sedentarizzare a forza - scrive l'antropologo Leonardo Piasere, uno dei massimi esperti della questione - quando si vuole salvaguardare il loro nomadismo, si mettono in campi nomadi rom che nomadi non sono mai stati; pensati perennemente come minoranza immigrata". [1]

La Direttiva del Consiglio europeo 2000/43/Ec del 29 giugno 2000, che applica il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dall'origine razziale o etnica, è stata recepita nella legislazione nazionale italiana con l'adozione del Decreto legislativo 215/2003. 

Secondo l’art. 3, la direttiva “si applica a tutte le persone, sia nel settore pubblico sia nel settore privato, compresi gli organismi pubblici”. 

Ma secondo il rapporto “Tolleranza zero verso i Rom” di Amnesty International (2011) le autorità italiane sono “incapaci di rendere effettiva l’applicazione delle direttiva europea antidiscriminazione”. Il caso in esame è quello dell’emergenza nomadi dichiarata dal governo nel 2008 e in particolare il piano nomadi conseguente all’azione del governo, nella città di Milano. 

“Anche se i comportamenti, le condotte e gli atti che costituiscono una discriminazione, sia diretta sia indiretta, possono essere in teoria impugnati presso i tribunali civili italiani, tale rimedio giudiziario si è rivelato inefficace in relazione all'“emergenza nomadi” scrive Amnesty, secondo cui anche quando il ricorso in tribunale ha esito positivo, “tale rimedio non sia da considerarsi effettivo se non altro a causa del lungo periodo di tempo che le vittime devono attendere, e stanno ancora attendendo, per una decisione finale”.

Sempre secondo questo rapporto, l’emergenza nomadi è “discriminatoria e illegale in base al diritto internazionale”. 

Il Piano nomadi è la declinazione territoriale dell'emergenza nomadi dichiarata dal governo centrale. I più imponenti sono stati quelli di Milano e Roma. Costati un esborso notevole di soldi pubblici, non hanno raggiunto molti dei risultati prefissati, sono stati duramente criticati a livello internazionale e, nel caso di Roma, il Piano Nomadi dell'allora sindaco Gianni Alemanno è continuato negli anni pur andando palesemente contro la strategia nazionale per l’inclusione dei rom presentata dal governo Monti all’Unione europea. Il piano nasce su un’emergenza “inventata”. E’ “l’emergenza nomadi”, decisa per decreto dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il 21 maggio 2008 nelle regioni Lombardia, Lazioe Campania e reiterata ogni anno fino al 2011. I “nomadi” sono in realtà i rom e sinti, una minoranza storica che costituisce lo 0,23% della popolazione. Di cui appena un quarto vive nei campi. La sproporzione fra l’emergenza dichiarata e i dati reali è tale che il Consiglio di Stato ha giudicato illegittimo il decreto e gli atti amministrativi collegati, “per difetto dei presupposti di fatto”. Con la sentenza del 16 novembre 2011, i giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che non c’è effettivo “allarme sociale” o un eccezionale “pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” quando in un territorio ci sono insediamenti nomadi. L’emergenza, scrivono i giudici, non è supportata da dati, che ad esempio dimostrino l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza dei rom.

Eppure per fronteggiare i “nomadi”, sono state dettate disposizioni urgenti, con la nomina di altrettanti Commissari Straordinari delegati. A una minoranza etnica sono state applicate le leggi speciali che si usano con le calamità e i disastri come i terremoti, quando i mezzi ordinari non bastano. La dichiarazione dello stato di emergenza ha segnato il passaggio dalla diffidenza diffusa verso la comunità rom a politiche nazionali a sfondo etnico, come il foto-segnalamento dei rom, che hanno destato allarme nella comunità internazionale.  

Il Consiglio di Stato si è pronunciato dopo un ricorso di una famiglia supportata dal Centro europeo per i diritti dei rom. Ma nel febbraio 2012 il governo Monti ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza del Consiglio di stato, mentre proseguivano le violazioni dei diritti umani dei rom. “Se crolla l’emergenza rom per decisione della Cassazione, crolla anche il piano nomadi che ne è una declinazione locale” spiegava Salvatore Fachile, avvocato dell’Associazione Studi giuridici sull’immigrazione. Nel frattempo, però, il piano nomadi di Roma è andato avanti, foraggiato da molti i soldi pubblici. (vedi anche la voce campo) 

Nel 2013 la Corte di cassazione ha confermato la sentenza emessa nel novembre 2011 dal Consiglio di stato rispetto a un provvedimento che ha prodotto massicce violazioni dei diritti umani e aumentato la discriminazione contro le comunità rom in Italia. 

Amnesty International ha definito una grande vittoria nella lotta contro la discriminazione dei rom in Italia la sentenza con cui la Corte di cassazione ha dichiarato illegittima la cosiddetta "emergenza nomadi". 

In risposta alle critiche nazionali e internazionali, in particolare in riferimento al censimento degli insediamenti rom condotto dal giugno all'ottobre 2008, il governo ha cercato di argomentare che le misure previste dall'“emergenza nomadi” non prendevano di mira particolari gruppi etnici e che le “operazioni demandate ai Commissari non devono riguardare specifici gruppi, soggetti o etnie, ma tutti coloro che risultano presenti negli insediamenti, autorizzati o abusivi che siano, qualunque sia la nazionalità o il credo religioso”.

Sempre nel rapporto "Tolleranza zero verso i rom" Amnesty sottolinea: "è tuttavia chiaro che, per le ragioni che seguono, nonostante quanto disposto dalle linee guida, le misure adottate nel contesto dell'“emergenza nomadi” sono indirizzate direttamente alle comunità rom".

E ancora: "benché il governo abbia impiegato la parola “nomade” nei decreti di emergenza, tale termine è stato  – e continua a essere – impiegato dalle autorità italiane in riferimento alle comunità rom".  Ad esempio, la residenza nei campi autorizzati di Milano è limitata per legge allepersone appartenenti all'etnia rom. 

Tuttavia, il dossier riporta che 
i tribunali non hanno riconosciuto la possibilità di una discriminazione indiretta, nonostante fosse ampiamente provato che la maggioranza delle persone colpite da tali misure era di etnia rom. Non hanno inoltre saputo spiegare se si tratti misure ragionevoli o proporzionate, come richiesto dai trattati internazionali e regionali sui diritti umani firmati anche dall'Italia. 

Secondo Amnesty International il governo non ha fornito una ragionevole e obiettiva giustificazione per la disparità di trattamento riservata alle comunità rom, in particolare per aver derogato alle garanzie di tutela dei diritti umani che si applicano a qualunque altra persona che vive in Italia.

Non esiste valido motivo per cui un determinato gruppo di persone che vive in una forma di alloggio fornito dallo stato, come le case popolari, abbia le garanzie procedurali dovute contro lo sgombero mentre altri, che vivono nei campi, siano completamente esclusi da queste tutele. È molto difficile accettare la tesi del governo secondo cui si tratterebbe di provvedimenti neutrali quando, sia nella legge che nella prassi, questi prendono di mira e hanno un impatto sproporzionato sulle persone che appartengono a determinate etnie.

E già anni prima della sentenza della Cassazione, Amnesty, come tante altre organizzazioni indipendenti sottolineava che "la giustificazione riguardante le minacce alla sicurezza e all'ordine pubblico non è stata sostenuta da prove, né soddisfa i requisiti di proporzionalità stabiliti dal diritto internazionale. Anche nel caso in cui il governo riuscisse a dimostrare che esiste una qualche minaccia alla sicurezza pubblica in determinati singoli casi, è sconcertante che definisca la presenza di “nomadi” o di persone appartenenti a determinate etnie, in se stessa, una fonte di preoccupazione in più regioni italiane, tanto da richiedere la dichiarazione di uno stato di emergenza. I provvedimenti introdotti dal decreto che stabilisce uno stato di emergenza e dalle ordinanze che li accompagnano sono discriminatori e violano gli obblighi assunti dall'Italia ai sensi di vari trattati internazionali e regionali a non intraprendere una qualsiasi iniziativa volta a creare o a perpetuare la discriminazione razziale". 

In una decisione adottata a seguito di un reclamo collettivo contro l'Italia (Centro per i diritti all'alloggio - Cohre v. Italia), il 25 giugno 2010, il Comitato europeo sui diritti sociali ha affermato che “le condizioni di vita dei rom nei campi sono peggiorate a seguito dell'adozione delle contestate 'misure di sicurezza'. Poiché, da un lato, le misure in questione prendono direttamente di mira questi gruppi vulnerabili e, dall'altro, non vengono intraprese adeguate iniziative per tenere in debita e positiva considerazione le differenze della popolazione in oggetto, la situazione si configura come stigmatizzazione che costituisce un trattamento discriminatorio”.  

Secondo il Comitato “le dichiarazioni da parte di attori pubblici come quelle riportate nell'istanza creano un'atmosfera discriminatoria che è espressione di una volontà politica basata sulla disparità etnica". Tanto che la propaganda razzista contro i migranti rom e sinti indirettamente permessa o proveniente direttamente dalle autorità italiane costituisca una violazione aggravata dei diritti umani.    

Si parla di “violazione aggravata” quando misure che violano i diritti umani prendono specificatamente di mira e colpiscono gruppi vulnerabili, mentre le autorità pubbliche restano passive e non intervengono in maniera appropriata contro i perpetratori di queste violazioni, ma contribuiscono anch'esse a questa violenza.

Secondo quanto ci ha detto nel corso di un'intervista l'allora direttrice di Amnesty International Italia Carlotta Sami, "il punto di partenza è collocare la questione dei rom in Italia all’interno dell’ambito europeo poiché esiste un problema di discriminazione di 12 milioni di rom in Europa".   

In linea con quanto esposto finora anche l'attivista e intellettuale sinta Eva Rizzin che spiega: "Ha ragione Leonardo Piasere discutiamo quando dice che ci sono ancora oggi sinti che praticano il nomadismo con attività commerciali itineranti, ma il problema è che il termine nomadi è stato usato per giustificare una condizione di esclusione e di emarginazione di queste persone e per questo diventa scorretto".

Spesso però anche il termine corretto, Rom, è usato in modo discriminatorio. "Sui titoli dei giornali viene evidenziata l’origine etnica dell’autore di un reato - spiega Rizzin - non è corretta l’etnicizzazione del reato che viene utilizzata da molti giornalisti quando accadono fatti di cronaca, c’è il problema della responsabilità penale collettiva perché se un reato è commesso da un rom o sinto, diventa il reato di tutta la comunità, per tutti i quotidiani, di sinistra e di destra. Lo stesso giornale scriverebbe: 'gli ebrei sono usurai?’ Sui rom lo fanno".  

Quindi, secondo l'attivista sinta, "sul nome che si usa per le comunità Rom pesa la marginalità di Rom e Sinti, una minoranza con più problemi di violazione dei diritti nei campi della salute, del lavoro, dell'istruzione, della casa". Ma a contribuire a una maggiore discriminazione è che non vengono fatte le necessarie distinzioni. "Considerare questo aspetto significa cadere in errore -continua Rizzin - i Rom non sono solo quelli dei campi. Purtroppo in tanti non dichiarano la propria identità perché oggi significa essere equiparato a un disonesto, a un criminale. In altri paesi europei è normale avere rom e sinti laureati, in Italia no a causa dell’esclusione sociale. E se è vero che in pochi che raggiungono alti livelli di scolarizzazione, succede anche che chi ci arriva, dai neurologi ai vice questori, non dichiarano la propria appartenenza alle comunità Rom. Ci vuole un bel coraggio a farlo. Se ti dichiari Sinto e Rom e sei laureato, diventi la mosca bianca nella società italiana. Si verifica uno stupore senza motivo e questo fa capire il livello del pregiudizio".

Il tema della discriminazione dei Rom rischia di produrre anch'esso una ghettizzazione, secondo Nazzareno Guarnieri della Fondazione Romanì. "Non posso pensare che tutta la popolazione Rom sia povera, lo rifiuto- afferma - una parte è ricca, una parte è ceto medio, una parte è povera". 

In Spagna gli 800mila gitani sono un vanto per la cultura nazionale, tanto che si parla del “modello spagnolo” come esempio per tutta l’Europa. I rom sono una minoranza sparsa in tutto il continente, ma nei paesi neocomunitari dell’Est Europa, Romania e Bulgaria, rappresentano fra il 7 e il 10% della popolazione. Negli Stati occidentali dell’Ue sono meno dello 0,5%. Con l’eccezione della Spagna dove arrivano al 2% sul totale degli abitanti e dove le famiglie rom vivono da generazioni integrate nei quartieri delle città. Flamenco a parte, non bisogna credere che gli spagnoli siano esenti dal razzismo verso i rom. I gitani partivano da condizioni peggiori rispetto a tutte le altre popolazioni romanì d’Europa. Sotto la dittatura di Franco, i gendarmi della Guardia Civile facevano spesso raid nei loro accampamenti e li costringevano a vagare per il Paese. Gli era vietato lavorare, studiare e perfino riunirsi in più di 4 persone. Ma dopo la morte del dittatore, la costituzione democratica è stata inclusiva rispetto a tutti i gruppi etnici. Essendo i gitani i cittadini più poveri, hanno beneficiato delle maggiori risorse destinate al welfare per le fasce deboli della popolazione. Non sono stati discriminati  nelle politiche per la casa, perché vengono trattati in questo ambito prima da spagnoli e poi da gitani.

Il ‘modello spagnolo’ funziona perché ha puntato prima di tutto ad alzare il tenore di vita delle  famiglie gipsy , investendo su istruzione e lavoro. Dopo trent’anni di programmi governativi, i risultati parlano da soli. Il 92% vive in appartamenti o case normali, la metà dei rom ha l’abitazione di prorietà, solo il 4% abita ancora nelle baracche. Tutti i bambini sono iscritti alla scuola elementare e l’analfabetismo complessivo è molto basso, attorno al 15%. Come scritto nella sua strategia nazionale, la Spagna sta lavorando a  ridurre l’abbandono scolastico (nel ciclo primario, l’obiettivo è di passare dall’attuale 22,5% al 15% nel 2015 e al 10% nel 2020). Il 44% dei rom lavorava nel 2011, ma il governo spagnolo punta ad arrivare al 50% nel 2015 e al 60% nel 2020, tramite la formazione professionale per le donne Rom. Il fiore all’occhiello è il programma “Acceder” della Fundación Secretariado Gitano(FSG), considerato uno dei migliori nell’Ue. Nato nel 2000, è stato recentemente esportato anche in Bosnia e in Romania. Consiste nell’insegnare un mestiere a giovani gitani disoccupati, fornendogli competenze pratiche che equivalgono a un diploma di scuola superiore.  Il percorso si conclude con l’impiego attraverso accordi speciali con aziende private. In 12 anni ha avuto oltre 67mila beneficiari con 45mila contratti di lavoro. Nel solo 2011, riporta il sito della Fsg,  Acceder ha interessato 14.663 persone, il 20% in più dell’anno precedente, di cui 2.957 hanno ottenuto un’occupazione.

Tutto questo è stato ottenuto mediante un ingente investimento economico negli ultimi 30 anni. Infatti la Spagna ha speso per l’inclusione sociale dei rom più di qualunque altro Paese dell’Unione. Il New York Times ha calcolato una cifra di 130 milioni di dollari solo dal 2007 al 2013, di cui 60 milioni di fondi europei.

Ma secondo Nazzareno Guarnieri, il segreto del modello spagnolo è anche un altro. "In Spagna c’è molta unità tra le comunità romanes e molto attivismo anche perché sono tutti del gruppo kalè (che noi chiamiamo gitani,ndr.) e hanno eletto dei rappresentanti - spiega il presidente della Fondazione Romanì - il problema dei Rom in Italia è che si fatica a riconoscere dei leader Rom rappresentativi". La Fondazione ha lanciato una campagna di comunicazione attraverso dei video, che si chiama "Tre Erre" (3R). "E' destinata ai Rom oltre che all’opinione pubblica - sottolinea Guarnieri - vuol dire Rispetto per te stesso, per gli altri e responsabilità per le tue azioni. Le comunità Rom in Italia sono divise su tutto, per partito preso. Per uscire da questo caos, stiamo lavorando su una nuova ‘romanipè’ per dare strumenti culturali nuovi alla comunità Rom". Al contrario di quanto dice Eva Rizzin, Guarnieri afferma che "ci sono più rom diplomati e laureati di quanto si sa, ma l’Italia si è concentrata sui Rom immigrati che vivono nei campi, del modello Abruzzo non interessa a nessuno perché viviamo in un civile appartamento, conserviamo le tradizioni, lavoriamo nelle cliniche in tutte le mansioni, dai dottori agli addetti alle pulizie. Chi conosce queste persone? Domani saranno conosciute se andranno a rubare o se andranno a vivere in un campo rom. Alcune borse di studio per formare degli attivisti ce le hanno donate altri Rom. Non vogliamo l’autoghettizzazione, la 'romanipè' vuol dire  creare un’identità culturale globale non solo per chi è in condizione di bisogno ma per i Rom di tutte le classe sociali".

 

[1] Leonardo Piasere, “I rom d’Europa. Una storia moderna”, Editori Laterza, 2009

 

 

 

 

Dati

La discriminazione in Europa [1]

Secondo Nando Sigona, ricercatore a Oxford, "il processo di pauperizzazione dei rom inizia negli anni novanta", dopo il crollo dell'Unione Sovietica, quando il reddito delle famiglie rom crollava per la chiusura delle fabbriche di stato in cui molti di loro erano impiegati. "L’ex presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, tra i principali sostenitori, insieme al finanziere/filantropo George Soros, della “decade per l’inclusione sociale dei rom”, affermava:

I rom sono stati tra coloro che hanno perso di più nella transizione dal comuni- smo a partire dal 1989. Agli inizi degli anni novanta sono stati i primi a perdere il lavoro, successivamente gli è stato impedito di rientrare nella forza lavoro a causa della loro formazione professionale insufficiente e di una pervasiva discriminazione.

Il caso dell’Ungheria, uno dei paesi economicamente più avanzati dell’ex blocco socialista, è emblematico: nel 1985 il tasso di occupazione degli uomini appartenenti alla minoranza rom era quasi pari a quello del resto della popolazione maschile; oggi invece si stima che almeno il 70% degli uomini rom sia disoccupato.

Il tasso di povertà dei rom nei paesi dell’Europa centro-orientale è spesso anche dieci volte superiore a quello degli altri cittadini. Nel 2000, quasi l’80% dei rom in Bulgaria e Romania viveva con meno di 4 euro al giorno, in contrasto con il 37% del resto della popolazione in Bulgaria e il 30% in Romania. In Ungheria, invece, “solo” il 40% dei rom viveva sotto la soglia dei 4 euro, dato che va però comparato al 7% del resto della popolazione".   

 

Unar: 1000 casi di discriminazione in Italia nel 2011, soprattutto sui media e i social network

L'Ufficio antidiscriminazioni razziali dal 2010 monitora anche le discriminazioni su disabilità, lgbt, sesso e religione. Oltre il 22% delle segnalazioni riguarda i media. Aumentano i casi di discriminazione segnalati dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che ha reso pubblica la relazione annuale inviata al Parlamento. Le istruttorie aperte dall’Unar sono salite a 1000 nel corso del 2011. Erano 766 nel 2010. Dei mille casi presi in esame, quelli ‘pertinenti’, cioè che si sono rivelati effettive discriminazioni, sono stati 799, 259 in più rispetto al 2010.  Per il secondo anno consecutivo sono i media (compresi i social network) sono l’ambito più frequente di discriminazione, con il 22,6% del totale dei casi pertinenti. Segue l’ambito del lavoro che ha ottenuto il 19,6% delle denunce, percentuale di oltre otto punti superiore a quella del 2010 (11,3%). Più o meno stabile si mantiene il dato rispetto ai casi registrati nell’ambito della vita pubblica (16,7%); mentre sono in flessione (10,9%) i casi relativi all’erogazione di servizi da parte di enti pubblici. Ma la relazione evidenzia che in settori come il lavoro il fenomeno è sottorappresentato perché i livelli di discriminazione sono più elevati di quanto emerso. 

Nel 2011 la regione con più discriminazioni si conferma la Lombardia, dove è avvenuto un caso su cinque  (21%), il dato appare stabile rispetto ai due anni precedenti. Un altro quinto proviene dal Lazio (19,0%), dove però gli episodi sono in calo. Seguono Veneto, Emilia Romagna e Toscana con il 12,2%, il 10,4% e il 10,8% delle segnalazioni pertinenti. Ma per le ultime due regioni il risultato dipende da un monitoraggio più costante effettuato dalla Rete di Antenne Territoriali, promossa dall’Unar assieme agli enti locali. “Sono dunque i grandi poli urbani (le province di Milano e Roma soprattutto) a veicolare il maggior numero di istruttorie pertinenti” si legge nel documento.

Circa il 12% del totale dei casi si riferisce ad altre discriminazioni, diverse da quelle etniche e razziali. Di questo sottogruppo, la maggioranza riguarda l’orientamento sessuale e l’identità di genere con circa il 37%, i  casi che hanno riguardato la disabilità sono il 31,5%. Le discriminazioni di genere sono invece il 16,9%, mentre per le convinzioni personali e religiose e l’età i valori sono rispettivamente 7% e 7,8%.

A partire dal 2010, l’Unar ha cambiato strategia, attuando un monitoraggio sulle discriminazioni e prendendo l’iniziativa nel segnalarle alle autorità competenti. Ogni cinque istruttorie valide più di due sono il risultato dell’attività realizzata dall’Unar. Nel complesso negli ultimi ventiquattro mesi i casi presi in carico in modo autonomo, per iniziativa dell’ufficio e senza segnalazioni esterne, sono stati oltre cinquecento. Al 31 dicembre del 2011 risultava chiuso con conciliazione il 46,2% delle istruttorie mentre il 31,4% era stato trasmesso al secondo livello dell’ufficio per la risoluzione e chiusura del caso.  

 

Incitamento all’odio sui media, l’allarme dell’Unar

Duecento casi monitorati nel 2011, molti processi penali in corso per violazione della Legge Mancino. A volte l’azione giudiziaria è partita da un’azione dell’Unar che ha segnalato anche un bollettino parrocchiale di Arezzo.

 C’è il prete di Arezzo che inneggia a Himmler sul giornale della parrocchia o l’amministratice locale che per radio paragona i rom ai cani, il blog del Ku Klux Klan e l’ex parlamentare della Lega che insulta i rom su Facebook. Sono i media, e soprattutto internet, l’ambito in cui avviene il numero maggiore di comportamenti razzisti in Italia secondo la relazione inviata dall’Unar al Parlamento per l’anno 2011, con circa un quarto delle segnalazioni complessive (23%), pari a 200 casi. Di questa ampia fetta, ben l’84% riguarda il web. “Internet è sempre più spesso un ambiente dove si manifestano condotte discriminatorie. L’anonimato offerto dalla rete lascia emergere i razzismi, così come il sessismo, l’omofobia e tutte le altre forme discriminatorie con più forza – si legge nel documento - Siti web, blog e social network sono il luogo dove i cosiddetti hate speech trovano nuove modalità espressive”. In particolare nel 2011 sono state denunciati diversi episodi di gay bashing (abusi verbali contro gli omosessuali) diffusi sul web. Nell’ambito dei mass media si verificano molti comportamenti discriminatori connessi a fattori diversi dall’etnia e dalla razza. E quindi riguardanti anche la disabilità, la religione e le persone Lgbt.   

Per molti di questi casi ci sono processi penali in corso. L’Unar ha monitorato 166 procedimenti giudiziari in corso, di cui 145 sono penali, 19 civili e 2 sono ricorsi al Tar. E se soltanto 33 processi si sono chiusi, di cui 28 con esito positivo, ci sono 9 processi penali che sono partiti proprio da notizie di reato denunciate dall’Unar all’autorità giudiziaria. Agli autori viene contestato il reato di incitazione a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi così come l’aggravante speciale dell’odio razziale etnico, nazionale o religioso,  in base all’articolo 3 della “Legge Mancino”.  Oltre  ai 9 casi penali avviati per denuncia dell’Unar, ci sono altri 39 casi di aggressioni, ingiurie o calunnie ai danni di uno straniero, in cui risulta esserci l’aggravante dell’odio per le origini straniere della vittima.

Tra i procedimenti penali in corso, anche quelli contro Tiziana Maiolo, portavoce di Futuro e Libertà nel Consiglio Comunale di Milano, che disse ”E’più facile educare un cane di un rom” durante una  trasmissione radiofonica e contro don Virgilio, parroco di Rigutino, ad Arezzo. “Himmler dette l’ordine di aggiungere ad ogni convoglio di ebrei un vagone di rom: ma perché uno solo invece di due?” scrisse il prete sul bollettino parrocchiale a Natale del 2010, dopo aver subìto un paio di furti. Un caso si è già concluso davanti al Tribunale di Padova che ha condannato Vittorio Massimo Aliprandi, ex parlamentare padovano della Lega Nord, oggi consigliere del comune veneto, ad una pena di 4 mila euro nonché a liquidare 2mila euro a testa alle parti civili (associazione Opera Nomadi e 2 persone rom) per le frasi offensive contro i rom che aveva pubblicato  Facebook nel dicembre 2010 e nel gennaio 2011.

Le 200 discriminazioni del 2011 sui media, riguardano in 15 casi la stampa, (erano 12 nel 2010) rispetto alle quali sono state effettuate 2 segnalazioni all’Ordine regionale competente (istruttoria in corso) e indirizzate 5 note al Direttore con esito positivo. Nel caso del giornale parrocchiale ad Arezzo è stata formalizzata la notizia di reato per violazione della Legge Mancino, con il procedimento penale in corso. Nell’ambito della televisione sono state 6 le istruttorie svolte (erano 3 nel 2010). In 2 casi l’UNAR si è rivolto all’Agcom, anche se la normativa vigente non prevede sanzioni. In un caso, dopo la segnalazione all’Ordine regionale competente, è stata inflitta una sanzione disciplinare al giornalista. Nell’ambito della radiofonia sono state 6 le istruttorie svolte (nessuna nel 2010). Il resto viaggia sul web. “In tutti i casi si è intervenuti mediante nota al Direttore con esito positivo tranne uno – si legge nella relazione - Per quanto concerne “internet”, si evidenzia come le istruttorie abbiano riguardato essenzialmente la rilevazione e la rimozione, mediante intervento della Polizia Postale, di dichiarazioni/affermazioni contenute in blog o social network”. 

Unar e cittadinanza: “modificare la legge sulla stampa, è discriminatoria”

Relazione al Parlamento dell’Ufficio antidiscriminazioni che chiede di eliminare il requisito della cittadinanza italiana per registrare una testata, insieme a leggi più dure per i reati di razzismo e xenofobia

Modificare la legge sulla stampa del 1948 perché discriminatoria, in quanto non consente a un cittadino straniero, seppur iscritto all’Ordine dei giornalisti in Italia, di registrare una propria testata. Lo ha chiesto nel 2011 l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) nella sua relazione annnuale al Parlamento, ritenendo discriminatorio il requisito della cittadinanza italiana. La segnalazione era arrivata all’Unar dall’Ansi (Associazione Nazionale Stampa Interculturale) per una cittadina peruviana che nel richiedere la registrazione di una testata giornalistica ha avuto un diniego dal Tribunale perché non è cittadina italiana. 

L’Unar chiede al Parlamento e al governo anche di avere una propria “legittimazione processuale”, sulla falsariga di quanto è legge per le Consigliere di Parità Nazionali per il particolare ambito di discriminazioni di genere. Sono alcune delle richieste per adeguare il quadro normativo alla realtà italiana che vede un costante aumento di discriminazioni di ogni genere (non solo su base etnica e razziale) in molti ambiti fondamentali come i media, la vita pubblica, la politica, la casa e il lavoro. Un riconoscimento che secondo quanto scritto nella relazione appena inviata a Montecitorio, servirebbe ad abbattere gli ostacoli all’accesso alla giustizia da parte dei soggetti discriminati, come il costo del processo e di un avvocato. “Ma gioverebbe anche a rendere effettiva la tutela delle discriminazioni a carattere collettivo” dice la relazione, riferendosi a quei soggetti su cui manca un soggetto rappresentativo di tutto il gruppo discriminato. 

Secondo  l’Unar serve un generale inasprimento delle leggi che puniscono i reati di razzismo e xenofobia. Anche due relatori speciali Onu (Special Rapporteur sulle forme contemporanee di razzismo e Special Rapporteur sui diritti umani dei migranti) hanno rivolto la loro attenzione sull’Italia dopo la strage di Firenze e, con una nota congiunta rivolta in data 26 dicembre  al nostro Governo, hanno richiesto l’elaborazione di un piano nazionale di azione contro il razzismo. L’Unar chiede di tornare alla Legge Mancino com’era prima delle modifiche intervenute nel 2006,  che ci sia “l’esclusione dell’alternatività della multa, rendendola pena accessoria a quella della reclusione” e  che le somme delle multe siano destinate a un Fondo di Solidarietà per le vittime, gestito dall’Unar. Secondo  l’Ufficio antidiscriminazioni, va punita la  “condotta più generale e maggiormente diffusa nella vita del nostro paese della semplice divulgazione di idee razziste e xenofobe, antefatto di reati gravissimi”.

Nel rapporto si sottolinea il ruolo dei social network che  “hanno ancor  più consentito la diffusione incontrollata di messaggi lesivi della dignità umana”. Questo trend è anche confermato dal numero delle segnalazioni pervenute all’UNAR, che, per i fenomeni di xenofobia e razzismo on line e su web è passato dal 5,4% del 2008 al 21% nel 2011. Gli episodi vengono segnalati alla polizia postale, ma è difficile attuare i provvedimenti perché i gestori dei siti spesso si trovano all'estero.    

 

[1] N. Sigona, I rom nell’Europa neoliberale. Antiziganismo, povertà e i limiti dell’etnopolitica, in S. Palidda (a cura di), "Razzismo democratico. La persecuzione degli stranieri in Europa", XBooks Mimesis Edizioni 2009 

 

 

 

Esempi / Casi tratti da testate giornalistiche

Riportiamo dal sito Cronache di ordinario razzismo: 

L’8 aprile 2013, in occasione del Romano Dives, la Giornata mondiale delle comunità rom e sinti, la Presidente della Camera Laura Boldrini ha ricevuto otto giovani rappresentanti delle comunità rom presenti in Italia. Un segnale positivo contro la “generalizzata e pregiudizievole tendenza a legare all’immagine dei rom e dei sinti ogni forma di devianza e di criminalità”, come dichiarato da alcuni rappresentanti dell’associazione 21 Luglio, presenti all’incontro.
Il giorno seguente, un noto programma radiofonico ha intervistato sull'evento l'europarlamentare della Lega Nord Mario Borghezio:
“Spero che ieri alla fine della visita alla Camera gli uscieri abbiano controllato tutto, anche gli arredi. Io personalmente un esamino con l’elenco delle cose che c’erano prima e che è rimasto dopo lo farei”.
“La giornata di ieri si potrebbe ribattezzare il festival dei ladri e dei fancaz(…), perché i rom hanno una cultura tecnologica per scassinare le porte delle case della gente onesta”

Dichiarazioni dell'europarlamentare Mario Borghezio

(programma radiofonico nazionale, 9 aprile 2013)

Le associazioni rom e sinte UPRE ROMA, SUCAR DROM e NEVO DROM hanno deciso di avviare un’azione penale e civile contro l’eurodeputato Mario Borghezio per istigazione all’odio razziale e accuse infamanti alla minoranza rom e sinta e a singoli loro esponenti.
Contro la frase di Borghezio anche l’Associazione 21 luglio ha presentato un esposto. Il procedimento è in corso al tribunale di Milano. 
Un anno dopo, il 3 aprile 2014 si è appreso che Borghezio non godrà dell’immunità parlamentare per decisione della Commissione affari giuridici del Parlamento europeo, in riferimento al processo in cui è imputato con l'accusa di “ripetuta diffamazione e diffusione di idea discriminatorie basate sulla superiorità o sull’odio razziale". 
La Commissione ha deciso di non concedere l’immunità a Borghezio per il fatto che “le dichiarazioni fatte nell’intervista non avevano diretta e ovvia connessione con le attività parlamentari”. Inoltre, se fatte durante una seduta parlamentare, “avrebbero potuto generare sanzioni in base all’art.153 del Codice di procedura”.
CASTELVERDE
Minicar pericolose, investito bimbo di 5 anni

L'incidente vicino Lunghezza. Bambino e zia travolti dalla macchinetta che viaggiava ad alta velocità

(cronaca locale, 22 aprile 2010)

Non è in pericolo ma ha riportato diverse escoriazioni Daniel De Luca, il bambino di 5 anni che è stato investito da una microcar piombata a tutta velocità in via Ortona dei Marsi, all'altezza del civico 56, in zona Massa San Giuliano, un quartiere periferico ad est di Roma (VIII municipio). L'incidente è accaduto ieri alle ore 18. Il piccolo, ricoverato in codice rosso nel reparto pediatria all'ospedale Sandro Pertini, era in compagnia della zia di 30 anni, anch'essa investita, che ha riportato ferite lievi.

Alla guida del quadrociclo Ekelma, un minorenne di 16 anni, appartenente ai Di Silvio, nota famiglia di sinti italiani, che aveva anche un passeggero a bordo nonostante la legge lo vieti. Secondo quanto riferito dai vigili, la macchina ha preso una curva a tutta velocità ed è sbandata andando a finire contro il marciapiede, prendendo in pieno la donna e il bambino che si trovavano sul marciapiede. Dopo l'impatto la minicar si è ribaltata due volte. [...]

I precedenti. Solo dieci giorni fa, due minorenni hanno perso la vita in diversi incidenti stradali con microcar a Roma. Nel primo, che risale al 10 aprile, è morto Jacopo Fanfani (17 anni), nipote di Amintore e unico figlio di Donatella Papi, la giornalista che ha sposato il mostro del Circeo Angelo Izzo. La sua 'macchinetta' si è accartocciata dopo essersi schiantata sul guard rail in Tangenziale est. Tre giorni dopo, all'Olgiata, una ragazzina di 15 anni, Federica Lupi, è finita contro un pullman non riuscendo a controllare la vettura, scivolata in curva sull'asfalto bagnato. È morta sul colpo. Le statistiche in merito non sono affatto confortanti. Le microcar hanno un indice di mortalità più che triplo rispetto a quello delle auto: ogni anno in Italia 682 microcar hanno un incidente. A lanciare l'allarme, dopo gli ultimi incidenti, istituzioni e associazioni di consumatori. Allo studio nuove normative per affrontare l'emergenza sicurezza istituendo un esame speciale che limiti la guida delle microcar.

Nel racconto i giornalisti descrivono l'accaduto, un incidente stradale, specificando che alla guida c'era "un minorenne, appartenente ai Di Silvio, nota famiglia di sinti italiani". Questa specificazione rischia di essere discriminatoria nei confronti dei Sinti, si potrebbe evitare di sottolineare la provenienza familiare, in quanto non rilevante ai fini della notizia.

Zingara cassiera
Uno su mille ce la fa
La storia Mihaela, part-time al supermarket l'unica del campo di via Candoni con un lavoro

(quotidiano nazionale, 10 febbraio 2011)

Ogni mattina Mihaela, rom di 44 anni, lascia il campo nomadi di via Candoni, dove vive col marito e sette figli. Sale sul 719 e va a lavorare in un supermarket di via Frattini, a Villa Bonelli. Cinque ore al giorno da cassiera, per mille euro circa al mese più i contributi, a battere scontrini e dare resti alle signore che fanno la spesa al Gmr3 di Riccardo Massimi. È lui che l'ha assunta tre anni e mezzo fa con un contratto part-time a tempo indeterminato. Ed oggi è l'unica, tra i 1.100 ospiti di via Candoni, con un lavoro regolare. Fatto che suscita invidia tra i residenti dell'ex campo modello, che ormai assomiglia ad una discarica, per il continuo rovistaggio dei cassonetti. E quel che trovano finisce tutto nel campo. Mihaela-Claudia, invece, come la chiamano le clienti del Gmr3, che abitano nelle vie limitrofe a viale dei Colli Portuensi, quartiere chic a sud-ovest di Roma, a qualche centinaia di metri in linea d'aria da via Candoni, non rovista più. «Ormai ho un lavoro vero» conferma soddisfatta della sua occupazione stabile, che l'ha sottratta all'accattonaggio. E le ha consentito di riunire la famiglia. Prima di avere un lavoro, infatti, i suoi figli stavano in Romania coi nonni. Solo il piccolo viveva con la mamma, quando Mihaela sopravviveva in una baracca. Ma lo portava sempre con sé quando, seduta sul muretto, davanti al market dove oggi fa la cassiera, aspettava che le signore le comprassero biscotti e pizza. Poi un giorno qualcuno l'ha mandata al diavolo. «"Vai a lavorare" le ha detto» racconta Massimi. E lei le ha risposto: «Vorrei, ma nessuno mi prende». E Massimi l'ha assunta. Prima il lavoro. E poi per Mihaela è arrivato anche un container a via Candoni. Il sogno che si avvera. E anche se oggi nel campo ci sono tende canadesi, la puzza è il biglietto da visita, e gli ospiti sarebbero privi del Dast, il Documento di autorizzazione allo stazionamento temporaneo, il campo a due passi dal deposito Atac alla periferia della Magliana, è pur sempre ambito da chi vive nelle baracche abusive limitrofe. «Andiamo a lavarci lì» hanno confermato ieri pomeriggio alcune donne, tra il centinaio di persone del campo abusivo che si incontra risalendo per via Candoni, dopo aver svoltato a destra da via Portuense, ribattezzato «Candoni 2». Mihaela che ha vissuto qui, conosce gli stenti di questo campo che non si vede dalla strada, coperto dalle canne, davanti alla fermata degli autobus. E per questo aveva risparmiato ai suoi figli le sue sofferenze. Poi è arrivata la roulotte, acquistata con una colletta dal titolare del supermercato. «Ma i nomadi di via Candoni gliel'hanno distrutta» racconta Massimi. E infine la svolta, l'ingresso nel campo attrezzato di via Candoni. Dove però la famiglia romena convive nel settore dei bosniaci. Sotto le festività una figlia di Mihaela è stata massacrata per questioni di "cuore" durante una rissa con un centinaio di persone. Per quel pestaggio la giovane ha subito tre ricostruzioni al volto al San Camillo Forlanini. Oggi vive scortata dai genitori che le fanno la guardia a turno di notte per consentirle un sonno tranquillo. La convivenza con gli slavi è impossibile. La richiesta di trasferimento in un nuovo container, nella zona dove vivono i romeni, è stata presentata da Massimi. Si è attivato anche Augusto Santori, consigliere Pdl del Municipio XV. La risposta è questione di giorni.

La notizia che apparentemente vuole presentare un caso positivo di una donna Rom che ha un lavoro regolare, in realtà è posta in modo tale da rafforzare molti stereotipi. La cornice con cui viene comunicata la notizia, a partire dal titolo, è quella del "caso strano", dell'eccezionalità di vedere una donna Rom che lavora. Eppure appare evidente leggendo le informazioni riportate nell'articolo che è la condizione di discriminazione a impedire a molti Rom di trovare un lavoro. 
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