È un neologismo, un termine improprio (solitamente scritto fra virgolette) con il quale soprattutto i mezzi di informazione chiamano i cosiddetti ‘casi Dublino’, cioè i richiedenti asilo che dopo avere presentato domanda di protezione nel primo Stato in cui sono stati identificati (attraverso le impronte digitali e come prevede il Regolamento Dublino II), fanno un’altra richiesta di asilo in un secondo Stato e quindi vengono rinviati forzatamente nel territorio del primo. La materia è regolata dal Regolamento “Dublino II” (CE) n. 343/2003, che ha sostituito la Convenzione di Dublino del 1990, il cui obiettivo è prevenire le domande di asilo multiple (cd. “asylum shopping”), definendo i criteri per i quali un unico Stato membro è competente e quindi incaricato di esaminare la domanda[1]. Il sistema si basa sul database europeo delle impronte digitali EURODAC, nel quale sono conservati i dati dei richiedenti l'asilo, per cui è possibile determinare rapidamente se una persona ha già presentato più domande in altri Stati membri dell'UE e, in caso, ricondurla verso il Paese incaricato della procedura. Il Regolamento si basa sul presupposto che tutti i Paesi abbiano le stesse garanzie nell’accoglienza dei richiedenti asilo e delle loro richieste. Ma in realtà non è così. Ed è questo che spinge il richiedente asilo a fare domanda in più di uno Stato. Tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno sottoscritto il regolamento e anche Islanda, Norvegia e Svizzera. Il sistema prevede un riscontro fra le questure che ricevono le domande d’asilo e l’Unità Dublino attiva al ministero dell’Interno. Se risulta che l’Italia non è il primo Paese dove il richiedente protezione è entrato nell’Ue, l’Unità Dublino interesserà quello che risulta essere il primo Paese di transito affinchè riprenda in carico il richiedente. Il Paese ha l’obbligo di rispondere entro due mesi, e anche se non risponde, vale il silenzio assenso. A questo punto, il richiedente dovrà essere trasferito nel Paese competente.
Nei casi in cui il richiedente asilo nei cui confronti è pendente la “procedura Dublino” sia ospitato nel C.A.R.A. e la decisione non intervenga prima del termine dei 20/35 giorni previsti, il richiedente è provvisto di un permesso di soggiorno riportante la dicitura “Dublino” della durata di un mese, rinnovabile[2].
[2] Asgi - Ricerca Il Diritto alla Protezione, pag.88- è un ampio studio sullo stato del sistema asilo in Italia, la cui realizzazione è stata resa possibile grazie al finanziamento di un progetto del Fondo Europeo per i Rifugiati 2008-2013, annualità 2009, realizzato da ASGI (capofila), insieme ad A.I.C.C.R.E (Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e Regioni d'Europa), Caritas Italiana, Communitas Onlus, Ce.S.Pi. (Centro Studi politiche internazionali)
L’uso del termine nasce probabilmente come adattamento italiano dell’inglese Dubliners. La necessità di indicare in qualche modo questa tipologia particolare (e molto frequente in Italia) di richiedenti asilo e rifugiati nasce dal fatto che l’ applicazione della Convenzione “Dublino II” trova alcune difficoltà nella prassi, in quanto alcuni paesi europei riservano ai rifugiati trattamenti non conformi allo spirito e al dettato della Convenzione. “Sembra, quindi, impossibile rinviare richiedenti asilo in paesi dove non esistono adeguate strutture di ricezione e di accoglienza e i richiedenti asilo stessi sono sottoposti ad un regime di tipo paracarcerario”[1] scrive il professor Giuseppe Di Gaspare, docente di Diritto dell’economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss.
Ma da più parti si invita a non usare questo termine, preferendogli la locuzione ‘casi Dublino’. È di questo avviso l’avvocato Alessandra Ballerini, esperta di immigrazione, secondo cui ‘dublinante’ non dovrebbe mai essere utilizzato. Ma anche Alfredo Zolla (dipartimento politiche dell’Immigrazione Regione Lazio della Cgil) lo definisce “un neologismo bruttissimo”.[2]
[2]Intervento all’interno di A. Guarino e A. Ferrari, “Giornata su Immigrazione e Cittadinanza”, Camera dei Deputati, Palazzo San Macuto, Roma 29 aprile 2009, pag. 35 Editore: Autorinediti.it
(Rifugiati in fuga dall’Italia) [1]
Richieste di trasferimento
PERIODO
PERIODO GEN- DIC 2008 GEN- DIC 2009 Totale
Richieste dalla Italia ai Paesi Membri 1.895 1.377 3.272
Richieste dai Paesi Membri all’Italia 5.676 10.596 16.272
TOTALE 7.571 11 .973 19.544
Trasferimenti effettuati
PERIODO GEN- DIC 2008 GEN- DIC 2009 Totale
Richieste dalla Italia ai Paesi Membri 124 47 171
Richieste dai Paesi Membri all’Italia 1.308 2.688 3.996
TOTALE 1.432 2.735 4.167
Fiumicino Aeroporto – anno 2010
TOTALE casi Dublino 2187 Posizione legale in relazione alla procedura:
Donne 202 Richiedenti Asilo 302
Uomini 1819 Beneficiari protezione 1212
Minori 164 Altro 673
Minori non accompagnati. 2
Nazionalità maggiormente rappresentate:
ERITREA 582
SOMALIA 565
NIGERIA 417
AFGHANISTAN 129
IRAQ 73
GHANA 44
SUDAN 47
IRAN 29
ALTRO 301
Paesi membri richiedenti il trasferimento:
SVIZZERA 696
NORVEGIA 377
REGNO UNITO 24 0
PAESI BASSI 307
GERMANIA 153
SVEZIA 108
FRANCIA 98
BELGIO 93
AUSTRIA 58
DANIMARCA 18
ALTRO 39
Dai dati emerge una grande sproporzione fra i ‘casi Dublino’ inviati dall’Italia verso altri Paesi (sia come richieste, sia come trasferimenti effettivamente portati a termine) e il flusso dagli altri Stati del Dublino II all’Italia che è di molto superiore e in continuo aumento, se si guardano gli ultimi dati utili a disposizione. Esaminando poi i numeri relativi al 2010 dell’aeroporto di Fiumicino, dove arriva la maggioranza dei casi Dublino rimandati in Italia, emerge che la maggiorparte sono persone a cui era stata data in precedenza nel nostro Paese una forma di protezione. Dobbiamo a questo punto distinguere le problematiche di una situazione che viene definita “paradossale” da una ricerca sul “diritto alla protezione” (2012) dell’Associazione studi giuridici sull’Immigrazione.
Per quanto riguarda i casi Dublino fra i richiedenti asilo in Italia, l’Asgi sottolinea che, nonostante la legge preveda il permesso di soggiorno e l’accoglienza anche con la motivazione di ‘attesa Dublino’ nei mesi in cui si districa la procedura, “accade che in tale periodo lo straniero non venga considerato formalmente un richiedente protezione internazionale avente diritto ad una forma di accoglienza nel progetto territoriale S.P.R.A.R, a meno di casi eccezionali” e che “in attesa degli esiti degli accertamenti compiuti dall’Unità Dublino spesso non viene rilasciato all’interessato un titolo di soggiorno per asilo - attesa Dublino…..determinando situazioni di grave disagio per il richiedente asilo”. Nei casi Dublino, dunque, quello che si verifica è “un allungamento anche notevolissimo dei tempi della procedura, con serio rischio di esclusione del soggetto, privo, nelle more, di un valido titolo autorizzativo al soggiorno, tanto dall’accoglienza quanto dalla fruibilità dei servizi del territorio”. [2]
Ovviamente, dai dati dell’aeroporto di Fiumicino emerge che le principali nazionalità interessate (Eritrea, Somalia, Nigeria, Afghanistan) corrispondono alle principali nazionalità di richiedenti asilo in Italia. Ma il dato dei casi Dublino deve destare allarme perché , come mostra la tabella, “la netta maggioranza dei rinvii (verso il nostro Paese) è costituita infatti da persone cui era stata riconosciuta qualche forma di protezione in Italia, che hanno presentato una nuova istanza di asilo in altro Paese- scrivono i giuristi dell’Asgi - Detto fenomeno che nel 2010 ha superato abbondantemente il 50% di tutti i cd. casi Dublino, appare oltremodo preoccupante se si considera che riguarda persone che hanno probabilmente dimorato in Italia per non meno di un anno o più e che godono, ai sensi di legge, di un accesso ai diritti sociali a parità di condizioni con ilcittadino italiano”[3] . Secondo l’Asgi, questi dati sui casi Dublino sono la prova provata di un fenomeno già raccontato a volte dai giornali ma poco approfondito, una vera “fuga dall’Italia” dei rifugiati per le condizioni di vita che patiscono nel nostro Paese. Un fenomeno “fortemente connesso alla carenza di percorsi di accoglienza immediatamente successivi al riconoscimento della protezione e alla carenza di progetti a medio termine per l’inclusione sociale” scrive ancora l’Asgi, che sottolinea come “non tutti i casi Dublino trasferiti in Italia trovino davvero accoglienza.” [4]
Quindi, ricapitolando, ogni anno migliaia di persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria o umanitaria scappano dal nostro Paese perché qui non trovano alcuna possibilità di inclusione e di rifarsi una vita. Vengono rimandati in Italia nel giro di alcuni mesi a causa della ‘procedura Dublino’. Ma, secondo la ricerca dell’Asgi, anche nel momento in cui vengono rinviati in Italia, la loro situazione non migliora. Le liste d’attesa per i pochi posti disponibili nella rete Sprar e nei centri di accoglienza comunali, sono estremamente lunghe. “Non stupisce quindi – scrive ancora l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione - che nel rapportodell’associazione tedesca PRO ASYL che ha condotto un’indagine sul campo a Torino e Roma nell’ottobre 2010, emerga un quadro molto fosco caratterizzato da una netta prevalenza delle situazioni di abbandono dei casi Dublino rinviati in Italia, né che, anche sulla base di analoghe forti preoccupazioni, alcuni tribunali amministrativi della Repubblica Federale di Germania Germania abbiano ritenuto di sospendere il rinvio in Italia di richiedenti asilo in attuazione del Regolamento (CE) n. 342/03 in quanto l’Italia non fornisce in concreto adeguate garanzie sull’effettivo rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo”[5]. La vergogna italiana dei rifugiati è ormai un caso internazionale.
[1] Tabelle fonte: Ministero dell’Interno – Unità Dublino tratte da Asgi - Ricerca Il Diritto alla Protezione, pagg.156 - 161
[5] Ibidem, pag. 170. Per consultare la ricerca tedesca citata: PROASYL, The living conditions of refugees in Italy, a cura di Maria Bethke & Dominik Bender, Francoforte, febbraio 2011
Ecco alcuni stralci di un lungo articolo che spiega bene la questione Dublino. L’autore, all’interno del testo completo, riesce a fare importanti distinzioni, come quella fra richiedente asilo e rifugiato. Vengono usate e spiegate anche molte sigle tecniche del sistema d’asilo, come lo Sprar. Tuttavia ci sono degli errori come questo: Una volta messi alla porta dal Cie, il Centro di identificazione ed espulsione, i richiedenti sono soli. In questo caso, però, il giornalista evidentemente si riferisce al Cara e non al Cie, la prigione amministrativa dove vengono reclusi i migranti in attesa di rimpatrio. (Vedi voci corrispondenti). Questo è il segno che la materia è complessa da gestire e necessita grande approfondimento.
L'esercito degli "invisibili" intrappolati nell'inferno Italia
Li chiamano i "dubliners", da "Dublino II", il regolamento europeo sull'asilo politico. Sono i rifugiati sbarcati in Italia e poi passati nel Nord Europa, ma che devono istruire la loro pratica nel nostro Paese. E ora quarantuno tribunali tedeschi hanno bloccato le espulsioni dei richiedenti asilo verso l'Italia sulla base di un rapporto che racconta come per queste persone da noi non ci sia alcuna "garanzia di dignità umana"
(sito internet di un quotidiano nazionale, 20 novembre 2011)
Nei primi decenni del Novecento c'erano persone che spontaneamente arrivavano a rompersi un arto, chi un braccio e chi una gamba, per evitare di essere chiamati in guerra. È passato quasi un secolo ma nella cosiddetta società dei diritti esistono ancora persone costrette a bruciarsi le dita per cancellare le impronte digitali. Queste persone sono i rifugiati politici, e alcuni di loro lo fanno per non tornare in Italia, dopo essere arrivati in Germania o nel Nord Europa.
Com'è possibile? È possibile principalmente per due ragioni: la prima è che il principale regolamento legislativo in Europa in materia di asilo politico, il Dublino II, perno fondamentale dell'intero sistema di accoglienza europeo, prevede obbligatoriamente che la richiesta d'asilo di un rifugiato politico debba essere gestita dal paese membro nel quale quel rifugiato ha registrato le impronte digitali. L'ingresso principale per gli extracomunitari in Europa è rappresentato dalle coste italiane e greche ed è qui che vengono identificati la prima volta, segnando involontariamente il loro destino. Succede che gli immigrati, quando escono dal periodo di soggiorno forzato, decidono di prendere la strada del Nord in cerca di lavoro e molti attraversano i confini per approdare in Germania e oltre. Ma una volta usciti da Italia o Grecia, eccoli scontrarsi con la Dublino II che li costringe a tornare nelle penisole di partenza.
E qui si arriva alla ragione per la quale i richiedenti asilo non vogliono fare ritorno: perché in Italia e in Grecia non ci sono “garanzie di dignità umana” per loro. Questa conclusione è contenuta in un dossier, per ora tradotto solamente in inglese, scritto da due avvocati tedeschi che difendendo la causa di alcuni rifugiati sono venuti in Italia per vedere di persona quali sono le condizioni che gli riserviamo. Un'accusa, non ancora presentata in modo formale, ma che da un lato ha già scandalizzato l'opinione pubblica tedesca e dall'altro ha spinto quarantuno tribunali (Weimar, Francoforte, Dresda, Friburgo, Colonia, Darmstadt, Hannover, Gelsenkirchen e altri) a emettere altrettante ordinanze temporanee per bloccare le espulsioni dei richiedenti asilo verso l'Italia.[…]
I richiedenti asilo possono rimanere in attesa per mesi, addirittura anche un anno, prima di ricevere una risposta - che può essere negativa – alla loro richiesta da parte della Commissione territoriale. Una volta messi alla porta dal Cie, il Centro di identificazione ed espulsione, i richiedenti sono soli, non hanno tessuto nessuna rete sociale con l'esterno dal momento che sono stati costretti a mesi di soggiorno forzato. Così alcuni fuggono cercando di espatriare o di farsi dimenticare nelle pieghe della città, altri vengono “parcheggiati” in edifici inutilizzati in attesa di una risposta. E mentre le loro giornate trascorrono inutili, il loro soggiorno diventa una spesa pubblica.
[..]Ma a essere sotto accusa è l'intero sistema di gestione dei profughi e dei richiedenti asilo a livello europeo. È logico che in Europa esistano paesi con più problemi di accoglienza di altri, dal momento che sono le prime terre d'approdo per gli sbarchi. A questi paesi deve essere riconosciuta la possibilità di gestire differentemente la questione flusso migratorio. La legge Dublino II non fa altro che ripartire in modo ineguale la domanda di richieste d'asilo. Per il Cir, Consiglio italiano per rifugiati, questa convenzione dev'essere addirittura abolita “perché non risponde ai principi contenuti nella Convenzione di Ginevra ma anzi va a soddisfare interessi politici-economici nazionali”. In pratica Dublino II limita la libertà personale di queste persone. Disabili, donne partorienti, persone traumatizzate e vulnerabili: spesso capita al Cir di verificare espulsioni del genere. Gente spedita come pacchi postali dalla Gran Bretagna e da altri paesi europei.
Eppure alcuni di questi paesi sembrano voler invertire la tendenza. Oltre alla Germania, anche Olanda e Svezia stanno prendendo in considerazione l'eventualità di bloccare i rimpatri dei dubliners, i rifugiati di ritorno. Da non dimenticare che queste misure erano già state adottate nel 2008 da Norvegia e Finlandia nei confronti della Grecia, reputata un paese “a rischio” per i profughi.